Rubriche- Pagina 5

La crosta di mandorle rende il pollo prelibato

/

Un secondo prelibato, particolarmente invitante, il petto di pollo intero reso appetitoso da una croccante crosta di frutta secca, mandorle, nocciole o pistacchi, a voi la scelta. Cotto in forno con pochissimi grassi risultera’ leggero e tenerissimo, da servire caldo o freddo, perfetto accompagnato da una fresca insalatina.

 

Ingredienti

1 Petto di pollo intero

1 uovo intero

80gr. di mandorle

1 rametto di rosmarino

Scorza di limone grattugiata

Sale, pepe, olio q.b.

.

Nel mixer tritare finemente le madorle con gli aghi di rosmarino, sale e pepe. Sbattere leggermente l’uovo. Passare il petto di pollo prima nell’uovo e poi nel trito di mandorle al quale avrete aggiunto la scorza del limone grattugiata. Preriscaldare il forno a 200 gradi, sistemare il petto di pollo in una teglia foderata con carta forno, irrorare con un filo d’olio, cuocere per 15 minuti poi, abbassare la temperatura a 180 gradi e proseguire la cottura per altri 10 minuti. Buon appetito !

Paperita Patty

Assaggiate le linguine che sanno di mare

/

Un primo dal sapore tipicamente mediterraneo, saporito, economico e pronto in pochi minuti. Le acciughe, fonte di preziosissime sostanze nutritive, sono le protagoniste di questo piatto, abbinate alla croccantezza dei pinoli e dei pistacchi non deluderanno i palati piu’ esigenti.
***
Ingredienti
160gr. di pasta Linguine
4 filetti di acciughe sott’olio
½ spicchio di aglio
1 cucchiaio di pinoli
1 cucchiaio di pistacchi di Bronte
1 piccolo peperoncino
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
1 mazzetto di prezzemolo
Olio evo q.b.
***
Lavare il prezzemolo, asciugarlo, tritarlo grossolanamente con la mezzaluna insieme all’aglio, al peperoncino, due filetti di acciuga, i pinoli ed i pistacchi. Cuocere la pasta in acqua poco salata. In una larga padella scaldare due cucchiai di olio con i rimanenti filetti di acciuga, lasciarli sciogliere e poi, aggiungere il concentrato di pomodoro, mescolare bene. Scolare la pasta nella padella, aggiungere il pesto di acciughe diluito con mezzo mestolino di acqua di cottura, amalgamare il tutto e servire subito.

Paperita Patty

Mele al forno: sapori e ricordi d’infanzia

/

Le mele cotte evocano ricordi e profumi d’infanzia, un comfort food della stagione invernale. Non necessitano di elaborate cotture, sono buone cosi’, nella loro semplicita’, un alimento prezioso per il nostro organismo per le loro spiccate proprieta’ benefiche. Di facile digestione rappresentano un dessert ideale per tutti, sia per un fine pasto che per una dolce merenda.

 ***

Ingredienti
 
4 grosse mele
La scorza di un limone
Una noce di burro
Poco vino bianco secco
2 chiodi di garofano
2 cucchiai di zucchero di canna
Un pizzico di zenzero in polvere
Un pizzico di cannella
Poca acqua
 

Lavare e asciugare bene le mele, sistemarle in una pirofila da forno, versare un dito di acqua e il vino bianco, aggiungere la scorza del limone, i chiodi di garofano e cospargere le mele con la cannella, lo zenzero, lo zucchero di canna e un poco burro. Cuocere a 200 gradi per circa 30 minuti o sino a quando il liquido  e’ diventato uno sciroppo caramellato.

Paperita Patty

Rock Jazz e dintorni a Torino: Edoardo Bennato e la London Symphonic Rock Orchestra

/

GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA

Martedì. Al Blah Blah suonano i Divide And Dissolve +Ramon Moro.

Mercoledì. Al teatro Alfieri si esibisce Edoardo Bennato. Al Blah Blah è di scena Mapuche. Al teatro Concordia si esibisce il cantautore Carl Brave.

Giovedì. Inaugurazione del festival di musica elettronica CNC alle OGR con l’esibizione di Jenny Hval. Il Festival propone fino a domenica 2 novembre  anche al Lingotto diversi musicisti tra i quali: Blood Orange, Los Thuthanaka, Yhwh Nailgun, Danielm Blumberg e tanti altri. Al Cafè Neruda suona il trio di Alberto Marsico. Al Banco si esibisce il trio Denitto- Azzaro, Palazzo. Al Vinile è di scena il Miky Bianco Projet. Al Blah Blah suonano i Mao Funk.

Venerdì. Al Circolino si esibiscono i Stay tuned. Alla Divina Commedia suonano i Yourmother. Al Folk Club sono di scena i Huun-Huuur-To. Al Teatro Colosseo si esibisce Marco Masini.

Sabato. Al Vinile suona il gruppo The Soul Women //Soul Night. Al Circolo Sud sono di scena i Boogianen. Al Peocio di Trofarello suona Michael Angelo Batio. Al Blah Blah sono di scena i The Jackets. Allo Ziggy suonano i Conjurer + Frail Body.

Domenica. Al teatro Colosseo si esibisce la London Symphonic Rock Orchestra.

Pier Luigi Fuggetta

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

/

SOMMARIO: Papa Leone e la kefiah – Franco Reviglio della Venaria – Sul treno con la Cgil – Da “Armando al Pantheon”- Lettere

Papa Leone e la kefiah

Che il papa Leone XIV abbia accettato la kefiah palestinese “come simbolo di lotta contro l’occupazione” è una notizia molto triste. Fa il paio con l’intervista del segretario di Stato Parolin silente per molti mesi, improvvisamente risvegliatosi antisraeliano. Che il dono venga da un attivista palestinese aggrava la cosa. Quel copricapo è conosciuto in tutto il mondo come un simbolo ostile ad Israele. Il Papa deve restare neutrale, esercitando una funzione di pace tra i contendenti. Questi sono episodi che sarebbero comprensibili in Papa Francesco, anche se di per sé censurabili perché la demagogia non deve mai lambire il solio di Pietro.


Franco Reviglio della Venaria

La morte a 90 anni di Franco Reviglio non è stata ricordata come meritava il personaggio. La statura morale e scientifica del professore ha portato a scrivere di lui come  del ministro di Craxi che per altro lo sostituì con il commercialista di Bari Formica. Ho conosciuto personalmente Reviglio ed ho anche presentato dei suoi libri.

Era un gentiluomo e un uomo di cultura degno della massima stima. Non aveva neppure quel giacobinismo che gli è stato attribuito per lo scontrino fiscale, un qualcosa oggi totalmente accettato. Il demagogo semmai fu l’ex azionista Visentini, uomo di rara, superba antipatia. Ricordo con nostalgia quando ci trovavamo al vecchio “Firenze“ a cena. Alla vedova Paola Thaon di Revel, ai figli esprimo la mia vicinanza affettuosa.

.

Sul treno con la Cgil
A volte oggi si vivono situazioni paradossali, quasi incredibili. A causa di una manifestazione della GGIL a Roma volta a “bloccare tutto“  promossa di  sabato da Landini ho rischiato di non riuscire ad arrivare in taxi a Termini. Poi a fatica mi sono fatto strada e mi sono trovato  in  un vagone di militanti della CGIL con cappellino rosso e maglietta “Bella ciao” che hanno viaggiato senza prenotazione, vantandosi che in andata avevano viaggiato con Italo in business class.
Avrebbero voluto attaccare discorso anche con me, ma sono sopravvissuto al diluvio propagandistico in treno, tirando fuori un libro in cui mi sono immerso anche se era il dono di un tizio venuto  venerdì ad una mia conferenza  romana che ad ogni costo voleva rifilarmi le sue poesie che ho finto di leggere fino a quando mi sono addormentato. Per altri versi ho constatato  di persona il caos  in cui è precipitato il traffico ferroviario. Ho ascoltato infiniti annunci di ritardi e di guasti. Un’idea di inefficienza che non può non toccare anche le responsabilità dirette di un ministro che vuole occuparsi di tutto, anche di politica estera, ma non si occupa abbastanza dei trasporti. Le deficienze di Ferrovie italiane non sono più tollerabili.

.

Da “Armando al Pantheon”

A cena da “‘Armando al Pantheon“, il mio ristorante preferito a Roma ho incontrato Peppone Calabrese il conduttore della trasmissione domenicale su Rai 1 che valorizza le tradizioni enogastronomiche italiane. Si è subito creato un rapporto tra di noi. Mi conosceva anche come amico di Mario Soldati di cui è un estimatore. È  stata una bella sorpresa incontrarlo. Alla domenica vedo sempre la sua trasmissione, un antidoto al tg pieno di notizie di guerra e di violenze. La campagna e i suoi prodotti e la vita semplice degli abitanti: un’alternativa alla vita frenetica e stupida a cui siamo condannati.

.

quaglieni penna scritturaLETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com

.

Messa in dialetto
Cosa pensa di questa iniziativa a Pianezza che propone una Messa in dialetto piemontese? A me sembra un‘iniziativa impropria. E’ quasi impossibile ascoltare una Messa in Latino per colpa di Papa Francesco, il dialetto è del tutto fuori posto. Quanti fedeli comprenderanno il testo? Meridionali, emigrati ecc.?      Filippo de Baldi
Concordo con lei. Soprattutto mi domando quanti fedeli seguiranno la Messa. Il dialetto è sepolto anche per i piemontesi. Figurarsi gli altri. Il celebrante che è uomo colto si troverà in difficoltà.
.
Quella foto su internet
Cosa pensa di questa fotografia che circola in Internet? Mi sembra il rischio politico peggiore in cui possa precipitare l’Italia. Edoardo Giletti
Lo penso anch’io. Manca qualche volto femminile per dare una qualche idea di parità e poi saremmo al completo. Spero che sia un brutto sogno.
.
“Radicali” e IV Novembre
Ho letto che certi “radicali“ estremisti contestano il IV novembre non per scelta antimilitarista, ma perché è prevista una preghiera cattolica. Questo è anticlericalismo volgare alla Podrecca. Cosa ne pensa?    Francesca Ritucci
Non ho trovato riscontri documentati per rispondere. I veri radicali sono altra cosa .Io anche quest’anno sarò ad Alassio a parlare per il IV novembre e da sempre è prevista, insieme alla mia orazione, la celebrazione della Messa  senza problemi per nessuno. E’ un suffragio ai Caduti che solo gente rozza e fanatica può rifiutare con intendimenti politici molto meschini e pretestuosi.

Affrontare il cambiamento / 3

/
Il cambiamento parte dalla consapevolezza dei vantaggi che ne derivano, ma per averli ben chiari dobbiamo prima avere contezza anche di tutti gli svantaggi insiti nella situazione in cui siamo, e nel non cambiare. Non c’è motivazione senza questa chiarezza, e non c’è vero cambiamento senza una profonda e stimolante motivazione.
Certo, per affrontare il cambiamento serve coraggio, anche quello di guardare ai nostri limiti, magari scoprendo un’immagine di noi stessi e della nostra reale situazione diversa da quella che vorremmo vedere, e serve il coraggio di venire a contatto con le nostre parti più fragili, più impaurite e quindi più refrattarie al cambiamento.
Come adattarci allora nel modo migliore al cambiamento necessario? In ogni caso, per avere il giusto rapporto con il cambiamento è necessario che siamo in grado di non essere eccessivamente e negativamente attaccati alle nostre abitudini, alle persone e alle cose.
La paura di cambiare, che si tratti del lavoro, di una relazione, di una abitazione, eccetera, è dovuta anche all’eccessivo attaccamento emotivo che abbiamo sviluppato.  E quali sono i comportamenti da adottare per far si che qualsiasi cambiamento avvenga nel modo migliore?
Premesso che non sempre cambiare è necessario od opportuno, sta a noi comprendere se e quando è bene assecondare il cambiamento e modificare le nostre abitudini e i nostri comportamenti. Impariamo ad ascoltarci, ad ascoltare il nostro corpo e le nostre emozioni e sensazioni
Anche quelle che ci piacciono di meno, come la paura, la rabbia e l’ansia, perché esse ci possono suggerire la nostra posizione rispetto al cambiamento da effettuare. Se lo facciamo con attenzione, saremo in grado di dare loro la giusta risposta.
(Fine della terza e ultima parte dell’argomento).
.
Potete trovare questi e altri argomenti dello stesso autore legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.
Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”.

Cartoline da Eddington

/

Sugli schermi il film di Ari Aster presentato a Cannes

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Le strade assolate e i grandi spiazzi notturni deserti, le case solitarie sulla collina, il barbone che cammina lurido e scalzo e che viene ucciso freddamente mentre tracanna dalle bottiglie di un bar, unico avventore, le feste con musiche assordanti che finiscono comicamente a suon di schiaffi e voglia di vendetta, gli assembramenti vietati con tanto di cartelli che inneggiano al Black Lives Matter (scene girate in maniera ingenua, diciamo pasticciate, impacciate), le urla e gli assalti alle auto della polizia, i suprematisti bianchi e l’estremismo religioso di una giovane guida, la voglia sempre più affermata di fucili e quant’altro e il rifugio scelto, che è una ben fornita armeria, per ricaricarsi, i bitcoin e i droni che volteggiano nel cielo, aggeggi micidiali che feriscono e smembrano, la mattanza finale con un coltello che ti si conficca nel cervello, e scie di fuoco, fiamme, tante fiamme, a distruggere pressoché ogni cosa. Un sindaco che di nome fa Garcìa ed è ispano e caldeggia la costruzione di un centro di alta tecnologia, un nativo della cittadina vicina che vuol mettere il becco nelle indagini, i ricordi dell’omicidio di George Floyd e il Covid che si porta dietro l’obbligo delle mascherine (siamo nel maggio 2020 e lo sceriffo è refrattario all’uso). Tutto questo e molto altro ancora è “Eddington” di Ari Aster, presentato lo scorso maggio a Cannes, poco apprezzato dalla critica, nessun premio. I bollori americani descritti nel territorio della provincia, una cittadina del New Mexico che confina con la riserva indiana, il malcontento che sfocia in ferocia, l’un contro l’altro armato, il sangue che si spreca.

Una violenza, serpeggiante e deflagrante, che avrebbe interessato i fratelli Coen di “Fargo” e di “Non è un paese per vecchi”, la violenza che circola con ben altri intenti e misure lungo le strade di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, rese indimenticabili dalla regia di Martin McDonagh e da una strepitosa Frances McDormand. Ma altra “raffinatezza”, altra scrittura, persino un’altra eleganza nelle scene più crude. Aster, alla ricerca di un tempo presente dove tutto nasce e cresce troppo in fretta, dice troppe cose, mettendo a lato una costruzione e un discorso più razionali e pianamente narrati, dando al contrario libero sfogo al sarcasmo, all’ironia troppo spesso fuori tempo e fuori luogo, giocando con fake news e social, mostrando tutto quanto può trovar posto sul piccolo schermo di un cellulare, mescolando e disordinando sempre più le carte. Tutto va oltre la descrizione, anzi si arretra al fumetto che a volte – quei combattimenti futuristici messi in campo nelle pagine finali – scadono nei videogame più da baraccone.

A portare avanti il racconto (148 faticosi interminabili minuti) è un Joaquin Phoenix che fa lo sceriffo con il boccetto di Ventolin sempre a portata di mano, una sorta di Michael Douglas che gonfia e rigonfia di rabbia durante tutto il suo “Giorno di ordinaria follia”, una vena di imbarazzante grottesco, colpito da quella sfrenatezza interpretativa che il regista gli ha vestito addosso, coinvolto – e forse la molla che fa scattare tutto sta proprio lì, all’interno di casa sua – in una intossicazione coniugale che dura da sempre e s’è ingigantita, con la mogliettina (una Emma Stone che è un’apparizione e un personaggio letteralmente sciupati) che fa le valige e segue il capomanipolo religioso. Per cui il dramma cittadino rimane inghiottito in un’altra disarmante guerricciola tra un lui e una lei.

Non un’analisi vera e propria di tematiche e delle bombe che ne scoppiano, dell’agguato che è sempre più dietro l’angolo, non la descrizione completa e profonda di una crisi (o delle crisi) che sta interessando il mondo intero, non un lavoro di sforbiciamento e di rimessa a posto di ogni parte interessata: Aster va avanti per la propria caotica strada ma tutto quel caos non è l’apporto a una verità quotidiana ma il suo stesso film che finisce alla fine col non approdare a nulla.

Gino, sei proprio un gatto!

/

D’inverno non è raro che le stelle, in fretta e furia, facciano posto a nuvole gonfie di tormenta. Anche la notte dell’Epifania di quell’anno aveva portato con se la neve. Soffice come l’ovatta, leggera come piume d’oca, era planata lentamente a terra, imbiancando tutto

Non che ne fosse venuta tanta, però. Era, come dire, una specie di patina spessa più o meno cinque centimetri.  Non mi aveva preso alla sprovvista. Rincasando, verso le 23, s’intravedevano già dei piccoli fiocchi volteggiare nell’aria. Erano “palischitt“, pagliuzze gelate. Ma promettevano “d’attaccare giù“. L’aria fredda che s’incanalava per le valli del Mottarone fino ad accarezzare le onde del lago, era un “preavviso” della nevicata. Così decisi di usare le pagine di un vecchio giornale per coprire i vetri della mia piccola Fiat amaranto, posteggiata davanti all’osteria del “Gatto e la Volpe”. Così, al mattino, se non ne veniva giù un sacco, sarebbe bastato rimuovere i giornali per avere i vetri puliti ed asciutti,  evitando – ed era la cosa più importante – che gelassero. Quante volte mi era capitato di vedere i vicini di casa, dopo una notte di brina gelata o di tormenta, armeggiare sui vetri merlettati dal gelo con raspe e fiotti d’acqua calda. Quanti vetri rigati o crepati, per la gioia dei carrozzieri che dovevano quanto prima sostituirli. Era più saggio seguire la buona regola del “meglio prevenire che curare”. Così, dopo una notte di sonno profondo, propiziata da quel silenzio ovattato che si crea quando nevica, mi sono alzato alle sei e mezza, anticipando la sveglia. Mi capita così da una vita. Alla sera carico la sveglia, la punto sulle sette meno venti e regolarmente l’anticipo  di una decina di minuti. Così la mia sveglia non suona mai. Se ne sta lì, vigile, scattante, pronta a squillare ma io, per il suo disappunto, ne rendo superfluo il servizio. Che devo fare? Mi viene così, non lo faccio apposta. E sono convinto che, la volta che mi capitasse di scordarmi di puntarla, resterei “impagliato” a letto. Comunque, una volta alzato e vestitomi di tutto punto, uscii. Non nevicava più e l’aria era fina, pulita. Mi avvicinai all’auto e, voilà: in un attimo sfilai via i giornali. Solo in quel momento mi accorsi che Giovanni Melampo mi sta guardando. Non avevo notato che, con il badile in mano, stava liberando l’entrata laterale dell’osteria del “Gatto e la Volpe”, quella che dava direttamente sulla cucina. Mi guardava interessato e, ad un certo punto, esclamò: “Gino, posso dirti una cosa?”. Non feci in tempo a rispondere che il fabbro aggiunse “ Ecco, volevo dirti che sei furbo come una volpe. Ma come ti è venuta in mente l’idea dei fogli di giornale, eh? A tì sé propri un gatt. Sei proprio un gatto. Dai, vieni qui, fammi compagnia. Andiamo a bere un bicchiere dal Mario. Offri tu,ovviamente, per “bagnare” l’invenzione”. Pur di scroccare un bianchino era capace di qualsiasi stratagemma. E quella mattina era toccato a me. Ne scolò tre, uno in fila all’altro. “Ma non ti faranno male?”, gli dissi. “ Io, appena sveglio, bevo due bicchieri d’acqua del rubinetto che al mattino fa solo bene”. Lui, di rimando, mi rispose che “ l’acqua la fa mal, la bev dumà la gent de l’uspedal”. Lui, ovviamente, non aveva niente a che spartire con la “gente dell’ospedale”, precisando che stava benone e il vino non solo poteva berlo ma era una sorta di medicina.Bevendo, Melampo, si lasciò andare ai suoi racconti. Iniziò a parlare delle disavventure del povero Ottorino Gambina, l’operaio del comune che faceva un po’ di tutto, dal cantoniere allo stradino. Ottorino, detto “robinia” per il carattere pungente che ricordava  le spine scure che ornavano i giovani rami delle robinie, era – come s’usava dire dalle nostre parti – un “nervusatt”.

Bastava un nonnulla e s’incavolava di brutto. Soprattutto quando lo prendevano in giro per le sue gambe. Sì, perché – per sua sfortuna – aveva le gambe storte, ad archetto. Sembrava un fantino ( la statura, più o meno, era quella.. ) al quale avevano sfilato il cavallo da sotto, condannandolo a rimanere così, con gli arti inferiori piegati in forma. Aveva ereditato il lavoro dal suo predecessore, noto a tutti come “Mario pulito” che, mantenendo fede al suo soprannome, aveva sempre e tenacemente operato per ottenere, con il minimo sforzo, la massima resa dalla sua attività. A differenza di sua moglie Maria che si  faceva in quattro nel lavorare, Mario era diventato famoso per la proverbiale abilità a sdraiarsi ai bordi della strada, dove, steso su un vecchio plaid, allungava le mani nelle cunette per estirpare le erbacce, con movimenti tanto lenti quanto studiati. Ben attento, sempre, a non faticare troppo e a non sporcarsi gli abiti. Se ne accorse anche il vecchio Hoffman, ben presto pentendosi di avergli offerto il lavoro di giardiniere nel parco della sua villa a Oltrefiume. Mario si sdraiava sotto gli alberi, a fine estate, nell’attesa che le foglie cadessero e solo quando gli alberi erano spogli e il fogliame a terra – con una gran flemma – iniziava a raccoglierle, una a una. “Robinia” , però, era di tutt’altra pasta. Al lavoro sembrava un trattore: a testa bassa, con la scopa in mano, spazzava con diligenza i marciapiedi e il sedime stradale. Finché, non gli capitò “l’incidente”, come lo definì Melampo.  A lè finì cunt el cü per tèra. Sì, perché è bastato il colpo della strega per metterlo fuori uso. E tutto, pensa un po’, per una cartina del cioccolato che stava lì, in mezzo al sagrato della chiesa. Aveva appena scopato per bene e qualche ragazzaccio passando, mentre era voltato di spalle, gliela aveva buttata lì. Nell’atto di chinarsi ha sentito un “crack” alla schiena ed hanno dovuto portarlo a casa così, piegato in due, fino a che il dottore non gli ha fatto un’iniezione. Sembrava che dovesse finir tutto lì, e invece…”. Era sconsolato, il fabbro. “ Tiricordi com’era? Bianco e rosso, sempre pronto a mangiare e bere. Ed ora? E’ magro che  sembra ‘n gatt che l’ha mangià i lüsert. Un gatto che mangia solo lucertole.. La schiena non gli tiene più, è sempre in mutua e si è messo a bere ancor più di quanto non facesse già. Ha proprio una brutta cera”.In effetti, era così. Non sembrava nemmeno più lui anche nel carattere. Era, come dire?, spento, apatico,rassegnato. Se si cercava di tirarlo su, dicendogli che bisognava aver fiducia, che si sarebbe messo a posto, rispondeva – scuotendo la testa – : “Se l’è minga supà, l’è pan bagna”( se non è zuppa è pan bagnato).Era rassegnato a rimanere così, con la schiena scassata e le gambette sempre più divaricate. Melampo, nel raccontare le sue disavventure, si era immalinconito. Ma reagì subito, proponendomi un altro “giro” di calici.“ Dai, Gino,beviamoci su. Anzi, ci bevo su io anche per te, così buttiamo alle ortiche la malinconia. Mi spieghi ancora una volta la pensata del foglio di giornale, eh?”.

 Marco Travaglini

Filetti di pesce ai pinoli

/

Note di gusto insolite per questa semplice e leggera ricetta di pesce che, con pochi ingredienti e pochi minuti, vi permetterà di portare in tavola un secondo fresco e gustoso adatto alle calde giornate estive. 
***
Ingredienti 

Filetti di pesce (varietà a piacere) 
Poca farina bianca 
1 limone 
20gr. di pinoli 
10 olive verdi denocciolate 
1 cucchiaio di olio 
1 noce di burro 
Poco vino bianco secco 
Sale e pepe q.b. 

***

In una larga padella tostare i pinoli con un cucchiaio di olio, tenere da parte. Tagliare le olive a rondelle. 
Infarinare i filetti nella farina bianca e lasciar rosolare in padella con una noce di burro, sfumare con il vino bianco, cospargere con la buccia grattugiata del limone, lasciar cuocere un paio di minuti e aggiustare di sale e pepe.  Aggiungere al pesce le olive ed i pinoli, lasciar insaporire brevemente e servire con una fresca insalata verde. 


Paperita Patty