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Forever Young: Quando l’idolo diventa realtà: l’amore al tempo del Muro di Berlino

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Torino tra le righe

Chi non ha mai sognato, almeno una volta, di trasformare un poster appeso in cameretta in una realtà tangibile? Di incontrare il proprio idolo, scoprire com’è davvero e magari far breccia nel suo cuore? Ma cosa accadrebbe se il sogno diventasse realtà? Sarebbe l’inizio di una favola… o di qualcosa di molto più complicato?
“Forever Young” è l’ultimo romanzo di Alessandra Montrucchio, uscito nella primavera del 2017 per edizioni Feltrinelli. L’autrice è nata e cresciuta a Torino, dove ha conseguito la laurea in Storia della letteratura italiana moderna e contemporanea. Nel 1995 ha ricevuto il Premio Calvino per alcuni racconti, poi pubblicati da Marsilio in una raccolta dal titolo Ondate di calore. Tra i suoi titoli più noti Macchie rosse e Cardiofitness, dal quale è stato tratto un film nel 2006. Con E poi la sete si è cimentata nella fantascienza. Dal 1997 tiene una rubrica su Torinosette, supplemento settimanale de La Stampa per Torino e provincia, intitolata Cattive ragazze. Lavora anche come traduttrice. Tra i titoli tradotti per Einaudi, La città che dimenticò di respirare. Insieme a Cristina Virone ha scritto libri per bambini firmati con lo pseudonimo di Jenny Haniver e pubblicati da Feltrinelli.
I protagonisti di questa storia, Forever Young, ambientata nell’anno 1982, sono due giovani che, sulla carta, non potrebbero essere più diversi: Mia, diciassettenne torinese proveniente da una tranquilla e apprensiva famiglia borghese, e Alex, ventunenne tedesco, scappato di casa anni prima, con alle spalle un’adolescenza durissima vissuta nelle strade di Berlino Ovest ed un presente da stella emergente della musica. Mia si invaghisce di Alex attraverso una canzone ed un videoclip e poi, quando le si presenta l’occasione di trascorrere l’estate a Berlino, avviene l’incredibile: Mia e Alex si incontrano, si conoscono e si innamorano. Ma questo è solo l’inizio.
All’ombra del Muro che, all’epoca, divideva artificialmente Berlino ed i suoi abitanti in due segmenti separati, Mia e Alex dovranno trovare la forza e la maturità di superare i muri simbolici che la società, l’età e i rispettivi ambienti hanno eretto tra di loro, ma soprattutto trovare il coraggio di superare la paura di non essere all’altezza l’uno dell’altra.
Forever Young non è solo una storia d’amore per adolescenti: la Berlino divisa degli anni Ottanta fa da sfondo a un racconto che intreccia emozioni personali e tensioni storiche. Alex incarna il tumulto e il fascino di una città ferita ma viva, mentre Mia scopre sé stessa attraverso il viaggio e il confronto con un mondo tanto lontano dal suo. Il personaggio di Alex ha un carattere intrinsecamente legato, quasi dipendente da Berlino, dal Muro, dal romanticismo e dal dolore di quella città in quell’epoca, mentre quello di Mia rappresenta la scoperta dell’età adulta attraverso la scoperta della città. Senza contare che molte delle cose che succedevano allora a Berlino – le fughe oltre la Cortina di Ferro, le lotte di strada, eccetera – sono perfette per creare colpi di scena e svolte narrative.
Questo libro è la metafora dei muri, fuori e dentro di noi. Alex si è costruito una corazza difficile da abbattere, ma Mia, con pazienza e determinazione, riesce pian piano a scalfirla. Il Muro di Berlino diventa così anche il simbolo del loro amore contrastato. Mia è una ragazza borghese tranquilla e diligente. A differenza delle sue amiche non si entusiasma facilmente, è seria e saggia. Però, inaspettatamente, le capita una cosa irrazionale come innamorarsi perdutamente di un cantante che conosce solo attraverso i media.
La storia d’amore con Alex è sicuramente un percorso di crescita e maturazione. Lui la salva durante una lotta di strada e quando viene investita da un’auto, ma in realtà è Mia a salvare lui.
Un libro intenso, coinvolgente, capace di raccontare l’amore, la giovinezza e il bisogno di abbattere i confini che ci separano dagli altri e da noi stessi.
MARZIA ESTINI
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Il ragioniere di Baveno

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“Ragioniere, buongiorno. Anche oggi, il solito?”. Così lo salutava ogni mattina, dal lunedì al sabato, il signor Alfredo. All’anagrafe Alfredo Tichetti, di professione bigliettaio addetto allo scalo della Navigazione Lago Maggiore, in servizio all’imbarcadero di Baveno.

E il “solito” non era una consumazione al bar ma semplicemente il biglietto del battello che da Baveno lo portava in giro per il lago. A volte verso Intra dove, dopo gli scali all’Isola Madre, a Pallanza e a  Villa Taranto ( ma solo d’estate), aveva a disposizione un quarto d’ora scarso per imbarcarsi sul traghetto che faceva la spola con Laveno, sulla sponda lombarda del Verbano. A volte verso le isole Pescatori e Bella, Stresa, Santa Caterina del Sasso e la parte bassa del Maggiore, verso Angera e Arona. Il ragioniere era Teobaldo Lucciconi di anni sessantasei, celibe. Per quelli che lo conoscevano era semplicemente “il ragioniere”, tant’è che il suo nome non lo usava più nessuno e, se non fosse scritto sui registri del municipio, avrebbe potuto anche pensare di cancellarlo. Lucciconi era stato ragioniere contabile, impiegato alla filiale bavenese della Banca d’Intra al n. 5 di corso Giuseppe Garibaldi, a pochi passi dal piazzale dell’imbarcadero e dei moli d’attracco dei battelli e dei motoscafi. Aveva passato più di trent’anni dietro a quello sportello, intento a contare i soldi degli altri, a darne e riceverne. In tutto quel tempo gli sono passati davanti agli occhi i fatti privati e pubblici, le gioie e le tristezze di diverse generazioni. Altro che il confessionale del prete, su alla parrocchiale! Era in banca che ci si scambiava un saluto e si ricevevano confidenze, dovendo anche dare – se richiesto – qualche utile consiglio. Ma giunto al tempo della pensione, non ci pensò un minuto di troppo. Si levò le mezze maniche e, sempre con garbo (il che non guasta mai), salutò tutti e se ne andò senza rimorsi. Non che stesse male, anzi: aveva degli amici sinceri lì, e in fondo era stata la sua famiglia per tanto tempo. Vivendo da solo si era affezionato a quell’ambiente ma, come in tutte le cose, cercava di non vivere di ricordi e malinconie. Così aveva pensato che, dopo tanti anni passati tra casa e ufficio, ufficio e casa, era venuto il momento di prendere un poco d’aria fresca, guardandosi intorno. E sul lago di cose da vedere ce n’erano davvero tante. Così, a volte a piedi e altre utilizzando i mezzi pubblici (dal treno alla corriera passando, ovviamente, dal battello), iniziò a girare i paesi del lago su entrambe le sponde, la piemontese e la lombarda senza tralasciare la parte più a nord, in territorio elvetico, dedicandosi a frequentare le amicizie e a ripercorrere, con la memoria, le tante storie dei tipi originali con cui ha avuto a che fare. E vi possiamo assicurare che sono tanti che nemmeno vi immaginate. Ma soprattutto ebbe occasione e tempo per riscorire Baveno e le sue frazioni. ” Ma guarda tu”, pensava “E chi l’avrebbe mai detto che vivevo in un posto così bello e non ci avevo quasi mai fatto caso”. Era una delle sue riflessioni ricorrenti da quando era andato in pensione. Per tanti, troppi anni era stato “preso” dal lavoro e non alzava quasi mai lo sguardo sopra lo sportello. Arrivava in banca al mattino presto, portandosi da casa la “schisceta”. Eh, sì. Voi come la chiamate? Baracchino, pietanziera, gamelin, gavetta, gamella? Da noi quella pentolina di metallo a strati, con un coperchio ben chiuso per evitare perdite, indispensabile per scaldare su un termosifone un poco di pasta avanzata del giorno prima, una minestra di verdura o una fetta di carne, era la schisceta. Del resto da single, come si usa dire al giorno d’oggi, cosa andava a casa a fare? Non aveva nessuno ad aspettarlo o che cucinasse per lui e allora gli avanzi della sera prima erano più che sufficienti per mettere insieme un pasto economico da consumare sul posto di lavoro. Usciva di casa che era buio e ritornava a sera inoltrata perché spesso si fermava a dare una mano al direttore nel disbrigo dei conti e delle chiusure di cassa. Eh, un tempo non si guardava mica l’orologio. Prima il lavoro, poi il lavoro e poi ancora la famiglia. E lui che era praticamente tutta la sua famiglia quando andava a casa si fermava qualche minuto ad accarezzare il gatto della signora Maria, la vecchia lavandaia che abitava in cima a quel rione che chiamavano “il baeton”. Si faceva accarezzare perché gli dava sempre qualche pelle di salame, crosta di formaggio e cotiche avanzate. Il Tigre (si chiamava così per il pelo rosso striato di grigio e non certo per il carattere intraprendente visto che stava sempre sdraiato al sole, sullo zerbino di casa, a ronfare) manifestava la sua riconoscenza sfregandosi alle gambe con un sonoro ron-ron. Le giornate del ragioniere scorrevano così, senza troppe emozioni e senza andar di fretta. Poteva permetterselo, facendo una vita tanto regolare da far invidia a un orologiaio svizzero. Ogni giorno gli capitava di veder gente correre qua e là, sempre indaffarata, quasi avessero addosso tutti l’argento vivo. E lui? Niente. Si era guadagnato il diritto alla flemma. Gli capitava, come accade a tutti, qualche episodio dove la frenesia prendeva il sopravvento e bisognava darsi da fare ma erano, per fortuna, momenti piuttosto rari. Così, pur non mancando ai suoi doveri, cercava di tenere un passo che fosse, come dire, il più lento e ragionato possibile. E, bene o male, ci riusciva. Al Circolo Operaio bavenese ci andava soprattutto il lunedì mattina, giorno di mercato, dopo aver bighellonato tra le bancarelle. Gli piaceva quel brulicare di persone che chiacchieravano e contrattavano le merci esposte con un vociare che metteva allegria. Quando c’erano i turisti, dalla tarda primavera alla fine dell’estate, era una vera e propria babele di lingue. Sarà stato perché pativa la solitudine o perché gli piaceva iniziare una nuova settimana con un poco di movimento dopo l’ozio domenicale, ma far due passi al mercato era proprio divertente. Non che ci andasse per comprare qualcosa. Gli capitava raramente e solo per alcuni capi di vestiario. Per i generi alimentari andava in uno dei due piccoli supermercati.

Anzi, per non far torto a nessuno, stava ben attento a fare la spesa sia in uno che nell’altro. Così, pensava, nessuno ne avrà a male. Tanto più che al giorno d’oggi i prezzi sono più o meno uguali e anche la qualità non si discosta di molto. Ma, compere a parte, il mercato lo metteva di buon umore. Confessava che rimpiangeva quando era in centro, occupando la piazzetta tra le scuole elementari, il retro del municipio e pure la via principale che costeggiava la scalinata della chiesa. In seguito, per non intralciare il traffico e agevolare la viabilità, venne spostato sul viale del ponte che attraversava il torrente Selvaspessa tra Baveno e Oltrefiume, piò meno all’altezza del punto dove in passato c’era la vecchia passerella. Era sì più funzionale al traffico ma anche più decentrato e, quindi, un po’ più scomodo. Comunque, ora che era in pensione, quella passeggiata era piacevole e, terminato il giro verso le dieci e mezza, si avviava pigramente alla volta del Circolo. Passava sotto il ponte della ferrovia, svoltando a destra sul viale alberato e scendeva a fianco della stazione ferroviaria proprio davanti all’entrata dell’imponente Casa del Popolo. Fuori, nella bella stagione, c’era sempre qualcuno che si sfidava sui campi da bocce, mentre gli altri avventori si dividevano tra coloro che sbirciavano la partita, leggevano il giornale commentando i fatti del paese o si lasciavano prendere la mano dal turbinio delle carte da ramino o da scopa. E lui, il ragioniere, dopo aver chiesto un bicchiere di spuma o, più raramente, una cedrata, rispondeva di buon grado ai quesiti di natura finanziaria che gli venivano posti. Del resto, come gli aveva detto il cavalier Borloni dandogli una pacca sulla schiena, anche se a riposo “si è sempre ragionieri, no?”.

Marco Travaglini

Con spinaci e ricotta la torta è speciale e stuzzicante

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Le torte salate sono apprezzate per la loro versatilità. Molto facili e veloci da preparare sono ottime servite tiepide o fredde, stuzzicanti e fantasiose

Ideali per un aperitivo con amici, una cena veloce, un antipasto o un pic nic,  le torte salate sono molto apprezzate per la loro versatilita’. Molto facili e veloci da preparare sono ottime servite tiepide o fredde, stuzzicanti e fantasiose. Un must per tutte le stagioni.

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Ingredienti:

2 rotoli di pasta sfoglia rotonda

½ kg. di spinacini freschi

1 fetta di prosciutto cotto (100gr.)

250gr. di ricotta piemontese

100gr. di taleggio

1 uovo intero, 4 tuorli

1 spicchio di aglio

50gr.di parmigiano grattugiato

sale, pepe,burro, noce moscata q.b.

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Lavare gli spinacini, saltarli in padella con una noce di burro e l’aglio, lasciar raffreddare. In una ciotola mescolare il prosciutto e il taleggio tagliati a dadini, aggiungere il parmigiano, l’uovo intero, gli spinacini, sale, pepe e un pizzico di noce moscata. Stendere la pasta sfoglia in una teglia rotonda foderata di carta forno,bucherellare il fondo, disporre il ripieno, coprire con la ricotta, fare 4 fossette in ognuna delle quali sistemare il tuorlo. Coprire con la sfoglia rimanente, saldare bene i bordi, spennellare con poco latte e cuocere in forno per 35-40 minuti a 200 gradi. Servire tiepida.

 

Paperita Patty 

La Signora dei Biscotti

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PENSIERI SPARSI  di Didia Bargnani

Mi piacciono le storie, mi piace leggerle ma ancor di più scriverle e questa storia, tutta al femminile, merita di essere raccontata.
Ivana e Vittorina sono due sorelle che nella loro casa di campagna, Bricco Dolce, sulla collina di San Sebastiano Po, all’inizio degli anni 2000 si divertivano a preparare biscotti, torte e marmellate. Decidono così che della loro passione vogliono farne un lavoro e si rivolgono al mulino di Casalborgone dove scoprono che non esiste una sola farina ma tante farine con caratteristiche diverse. Il papà non è d’accordo sul fatto che la sua casa diventi un laboratorio-negozio e le dissuade dal voler stabilire la futura attività proprio lì, in strada Bricco Dolce n.7
Le ragazze riescono a trovare una valida alternativa a Borgaretto dove trasformano un grande garage in laboratorio ed iniziano a seguire dei corsi indicati dalla Regione Piemonte per mettersi in regola. All’inizio dell’avventura decidono di servire i bar e la vendita al minuto, realizzano diversi biscottini che vengono confezionati in piccoli sacchetti, tutto il lavoro viene fatto manualmente. Le ricette sono quelle di mamma Rosina, delle nonna e delle suocere e così nel 2004 fondano la società “ Biscotteria Artigianale Bricco Dolce”, che fornisce alcune enoteche, bar, gastronomie, di biscotti sani, artigianali, belli e ben confezionati.
Il caso vuole che una hostess in servizio su alcuni voli privati che frequentemente portavano Sergio Marchionne ed il suo staff a Detroit scelga proprio le dolcezze di Bricco Dolce per allietare i viaggi di questi passeggeri che mentre giocavano a carte desideravano sgranocchiare qualcosa di buono. Ed è così che Ivana e Vittorina vengono contattate anche da Air Dolomiti che decide di portare a bordo dei propri aerei i loro biscotti.
“Abbiamo avuto un momento di panico – mi racconta Ivana- non saremmo riuscite a confezionare a mano sacchetti per ordini così importanti e così abbiamo acquistato una confezionatrice e nel 2012 abbiamo vinto una gara per fornire anche Alitalia, oggi Ita, ed è arrivata una confezionatrice ancora più performante”.
Ivana mi racconta la storia del biscottificio nel suo negozio in corso De Gasperi 20 a Torino, nel cuore della Crocetta. “ Da noi è tutto artigianale, usiamo solo materie prime eccellenti come le farine Bongiovanni e le uova fresche già sgusciate che riceviamo tre volte alla settimana, in questi giorni stiamo mettendo a punto nuove ricette con farine non raffinate, cereali antichi, grano arso affinché il prodotto finito sia il più naturale possibile. I nostri clienti amano molto la linea dei Biscotti del Buongiorno, senza latte né burro, in vari gusti come vaniglia, farina di mais, cacao e gli integrali. Sono anche richiesti quelli della Linea Classica: meliga, krumiri, ciambelline panna e caffè e gli arancetti con scorza d’arancia e cioccolato”
Chiaccherando scopro che proprio in quel momento sta per salpare, direzione USA, una nave carica di Parlapa’, biscotto ideato ai tempi del Covid quando con il negozio chiuso il tempo per pensare non mancava. “ Il Parlapa’ è un biscotto a forma di gianduiotto realizzato con gli ingredienti del famoso cioccolatino torinese, pasta di nocciole e burro di cacao, la ricetta è stata brevettata come per il Cuore Rosa che ha avuto il patrocinio di Candiolo, bello, buono, ha il sapore di confetto, e fa del bene”.
In negozio, arricchito anche con oggetti molto particolari che volendo vengono abbinati alla vendita dei biscotti ( tazze, latte tedesche, tessuti realizzati appositamente per Bricco Dolce a Chivasso e a Chieri) spiccano sugli scaffali le Meringhette con gocce di cioccolato, i Girasoli integrali, le Pannocchiette, i biscotti senza farina per gli intolleranti al glutine e le Coccole al cocco , senza burro né uova per i vegani , crostate e torte di nocciola.
“ Nel 2025 avremo almeno altri tre nuovi prodotti che per ora sono in fase sperimentale, devono essere buonissimi per metterli in vendita ma soprattutto dobbiamo essere tutte d’accordo: io, mia sorella, mia figlia e mia mamma”.
“Date alle donne occasioni adeguate ed esse saranno capaci di tutto”, lo scriveva Oscar Wilde.

L’isola del libro

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RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Colm Tóibín “Long Island” -Einaudi- euro 20,00

Il grande scrittore irlandese 69enne ci affascina con questo romanzo dal finale incerto; sequel del precedente successo “Brooklyn” (2009), che aveva ispirato l’omonimo film adattato da Nick Hornby, interpretato da John Crowley e Saoirse Ronan.

Durante la pandemia Tóibín ha fantasticato su un possibile seguito, al quale ha lavorato al ritmo di 10 ore al giorno. Ed ecco questo bellissimo testo scritto con il suo rigoroso stile letterario. “Brooklyn” si era concluso con il ritorno in America della protagonista, Eilis Lacey, che si era recata nella natia Irlanda per la morte della sorella.

Ora sono trascorsi 20 anni, Eilis vive a Long Island con il marito Tony, i figli Larry e Rossella, ad un passo dalle villette di suoceri e cognati italoamericani; una piccola enclave fondata su legami di sangue e reciproco aiuto.

Il suo rassicurante ritmo di vita quotidiano viene infranto da uno sconosciuto che bussa alla porta e le ringhia contro. E’ il marito “cornuto” a casa del quale Tony aveva fatto dei lavori; poi però si era anche sollazzato con la padrona di casa e l’aveva pure messa incinta. L’uomo le annuncia che non ha nessuna intenzione di tenere il figlio del peccato e che lo scaricherà davanti alla porta di Eilis.

E’ la bomba che fa esplodere l’esistenza della protagonista e scava un baratro con il marito fedifrago e la famiglia di lui. Eilis è determinata a non voler crescere il futuro nascituro e non accetterà nemmeno che ad occuparsene sia la suocera. L’ultimatum è chiaro e inappellabile: se il bastardino entrerà in famiglia, lei ne uscirà definitivamente.

E, giusto perché l’aut aut sia ancora più esplicito, decide di partire per l’Irlanda portando con sé i figli; adduce come scusa il compleanno dell’ottuagenaria madre, ma ovviamente dietro c’è molto di più.

Il seguito narra il suo ritorno a Enniscorthy, dove l’ultima volta aveva avuto una relazione con Jim. Poi era ripartita senza dare spiegazioni per tornare dal marito.

Jim però non l’ha dimenticata; è rimasto single, dedito solo al suo pub. Solo ultimamente frequenta di nascosto Nancy (amica di Eilis); vedova e madre di due figli, che manda avanti una friggitoria, barcamenandosi tra mille difficoltà.

Un legame che viene messo in pericolo dal ritorno di Eilis….

 

 

Ursula Parrott “Ex wife” -Gramma Feltrinelli- euro 18,00

Ursula Parrot è lo pseudonimo della giornalista, scrittrice e sceneggiatrice Katherine Ursula Towle, (nata nel 1899, morta nel 1957). Ebbe una vita movimentata, con 4 matrimoni e svariate relazioni con personaggi di spicco dell’epoca, tra cui Francis Scott Fitzgerald. Morì stroncata da un tumore a 58 anni, in povertà e dimenticata da tutti.

Pubblicò questo romanzo nel 1929 riscuotendo notevole successo; ma anche suscitando un certo scandalo perché metteva in scena la storia di una difficile emancipazione femminile.

E’ ambientato a Manhattan negli Anni ’20, era del jazz e delle trasgressioni. Patricia e Peter si sposano nel 1924 e incarnano una giovane coppia che trascorre le serate tra balli, feste e alto tasso etilico. I due pattuiscono di dirsi sempre tutto.

5 anni dopo lei confessa la sbandata di una notte e Peter non la prende affatto bene. Nonostante lui abbia un’amante da anni, decide di mettere una pietra tombale sul matrimonio. Verdetto inappellabile che relega Patricia al triste ruolo di ex moglie.

L’autrice racconta con spietato acume i vari stati d’animo in cui sprofonda la donna, nello snervante turbinio tra speranza e disillusione; avviluppata dai consigli delle amiche, e pure da perfide pseudo-amiche che sputano veleno a palate e finiscono per confonderla. Ma è anche la difficile rimonta di una nuova Patricia che si mantiene da sola con il lavoro di copywriter e festeggia la ritrovata libertà e l’indipendenza.

 

 

Giorgio Biferali “A New York con Paul Auster” -Giulio Perrone Editore- euro 16,00

Prima di tutto un plauso all’editore Perrone per l’idea della collana “Passaggi di dogana” dedicata alle città viste attraverso gli occhi e le opere di grandi scrittori. I lettori vengono trascinati tra le vie e i punti di riferimento letterari scoprendo: Lisbona con Tabucchi, Buenos Aires con Borges e, ancora, tra le molte altre mete, la Costa Azzurra con Fitzgerald e l’Oriente con Terzani. Insomma una preziosa manna per i bibliofili.

Giorgio Biferali, nato a Roma nel 1988, scrittore e docente dell’Accademia Molly Bloom, ci accompagna nelle strade della Big Apple attraverso i libri di Auster. E rimpiange di essere arrivato a New York 10 giorni dopo la morte dello scrittore (nell’aprile dell’anno scorso); così il libro è anche la nostalgica storia di un appuntamento mancato.

Il volume dedicato alla New York di Auster non è un romanzo, non è un saggio e neppure una guida in senso classico; piuttosto è una piacevolissima traccia narrativa.

Ci avventuriamo tra citazioni, riferimenti culturali e passi dei romanzi del grande autore, immenso cantore della città unica al mondo. Da nord verso sud attraversiamo una New York inedita: di quartiere in quartiere, passando per parchi, strade e ponti, da scoprire con occhi nuovi.

Attraverso la letteratura, il cinema e le serie tv, avrete uno speciale ritratto della Big Apple.

Dalla Columbia nell’Upper West Side (dove Auster alloggiò nel dormitorio dell’Università), alla nuova Harlem, Manhattan, Soho e Queens; fino alla zona che forse gli somiglia più di tutte, Brooklyn, spesso tanto presente nelle sue opere.

Una New York meditata e svelata nelle sue molteplici sfaccettature: frenetica, rumorosa, umorale, affollata, emotiva, gentile, ma anche pericolosa. Questo è uno dei libri da mettere in valigia per il vostro prossimo viaggio nella città dalle mille luci e che non dorme mai.

 

 

A.K. Blakemore “L’insaziabile” -Fazi Editore- euro 18,50

L’autrice inglese, che aveva esordito con “Le streghe di Manningtree” (sulla caccia alle streghe nell’Inghilterra del XVII secolo), ora torna in libreria con questo secondo romanzo che narra l’avventura picaresca e grottesca di Tarare, ragazzo perennemente affamato.

Blakemore ha traslato in forma romanzesca una vicenda realmente accaduta nella Francia di fine Settecento. Quella del giovane diventato famoso per la sua sorprendente capacità di ingurgitare qualsiasi cosa, oggetti compresi.

E’ la storia di Tarare, ed è documentata. L’autrice ama scavare in epoche tramontate; poi mette in campo l’immaginazione e narra con la sua consueta scrittura elegante. Qui ricostruisce la breve, incredibile e dannata vita di Tarare, che lui stesso racconta alla giovane suora Perpetuè, rimasta al suo capezzale fino alla fine. Attratta -ma anche pervasa da repulsione- di fronte all’uomo-mostro.

Tarare, orfano di padre già alla nascita, vive un’infanzia derelitta con la madre prostituta (che l’ha addirittura costretto a seppellire la sorellina morta) e il patrigno contrabbandiere che tenta di ucciderlo con un’accetta. Il ragazzino riesce a fuggire e si unisce a un gruppo di girovaghi sbandati, che lo trasformano in fenomeno da baraccone.

Tarare diventa una sorta di essere ripugnante, malfatto e in preda a una fame smisurata, che è potente metafora della mancanza di amore. La sua è una spasmodica ricerca che ne determina la vita.

Si ingozza di qualsiasi cosa e in continuazione: tappi di sughero, cibo marcescente, frattaglie immonde e decomposte, animali vivi e carcasse di quelli morti, per toccare il fondo cibandosi del cadaverino di una bimba.

 

 

 

Rock Jazz e dintorni a Torino: Elio e Fabio Treves & Alex Kid Gariazzo

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Martedì. Alla Suoneria di Settimo suonano gli Almamegretta. Al Blah Blah si esibisce John Lee Bird & Fabrizio Modenese Palumbo.

Mercoledì. Al teatro Colosseo è di scena Naska. Al Blah Blah suonano i Nightstalker.

Giovedì. Al Magazzino di Gilgamesh si esibisce Tad Robinson & The Ozdemirs feat Alberto Marsico. Allo Ziggy suonano i The Cloverheads+ Dirty Artichokes. Al Blah Blah sono di scena gli Helen Burns. Alla Divina Commedia suonano i Revenge. All’Osteria Rabezzana si esibisce il trio di Michael Rosen. 

Venerdì. Al teatro Colosseo recital di Elio. Al Folk Club suona Fabio Treves & Alex Kid Gariazzo. Al Magazzino di Gilgamesh si esibisce The Mama Bluegrass Band. Allo Ziggy è di scena Sant’Elia. Allo Spazio 211 suonano i Clan Of Xymox+ Newdress. Al Blah Blah si esibiscono gli October Tide. Alla Divina Commedia sono di scena i Sucker Punch.

Sabato. Al Blah Blah suonano i Radar Men From The Moon. Allo Spazio 211 si esibisce Marta Del Grandi+ Giulia Impache. Alla Divina Commedia suonano i Momenti di Gloria.

Domenica. Al Blah Blah sono di scena i TH Da Freak + Corvida. Alla Divina Commedia suonano gli In The name of Blues.

Pier Luigi Fuggetta

Accettare e accettarsi per vivere meglio / 3

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Terza parte 

Accettare e accettarci dunque, non come resa, ma come accoglienza profonda e consapevole di ciò che è successo e di ciò che siamo. Accogliere significa anche andare oltre il dolore, oltre il rammarico, oltre il rimpianto, oltre la rabbia e la tristezza per ciò che non è , che non è stato o che non è stato come avremmo voluto.

Significa trovare in noi, spesso con fatica, un perché, un motivo, una spiegazione agli accadimenti spiacevoli e dolorosi, e prendere da essi quanto di positivo ci sia possibile trovare: una lezione, un’esperienza, o la sensazione profonda del nostro valore di persone.

Se non riusciamo ad accettare e ad accettarci non ci sarà possibile utilizzare in qualche modo l’esperienza vissuta. Per quanto dolorosa essa possa essere stata, se saremo in grado di accoglierla avremo la straordinaria occasione di farne tesoro per il resto dei nostri giorni.

Molte sono state, sono e saranno le cose che nella nostra vita ci è stato, ci è e ci sarà impossibile cambiare. Molti gli aspetti che non ci piacciono in noi. Ci ostiniamo spesso, con una fatica degna del mitologico personaggio Sisifo, a cercare di modificarli, nell’impossibilità di accettarli.

Vogliamo inutilmente cambiare il nostro passato, le persone che stanno intorno a noi, soprattutto quelle che amiamo di più, o che pensiamo di amare. Vogliamo cambiare aspetti di noi e del nostro presente che in fondo sappiamo essere immodificabili.

Ci costringiamo talvolta a voler credere che tutto possa essere cambiato, sprecando enormi quantità di tempo e di energie, procurandoci un sacco di fastidi e di sofferenze, semplicemente perché non riusciamo a farcene una ragione e a prendere le cose così come sono e come vengono. Accettandole, appunto.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”.

(Fine della terza e ultima parte)

Potete trovare questi e altri argomenti dello stesso autore legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Coppa deliziosa alle fragole

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Fragole che passione!  Offriamo a fine pasto ai nostri ospiti questo scenografico dolce delizioso e di semplice realizzazione

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Dosi per 4 persone:

½ Kg.di fragole

1 Banana

4/5 biscotti savoiardi

2 bicchierini di limoncello

200 ml di panna da montare

Crema pasticcera

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Sul fondo di una coppa in vetro trasparente mettere i savoiardi spezzettati bagnati con 1 bicchierino di limoncello (allungato con un bicchierino di acqua). Preparare una crema pasticcera con 3 tuorli, ½ litro di latte, 1 bustina di vanillina, 20gr. di farina, 60 gr.di zucchero e 1 bicchierino di limoncello. Lasciar raffreddare.

Tagliare le fragole ben pulite e la banana a fettine. Iniziare a decorare la circonferenza della coppa con le fette di fragole, quando terminato mettere le restanti fragole nella coppa livellando la superficie e procedere nello stesso modo con la banana.

Montare la panna con un poco di zucchero a velo.

Stendere sullo strato di banane la crema pasticcera raffreddata e completare con uno strato di panna montata. Decorare a piacere.

PaperitaPatty