POLITICA- Pagina 76

Il Pci, una storia italiana

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Nel gennaio del 1921, centotre anni fa, veniva fondato a Livorno il Partito Comunista Italiano. Una storia politica che terminò trentatré anni fa, il 3 febbraio 1991 quando, durante il suo XX° Congresso, la maggioranza dei delegati approvò la svolta della Bolognina voluta da Achille Occhetto e diede vita al Partito Democratico della Sinistra mentre la minoranza dissenziente scelse di costituire il partito della Rifondazione Comunista. Da tempo, ben oltre il centenario celebrato nel 2021, si sono svolte e si svolgono moltissime iniziative legate all’evento con convegni, celebrazioni, giornate di studio mentre moltissimi libri sono stati pubblicati e altri certamente arriveranno nelle librerie. L’originale vicenda dei comunisti italiani verrà analizzata, studiata e riproposta sotto varie angolature perché, in fondo, si tratta di una storia collettiva che per sette decenni nell’arco del ‘900 ha coinciso e si è sovrapposta a quella della nazione.

La lotta antifascista, la Resistenza, la Costituzione repubblicana, la costruzione della democrazia, le tante battaglie sociali e civili, una fitta rete di “buon governo cittadino” in tantissime amministrazioni comunali e regionali restano  a testimonianza di quanto i comunisti siano stati “dentro” la storia di questo Paese e l’abbiano influenzata. Tra i tanti libri e le varie testimonianze una è particolarmente originale e s’intitola Voi personaggi austeri, militanti severi.., parafrasando il testo dell’Avvelenata, una delle più note canzoni di Francesco Guccini. L’autore del libro, edito qualche tempo fa dalla torinese Impremix Visual Grafika, è Marco Travaglini, un ex dirigente della sinistra piemontese. Nei ventisei racconti che riempiono le 128 pagine del libro ( l’ex ministro Livia Turco ne ha curato la prefazione) lo scrittore-giornalista – torinese d’adozione, nato a Baveno sulle rive del lago Maggiore –  racconta le “storie di compagni che sapevano ridere anche di se stessi”. Dare conto di questa straordinaria e articolata vicenda umana, fatta di gesti generosi e impegno civile, così come di ipocrisie e di errori storici, momenti drammatici e un enorme sforzo pedagogico di massa non era un compito facile, soprattutto facendo la scelta di raccontare episodi  che si propongono di strappare un sorriso. Storie, tra l’altro, che hanno come sfondo fatti reali.

In alcuni casi vissuti in prima persona dall’autore che è stato l’ultimo segretario provinciale del PCI della Federazione di Verbania (realtà della quale è stato praticamente coetaneo avendo entrambi visto la luce nell’autunno del 1957, quando si separò dalla realtà novarese) e, come tale, ha potuto viverne da protagonista una fase importante della storia e le successive evoluzioni. Quasi tutti i racconti si svolgono in Piemonte, tra l’Ossola, le terre delle risaie e il biellese, le terre dei laghi Maggiore e d’Orta, con qualche puntata nella lomellina pavese e sulla sponda magra del Verbano, in Lombardia. Dalle lotte operaie dell’acciaieria Cobianchi alle cene elettorali a base di polenta e coniglio in Valle Strona, dalle avventure di un comunista omegnese tra le risaie vercellesi a caccia dei voti dei monarchici al tempo della “legge truffa”  alla strana bandiera che sventolò sulle Settimane musicali di Stresa, queste storie – ricche di situazioni grottesche generate perlopiù da malintesi- strappano sorrisi nel dar conto di una importante e per certi versi non comune vicenda umana. “Nei racconti cito vicende più o meno note, utilizzando solo una parte di una vasta casistica immagazzinata dalla memoria”, afferma l’autore. “Naturalmente, come insegnava Piero Chiara,  quel che mancava a raggiungere l’effetto narrativo l’ho aggiunto. Del resto, nessuna realtà è buona per sé”. Apparentemente fatti “tutti d’un pezzo”, i protagonisti di questi racconti  dimostrano – il più delle volte loro malgrado, inconsapevolmente – di non esser privi d’ironia. Sorridono, ammiccando a malintesi e disavventure di questo o quell’altro loro “compagno”.

Sono vicende, in gran parte tramandatesi oralmente e arricchitesi con il trascorrere del tempo fino a diventare sempre più grottesche e ironiche, modificandosi e ingigantendosi un poco come i pesci nei racconti dei  pescatori. Storie romanzate  ma sempre con un fondo di verità (con le opportune modifiche a nomi e cognomi) a riprova dell’umanità di quelle donne e quegli  uomini che all’ombra della stessa bandiera hanno contribuito a fare la storia di un partito che è stato tanta parte della realtà politica e della società italiana. Livia Turco, già ministro e autorevole esponente di quello che un tempo fu il Pci di Berlinguer, oggi Presidente della fondazione Nilde Iotti, nella sua prefazione ha scritto: “il bel  libro di Marco Travaglini ci consente di fare un tuffo in una storia bellissima, di incontrare la comunità dei comunisti italiani. Per raccontarla sceglie il modo più autentico ed efficace. Racconta le persone in carne ed ossa, i loro contesti di vita, la loro quotidiana normalità. Questa umanità generosa avrebbe dovuto molto di più entrare nella narrazione e nella rappresentazione dell’Italia. Sono convinta che l’idea e la pratica della politica raccontata in queste pagine sia non solo moderna, ma necessaria. In questa nostra società,  in questo nostro tempo, ciò che alimenta le  passioni  tristi è la solitudine, la fragilità delle relazioni umane.

C’è bisogno di comunità e di compagnia”. Tutti i principali protagonisti di quelle vicende, ambientate negli anni dal primo dopoguerra agli anni ’80, hanno fatto parte di quel PCI voluto da Togliatti nel 1944 come un “partito nuovo” con l’obiettivo di trasformare l’ossatura clandestina e resistenziale dell’organizzazione comunista in  un partito di governo, progressista e democratico. Una lunga storia testimoniata da documenti, congressi, atti parlamentari, campagne elettorali, libri – a partire dagli straordinari Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci –  fino a quaderni della propaganda con i quali il partito organizzava la sua presenza nei territori e tra la gente. Travaglini sorride e ricorda la “Guida al segretario di cellula”, uno dei manuali per la propaganda capillare che riportavano, in copertina, le citazioni di Togliatti per definire la linea. Ne legge un brano: “..il Partito si sviluppa e si rafforza quando sa lavorare non soltanto per chiusi interessi di organizzazione e di gruppo, ma per gli interessi di tutto il popolo e di tutta la nazione”. I suoi anni sono stati però gli anni di Berlinguer, del colpo di stato in Cile e del  compromesso storico, del rinnovamento culturale e politico del Pci a partire dalla “questione morale” (l’eccesso di occupazione dello spazio pubblico da parte dei partiti), della capacità de gli ultimi tempi della segreteria berlingueriana di immaginare una strategia fondata su una nuova lettura della società italiana.

Si coglie, tra le righe dei racconti, una lieve nota malinconica e qualche rimpianto non solo per gli anni più belli della gioventù. “ E’ vero. Per certi versi mi manca quel partito”, dice il giornalista e scrittore, ormai lontano dalla politica attiva. “Non era per nulla esente da difetti, anche seri; era certamente imperfetto ma al tempo stesso autentico, popolare, molto più vicino alle necessità delle persone di quanto non sia la politica oggi. Continuerà a mancarmi e  sono certo che questo sentimento è comune a molti pur avendo coscienza che ciò che è stato fa parte della storia e va considerato con rispetto, senza indulgere in nostalgie”.

B.C.

Stellantis, Grimaldi (Verdi Sinistra): Italia ultima della classe

Governo convochi Tavares e non si faccia ricattare.

“L’Italia è l’ultima della classe. L’unica macchina elettrica che produciamo è la Cinquecento (fino al 2027), gli altri modelli sono volati quest’anno all’estero. Urso parla di un tavolo che porterà ‘più chiarezza sulle prospettive sulla produzione e i modelli, sugli investimenti e sull’occupazione’, ma a questo tavolo l’azienda non ha presentato alcun piano. Tavares non si è fatto vedere per dare garanzie sui 5 modelli elettrici promessi a Melfi e sui lavoratori dell’indotto e della componentistica che rischiano di perdere il lavoro. Ma di cosa parliamo? Il mercato italiano è l’unico in cui le immatricolazioni di auto elettriche languono. Il settore dipende ancora per il 93,4% da fonti fossili. A Mirafiori servono nuovi modelli e un progetto vero. L’hub dell’economia circolare non basta nemmeno a ricollocare tutti gli attuali dipendenti, altro che nuova occupazione. Il Governo convochi Tavares invece di farsi ricattare” – lo dichiara il Vicecapogruppo di Alleanza Verdi Sinistra alla Camera, Marco Grimaldi.

Il pesce d’aprile elettorale in Riviera

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Il prof. Quaglieni

L’episodio è minimo e non meriterebbe attenzione, ma  esso è rivelatore di un protagonismo che giunge a beffarsi delle stesse  istituzioni, coinvolgendole in uno stupido scherzo del primo aprile. Le elezioni sono più che mai oggi  l’ultimo momento sacro  rimasto della democrazia,  riconquistata il 25 aprile 1945 al prezzo del sangue e del sacrificio  di tanti italiani. Le elezioni restano un momento solenne, l’unico nel quale il cittadino sovrano può decidere nel segreto dell’ urna e i partiti possono uscire anche  con le ossa rotte.  Ebbene, il 1 aprile, complice una giornalista che ha giocato  ingenuamente al facile  scoop, un gruppetto di burloni  -che si auto definiscono “monelli “armati  di fionda, malgrado l’età avanzata e quasi veneranda –  di Albenga, città nota per le sue torri medievali, ha annunciato la presentazione di una propria  lista comunale  con candidato sindaco  il loro “ducetto”, quel  Gino Rapa che lui stesso  con raffinata autoironia  si auto definisce “testa di rapa” titolo di un suo librino di grande successo entro le torri ingaune fino  a lambire la periferia di Borghetto Santo Spirito  e Ceriale.

Non è che la politica riesca ad attrarre molto  interesse ad Albenga perché i tempi di sindaci come Viveri e Guarnieri, citando solo due nomi, sono lontani. Il mestiere di sindaco è duro e poco ambito e i professionisti o i politici più capaci non si lasciano sedurre dalla fascia tricolore. Franco Vazio è l’unico parlamentare che ha saputo emergere, come  Marco Melgrati sindaco da quattro mandati ad Alassio. Ecco allora infilarsi il primo aprile  il burlone che, pur di apparire  sul giornale, si inventa, creduto, un nuovo listone civico con tutti i maggiorenti ingauni, capeggiati dal nuovo “candidato podestà” Rapa.
Si può scherzare di tutto, ma le elezioni non debbono prestarsi allo scherzo del primo d’aprile. Solo dei qualunquisti e populisti di pessima lega possono imbastirci su scherzi egocentrici che rivelano anche mancanza di totale fantasia. Così si divertono i monelli di Albenga specie se a Pasqua piove e sono costretti a stare a casa, senza poter  girare per gli amati  carugi.
Quello che è accaduto ad Albenga va citato come un  pessimo esempio di scherzo  in cui il provincialismo della corsa nei sacchi e dell’albero della cuccagna diventa una raffinatezza quasi parigina.
I tanti torinesi che sono rimasti a casa per Pasqua, devono sapere cosa si sono persi della vita rivierasca.

Il ministro leghista che fa la voce grossa, ma non decide

IL COMMENTO  di  Pier Franco Quaglieni

Che la scuola italiana  sia da gran tempo in crisi è cosa ovvia. Sono troppi anni che  non si fa nulla per rendere la scuola italiana almeno non  troppo distante dallo standard europeo. Con i docenti indottrinati che ha, più interessati  alla Palestina che all’uso del congiuntivo, non risulta semplice, ma anche chi governa  oggi la scuola non si rivela capace di provvedimenti di svolta  che diano segnali di speranza. Nella seconda repubblica ci saranno anche state delle buone intenzioni volte  finalmente cambiare la scuola italiana , ma nulla è stato fatto per far rinascere in Italia una  nuova scuola dopo le macerie del ‘68. Ci sono stati interventi intesi a privatizzare la scuola pubblica, volta ad avvantaggiare la scuola cosiddetta paritaria che continua  però a vivacchiare.
Nel campo universitario nulla  di nuovo, se non la nascita di  troppe nuove università private, molte  delle quali telematiche, con troppo facile riconoscimento legale dei titoli di studio .Ha incominciato la ministra Moratti e si è messa in luce la ministra Gelmini ,senza ottenere nulla di ciò che forse voleva raggiungere, creando in compenso forti reazioni polemiche che ne rivelarono la pochezza politica: la sua cultura era inesistente. La destra ha pensato che il mondo scuola fosse ormai un’ enclave della sinistra da abbandonare a se’ stesso, dimenticando la funzione centrale esercitata dalla scuola in un Paese civile  anche nel mondo dei social, anzi soprattutto in quel mondo devastante per un normale scambio civile di opinioni e per una formazione dei giovani adeguata.
I professori sono stati abbandonati a se’ stessi, anche se molti di essi sono una delle cause della crisi perché più politicizzati che preparati. L’attuale ministro dell’istruzione e del merito (un’aggiunta condivisibile se ci fossero serie  azioni coerenti e concrete per combattere il facilismo demagogico) si lancia in polemiche che si risolvono in una frettolosa marcia indietro perché si rivela sempre poco documentato e superficiale ,più’  alla ricerca di un titolo sui giornali che ad affrontare un problema. E’ un giurista universitario non di grande autorevolezza, a metà tra la destra e la Lega . Dice lui stesso che non ha nulla a che vedere con Gentile e c’è da crederci perché la riforma Gentile non ebbe eguali e Valditara è anni luce dal ministro che il 15 aprile venne assassinato sotto casa a Firenze da Gappisti sconfessati dallo stesso CLN. Valditara in tutti i sensi non è Gentile e non è gentile neppure nei modi ,anche se poi è costretto a indietreggiare in fretta.
Anche per la distribuzione degli stranieri nelle scuole ha toppato perché il loro numero molto alto e concentrato in alcune zone delle grandi città, non è comprimibile, come dice Salvini. Il problema è più vasto e riguarda la denatalità tra gli Italiani. Valditara parla, parla, ma poi non agisce. La scuola non può attendere le sue sparate, necessita di una riforma d’insieme per farla rinascere, malgrado una classe docente per lo più scadente e indottrinata  che potrebbe vanificare ogni sforzo perché si metterebbe di mezzo per sabotare, anche per nascondere la sua inadeguatezza culturale e professionale.
E’ un’opera ciclopica, quasi impossibile e Valditara non è l’uomo giusto ,come non lo fu la Moratti che per emergere deve  ancor oggi usare il nome del defunto marito: un fallimento come ministro e come sindaco di Milano .Si pone la necessità di un cambio il più rapido possibile: il ministro ha già dato in pochi mesi il meglio e il peggio di se’.  Andare avanti così non è più possibile .Abbiamo avuto alla Minerva il peggio del peggio anche con Renzi, Letta, Gentiloni e soprattutto Conte con una sua ministra davvero indimenticabile per i suoi banchi con le rotelle ed altre amenità.
Io ancora mi illudo che ci sia qualcuno nell’attuale  maggioranza che sia un po’ meglio di Valditara. A volte basta poco: un po’ di coraggio e un po’ di competenza  sono sufficienti  nel fare la differenza.

Il Documento politico di Tempi Nuovi

Pubblichiamo il Documento politico di Tempi Nuovi, l’area cattolico popolare a sostegno della lista civica del Presidente Alberto Cirio.

 

PER UN PIEMONTE PIÙ POPOLARE

Le prossime elezioni regionali piemontesi dell’8 e 9 giugno rappresentano un appuntamento
importante non solo sotto il versante politico ma anche, e soprattutto, su quello amministrativo.
Perché il buon governo di una Regione, nel caso specifico il Piemonte, è il frutto di una visione
politica generale e di una capacità di saper amministrare con coerenza, trasparenza e coraggio un
territorio.

Le categorie politiche, e culturali, che intendiamo mettere in campo, valide ieri come oggi, sono
quelle storicamente riconducibili alla tradizione, alla cultura e alla prassi del cattolicesimo politico
italiano. Ovvero, cultura della mediazione; profilo riformista; alternativi alla radicalizzazione del
confitto politico; centralità del dialogo e del confronto; radicamento territoriale e sociale; senso dello
Stato; rispetto delle istituzioni; qualità della democrazia e autorevolezza e capacità della classe
dirigente. Tasselli di un mosaico che insieme contribuiscono a creare un progetto politico di buon
governo di un territorio.

Ora, è di tutta evidenza che nel rispetto della nostra storia politica, culturale e sociale, un’area politica
di matrice popolare non può che collocarsi al Centro. Un Centro dinamico, riformista, moderno,
democratico e di governo. Un Centro che non vive di rendita di posizione, che non è banalmente
equidistante rispetto agli schieramenti maggioritari e che, soprattutto, non si limita a gestire
l’ordinaria amministrazione. Ma, al contrario, un Centro creativo che sappia declinare una reale e
credibile “politica di centro” recuperando quei postulati essenziali che hanno caratterizzato le migliori
stagioni della politica italiana dal secondo dopoguerra in poi.

Per questi motivi un’area politica come la nostra, cattolico popolare e cattolico sociale, se è
impegnata a livello nazionale a costruire – con altre culture e altre esperienze politiche una forza di
Centro riformista, democratica e di governo, sul versante regionale si riconosce in una formazione
civica, autenticamente civica, che sappia declinare la cultura del buon governo e che, al contempo,
sappia essere espressione e voce dei territori nella loro complessità e diversa articolazione. E la
lista “civica” del Presidente Alberto Cirio può essere la risposta più concreta, e più dinamica e
coerente, per un’area politica centrista che fa del buon governo la sua cifra distintiva in una cornice
politica lontana da ogni forma di massimalismo, di estremismo e di populismo. Tre disvalori che sono
storicamente alternativi rispetto ad una concezione della politica basata sul rispetto dell’avversario,
sulla democrazia dell’alternanza e sul confronto di merito sui rispettivi programmi di governo.
Le grandi trasformazioni in corso, in particolare quelle che riguardano l’introduzione di nuove
tecnologie e dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi e di governo, e quelle che riguardano

la tutela dell’ambiente e il ricorso a nuove fonti di energia, richiedono anche a livello territoriale una
gestione politica accorta e lungimirante, capace di ascolto dei territori della nostra regione che sono
variegati come lo sono anche le categorie che compongono il tessuto sociale ed economico
piemontese, evitando il duplice rischio dell’immobilismo e quello opposto del procedere in modo
ideologico senza considerare anche le concrete conseguenze delle scelte che vengono portate
avanti a livello nazionale, comunitario e globale. In una parola, nella gestione delle profonde
trasformazioni che caratterizzano l’attuale fase, serve il buonsenso, qualità dimostrata dal presidente
Cirio e unanimemente riconosciutagli.
Un tale approccio, pragmatico e non ideologico, è richiesto in particolare per le politiche sanitarie
della Regione, anche attraverso l’attuazione degli interventi finanziati con il PNRR, per rafforzare la
rete territoriale dei servizi pubblici su misura delle diversità dei territori, in una logica di collaborazione
tra Regione, enti e strutture sanitari e Comuni, aperta al contributo del terzo settore e del privato
sociale, e investendo anche sulla professionalità del personale del settore sanitario onde garantire
a tutti i ceti sociali una uguale opportunità di fruizione della sanità pubblica.

Ed è proprio con questo impegno, concreto e pragmatico, che l’area popolare e centrista accetta la
scommessa elettorale del prossimo giugno in Piemonte. Una scommessa che parte dalla difesa
degli interessi e delle istanze dei ceti popolari, dei ceti più deboli e di coloro che rischiano di pagare
a caro prezzo una crisi sociale che persiste e che si consolida sempre di più. Ma che, al contempo,
si sforza di elaborare un progetto politico di crescita e di sviluppo per l’intera Regione accettando le
nuove sfide che la società contemporanea fa emergere in tutta la sua ruvidezza.

Sfide che, però, non possono non essere accettate sino in fondo e a cui si risponde con le armi della
politica, delle idee, della cultura e della legittima rappresentanza dei ceti popolari.
Se questo è l’impegno politico concreto che si assume l’area cattolico popolare in vista delle elezioni
regionali del prossimo 8 e 9 giugno, è altrettanto evidente ribadire che saremo presenti nella lista
civica del Presidente Alberto Cirio. Una presenza politica, culturale, sociale e soprattutto
programmatica. Una presenza che ha obiettivo di rilanciare una cultura politica e, al contempo, dare
un contributo programmatico e di idee per il futuro governo della Regione Piemonte, ponendola
sempre più nel cuore delle dinamiche dell’Italia, dell’Europa, del Mediterraneo e con quel respiro
globale che richiedono le sue eccellenze tecnologiche, economiche, culturali e turistiche.

Cup, Valle (Pd): “Invece di potenziare si offre lavoro povero”

 “Cirio e Icardi insistono nell’esternalizzare il servizio con contratti da fame”.

«AAA offerta di lavoro imperdibile e succulenta: 15 ore settimanali al CUP con contratto in somministrazione a tempo determinato. Questo l’annuncio di Randstad Contact Center (divisione di Randstad Italia) per arruolare operatori per il call center della sanità piemontese. Le promesse di Cirio e Icardi del potenziamento del CUP in questi giorni di fine legislatura si traducono in questa scandalosa offerta di lavoro povero e precario. Attualmente l’80% degli operatori del CUP sono part time a 25 ore, e fanno difficoltà ad arrivare a fine mese: perché assumere altri lavoratori a part-time a 15 ore, peraltro illudendoli con la possibilità di “stabilizzazione nel lungo periodo”. In questi 5 anni la Giunta Cirio non ha saputo riorganizzare il CUP, a cominciare dai turni, e non ha trasformato i part time in full time. Alla nostra proposta di reinternalizzare il servizio CUP, ora risponde ricorrendo ad intermediari che offrono contratti da fame».

Panza (Lega): A Bruxelles riscaldamento a 27 gradi e illuminazione a giorno

UE predica bene e razzola malissimo

 

Bruxelles –  “Mentre a parole l’Unione europea predica la necessità di sacrifici per il bene del pianeta, la retorica ambientalista si scontra con la realtà dei fatti,  proprio all’interno del palazzo del Parlamento uropeo di Bruxelles. Nei giorni scorsi – dichiara l’europarlamentare piemontese Alessandro Panza – ho infatti potuto constatare una temperatura di ben 27 gradi centigradi in un’aula illuminata a giorno completamente deserta del Parlamento europeo di Bruxelles, nonostante l’assenza prolungata di utilizzatori dovuta alla fine dei lavori per la pausa di Pasqua.

Questa situazione – prosegue Panza –  oltre a rappresentare un evidente spreco energetico, mette in luce una clamorosa contraddizione: mentre ai cittadini vengono imposte rigide norme per la transizione ecologica, come la “Casa green” o l’auto elettrica, le istituzioni stesse trascurano le più basilari pratiche di risparmio energetico.

D’altra parte non dimentichiamoci che sono gli stessi che spostano gli uffici da Bruxelles a Strasburgo con i camion una volta al mese…” – conclude Panza

 

Così in una nota l’europarlamentare Alessandro Panza.