A poco più di un anno dall’approvazione della legge regionale n.23/2015, che ha riordinato le funzioni amministrative conferite alle Province e alla Città Metropolitana in applicazione della Legge Delrio, si è tenuto a Palazzo Lascaris, su iniziativa dell’Ufficio di presidenza dell’Assemblea legislativa, un seminario sul tema: “Lo stato di applicazione della legge regionale 29 ottobre 2015, n.23 – Riordino delle funzioni amministrative conferite alle Province in attuazione della legge 7 aprile 2014,n.56 -Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province sulle unioni e fusioni di comuni, ad una anno dalla sua approvazione”. “Con l’approvazione della legge regionale – ha aperto i lavori Gabriele Molinari, consigliere segretario, che ha portato i saluti del presidente del Consiglio regionale Mauro Laus e dell’intero Ufficio di presidenza – la Regione Piemonte ha aperto un cantiere di riforme, disegnando enti di area vasta così come previsto dalla legge Delrio e costruendo una pista di atterraggio per la riforma costituzionale che proprio in quei giorni veniva approvata dal Parlamento. A maggior ragione oggi, alla luce dell’esito referendario, è necessario questo confronto per ragionare insieme, a partire dallo stato di attuazione della legge, e riprendere il percorso legislativo già intrapreso, un modello di confronto che potremo replicare anche sui territori”.
“La legge regionale piemontese – ha spiegato Rosario Ferrara, docente di Diritto amministrativo del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino – è una buona legge, che si basa su alcuni importanti elementi, tra cui la scelta di riallocare alcune funzioni in capo alla Regione e l’enfatizzazione del ruolo giocato dalla Città metropolitana, prevista in Costituzione dal 2011, collocata al centro di un processo di riorganizzazione dei poteri locali, con funzioni vitali come ambiente, trasporti e servizi. Vi è poi un terzo aspetto, molto importante, che riguarda le relazioni tra Regione, Comuni e Città metropolitane, che apre la strada a modelli di accordi e intese, grazie ai quali si creano soluzioni non vincolanti che possono portare a soluzioni vincolanti. La politica e le scelte che si compiranno diranno se il modello è quello giusto, l’importante è che sia chiaro chi fa che cosa”.
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“L’esito referendario – è intervenuta Anna Maria Poggi, docente di Diritto pubblico alla facoltà di Giurisprudenza Università di Torino – apre molti scenari di riflessione sia a livello nazionale che locale, che la poltica dovrà sciogliere tenendo conto di molti elementi. Il primo: lo scenario costituzionale su cui ragioniamo è il titolo V, e segnatamente l’articolo 117, primo comma, che assegna allo Stato la competenza esclusiva sulla legislazione elettorale e sulle funzioni degli enti locali. Quindi, se lo scenario immaginato era quello di una Regione con funzioni più amministrative che legislative, quella che noi oggi continuiamo ad avere è invece una regione a forte competenza legislativa, che permane come elemento di governo, di snodo e di coordinamento. Secondo: la sentenza della Corte costituzionale che ha salvato la legge Delrio dai numerosi rilievi di legittimità costituzionale è stata condizionata dall’esistenza della legge di revisione costituzionale, che aboliva le Province e alleggeriva le Regioni. Il governo che si sta formando in queste ore non credo sia così forte da poter rimettere mano alla legge Delrio, quindi bisogna capire cosa si può fare a livello locale, partendo da due riflessioni: se questa Città metropolitana sta funzionando dal punto vista dell’impalcatura della governance, e se strumenti come le Città metropolitane, inserite in Regioni come il Piemonte, possono servire, ricordando che tutte le altre Province non hanno più organi politici di indirizzo, fondamentali per lo sviluppo economico e produttivo”.
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Dopo le relazioni dei due giuristi, sono stati numerosi gli interventi dei presenti in sala, a partire dai consiglieri regionali. Andrea Appiano (Pd) ha sottolineato alcune perplessità rispetto alla legge Delrio, anche alla luce dei primi passi mossi dalla riforma e dai segnali che sono arrivati. “Ad esempio – ha evidenziato – uno dei temi su cui riflettere riguarda la coincidenza tra il presidente della Città metropolitana e il sindaco del comune capoluogo. Il rischio è che in questo modo i territori, indipendentemente dal colore politico, non si sentano coinvolti”. Per Mauro Campo (M5S) è necessario un quadro reale dello stato di attuazione della legge. “Quello che sappiamo – ha detto – è che siamo in ritardo, ad esempio, sulla stipula delle convenzioni e sulla definizione della legge per la gestione dei rifiuti. In più si sono ristretti gli spazi di democrazia per i cittadini a causa di una pessima legge nazionale, che la Regione ha dovuto approvare obtorto collo per salvare il personale e le importanti funzioni che le Province svolgevano” . Per il consigliere regionale Domenico Rossi (Pd) “si apre l’opportunità di una riflessione nuova. Se è vero che la Città metropolitana, nel nuovo disegno della Delrio e della 23, fa passi avanti nella logica europea, per gli altri territori, quelli che sono lontani da Torino, le difficoltà sono moltissime. La 23 è stata una buona legge ma è chiaro che qualunque disegno, senza risorse e personale, non sta in piedi”. Rossiha poi invitato a riflettere sul tema della gratuità delle cariche provinciali.
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Al seminario, hanno partecipato, oltre ad Appiano, Campo e Rossi, i consiglieri regionali Silvana Accossato, Paolo Allemano, Giorgio Bertola, Valentina Caputo, Giovanni Corgnati, Francesca Frediani, Domenico Ravetti. Presenti in sala anche molti rappresentanti delle Province e delle autonomie locali. Il primo a prendere la parola è stato Stefano Costa, presidente del Cal, il Consiglio delle autonomie locali, e della provincia del Verbano Cusio Ossola, il quale ha ricordato che la legge regionale è stata pesantemente condizionata dalla necessità di adeguarsi a quella nazionale, pena gravi sanzioni, tra cui il commissariamento delle Regioni inadempienti e l’obbligo di coprire il costo delle funzioni non fondamentali. “La radicalizzazione – ha ragionato – ha costretto a un riordino incompleto e non paragonabile a passate stagioni di riforme. Dal canto suo, la Regione si è caricata sulle spalle il disagio causato dalla riduzione progressiva dei trasferimenti statali con tagli lineari e prelievi forzosi di tributi propri degli enti locali. Ci siamo concentrati sulla difesa dei livelli occupazionali e sulla tenuta dei servizi minimi essenziali. Oggi dobbiamo cercare una soluzione nella logica di continuare a garantire i servizi ai cittadini”. Franca Biglio presidente di Anpci, associazione nazionale dei piccoli comuni, sindaco di Marsaglia (CN), ha invece criticato aspramente la legge Delrio, “che – ha detto – non ha tenuto conto della storia millenaria italiana fatta di tanti piccoli comuni, sentinelle del territorio, e neanche della geografia italiana, un territorio difficile che ha bisogno dei presidi comunali. È stata un errore gravissimo, che i cittadini hanno bocciato con il voto referendario. Adesso abbiamo bisogno di una legge organica, che però sia condivisa da tutte le organizzazioni dei comuni, non solo da Anci”. Marco Bussone (Uncem) ha invece posto l’accento sul fatto che la legge regionale è il frutto di una lunga concertazione in un tavolo che continua e che ha prodotto buoni risultati. “La nascita della Città metropolitana – ha aggiunto – può realizzare una felice sperimentazione di sinergie fra le aree urbane, la città, e quello che c’è fuori, le aree rurali e montane”. Critico l’intervento di Carlo Riva Vercellotti, presidente della Provincia di Vercelli, il quale ha affermato che “In Italia è avvenuto un fatto che è un pericoloso precedente, e cioè si è stravolto l’assetto istituzionale del paese sulla presunzione che la Costituzione sarebbe stata cambiata, un fatto certamente anomalo”. Riva Vercellotti ha sottolineato poi il problema del personale: “per quanto riguarda le funzioni delegate alle Province – ha spiegato – non c’è più il personale che le può gestire, e, contestualmente, il personale che dalle Province è passato alle Regione ha carichi di lavoro molto diversi e una professionalità che non è più ben spesa”. Cruciale anche il nodo dei finanziamenti: “non è chiaro – ha concluso – il finanziamento delle funzioni delegate e trasferite, così come non è chiaro a quanto ammonti il reale risparmio di questa riforma”.
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Alberto Avetta, vicepresidente della Città metropolitana, ha poi sottolineato che la legge Delrio aveva due obiettivi, proiettare il sistema di governo degli enti locali nel contesto europeo e accorciare la catena di comando, mettendo nelle mani dei sindaci il governo degli enti locali. “Adesso – ha detto – sarebbe folle buttare tutto a mare. Il problema delle risorse esiste, oggi come ieri, quando c’erano le Province. Il lavoro fatto in questi tre anni va riconosciuto e preservato per capire se i due obiettivi di partenza sono ancora validi”. Per Mauro Barisone, vicepresidente vicario di Anci, infine, “l’esito del referendum ha cambiato le carte ma noi dobbiamo guardare in casa nostra, in Piemonte, che è un territorio con oltre 1200 comuni. La Delrio è una buona legge, che può essere migliorata, ma non possiamo buttare via il bambino insieme all’acqua sporca”.Al seminario hanno partecipato anche le organizzazioni sindacali. Francesco Lo Grasso, della Uil Piemonte, ha sottolineato come la riforma delle Province non abbia ridotto i costi della politica ma il finanziamento delle strutture, evidenziando innanzitutto il problema delle risorse stanziate e dell’assenza di organi di governo. Francesco Candido (Cgil Città metropolitana) ha evidenziato i problemi dei centri per l’impiego, “la cui competenza – ha detto – è della Città metropolitana ma le cui funzioni sono state assegnate all’Agenzia Piemonte Lavoro. Esiste un problema di tenuta del sistema, solo l’anno scorso abbiamo vissuto il dramma occupazionale di venti precari ma i centri per l’impiego sono destinati a chiudere se non hanno il personale”. “La Regione Piemonte – ha aggiunto – deve essere in prima fila nel chiedere al governo di restituire le risorse a Regioni, Province e Città metropolitane”. Per Graziella Rogolino (Cgil) ”l’abolizione delle province era nei programmi elettorali di tutti i partiti, del resto avevamo troppi centri decisionali. La legge 23 è stata concertata in sede regionale e ha tutelato tutto il personale delle Province, adesso non si può pensare di smontare tutto”.
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Ha concluso i lavori il vicepresidente della Giunta regionale con delega agli Enti Locali Aldo Reschigna, il quale ha spiegato che “stiamo parlando di un sistema che faceva fatica da molti anni. Prima della legge regionale e dopo la riforma Delrio, le Province erano allo stremo, tanto è vero che tutti gli enti hanno adottato provvedimenti di riduzione del personale ben oltre la percentuale imposta dalla legge di stabilità del 2015, e questo ha certamente provocato la progressiva diminuzione della capacità tecnico professionale, uno dei problemi più grandi. In quel contesto, l’operazione della Regione non è stata centralista. Abbiamo sottoposto tutte le funzioni a una verifica di efficacia ed efficienza, stabilendo anche chi faceva che cosa ed eliminando le sovrapposizioni. Con la legge 23 abbiamo disegnato le aree vaste, attraverso le convenzioni, un obiettivo che rimane anche oggi, abbiamo valorizzato la Città metropolitana come vero motore di sviluppo di un’area, abbiamo riconosciuto la specificità montana del Verbano Cusio Ossola e rivisitato le funzioni, riportandone in casa alcune su cui c’era una domanda forte da parte dei territori. La mancata modifica della Costituzione non impedisce che la Regione, nella sua attività di programmazione, individui ambiti territoriali ottimali per l’esercizio di alcune funzioni, e su questo stiamo lavorando. Penso che la scelta delle aree vaste e della gestione associata delle funzioni fosse una risposta a quella crisi e mantenga pienamente la sua utilità anche dopo la consultazione referendaria. Rimarranno dunque le Province, ma l’area vasta permetterà anche la costituzione di strutture tecnico-professionali efficaci, in grado di migliorare l’esercizio delle funzioni proprie. In questi giorni abbiamo definito di concerto con le Province un testo di convenzione per la gestione associata delle attività estrattive, della caccia e della pesca, e contiamo di concludere l’iter entro l’anno. E stiamo procedendo anche con la Provincia montana del VCO alla definizione di una convenzione”. “Certo – ha concluso – ora restano aperti alcuni problemi. Primo fra tutti garantire alle Province, che sono rimaste in Costituzione, le risorse sulle funzioni fondamentali, definendone anche i costi di esercizio, per non tornare a un passato di sperequazioni. Resta aperto anche il tema delle funzioni, là dove sono state gestite centralmente in modo confuso, come nel caso dei centri per l’impiego e delle politiche attive sul lavoro, o sulla viabilità. L’esito referendario – ha concluso – non deve essere affrontato come un ritorno al passato, ma spingerci a trovare soluzioni per la nostra regione in un percorso che richiede costante confronto e aggiornamento“.
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(foto: il Torinese)