POLITICA- Pagina 595

Tre populismi a confronto

di Giorgio Merlo

La prossima campagna elettorale, come del resto tutte le campagne degli ultimi 25 anni, sara’ giocata piu’ sulla demonizzazione dell’avversario che non sulla centralita’ del proprio progetto di governo. Del resto, da quando la politica ha cessato di essere un confronto di merito ma solo e soltanto uno scontro tra “capi”, e’ persin scontato rilevare che il tanto declamato merito, o programma che dir si voglia, e’ destinato a passare in secondaria importanza. Ma, accanto a questa considerazione, non possiamo non rilevare che l’irruzione del cosiddetto “populismo” e’ destinato a segnare in profondita’ il cammino e forse lo stesso esito della ormai prossima campagna elettorale. Ora, come quasi tutti gli osservatori e i politologi rilevano quotidianamente, ci troviamo di fronte a 3 populismi. 3 populismi diversi m complementari d accomunati dalla concreta modalita’ del nuovo modo di far politica. Una modalita’ inaugurata in modo ufficiale nella campagna elettorale del 1994 dall’allora trionfante Berlusconi e poi seguita, seppur in modo meno forte, negli anni seguenti sino a diventare strutturale nell’attuale fase storica e politica italiana. Certo, l’approccio populista e’ la conseguenza diretta del profondo cambiamento dei partiti politici. Quando un partito, come ad esempio il Pd, si trasforma da “partito plurale” a “partito personale’, l’ormai famoso “Pdr”, e’ quasi naturale che cambi profondamente anche il messaggio e la modalita’ concreta con cui viene trasmesso quel messaggio elettorale. E’ un fatto quasi scontato, appunto. Ora, come dicevo all’inizio, ci troviamo di fronte a 3 populismi con cui si deve fare i conti. Diversi tra di loro ma accomunati dallo stesso modo di far politica. C’e’ quello piu’ scientifico del movimento 5 stelle e del suo fondatore Grillo. Una modalita’ politica che ha contrassegnato questo partito/movimento sin dalla sua nascita. Nessuna mediazione, nessun rapporto con l’articolazione della societa’ – i cosiddetti corpi intermedi – e soprattutto la delega totale al suo “capo” nella trasmissione del messaggio politico ed elettorale.

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Poi c’e’ la versione piu’ tradizionale e adesso anche un po’ piu’ istituzionale del centro destra a traino berlusconiano. Anche qui si tratta di una modalita’ politica che trae le sue origini culturali da un approccio sostanzialmente populista. La famosa, e ormai storica, “discesa in campo” del ’94 e l’identificazione del “capo” con il suo popolo e viceversa. E poi c’e’ il populismo renziano, quello “dell’uomo solo solo al comando”. Ultima versione del “partito personale” o del “partito del capo”. Un populismo che, come gli altri, si basa esclusivamente sulla centralita’ del capo partito e che vince o perde a seconda della popolarita’, della credibilita’ e della simpatia che sprigiona il capo. Appunto. Ecco perche’, di fronte 3 populismi – ripeto, diversi ma simili nella modalita’ concreta del far politica – che si fronteggeranno in vista della prossima campagna elettorale, non guasta se ci sono anche formazioni politiche che, pur facendo propaganda come tutti gli altri, cerca di riportare le lancette della politica attorno a parole d’ordine che nella nuova stagione populista sono quasi scomparse. O sono state momentaneamente archiviate dalla vulgata corrente. Penso, ad esempio, alla nuova formazione della sinistra democratica e di governo di Pietro Grasso, Liberi e Uguali”. Un modalita’ che cerca di riproporre un metodo imperniato sul rispetto dell’avversario, sul confronto programmatico e politico e, soprattutto, sul ruolo di guida del progetto politico rispetto alle capacita’ salvifiche e miracolistiche del “capo”. Forse e’ ancora possibile invertire la rotta. E anche da questa campagna elettorale possono partire segnali concreti e tangibili capaci di riscoprire una politica progettuale ragionata, pensata, elaborata e trasmessa educatamente ai cittadini. Sempre nel rispetto degli avversari e con l’obiettivo di ridurre le distanze tra il “paese reale” e il “paese legale”. Perche’, alla fine, forse, e’ consigliabile che in politica ritornino i “leader” facendo a meno per un po’ di tempo dei “capi”. Per dirla con Mino Martinazzoli.

“L’ITALIA AL VARCO: TRA POPULISMI E PROPOSTE CONCRETE”

Nuovo appuntamento dell’Associazione Nuova Generazione: incontro con il Professor Luca Ricolfi (Università degli Studi di  Torino) al Teatro Alfa di via Casalborgone 16/I (ore 21.00) sul presente  e sul futuro dell’Italia.

Quale futuro (politico, ma non soltanto politico) per l’Italia? Se ne  discuterà martedì 12 dicembre (ore 21.00) con il Professor Luca Ricolfi,  sociologo e docente di Analisi dei Dati presso l’Università degli Studi  di Torino. Il nuovo incontro promosso dall’Associazione Nuova  Generazione per il Bene Comune ha un titolo significativo e pregnante,  “L’Italia al varco: tra populismi e proposte concrete”. L’appuntamento è  al Teatro Alfa di via Casalborgone 16/I. Porteranno i loro saluti Silvio Magliano, Consigliere del Comune di  Torino e della Città Metropolitana, e Giampiero Leo, Vice Presidente del  Comitato Regionale per i Diritti Umani nonché Consigliere d’Indirizzo  della Fondazione CRT. Modereranno l’incontro Bruno Foresi e Giulio Calabrese, Vice Presidenti  dell’Associazione Nuova Generazione per il Bene Comune. Al termine  dell’incontro è previsto un piccolo rinfresco per gli auguri di Natale.

Serata a ingresso libero previa prenotazione tramite il seguente modulo:
https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSeWoyaBvsinJhAVfUenuCYKM7T9-1MZFTl3wI_xXXdGH632ng/viewform.

Campo nomadi, le reazioni politiche

L’assessore all’Ambiente del Comune di Torino, Alberto Unia:

“Non esistono soluzioni semplici né immediate a problemi complessi, ma a differenza di chi oggi cerca la polemica strumentale dopo aver fatto finta di niente per anni, sottovalutando il problema, questa amministrazione ha dimostrato con i fatti di voler superare i campi rom nell’interesse del quartiere, dei cittadini e di tutto il territorio”.

 Osvaldo Napoli, capogruppo di Forza Italia al Comune:

 L’ennesima aggressione partita dal campo nomadi di via Germagnano contro un operaio di Amiat segnala, dopo analoghi precedenti episodi, l’urgenza per la giunta Cinquestelle di assumere una soluzione radicale sulla presenza di quel campo. Invocare un intervento del prefetto e una vigilanza rafforzata delle forze dell’ordine, come chiede la M5s, è senz’altro utile ma certo non risolutivo. La soluzione può venire soltanto da un’assunzione di responsabilità piena da parte della Giunta comunale, l’unico organo titolato per dare una risposta amministrativa. 

 
Silvio Magliano, capogruppo Moderati:
  
L’obiettivo dichiarato ai quattro venti in campagna elettorale era il superamento dei Campi Nomadi. La realtà dopo un anno e mezzo di Amministrazione Cinque Stelle sono le sassaiole che feriscono le Guardie Giurate, come appena successo in via Germagnano. Non è un caso. La realtà dei Campi Rom della nostra città è la perfetta, plastica fotografia degli effetti che si producono quando un problema è sottovalutato o ignorato per anni. 
 
Baracche, cumuli di immondizia, l’odore acre dei fumi tossici che persiste nell’aria rappresentano una situazione indegna di un paese civile. Ma la Giunta non affronta il problema: il senso di impunità si diffonde, i comportamenti violenti e delinquenziali aumentano di conseguenza, in un circolo vizioso che non si interrompe. Ed è significativo che Amiat abbia dovuto affidarsi, per provare a contenere i rischi per sé e per i propri dipendenti, a un servizio di vigilanza privato. 
 
Le responsabilità della politica sono palesi, sia da parte delle precedenti Amministrazioni sia da parte dell’attuale (quali le misure messe in atto, a parte un regolamento che è la brutta copia del precedente?). Le conseguenze sono evidenti in termini di degrado e mancanza di sicurezza. Questa Giunta ammetta almeno, pubblicamente ed esplicitamente, che non sarà in grado di superare i Campi Nomadi entro il proprio mandato, come troppo precipitosamente promesso.
 

“Più renziano di Renzi”

L’agire ed il fare politico di questi ultimi anni di Piero Fassino , sconfitto seccamente da una modesta e sconosciuta Chiara Appendino ,  mi ha fatto venire alla mente il comportamento che ebbe  Giuliano Ferrara. Dopo avere  abbandonato il Partito Comunista Italiano del quale era capogruppo in Consiglio comunale a Torino ed il cui segretario provinciale era Piero Fassino, divenne un acritico ed integralista cantore del “craxismo” come  tutti gli “spretati”.  Per giustificare le proprie scelte  , allo stesso modo fece poi con Berlusconi ed in maniera più moderata con Renzi, arrivò a sostenere l’insostenibile . Alla domanda di un giornalista che gli chiedeva quanto era d’accordo con quello che  diceva Bettino Craxi, allora Presidente del Consiglio, rispose che lo era al cento per cento. Alla stessa domanda , allora, Craxi rispose che a causa del ruolo a volte gli toccava fare e dire cose che non sempre condivideva. Il commento dell’osservatore fu :  Ferrara è più Craxi di Craxi. Recentemente un ex parlamentare che fu collega di Fassino mi raccontò , avendo lui dubbi sulla nascita del Partito Democratico, che alla sua richiesta di rassicurazioni riguardo all’Unione con gli ex democristiani, gli rispose : tranquillo comanderemo sempre noi.  Per certi versi la risposta si potrebbe ascrivere alle sue famose ” profezie” ma invece è utile per capire la metamorfosi ed i comportamenti recenti ,  i suoi interventi pubblici e nelle sedi di Partito. Il sostenere i grandi risultati delle riforme renziane,  come la finta eliminazione delle provincie , salvo poi ammetterne in privato il fallimento della stessa. L’ultima missione, impossibile, a cui si è prestato per ingraziarsi il “Principe” , quella di convincere gli alleati di destra , Alfano , e di sinistra , Bersani , Speranza e Pisapia a sostenere in qualche modo alle prossime elezioni il Partito Democratico. A parte il risultato , fallimentare, viene spontaneo affermare : Fassino è più renziano di Renzi.

Ius soli, lettera aperta del Pd torinese

Al Segretario Nazionale Matteo Renzi e ai parlamentari torinesi del Partito Democratico

 

Gentile Segretario,  Gentili parlamentari, 
siamo vicini al termine della legislatura, che coincide con un momento storico non particolarmente sereno. Sono giorni di ventate nere, di rigurgiti fascisti, di presidi, marce, blitz nelle sedi delle associazioni e sotto quelle dei giornali.  Ora più che mai il Partito Democratico ha bisogno di rinvigorire i valori della comune appartenenza , le radici su cui si fonda il progetto politico. Sono ancora molti i provvedimenti fondamentali da trattare prima di chiudere questa finestra, ma se un ordine va dato questo deve prevedere tra i punti più alti la legge sullo ius soli. Alla vigilia dell’importante manifestazione antifascista che si terrà sabato 9 dicembre a Como, i democratici e le democratiche devono trovare il coraggio di scendere in piazza con la forza delle loro idee, dei loro principi, e quella dei fatti: di un Governo e di un Parlamento intenzionati a fare la storia sui diritti, dopo averla fatta su un altro tema importante, quello delle unioni civili.  Quello dello ius soli è un provvedimento essenziale. Chi nasce e cresce in Italia è italiano. Non ci sono “se” e “ma”.  Bisogna avere coraggio. Per non lasciare che un pezzo importante della politica continui ad accrescere odio, paura, discriminazione, parlando degli immigrati e dei loro figli come di un corpo unico, che peraltro non può avere voce, continuando a evidenziare una pesante linea di demarcazione tra noi e loro.

La Segreteria Metropolitana del PD Torino

Mimmo Carretta
Domenico Cerabona
Saverio Mazza
Katia Venturi
Daniele Valle
Nadia Conticelli
Raffaele Gallo
Alberto Avetta
Enzo Lavolta
Ermanno Torre
Gioacchino Cuntró

“Liberi e Uguali” e i cattolici popolari

di Giorgio Merlo

Conosciamo da tempo il dibattito che circola nell’area cattolica italiana quando si parla di cattolici impegnati in politica. Da un lato c’e’ chi, in modo ridicolo e anche un po’ grottesco, pensa di rappresentare in modo esclusivo e coerente i valori dei cattolici. I cosiddetti “cattolici professionisti” per dirla con Carlo Donat-Cattin o i “sepolcri imbiancati” come ci ricordava sarcasticamente Mino Martinazzoli. Poi c’e’ chi, legittimamente e correttamente, riconosce il profondo pluralismo che caratterizza l’arcipelago cattolico italiano e la diversita’ delle scelte politiche e partitiche. Infine, ci sono coloro che, altrettanto legittimamente e correttamente, si impegnano per una prospettiva a piu’ lunga scadenza che dovrebbe coincidere, pressapoco, con la nascita di una formazione, laica e di ispirazione cristiana, che ripropone nell’agone politico italiano una sorta di Partito Popolare. Seppur aggiornato e modernizzato. E anche nel pieno riconoscimento del pluralismo. Ma, in attesa che questo progetto si stagli all’orizzonte – se mai dovesse decollare – si deve fare i conti con la concreta situazione politica italiana. All’interno di questa cornice non puo’ sfuggire che, sul versante del centro sinistra – e cioe’ di una opzione politica democratica, riformista, progressista e socialmente avanzata – la presenza di un’area cattolico democratica e popolare continua ad essere importante e decisiva per qualificare quel progetto politico. E questo vale per il Pd e, a maggior ragione, vale per la formazione appena decollata che va sotto il nome di “Liberi e Uguali”. In entrambi i casi, anche se il Pd oggi e’ di fatto un “partito personale”, l’ormai famoso “Pdr” per dirla con Ilvo Diamanti e Stefano Folli, si tratta di esperienze politiche “plurali” dove le diverse culture politiche devono saper fecondare l’elaborazione del progetto politico di riferimento. E proprio il Presidente Grasso domenica scorsa a Roma nel suo intervento che ha inaugurato la “discesa in campo” della nuova formazione politica, ha individuato nel “cattolicesimo popolare e sociale” una delle componenti decisive per il profilo stesso di questo partito.

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E questo non per dare una riverniciatura cattolica al nuovo soggetto politico ma, soprattutto, per far si’ che l’esperienza, i valori e le coordinate politiche e culturali del cattolicesimo popolare e sociale giochino un ruolo protagonistico nell’elaborazione del programma del partito. E non solo, di conseguenza, come semplice garanzia della pluralita’ culturale di un partito. E’ inutile, pero’, girare attorno all’ostacolo. Lo abbiamo detto molte volte quando si parla di cattolicesimo sociale e popolare. Quello che e’ mancato per troppo tempo alla politica italiana, o meglio al centro sinistra italiano degli ultimi anni, e’ una “sinistra sociale” di governo capace di farsi interprete dei bisogni, delle esigenze e delle domande che salgono dalla societa’ per tradurle, poi, in concrete scelte politiche e legislative. Abbiamo da imparare dal passato al riguardo? La risposta e’ molto netta: si’. Dobbiamo imparare molto dal passato. A cominciare proprio dalla esperienza della sinistra sociale della Democrazia cristiana che si e’ sempre contraddistinta per la sua vocazione di governo, e non solo testimoniale, accompagnata pero’ da una reale capacita’ di saper intercettare e rappresentare quei bisogni. E oggi, di fronte ad una “questione sociale” semplicemente drammatica – l’ultimo numero agghiacciante ce lo ha fornito l’Istat con quasi 18 milioni di persone a rischio poverta’ in Italia – non e’ piu’ eludibile la presenza di una “sinistra sociale” di governo nel campo del centro sinistra. Altroche’ il dibattito sulle banche, sulle fake news, sul partito personale e sulle capacita’ salvifiche e miracolistiche dell’uomo solo al comando.

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Se ci si riduce a questo dibattito e’ persin naturale che fasce crescenti di emarginati, di esclusi, di nuovi poveri e di non inclusi guardino politicamente altrove. Come e’ gia’ puntualmente capitato alle ultime elezioni amministrative. In particolare a Torino dove la guida di centro sinistra alla citta’ per un ventennio ha progressivamente smarrito le sue radici culturali per diventare il riferimento esclusivo del “sistema”, del potere e dei “garantiti”. Ecco perche’, anche da una formazione politica come quella di “Liberi e Uguali” – al netto della propaganda spicciola, ridicola e grottesca sulla “cosa rossa” e sul “ritorno dei comunisti” – la presenza di un’area cattolico democratica , popolare e sociale puo’ essere importante e decisiva per centrare un obiettivo che dovrebbe essere comune a tutta l’area di un vero centro sinistra. Un centro sinistra, pero’, che non si vuol ridurre ad un semplice prolungamento delle politiche del centro destra o ad uno schieramento che pensa che per essere moderno deve cancellare le storiche differenze tra la “destra” e la “sinistra”. Che, piaccia o non piaccia, continuano ad esistere anche quando i soloni della modernita’ hanno decretato che sono parole desuete e che appartengono alla stagione lontana ed irripetibile del novecento. Le questioni che abbiamo sul tappeto e, soprattutto, le risposte politiche che devono essere date non sono indistinte o generiche. Appartengono anche ad una gerarchia dei valori. Ed e’ proprio su questo terreno che la destra e la sinistra sono e restano alternative. Giorgio Merlo

Soffia il vento dell’autonomia

Alle elezioni territoriali che si sono svolte domenica in Corsica ha trionfato la coalizione autonomista con oltre il 45% dei consensi.Il partito del Presidente Macron si è fermato all11%.

Si tratta della conferma di un vento che, ormai, soffia forte dovunque in Europa, seppure con sfumature diverse. In Scozia, in Catalogna , in Lombardia, in Veneto ed anche in Corsica: il centralismo non raccoglie più consensi. Neppure sembra funzionare il tentativo di distogliere lattenzione da questo tema attraverso un dibattito politico /mediatico stucchevole,basato esclusivamente sulla notizia del momento. Lattaccamento verso i poteri statali così come strutturati ed organizzati va giorno dopo giorno affievolendosi. Detto questo, spero davvero che le istanze dellautonomia e del federalismo possano essere al centro del programma politico del centrodestra che ha le carte in regola per rappresentarle. La debacle  elettorale del PD , infatti, é anche figlia delle posizioni che sono state assunte con lapprovazione della riforma centralista bocciata dagli elettori con il referendum del dicembre 2016. In fondo,lo schema sbagliato è proprio quello di una Europa dei grandi interessi che si fonda sul centralismo statale.LEuropa è lontana dalla gente anche perché gli stati nazionali sono lontani dai territori. I segnali che arrivano sono questi e sempre di più il federalismo può essere la via del futuro. Pensando al nostro Piemonte,Torino più lontana da Roma e più vicina a Milano può essere uno dei pilastri della grande metropoli del Nord.

Roberto Cota

“Coraggio e passione”: Riccardo Coppo come “Davide contro Golia”

Coraggio e passione – Riccardo Coppo – il sindaco, le sfide” è l’ultima fatica storica di Sergio Favretto. Questa volta l’avvocato e scrittore casalese non ha focalizzato l’attenzione sulla Resistenza, quanto sulla figura di uno dei sindaci che maggiormente hanno contraddistinto Casale ed il Monferrato nel dopoguerra, Riccardo Coppo, primo cittadino della città di sant’Evasio per dodici anni, dal dicembre 1984 al dicembre 1987 e dal giugno 1990 al giugno 1999, oltre che consigliere ed assessore per quasi 40 anni dal 1979 sino al 2009. Se n’è andato il 2 dicembre di tre anni orsono, e proprio sabato 2 dicembre, il libro che racconta il suo lavoro al servizio della città e del territorio è stato presentato al Teatro Municipale a cura dell’Associazione dei Comuni del Monferrato, presieduta dal sindaco di Odalengo Grande, Fabio Olivero. All’incontro, sono intervenuti Gianfranco Astori, già sottosegretario ai Beni culturali ed oggi consigliere per l’informazione del Presidente della Repubblica, Guido Bodrato, più volte ministro e parlamentare, Renato Balduzzi, attualmente componente del Consiglio superiore della magistratura. In duecento pagine – con una prefazione di Balduzzi ed una postfazione di Bodrato – il libro ripercorre, arricchito da note, riferimento culturali, documenti ed una sessantina di pagine, la storia amministrativa casalese e monferrina degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, dall’angolo visuale di Riccardo Coppo, sindaco di grandi capacità amministrative, particolarmente ferrato, pur non essendo un tecnico di professione nel settore, in ambito urbanistico. E Bodrato, che nel corso degli anni ha vantato una lunga amicizia con Coppo, lo ha definito, ricordando quell’ordinanza del 1987 vietò a Casale, primo comune in Italia, l’utilizzo dell’amianto, “un Davide che combatteva Golia”. L’opera di Favretto è anche un modo per ricordare i tanti momenti che ha attraversato Casale, le emergenze che ha vissuto, come quella dell’inquinamento dell’acquedotto del 1986 o dell’alluvione del 1994, che videro il sindaco in prima persona nella risoluzione dei problemi, ed anche quelli di una città che ha sempre rivendicato il suo ruolo di capitale storica del Monferrato. E non è solo la storia di un uomo e di un territorio, ma di un gruppo dirigente nell’ambito della Sinistra Sociale in Piemonte.

Massimo Iaretti

 

 

Cavaliere! Ovvero il ritorno alla casa del “padre”

Lo scorso giovedì 30 novembre al Quirinale si è svolta la tradizionale cerimonia di consegna delle onorificenze di Cavaliere del Lavoro. Tra i venticinque insigniti di quest’anno da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella c’erano diversi nomi di spicco, tra cui la Vice Presidente di Confindustria, la torinese Licia Mattioli, Giuseppe Recchi, Francesco Mutti ed altri. L’onorificenza ad uno dei neo Cavalieri, al quale vanno i saluti ed i complimenti, ha attirato la mia attenzione come una sorta di ritorno a casa o di un “da padre in figlio”.  Era il lontano 1981 ed in un’intervista al patinato e diffuso mensile “Capital” (Rizzoli Editore!), un brillante ed emergente Silvio Berlusconi dichiarava: “Se qualche giovane ha una buona idea, mi chiami”. Lo prese alla lettera un giovane neo laureato alla Bocconi, che con un vero e proprio assedio riuscì ad essere ricevuto per un colloquio e a diventarne l’assistente personale del “Cavaliere”, soprannome affibbiato a Silvio Berlusconi dal grande Giovanni Brera e che non gli è mai piaciuto preferendo farsi chiamare il” dottore”. Il giovane bocconiano iniziò così una brillante e travolgente carriera, prima all’interno di “Pubblitalia ’80’ e poi alla “Mondadori Pubblicità”. Avversato duramente da Marcello Dell’Utri, ma sempre difeso dall’amico per eccellenza di Berlusconi, Fedele Confalonieri (chiamato Fidel da Berlusconi stesso) , veniva definito da quest’ultimo “il mio bastone della vecchiaia”. Il rapporto con il gruppo Fininvest si interrompe bruscamente, anche a causa del diverso atteggiamento di Cairo verso le vicende giudiziarie che investirono tutto il gruppo pubblicitario ed i suoi principali dirigenti.  Iniziò così la carriera da imprenditore nel settore dei media e della pubblicità, con acquisizioni e creazione di nuove testate fino all’avventura calcistica con il Torino, l’acquisizione dell’emittente televisiva La7 ed infine il gruppo RCS con il Corriere della Sera, con la recentissima apertura della cronaca torinese e la Gazzetta dello Sport.  È così, l’onorificenza assegnata ad un quarantenne e rampante Silvio Berlusconi da Giovanni Leone nel 1977 (gli anni della “Milano da bere”) e da cui Il Cavaliere si separò, rinunciandovi nel 2014 in seguito alla condanna definitiva per frode fiscale, è ritornata in qualche modo alla casa del “padre” attraverso Urbano Cairo.

PD: ACCORDO CON I MODERATI, INCONTRO SUL TRENO ‘DESTINAZIONE ITALIA’

TORINO, 1 DICEMBRE  – E’ stato confermato oggi il sostegno dei Moderati al Partito Democratico in vista del prossimo voto politico del 2018. “Si tratta  – dichiara il segretario Pd del Piemonte, Davide Gariglio – di una conferma dell’alleanza che ha caratterizzato l’attuale legislatura e di molte alleanze a livello locale”.  L’accordo di oggi è avvenuto sul treno “Destinazione Italia” dopo l’ultima tappa piemontese di Ivrea. L’incontro avvenuto a bordo del treno tra il segretario nazionale dem, Matteo Renzi, il fondatore e leader dei Moderati Mimmo Portas e il segretario piemontese del Pd, Davide Gariglio. 

(foto: il Torinese)