


La Regione Piemonte è la prima in Italia per i progetti finanziati con la Cooperazione Territoriale Europea: gli ultimi dati diffusi dall’Agenzia per la Coesione territoriale e relativi alla distribuzione dei fondi assegnati ai partner italiani al 31.12.2017 pongono infatti il Piemonte in testa alla graduatoria con 50 milioni di euro. Queste risorse hanno permesso l’avvio di 103 progetti in settori chiave per lo sviluppo socio-economico come l’innovazione tecnologica, sociale e sanitaria, l’energia, i trasporti, l’ambiente, la cultura e il turismo. Oltre 200 i partner coinvolti: dagli enti pubblici alle piccole e medie imprese, dagli Atenei ai centri di ricerca e ai poli di innovazione. La Cooperazione Territoriale Europea (CTE) è lo strumento della Politica di Coesione che consente alle Regioni di realizzare progetti congiunti tra attori di diversi Stati per affrontare sfide che prescindono dalle frontiere e richiedono l’adozione di azioni comuni. La Regione Piemonte partecipa a diversi programmi CTE: Italia-Svizzera e Italia-Francia Alcotra; Spazio Alpino, che comprende le Regioni di tutto l’arco alpino; Central Europe, che interessa l’area che va dal Mediterraneo al Mar Baltico; Med, che racchiude le Regioni dell’area del Mediterraneo. Inoltre, prende parte a Interreg Europe e Urbact, che mirano a migliorare l’efficacia delle politiche tramite lo scambio di esperienze e buone pratiche, ed Espon, che finanzia studi volti ad analizzare le tendenze di sviluppo dei territori.
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Sono 7,5 i milioni di euro investiti dal Mise a favore di Torino che diventa così una delle tre “case delle tecnologie emergenti”. Lo ha annunciato sotto la Mole il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio, che ha inoltre già firmato il decreto che renderà la città subalpina area di crisi complessa. La casa delle tecnologie è un incubatore rivolto a startup e aziende innovative collegate all’aerospazio e all’automotive, “settori che sono l’identità di Torino” sottolinea il vicepremier che aggiunge: “sarà l’interazione tra il mondo dell’innovazione e il 5G. A Torino c’è un ecosistema privato e pubblico pronto ad accettare la sfida: sarà riferimento per il nord Italia e il 5G l’autostrada sulla quale viaggerà il futuro della tecnologia”. La sindaca Chiara Appendino commenta: ” il decreto certifica che la città ha vissuto anni di crisi, ma accompagna le sue aziende verso lla rivoluzione tecnologica che permetterà loro di tornare competitive”.
Alla Conferenza programmatica di FdI, che si tiene al Lingotto di Torino il 13 e 14 aprile, con Giorgia Meloni, interverranno – scrive il Secolo d’Italia, storico quotidiano della destra -, “esponenti del mondo produttivo e associativo”: dal generale Marco Bertolini, all’esponente della comunità di San Patrignano Franz Vismara, dal presidente del Family Day Massimo Gandolfini, al presidente del Consiglio dell’ordine nazionale dei consulenti Marina Calderone, dal sociologo Francesco Alberoni, al professor Alessandro Meluzzi, dal direttore Mediaset Mario Giordano al Cda Rai Giampaolo Rossi” . Parteciperanno al dibattito nella mattinata di domenica, dopo la votazione degli ordini del giorno e delle risoluzioni e prima delle conclusioni di Giorgia Meloni (alle 12.30). Attesi due nomi in particolare: l’ex ministro Giulio Tremonti e il presidente della Liguria Giovanni Toti.
Di Pier Franco Quaglieni
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Il ministro dell’interno Matteo Salvini ha dichiarato che non ha mai partecipato ad una manifestazione del 25 aprile e che neppure quest’anno, malgrado sia ministro, vi parteciperà. Ha affermato che il 25 aprile riguarda solo i fascisti e i comunisti, dimostrando una scarsissima conoscenza della storia : paradossalmente il ministro ripete, senza conoscerla, la vulgata resistenziale sostenuta dal PCI che pretendeva di avere il monopolio della Resistenza e dell’antifascismo. Sostenere che la Resistenza e’ stata solo rossa – oltre a fare, per decine di anni, il gioco dei comunisti – rivela una abissale mancanza di conoscenza storica in quanto la guerra di liberazione fu condotta anche da cattolici,liberali, monarchici, anche ricordati gli internati militari in Germania che resistettero nei lager alla fame, al freddo e alle percosse.Anche questa storia e’ poco conosciuta e Salvini dimostra di ignorarla del tutto. Sarebbe perciò indispensabile che il ministro Salvini andasse a studiare ,ad esempio, chi siano stati il generale Perotti e il maggiore Martini Mauri, per non dire del colonnello Cordero di Montezemolo caduto alle Fosse Ardeatine. Ci furono anche partigiani decisamente anticomunisti che si batterono contro la dittatura fascista e contro l’eventuale, possibile dittatura comunista. Il 25 aprile appartiene a tutti gli Italiani,persino ai fascisti perché anche ad essi venne restituita la libertà: nel 1946 ebbero infatti modo di ricostituirsi in partito, il MSI. Poi va aggiunto,come diceva Ennio Flaiano, che ci furono anche degli antifascisti – fascisti in quanto settari,intolleranti,incapaci di comprendere il valore della libertà che è un diritto di tutti.
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Gli antifascisti-fascisti che appaiono come un evidente ossimoro, in effetti ci sono anche oggi e sono i vedovi della vulgata resistenziale che identifica la guerra partigiana con i comunisti. Sono quelli che ritengono che la battaglia delle idee vada combattuta, a colpi di divieti, nelle aule dei tribunali e non sui giornali o in televisione, garantendo a tutti pari opportunità. Il ministro Salvini forse non ha colto neppure questo aspetto, riducendo tutto ad uno scontro tra fascisti e comunisti, tra rossi e neri. Nella Resistenza, ad esempio, c’erano coloro che teorizzavano le autonomie locali e il federalismo, come dimostra la Carta di Chivasso che Salvini con ogni probabilità non ha mai sentito nominare e che forse non gli interessa neppure perché ormai attratto dalle sirene del sovranismo più o meno stoltamente nazionalista. Nella Resistenza erano in tanti, ad esempio, a credere in un’Europa pacifica e unita come antidoto alle guerre, un’Europa di valori ideali,quella delineata nel Risorgimento da Cavour, da Mazzini e da Cattaneo e rivissuta da uomini come Einaudi, Rossi, Spinelli, Chabod. Si trattava di un’idea d’Europa assolutamente incompatibile con le dittature di destra e di sinistra che prevalsero nel secolo scorso, un’idea d’Europa che Salvini ignora, malgrado sia stato anche deputato europeo. Ciò che sgomenta di questa odierna classe politica e’ l’ignoranza storica e politica davvero senza precedenti. Ed appare grottesco che a fare l’antifascista sia di Maio… Con queste sceneggiate non si può costruire nulla di buono e il Paese sembra precipitare nel vuoto di una incoscienza e di una inconsistenza che ci fa davvero accapponare la pelle .Bossi aveva capito cose che Salvini ignora o finge di ignorare.
Di Giorgio Merlo
Adesso, forse, e’ arrivato il momento di intendersi. Ben sapendo che i veri giochi sul futuro assetto politico italiano decolleranno solo dopo il grande sondaggio popolare del 26 maggio prossimo. Perché un dato comincia a delinearsi con sufficiente chiarezza
E cioè, con questa coalizione il centro sinistra, o come si vuol definire, difficilmente sarà competitivo contro il “blocco sociale” del centro destra. O meglio, dell’attuale centro destra che però, e’ bene dirlo subito, difficilmente si scioglierà come neve al sole nell’arco di pochi mesi o di pochi anni. Il futuro centro sinistra, visto che oggi non è affatto competitivo in qualsiasi zona italiana, potrà decollare solo se, accanto ad una sinistra, l’attuale Pd/Pds a guida Zingaretti, saprà riaggregarsi attorno ad una coalizione plurale che vede in un partito di centro, seppur composito e di governo, la sua forza propulsiva e decisiva per ridare vigore, speranza ed efficacia ad una alleanza democratica, riformista e di governo. Certo, e’ persin ridicola la tesi di tutti coloro che nell’attuale Pd pensano di poter costruire una coalizione pianificando, a tavolino, chi è di destra, chi di sinistra, chi verde ambientalista, chi di centro, chi cattolico, chi arancione e via discorrendo. Una strategia grottesca destinata al sicuro fallimento e frutto di un retaggio vecchio e stantio che riporta indietro le lancette della politica italiana ad una stagione dove il partito egemone – cioè il Pci – dettava le carte e distribuiva i ruoli ai singoli commensali. Cioè le briciole che si avanzavano dal tavolo principale. Una interpretazione e una prassi grottesca che non merita neanche perdere tempo per un commento specifico. Come stona, al contempo, la singolare tesi di Bersani, un uomo peraltro riflessivo nonché simpatico, che recentemente ha sentenziato che “semplicemente adesso il centro non serve più perché ormai lo scontro è tra la destra e la sinistra”. Una tesi singolare che, tradotta nella concreta situazione politica italiana e con l’avvento di una destra con un profilo netto e dichiarato, può innescare un meccanismo che ci riporta ad una stagione vecchia e datata: cioè, il ritorno dei cosiddetti “opposti estremismi”. Perché se si sostiene che la “politica di centro” e la “cultura di centro” non hanno più senso di esistere nel nostro paese, e’ persin ovvio, nonché scontato, arrivare alla conclusione che la politica italiana dovrà fare i conti con una radicalizzazione senza esclusione di colpi. Ma che senso avrebbe introdurre un conflitto permanente e all’ultimo colpo tra la destra e la sinistra per la conquista del potere? Saranno due gli obiettivi di fondo dei due plotoni: da un lato la destra punterà all’annientamento politico dell’avversario e, dall’altro, la sinistra mirera’ alla delegittimazione morale e politica del nemico – secondo la tradizione che si rinnova ormai da molti decenni – per raggiungere il tanto decantato potere. È questo l’esito finale prediletto dai Bersani di turno? Al contrario, adesso l’impegno concreto dei sinceri democratici e di tutti coloro che conoscono anche i corsi e ricorsi della storia politica italiana, e’ quello di rispettare certamente la presenza di una “nuova destra”. – ormai in piena ascesa politica ed elettorale – e di una potenziale “nuova sinistra” ma senza rinunciare a riaffermare le ragioni di un “nuovo centro” che può e deve diventare il luogo politico e culturale che batte gli estremismi, introduce una vera cultura di governo, alimenta il confronto democratico, garantisce il pluralismo e lavora per comporre gli interessi attraverso una
permanente e sempre attuale “cultura della mediazione” che resta l’unico vero antidoto per
sconfiggere quella radicalizzazione del confronto politico all’origine dei guai e dei rischi per la
stessa tenuta della nostra democrazia. Un “nuovo centro” ormai sentito e sostenuto da vari settori della società italiana anche a fronte della recente esperienza di governo e non solo per dare qualità alla nostra democrazia e autorevolezza alle nostre istituzioni. Saranno poi le singole ricette di governo a giustificare le alleanze e gli accordi politici e programmatici. Ma senza la presenza di questo partito, o movimento, o luogo politico – del resto storicamente decisivo in tutti i tornanti piu’ difficili e complicati della storia politica italiana – sarà la stessa democrazia italiana a pagarne le conseguenze. Per questo non servono ne’ i richiami alla radicalizzazione tra la destra e la sinistra e ne’ la tesi, altrettanto ridicola, che è sufficiente un partito per distribuire le carte di chi sta da una parte o dall’altra. È arrivato il momento di voltare definitivamente pagina. Senza commettere gli errori di un recente passato che forse è opportuno archiviare al più presto.