POLITICA- Pagina 16

Follie per Gaza: sciopero da soviet e gli ebrei cancellati da Facebook

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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Pensavo che Giuseppe
G i u l i e t t i   fosse scomparso almeno dalle cronache, dopo aver girovagato per decine d’anni in Tv e in Parlamento. Era un personaggio un po’ patetico sopravvissuto a sè stesso; adesso coglie la  tragedia di Gaza per riemergere dal fiume dantesco dell’oblio, proponendo l’unica cosa in cui è stato eccellente: uno sciopero di protesta. Il buon uomo ha sempre solo promosso e fatto scioperi e bisogna capirlo. Ma l’aspetto  politicamente indecente è che  G i u l i e t t i  richieda una giustificazione  a chi decidesse di non aderire  allo sciopero. E questo appare come una gravissima  minaccia alla libertà che neppure i sindacalisti della Fiat che picchettavano davanti agli ingressi per impedire agli operai di entrare in fabbrica, facevano.  Forse solo  i camalli di Genova si comportavano come  G i u l i e t t i.  Il chiedere una giustificazione  è  un atto di autoritarismo assoluto, da soviet rivoluzionario: un’anticamera alla fucilazione mediatica alla schiena. C’è anche un oscuro professorino o insigne  professorone  dell’Università di Palermo che invita a togliere l’amicizia su Facebook agli ebrei. Qui siamo ad un qualcosa che evoca le leggi razziali del ‘38. Verrebbe voglia di dire, parafrasando Kennedy davanti al Muro di Berlino, che anch’io sono ebreo. Il Rettore dell’ Università di Palermo ha subito smentito il prof. apparso con il suo nome e la sua fotografia non tanto  per il suo insegnamento o i libri eventualmente scritti, ma per un post su Facebook. Povera Italia! Con Prezzolini verrebbe voglia di dire porca Italia, ma io non sono un anti-italiano e quindi non userò mai quella espressione, anche se  i segni della depressione sono evidenti. Spero che non siano inguaribili.

L’Impero e le sue ombre: teologia e geopolitica nel mondo di Trump

Per la rassegna Forte di Bard Incontri, sabato 30 agosto 2025, alle ore 16.15, è in programma la conferenza sul tema L’Impero e le sue ombre: teologia e geopolitica nel mondo di Trump. Firme prestigiose del giornalismo e della ricerca a confronto sulle grandi trasformazioni del mondo contemporaneo.
In collaborazione con la rivista online Le Grand Continent.

Il primo panel, “Effetto Trump: gli Stati Uniti tra caos e impero”, vedrà confrontarsi Alessandro Aresu, Oliviero Bergamini, Giovanni Borgognone e Lou Fritel, moderati dalla giornalista Maria Tadeo. L’attenzione sarà rivolta al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e alle implicazioni globali del suo secondo mandato, tra politica interna, relazioni internazionali e il ruolo sempre più pervasivo dell’intelligenza artificiale.

Il secondo panel, “La geopolitica di Dio: la Chiesa di Leone XIV nel mondo di Cirillo e J. D. Vance”, riunirà voci di primo piano come Delphine Allaire, Virginie Larousse, Alberto Melloni e Olivier Roy. Il dibattito affronterà il ruolo delle religioni nello scenario geopolitico attuale, dall’America evangelica alla Russia ortodossa, passando dalle strategie vaticane.

Infine, “Si può fare? L’Europa e la ricerca dell’autonomia perduta metterà a confronto Marc Semo, Marc Lazar e Alessandra Sardoni, sotto la guida di Gilles Gressani, direttore di Le Grand Continent. Un’occasione per riflettere su cosa significhi oggi autonomia strategica europea: un’aspirazione retorica o un obiettivo politico concreto?

Per conoscere il programma clicca qui 

“Il Graffio”: quanto sta accadendo in Rai oggi era inimmaginabile…

Rai, Sangiuliano e il codice etico. Grazie a Bonelli e De Cristoforo il re è’ nudo

Quanto sta accadendo in Rai oggi era inimmaginabile nella Rai del Pentapartito e del Manuale Cencelli.

Ci fa senza dubbio rimpiangere la Prima Repubblica, i suoi riti, il buonsenso dei suoi politici, il senso del ridicolo che ieri c’era e oggi non c’è’ più…

Leggi l’articolo di Monica Macchioni su ilgraffio.net:

Rai, Sangiuliano e il codice etico. Grazie a Bonelli e De Cristoforo il re è’ nudo

Merlo: Centro, basta citare a sproposito la Margherita

Con gli estremisti e i populisti il Centro non esiste

“Forse è arrivato il momento di dirlo con chiarezza e senza equivoci. E cioè, la Dc, il Ppi e men
che meno la Margherita non c’entrano assolutamente nulla con esperimenti ed escamotage che i
Bettini di turno mettono in campo per collocare il Centro con chi proprio il Centro lo rinnega
semplicemente alla radice. Il Centro è incompatibile con la sinistra estremista, ideologica e
populista e con il sovranismo leghista. Il Centro politicamente esiste solo quando è protagonista.
E con i vari Conte, Schlein, Fratoianni/Bonelli e Salvini il Centro è del tutto estraneo ed esterno.
Non esiste. Per questi motivi, semplice ed oggettivo, chi oggi parla di “tenda” centrista con i
populisti e gli estremisti appartiene più al genere comico e goliardico che politico”.

On. Giorgio Merlo
Presidente nazionale ‘Scelta Cristiano Popolare’

Merlo: Centro, con questa sinistra non esiste

“In Italia, come insegna la storica tradizione democratico cristiana, ‘si vince al Centro’ ma,
soprattutto, ‘si governa dal Centro’. Una tesi che valeva ieri e che vale oggi, a prescindere da chi
governa di volta in volta.
Ma oggi esiste una certezza in più. Il Centro nel nostro paese non può allearsi con questa sinistra.
Per la semplice ragione che il Centro è sempre stato politicamente, culturalmente e
programmaticamente incompatibile con il populismo demagogico, con l’estremismo ideologico e
con il radicalismo massimalista. Detto con i rispettivi riferimenti, il Centro non è compatibile con
Conte, il duo Fratoianni/Bonelli e Schlein. Per ragioni politiche, culturali e programmatiche di
fondo. Il Centro, cioè, da quelle parti semplicemente non esiste. Al di là delle furbizie di Bettini e di
Renzi”.

On. Giorgio Merlo
Presidente nazionale ‘Scelta Cristiano Popolare’

“Dalla disciplina del PCI all’inneggiamento all’illegalità: la parabola della nuova sinistra”

Ilaria Salis, in merito allo sgombero del centro sociale Leoncavallo, ha dichiarato: «Il Leoncavallo sta venendo sgomberato. Nessun rispetto per 50 anni di storia dei movimenti, controcultura, aggregazione giovanile, politica dal basso». Parole che, se lette fuori contesto, sembrano celebrare una continuità storica di impegno giovanile e partecipazione sociale. Tuttavia, l’analisi dei fatti mostra una realtà ben diversa.
Il Leoncavallo, così come molti altri centri sociali nati negli anni ’70 e ’80 in tutta Italia, opera da decenni in un contesto di illecito permanente: occupazione abusiva di spazi pubblici e privati, gestione autonoma priva di regolamentazione, rivendicazione sistematica di una presunta autonomia contro lo Stato. Gli sgomberi, lungi dall’essere meri atti repressivi, sono l’applicazione di norme fondamentali di legalità che regolano la convivenza civile.
A Torino, il sindaco Lo Russo ha addirittura cercato di promuovere e legittimare Askatasuna, altro centro sociale con una lunga storia di occupazioni e attività fuori dalle regole, quasi trasformando l’abuso in un modello da tutelare. Questo approccio segnala una deriva culturale: l’idea che l’illegalità sistematica possa essere valorizzata come espressione di “politica dal basso” rischia di sovvertire il principio stesso di cittadinanza e rispetto delle istituzioni, fondamento di ogni democrazia consolidata.
La distanza tra questa visione e la tradizione della sinistra storica italiana è netta. Il Partito Comunista Italiano, pur essendo stato protagonista di una radicale trasformazione sociale, non ha mai fatto dell’illegalità una bandiera politica. La disciplina e il rispetto delle istituzioni erano cardini imprescindibili: Enrico Berlinguer, segretario dal 1972 al 1984, poneva la questione morale e il rigore etico al centro della politica, richiamando i militanti a un comportamento irreprensibile anche al di fuori della scena pubblica.
Storicamente, figure come Palmiro Togliatti e Berlinguer incarnarono una sinistra rispettata anche dagli avversari. Togliatti visse e operò coerentemente con i suoi ideali senza ricorrere a privilegi personali, mostrando rigore e rispetto delle istituzioni fino alla fine della sua vita, mentre Berlinguer guidava manifestazioni di massa senza incitare alla violenza o al disordine. Il PCI si poneva come forza popolare ma responsabile, capace di governare, di influenzare la società civile e di esercitare il potere senza compromettere la legittimità delle istituzioni.
Oggi, osservando la retorica e le azioni di alcuni esponenti della nuova sinistra, emerge un distacco crescente tra politica e realtà concreta. Schlein, ad esempio, ha trasformato il privilegio di essere parlamentare in uno strumento di propaganda, facendo passare come normalità per tutti comportamenti riservati solo a chi occupa una posizione istituzionale. Il caso del suo tagliare fila all’imbarco a Messina, presentato come se fosse un’esperienza condivisa da tutti i cittadini, è emblematico: un gesto personale viene elevato a simbolo politico, generando un distacco tra la retorica della sinistra e la realtà vissuta dai cittadini comuni.
Difendere occupazioni abusive e centri sociali sgomberati, unito a gesti simbolici come quelli di Schlein, contribuisce a sostituire il progetto politico con la retorica della ribellione permanente e dell’eccezionalismo personale. La nuova sinistra sembra aver smarrito quella classe e quella signorilità che consentivano al PCI di essere considerato credibile anche da chi ne contestava le idee.
È necessario promuovere una politica sana, che non alimenti rivolte popolari fuori legge e fuori controllo. Solo quando questo modello di politica della trasgressione cesserà di dettare l’agenda, la sinistra potrà tornare a rappresentare una forza rispettabile e radicata nella società. Fino ad allora, ogni voto che arriverà non sarà il frutto di adesione a un progetto politico attuale, ma di un attaccamento nostalgico a un partito e a una storia che guardano al passato e non al presente.
A chi osserva e decide con lungimiranza e spirito di comunità, come me che scrivo, convinto degli ideali di una destra moderna e moderata, spetta auspicare il ritorno a un confronto politico fondato su legalità, responsabilità e rigore, capace di attrarre consenso reale senza ricorrere alla propaganda o all’eccezionalismo.
PIETRO RUSPA

La ‘via giudiziaria al potere’ appartiene alla sinistra. Ma non solo

LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo

No, non è uno slogan. E neanche solo un’arma di propaganda poltica. Anzi, la possiamo quasi definire una costante. Poltica, culturale e soprattutto etica. Parliamo di q u e l l a c h e comunemente viene definita come “la via giudiziaria al potere”. Una prassi che appartiene ideologicamente ed ontologicamente alla sinistra italiana. Nella sua versione comunista prima e in quella populista e giustizialista poi. È appena il caso di ricordare, per chi l’avesse dimenticato o avesse poca memoria storica, il sistematico attacco “moralistico” e “giudiziario” del Pci contro il “malgoverno e la corruzione della Democrazia Cristiana”. Per non parlare, com’è altrettanto noto, l’attacco frontale del Pci – politico e anche e sempre di natura moralistica e giudiziaria – ai suoi principali leader e statisti: da Donat-Cattin – il più bersagliato – ad Andreotti, dallo stesso Moro a Cossiga e via elencando. Una tecnica che si è perfezionata con l’avvento della seconda repubblica e dopo l’irruzione del populismo giustizialista dei grillini che è poi diventato la cifra ideologica quasi esclusiva dell’attuale sinistra italiana contro il nemico giurato da delegittimare, appunto, prima sotto il profilo morale e poi da distruggere sul versante politico e giudiziario.
Ma, se vogliamo essere intellettualmente onesti, non possiamo non evidenziare che la “via giudiziaria al potente” appartiene di diritto al pantheon della sinistra italiana ma con discreti e convinti compagni di viaggio. È a tutti noto, del resto, che larghi settori della destra italiana, per non parlare della Lega originaria di Bossi, individuavano proprio nella “via giudiziaria al potere” la strada principe par abbattere l’avversario politico. È anche inutile, al riguardo, ricordare che la stragrande maggioranza della carta stampata del nostro paese – che appartiene prevalentemente alla sinistra nelle sue multiformi espressioni – ha sempre accarezzato e condiviso la deriva della “via giudiziaria al potere”. Una deriva, è bene non dimenticarlo, che era e resta profondamente antidemocratica e, soprattutto, anti costituzionale al di là del quotidiano ed ipocrita giuramento ai valori e ai principi costituzionali.
Insomma, parliamo di una deriva che, anche se blandamente respinta a livello verbale, viene sistematicamente praticata a livello politico. E prima o poi riemerge prepotentemente all’attenzione. È come un fiume carsico che corre nel sottosuolo ma basta un fischio, come si suol dire, e torna centrale nella strategia dei partiti che la cavalcano. Una scorciatoia pericolosa e al tempo stesso inquietante per chi coltiva l’obiettivo di rafforzare la qualità della nostra democrazia da un lato e la credibilità delle istituzioni democratiche dall’altro. Altrochè la democrazia dell’alternanza, il rispetto dell’avversario che non è mai un nemico, la negazione dell’odio nella vita politica e la centralità dei programmi. Qui non siamo, com’è sufficientemente chiaro a tutti coloro che non vivono di pregiudiziali politiche ed ideologiche, solo al “tanto peggio tanto meglio”. Ma, semmai, ci troviamo di fronte alla tenace e pervicace volontà di distruggere il nemico politico non attraverso il mero gioco democratico – cioè con il voto – ma di ricorrere a tutti i mezzi leciti e non pur di abbattere l’odiato nemico. Ed è proprio lungo questo percorso che si inserisce e si incrocia la “via giudiziaria al potere”. Una prassi ben nota e conosciuta nella politica italiana proprio perchè parte da lontano.
Per queste ragioni, semplici ma oggettive, è compito delle forze autenticamente e costituzionalmente democratiche unirsi affinchè questa deriva non abbia di nuovo e definitivamente il sopravvento. Anche perchè, se ciò dovesse consolidarsi per davvero, sarebbe il nostro impianto democratico e costituzionale ad andare irreversibilmente in crisi aprendo le porte ad una democrazia autoritaria da un lato e senza quelle garanzie, dall’altro, che hanno permesso al nostro paese di vivere, almeno sino ad oggi, in un contesto democratico e liberale. E non in quella che comunemente viene definita come “repubblica giudiziaria”.

Merlo: Centro, Calenda lo nobilita, Renzi lo ridicolizza

“Storicamente in Italia il Centro non si è mai nascosto in una ‘tenda’, come pensa e auspica l’ex
comunista Goffredo Bettini all’interno del ‘campo largo’. E Calenda ha ragione, per coerenza ed
onestà intellettuale, nel sostenere che il Centro e una politica di centro non saranno mai compatibili con il populismo di Conte e l’estremismo
massimalista ed ideologico dei vari Fratoianni e Bonelli. Chi propone alleanze rapide ed opportunistiche con questi partiti, come fa il
capo di Italia Viva, lavora solo e soltanto per dissolvere e ridicolizzare scientificamente tutto ciò
che è riconducibile al progetto, alla cultura e ad una politica centrista, riformista e democratica.
Per queste ragioni, e in vista delle ormai prossime elezioni regionali, la posizione di Calenda oltre
ad essere coerente è anche carica di significati politici, culturali e, soprattutto, programmatici”.
On. Giorgio Merlo
Presidente nazionale ‘Scelta Cristiano Popolare’.