LIFESTYLE- Pagina 65

Polpette al pomodoro con farina di ceci, che bontà!

/

Rubrica a cura de La Cuoca Insolita 

Per fare queste polpette al pomodoro con farina di ceci non avete bisogno di preparare molti ingredienti: probabilmente aprendo il frigo li trovate già lì, pronti! Il bello delle polpette è che ci potete mettere dentro quello che volete. Qualcuno potrebbe non fidarsi a ordinarle al ristorante, temendo che siano fatte con gli avanzi, di quelli che o li metti nelle polpette o li butti via. Io trovo che sprecare il cibo il meno possibile sia un traguardo importante. E ora, aprite il frigo e guardate se anche voi avete qualche ingrediente che potrebbe andare bene per questo. Non importa se non è esattamente quello che c’è in questa ricetta. Basta rispettare le proporzioni. Non devono però mancare la farina di ceci e il sugo di pomodoro. Leggete e capirete perché…

Perché vi consiglio questa ricetta?

  • Valori nutrizionali: Rispetto alle polpette al sugo tradizionali preparate con carne di vitello e maiale, uova, latte e formaggio grattugiato, qui abbiamo -30% di calorie e -65% di grassi. Un piatto che sazia senza appesantirci e senza farci ingrassare!
  • Polpette al pomodoro con farina di ceci, buone come quelle della nonna! E in più le carote e i finocchi sono ricchi di fibre, ma nell’impasto di queste polpette non si distinguono. Bene, quindi, anche per i bambini che non amano la verdura.
  • Al posto dell’uovo usiamo la farina di ceci. Nessun problema quindi per chi ha problemi con le uova.

Una dieta a base di legumi e cereali (soprattutto quelli integrali) permette di fornire al nostro organismo gli stessi elementi che si trovano nella carne (gli aminoacidi essenziali).

Tempi: Preparazione (20 min); Cottura (15 min);

Attrezzatura necessaria: robot tritatutto, 2 bicchierini da caffè, padella antiaderente diam. 32, tagliere e coltello a lama liscia, paletta da cucina, 2 cucchiaini, 1 cucchiaio, 1 paletta di legno, vassoio, 1 ciotola di medie dimensioni, carta da forno.

fase preparazione polpetteIngredienti (per 4 persone – circa 500 g di polpette):

Per l’impasto delle polpette:

  • Verdure in padella (carote e finocchi) – 150 g
  • Riso basmati integrale cotto – 150 g
  • Pangrattato (integrale) per impasto – 50 g
  • Farina di ceci – 1 cucchiaio pieno
  • Acqua per farina ceci – 2 cucchiai
  • Salsa di soia – 1 cucchiaio
  • Sale fino – ½ cucchiaino
  • Olio evo – 2 cucchiaini
  • Semi di girasole – 1 cucchiaio
  • Pangrattato per impanare polpette – 50 g

Per il sugo di pomodoro:

  • Passata di pomodoro o sugo pronto – 300 g
  • Olio di oliva – 2 cucchiai
  • Aglio – 1 spicchio

Ciuffi di carota – ½ bicchiere

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link: https://www.lacuocainsolita.it/ingredienti/).

In caso di allergie…

Allergeni presenti: Cereali contenenti glutine, soia

Preparazione delle polpette

FASE 1: LE VERDURE E I CEREALI DEL FRIGO

Potete scegliere delle verdure in padella a vostro piacere e in base a quello che trovate in frigorifero. In questa ricetta io ho fatto rosolare uno spicchio di aglio in olio evo, buttato dentro le carote a rondelle e fatto cuocere per 10 minuti. Poi ho buttato in padella anche i finocchi e fatto cuocere tutto insieme per altri 10 minuti. Infine, ho aggiunto il sale.

Io ho sempre in frigorifero un cereale pronto. Questa volta usiamo il riso basmati integrale. Se non vi ricordate come è meglio cuocere i cereali in chicco, andate su https://www.lacuocainsolita.it/miglio-stufato/

FASE 2: IL PANGRATTATO

Meglio se integrale, perché è più ricco di fibre. Io lo ottengo spesso da una forma di pane secco. Basta mettere le fette secche nel mixer e tritare a massima velocità, fino a quando il tutto sarà polverizzato.

FASE 3: LA PREPARAZIONE DELLE POLPETTE

Il gioco è facile: nel bicchierino da caffè bagnate la farina di ceci con l’acqua e mescolate. Intanto mettete nel contenitore del robot tritatutto le verdure, il riso basmati, la salsa tamari, il sale e l’olio e frullate a massima velocità. Aggiungete quindi la farina di ceci idratata e il pangrattato. Dovrete ottenere un impasto abbastanza compatto.

Unite ora i semi di girasole e mescolate delicatamente (devono restare interi). Trasferite in un contenitore e ricavate con le mani delle polpette, che poi impanerete con del pangrattato integrale.

FASE 4: LA COTTURA

Mettete olio di oliva in padella, fatelo rosolare e buttate dentro l’aglio e i ciuffi verdi delle carote sminuzzati come fareste con del prezzemolo. Mettete a cuocere le polpette impanate, a fuoco medio-alto e fate rosolare per circa 5 minuti, poi girate con l’aiuto di due posate e fate altrettanto dall’altro lato. Trascorsi 10 minuti, mettete da parte un po’ di ciuffi verdi di carota soffritti e versate il sugo già pronto nella padella e fate scaldare tutto per altri 5 minuti.

Servite le polpette calde, con una forchetta e un cucchiaio per raccogliere bene anche il sugo al pomodoro.

CONSERVAZIONE

In frigorifero: 3-4 giorni

Le polpette crude: possono essere preparate anche il giorno prima e tenute in frigorifero fino alla cottura. Possono essere messe nel congelatore (su dei vassoi, separate tra loro) e conservate anche per 2-3 mesi. Una volta indurite, potete trasferirle nei sacchetti gelo.

Mariolino e la guida dell’uomo col cappello

/

Da qualche anno possiedo una barca. E’ la Lampreda, cedutami a poco prezzo dal vecchio Lino Sgambarolli, costretto a buttar l’ancora sulla terraferma a causa dei reumatismi e della sciatica che l’hanno piegato in due.

La “sua” Lampreda era la terza di una serie. Diventata mia, riverniciata di bianco e d’azzurro, si è guadagnata il titolo di quarta. Lino mi aveva lasciato piena libertà. “Il nome deve essere quello che più ti piace. Non c’è l’obbligo di tener lo stesso e lo puoi cambiare, tanto lei – che la si chiami per nome o no –  volterà la prua dove decidi tu, manovrando il timone o il colpo di remi. Ma se ti garba chiamarla come l’ho chiamata io, fai una cosa: ribattezzala “quarta”, così la storia va avanti”. Mi raccontò che prima di lei c’erano state altre due Lamprede. La prima, messa in acqua, sul finire degli anni trenta s’inabissò nell’agosto del 1944 davanti alla Punta di Crabbia, dov’era ormeggiata. Un aereo tedesco, volando sul lago in appoggio a un rastrellamento contro i partigiani del Mottarone, tanto per sfogare la sua rabbia impotente visto che i partigiani se ne stavano nascosti nei boschi, la  colpì a morte con una raffica di mitraglia , sventrandole entrambe le fiancate. La seconda barca era stata bagnata nel maggio del 1947, dopo quasi tre anni durante i quali Lino fu costretto ad una lontananza forzata dal lago, minatore prima e scalpellino poi in terra di Francia, dalle parti di Lione. I magri guadagni lasciavano ben poco alla speranza di metter qualcosa da parte ma quei quattro franchi in croce e qualche lira racimolata vendendo un boschetto di castagni dalle parti di Brolo gli bastarono per l’acquisto di una modesta ma robusta lancia da lago. Per trent’anni Lino e la sua barca hanno attraversato in lungo e in largo il Cusio, pescando in ogni dove, con ogni tempo e in tutte le stagioni dell’anno. Fatto salvi, ovviamente, i periodi di ferma. Dalle rive lo salutavano, nei mercati si vendevano i suoi pesci ( almeno finché l’ammoniaca, il cromo e gli altri veleni non trasformarono, a poco a poco, l’acqua in aceto), nelle osterie capitava di ascoltare le sue storie al modico prezzo di un quartino di barbera del Monferrato. A metà degli anni ’80, una massiccia immissione di carbonato di calcio,  riportò l’acqua ad un valore accettabile di acidità. Quella grande pastigliona di bicarbonato fece digerire il lago, tanto che i pesci – dopo tanto boccheggiare – tornarono a respirare e Lino si rimise a pescarli con la sua Lampreda ( la seconda, appunto). Giunta alle soglie del pensionamento forzoso, dopo più di trent’anni di onesta navigazione, figli e nipoti gli fecero una grande sorpresa, regalandogli un gioiello di barca, uscita fresca, fresca  dai cantieri navali di Solcio, sul lago Maggiore. La forma aguzza, slanciata; il fasciame di legno liscio e brillante, gli scalmi d’acciaio inossidabile, lucidi come i pomelli della stufa dell’osteria dove andava a far bisboccia. Un bijoux che si è goduto per poco. Lino è stato un gran vogatore che solo negli ultimi anni si è arreso al motore. Io non ho la sua tempra e seppur non disdegnando d’infilare i remi negli scalmi e darci dentro a bracciate regolari, uso frequentemente il motore. Al calare della sera, tiro in secca la barca nei pressi dell’ex Canottieri, dalle parti dell’Ospedale della Madonna del Popolo. A volte la ricovero da Mariolino, alla Bagnera di Orta. Una soluzione abbastanza comoda, dato che possiede uno sgabbiotto, chiuso con catena e lucchetto, dove si possono ritirare remi e motore. A far la guardia c’è Lupo, il cane di Mariolino: un bastardino bianco e nero che tira fuori i denti e ringhia proprio come un lupo quando s’avvicina un estraneo. “ Il tuo motore è come in banca, lì dentro”, rassicura Mariolino. Non ne dubito affatto. Lupo  esegue l’incarico come un mastino. E se il suo padrone gli dice di star di sentinella ( proprio così..”di sentinella” ) si può scommettere che lui ci mette una grinta sufficiente a scoraggiare i malintenzionati. Mariolino è fortunato ad avere, come “migliore amico dell’uomo” quel cagnetto. Sono sempre insieme, anche quando Mariolino guida la sua vecchia NSU Prinz. Lupo guarda fuori dal finestrino laterale, ringhia alle auto, abbaia alle luci colorate del semaforo, scodinzola quando si passa davanti all’osteria dove la signora Maria spesso gli “allunga” un cartoccio d’avanzi. Il problema è che  Mariolino, con la sua guida da “uomo col cappello”,  fa venire i brividi gelati lungo la schiena. Avete presente quella categoria di automobilisti che, con il loro stile di guida, fanno dannare l’anima? Se si ha la sventura di incontrarne uno così, magari su una strada stretta e tutta curve, o – peggio – essere costretti a stargli dietro mentre arranca sui tornanti, non ci sarà alcun bisogno di usare la tenaglia per strapparvi dalla gola il peggior campionario di accidenti, riversandoglielo addosso. Perché quando si mette al volante un “uomo col cappello” sono guai seri. Non superano mai i trenta all’ora, viaggiano a centro strada, frenano in continuazione, pigiano continuamente il clacson. Impermeabili a tutto: impettiti, con gli avambracci tesi e le mani intente a strangolare il volante. In più, come un distintivo, l’immancabile copricapo ben calcato sulla nuca. In casi come questi il vero malcapitato sei tu, povero diavolo, costretto a guidare a passo d’uomo, alternando il piede da un pedale all’altro: acceleratore ,freno, frizione. Cambio. Freno, acceleratore. Attento a non tamponarlo,  roso dall’indecisione sull’eventuale sorpasso. Manovra, quest’ultima, caldamente sconsigliata: l’uomo col cappello può decidere di svoltare da un momento all’altro, senza preavviso e, dunque, senza mettere la freccia. L’assoluta certezza che lo anima è proporzionale all’incapacità che manifesta impugnando il volante. Dunque, mai sottovalutare chi guida con il cappello. Non conviene contraddirlo. Non mettetegli fretta, armatevi di pazienza e fatevene una ragione. Ecco, Mariolino è uno di questi. L’ esatto contrario del mito futurista della velocità. Più lento della lentezza ma senza alternativa: prendere o lasciare. Si vede proprio che chi nasce uomo d’acqua fa fatica a muoversi con quattro ruote sulla terraferma.

Marco Travaglini

Il ristorante “Giudice” di Torino: Tradizione e Raffinatezza in Città

/
SCOPRI – TO Alla scoperta di Torino 
Nel panorama enogastronomico torinese, il ristorante “Giudice” si distingue come una delle mete più apprezzate da chi cerca un’esperienza autentica, ma al contempo ricercata. Situato in una zona discreta ma centralissima della città, questo locale è diventato negli anni un punto di riferimento per chi ama la cucina piemontese rivisitata con eleganza e misura, senza inutili stravaganze. La filosofia del ristorante si percepisce subito: attenzione per la materia prima, rispetto per le stagioni e un equilibrio tra gusto, memoria e creatività che si riflette in ogni piatto. Il personale, cordiale ma mai invadente, accompagna il cliente in un percorso gastronomico che sa essere tanto rassicurante quanto sorprendente. L’ambiente, curato ma non ostentato, gioca su toni caldi e luci soffuse, con dettagli che raccontano una lunga storia fatta di passione e professionalità. Ogni dettaglio, dai tavoli ben distanziati alle posate lucide, dalla mise en place raffinata al servizio preciso, contribuisce a creare un’atmosfera che invita alla lentezza e al piacere della scoperta.
La carta propone piatti che affondano le radici nella tradizione regionale, come il vitello tonnato, i plin al fondo bruno o il brasato al Barolo, ma li reinterpreta con tecnica e leggerezza. Le porzioni sono calibrate, pensate per accompagnare il cliente in un percorso completo, magari con l’abbinamento dei vini suggeriti da una cantina che spazia tra etichette locali e proposte nazionali di grande pregio. Il pane fatto in casa, servito caldo in piccoli cestini, è il primo segnale di una cura che non lascia nulla al caso. I dolci meritano un capitolo a parte: dalla panna cotta classica al bonet rivisitato fino a interpretazioni più moderne come il semifreddo alla nocciola con croccante di fava tonka; ogni dessert chiude il pasto con una nota di poesia. E proprio questa è una delle chiavi del successo di “Giudice”: la capacità di essere contemporaneo senza rinnegare l’identità di una cucina che ha fatto la storia.
Pur essendo conosciuto e apprezzato, Il ristorante “Giudice” mantiene un profilo basso, lontano dai clamori e dalle mode passeggere. La sua clientela è variegata: coppie, professionisti, famiglie, turisti informati. Tutti accomunati dalla ricerca della qualità e dal desiderio di vivere un’esperienza gastronomica che vada oltre il semplice nutrimento. Non mancano i riconoscimenti, certo, ma ciò che rende speciale questo ristorante è la coerenza con cui porta avanti una visione fatta di serietà, gusto e rispetto. Chi entra dal “Giudice” non cerca effetti speciali, ma autenticità. E proprio per questo, spesso, ci torna. Perché in un’epoca in cui tutto è immediato, rumoroso e replicabile, trovare un luogo che sa di vero è qualcosa di raro e prezioso.
Il “Giudice” non si ferma mai. Ogni stagione porta con sé piccole novità che si inseriscono con naturalezza in un menù coerente, studiato nei minimi dettagli. Le proposte fuori carta, suggerite con discrezione dal personale di sala, sono spesso l’occasione per scoprire ingredienti meno noti o preparazioni inedite. Senza mai perdere il legame con la tradizione, la cucina del ristorante riesce a sorprendere con tocchi contemporanei, accostamenti armonici e cotture perfette. Le verdure provengono da piccoli produttori locali, le carni sono selezionate con cura maniacale e il pesce – presente in carta con misura – arriva fresco ogni giorno. Ogni piatto racconta una storia, un’intenzione, un gesto preciso. E questa precisione, che non è mai rigidità, si percepisce anche nel modo in cui ogni elemento viene pensato per dialogare con il resto del piatto, senza sovrastarlo.
Uscendo dal “Giudice”, si ha la sensazione di aver vissuto qualcosa di più di una semplice cena. È l’effetto che solo certi luoghi riescono a lasciare, quando la qualità incontra il senso del tempo, la discrezione e l’arte dell’accoglienza. Il rapporto qualità-prezzo è equilibrato, considerando l’alto livello della proposta gastronomica e la cura per il cliente. Chi cerca un’esperienza intima, misurata, lontana dai riflettori, trova qui una risposta rara. Non ci sono slogan, non ci sono mode da rincorrere. Solo un lavoro quotidiano fatto con passione e rispetto, in un luogo che parla sottovoce ma resta nella memoria. E forse è proprio questo il segreto del ristorante “Giudice”: la capacità di essere indimenticabile senza mai alzare la voce.
NOEMI GARIANO

Il social burnout

 

ESSERE SEMPRE CONNESSI PUO’ STANCARE.

Sovraccarico tecnologico, stanchezza mentale o stress da iperconnessione, ecco alcuni modi per definire la fatica e la debilitazione da social overdose. Ore e ore passate al computer ad aggiornare profili, leggere e commentare quelli delle altre persone, stare al passo con i tempi dei social network, tutto questo puo´ provocare indebolimento ed esaurimento fino ad arrivare all’allontanamento, a volte definitivo ma piu´ spesso temporaneo, giusto il tempo di disintossicarsi.

La sindrome generale da burnout e´una risposta ad una situazione percepita come stressante che attiva meccanismi di difesa capaci di affrontare la sensazione di esaurimento psichico e fisico. La mancanza di forze e il senso di sconforto puo´anche sfociare in una despressione e non e´da sottovalutare, ma da tenere sotto controllo per scongiurare eventuali complicazioni piu´dificili da gestire e curare.

Questo stress cronico, che nella sua considerazione generale e´ legato perlopiu´ alla vita professionale, si puo´ riscontrare anche in altri ambiti, quello relativo ai social media e´una declinazione specifica che presenta gli stessi sintomi della sindrome da burnout comune: ansia, mancanza di energia e umore altalenante dovuto allo stress.

La fatigue da iperconnessione e´da poco all’attenzione della psicologia, sono cominciati i primi studi e ricerche per capirne le dinamiche. Oltre al tempo passato davanti ad uno schermo, che sia di un computer o di un cellulare, la fonte dello stress proviene dalla velocita´ richiesta per aggiornare i profili e allinearsi con quelli degli altri; riempire le pagine social di contenuti rispettando i ritmi dettati dalla rete e´ faticoso, stressante, nemico della qualita´ e impiega ingenti risorse mentali e fisiche che la maggior parte delle volte non hanno un corrispettivo in un riconoscimento di qualsiasi tipo. E´come una competizione continua con tanti concorrenti che non ha limiti ne´ troppe soddisfazioni e quindi il divertimento iniziale si converte in frustrazione che costringe prima a prendere le distanze e poi a smettere. E´ una illusione virtuale che porta all’esaurimento e alla necessita´di disintossicazione. I social media, purtroppo e per fortuna, evolvono molto velocemente, aggiungono strumenti e aggiornamenti in grado di contenere sempre piu´contenuti ed informazioni, questo e´ certamente coinvolgente e seducente ma allo stesso tempo richiede maggiore risorse e tempo, e´ come un lavoro, un’ attivita´ ´sempre piu´difficile da seguire. Le aziende che gestiscono queste piattaforme si stanno gia´confrontando con gli abbandoni social causati dal digital burnout e dovranno trovare soluzioni per affrontare le conseguenze economiche dovute a questi disagi di ultima generazione che forse potevano essere prevedibili perche´ qualsiasi attivita´deve essere fonte di equilibrio e benessere e persino la tecnologia che ci supporta sempre di piu´in tante delle nostre attivita´deve fare i conti con il nostro essere umani.

Moderazione, dunque, sara´la parola d’ordine insieme ad equilibrio e senso della misura. I genitori dovranno monitorare i figli affinche´questi non passino tutto il loro tempo libero davanti ad uno schermo e infine i fornitori di servizi saranno costretti a considerare maggiormente la soddisfazione del cliente fruitore e soprattutto la sua salute, psicologica e fisica.

MARIA LA BARBERA

Le “Generazioni” di Passepartout

Il tema 2025 della XXII edizione del Festival Passepartout, organizzato dalla biblioteca “Faletti” con la Città di Asti e la Regione Piemonte è “Generazioni”

Il dialogo tra i tempi, la visione del futuro attraverso gli occhi di diverse generazioni e la creazione del domani sono alla base dei confronti di questo Festival. Il tema Generazioni guiderà un programma ricco di spunti, che affronterà l’intelligenza artificiale, il ruolo dell’informazione e le trasformazioni della politica internazionale. Non potrà esimersi da una riflessione sul linguaggio della politica, della divulgazione scientifica e della parità di genere, con uno sguardo al futuro della cultura e alle sfide della letteratura. Come negli anni passati, Passepartout accoglierà protagonisti della cultura, del giornalismo, della scienza e dell’arte e le loro parole, autorevoli e necessarie, daranno forma a un dialogo tra generazioni, nel segno della riflessione e del cambiamento.

Autorevoli esperti si alterneranno sul palco della biblioteca astense, con ingresso da via Carducci 64. In caso di maltempo i dibattiti si terranno sul palco 19, in via Ospedale 19, ad Asti. Saranno introdotti da Roberta Bellesini Faletti, Presidente della biblioteca. Dopo gli interventi martedì 3 giugno di Alessandro Cassieri, Alan Friedman e Andrea Malaguti, mercoledì 4 giugno sono in programma gli incontri con le giornaliste Anna Lena Benini e Agnese Pini. Il Festival ha il suo cuore nella biblioteca astense e reca una storia bellissima, a partire dalle stagioni nelle quali ospitò i più noti scrittori latinoamericani a quella che ha portato ad Asti i maggiori storici, romanzieri, artisti, critici d’arte, magistrati scienziati e due ministri dell’attuale governo, Crosetto e Nordio. Passepartout è diventato uno dei più quotati appuntamenti di cultura, di pensiero e di progetto, e altrettanto quotato appuntamento nazionale da 15 anni è il Premio d’Appello, rinato dall’idea affidata da Paolo Conte a Passepartout. Il Festival nei suoi 22 anni ha dimostrato di possedere energie e attrarre competenze che giovano al ritmo e al futuro della città. In un mondi in rapido cambiamento, le sfide globali, le disuguaglianze sociali e le tensioni geopolitiche richiedono un dialogo aperto e costruttivo tra le diverse fasce d’età, tutelando quel valore che è la capacità di aspirare e proiettare i propri desideri nel futuro.

Giovedi 5 giugno saliranno sul palco Giovanni Maria Flick, Presidente della Consulta dal 2008 al 2009, Professore emerito di Diritto Penale alla LUISS di Roma, Luigi Chiappero, avvocato, dello studio Chiusano, venerdì 6 giugno sarà la volta dell’insegnate di scrittura creativa e professioni dell’editoria all’Università di Pavia Guido Bosticco, Gianfranco Fini e il giornalista Carlo Cerrato.

MARA MARTELLOTTA

A Giaveno un’estate ricca di eventi

Oltre 100 eventi da maggio a settembre, tra tradizione e novità

È uscito il libretto delle iniziative estive, con il calendario di oltre 100 eventi da maggio a settembre. Serate letterarie, teatro, sport, concerti, danza, feste di borgata, jazz, baby dance, fumetti, streetfood, ballo, comicità, incontri: un caleidoscopio di iniziative che intercettano i gusti di persone con diverse aspettative e diverse età.

Un grande impegno da parte degli uffici comunali che hanno curato il palinsesto insieme ad alcune associazioni del territorio.

Sono già stati allestiti gli ombrelli colorati nel centro storico, che fanno da cornice agli eventi; punti fotografatissimi negli anni scorsi e già in questo primo periodo di installazione.

“Sotto un cielo di ombrelli” è il filo rosso che lega tutte le iniziative, anche se si svolgono in luoghi diversi, coinvolgendo anche le borgate.

Ogni anno ci superiamo sia per numero di eventi che per differenziazione – dice il Sindaco, Stefano Olocco – sono convinto che avremo molta partecipazione perché la qualità delle proposte è molto alta. Tra gli eventi in programma ce ne sono alcuni tradizionali (le feste di borgata, Notte Bianca e San Lorenzo) ma per l’estate 2025 c’è anche tanta innovazione: la Notte rosa sotto un cielo di ombrelli, tre serate dedicate al teatro, la rievocazione di una battaglia storica, il teatro a pedali, il concerto di Galassi.

Possiamo citare anche mostre d’arte, GULP fumetti a Giaveno, il ritorno del Giaveno Summer Jazz; e ancora, quattro giorni di festa per il patrono San Lorenzo, dal 7 al 10 agosto: la tappa di Miss Italia, il cabaret del duo comico Marco&Mauro, il comico

Davide D’Urso e lo spettacolo pirotecnico.

Lo scopo degli eventi è quello di stare bene, di stare insieme, di valorizzare le nostre risorse e di favorire il commercio e le attività nel nostro bellissimo centro commerciale naturale a cielo aperto.
Desidero ringraziare tutta la mia squadra e in particolare l’Assessore alla Cultura, Luca Versino, per
le tante proposte che ha inserito e per il prezioso lavoro che sta

portando avanti da mesi. Giaveno nel corso degli anni è diventata un importante polo culturale oltre che turistico. Cito per esempiol’evento con Christian Greco, Direttore

del Museo Egizio e la serata di divulgazione con Luca Perri, “Il ritorno del Nerd”, grazie alla collaborazione con Borgate dal Vivoe dopo il piacere di ospitare Ezio Mauro con il Salone Off”,prosegue Olocco.

Per saperne di più, non resta che sfogliare il libretto dell’estate giavenese, disponibile anche sulle pagine social della Città di Giaveno e dell’Ufficio turistico.

 I riflettori sul mondo vegetale, arriva “Gerla Green”  

In corso Vittorio Emanuele II 78 nasce “Gerla Green”, il primo locale a prevalenza vegetale, con un  nuovo indirizzo gastronomico che unisce salute, gusto e tradizione agricola.

Gerla 1927 lancia, così,  una nuova sfida nel cuore di  Torino e a partire da giovedì 5 giugno apre al pubblico ‘Gerla Green’, primo locale pensato con un’impronta prevalentemente vegetale.

Il nuovo spazio, in corso Vittorio Emanuele  78, offrirà un’esperienza gastronomica  capace di unire cucina salutare all’attenzione estetica  e al rispetto per la terra, in un format contemporaneo ma fedele alla storia del marchio.

“Focalizzarci sulla cucina vegetale – spiega il direttore generale Stefano Chiodi Latini – significa non soltanto seguire l’evoluzione del gusto e del benessere alimentare, ma anche ampliare l’identità del gruppo, offrendo una proposta attenta ai prodotti della terra in tutti i nostri locali”.

Con Gerla Green il gruppo rafforza una visione imprenditoriale  che, nel corso degli anni, ha rilanciato alcune delle insegne più iconiche della città, dal caffè Platti a Norman, da Dezzutto a La Pista, affiancando alla tradizione storica un percorso costante di aggiornamento e formazione, anche attraverso la Gerla Academy.

“Il vegetale non è solo una moda – spiega il presidente Roberto Munnia – ma un’opportunità gastronomica e culturale.  Torino e il Piemonte vantano una grande tradizione agricola, che già nella cucina storica dei Savoia vedeva valorizzata la biodiversità. Con questo nuovo progetto  vogliamo aprire uno spazio che parli il linguaggio della terra con eleganza e sostanza”.

Gerla Green sarà  aperto dal lunedì  al sabato dalle 7 alle 21 con una proposta continua dalla colazione all’aperitivo.  Si tratta di un nuovo tassello nella mappa gastronomica della città che ha lo scopo di rendere il vegetale protagonista, senza estremismi, ma con gusto e identità per rafforzare la sinergia tra i locali del gruppo. Verrà proposta una innovativa colazione proteica, con suggestioni scandinave)  e genuina che si distinguerà dalle tradizionali caffetterie, con selezioni di caffè Lavazza. Grazie alla collaborazione con i due locali Suki acquisiti dal gruppo Gerla in via Rodi e in via Amendola, un sushi man preparerà pranzi e aperitivi a vista, a base di poke e sushi, sia tradizionali sia vegetariani.

Mara  Martellotta

A Cuneo “Red Carpet” per le gloriose “auto d’epoca”

Auto quasi centenarie alla rievocazione della “Cuneo – Colle della Maddalena”. Madrina, Stefania Belmondo

Sabato 7 e domenica 8 giugno

Cuneo

Mancano pochi giorni e nel capoluogo della “Granda” fervono a tutto spiano i preparativi per la rievocazione storica della leggendaria corsa automobilistica “Cuneo – Colle della Maddalena ”, a 100 anni dalla sua prima edizione del 9 agosto 1925, anni davvero pionieristici per il mondo dell’automobile. L’evento, organizzato dall’“Automobile Club Cuneo”, avrà inizio sabato 7 giugnoalle 9, con l’esposizione in piazza Galimberti delle “auto d’epoca” partecipanti, fra le quali alcuni “modelli Lancia” del 1926 e del 1928, accanto ad un’ “Alfa Romeo” del 1928.

Il giorno dopo, domenica 8 giugnole stesse attraverseranno la Valle Stura per salire fino in cima al Colle della Maddalena. Sono già oltre cinquanta le vetture iscritte: tra queste alcuni modelli ormai centenari di Lancia e Alfa Romeo , identiche a quelle che presero parte alle prime edizioni della corsa. A tenere a battesimo la manifestazione sarà Stefania Belmondo , ex fondista (l’italiana vincente più di sempre nel circuito mondiale), pluridecorata campionessa olimpionica, nativa proprio della Valle Stura e scelta come madrina dal “Comitato Organizzatore”.

Le iscrizioni alla rievocazione sono ancora aperte: possono partecipare le auto d’epoca “Storiche” ovvero immatricolate fino al 1961, e le auto d’epoca “Classiche” immatricolate dal 1962 al 1977. Chi fosse in possesso di vetture di quegli anni può contattare l’“Automobile Club Cuneo” al numero 0171/440031 o scrivere all’indirizzo e-mail eventi@acicuneo.it.

moduli di iscrizione sono scaricabili dal sito internet www.cuneo.aci.it

Le vetture costruite entro il 31 dicembre 1961 parteciperanno anche al “Concorso d’eleganza”, la cui premiazione è prevista per la sera del sabato insieme alla “cena di gala”.

Domenica 8 giugno ci sarà la rievocazione su strada: le auto ripercorreranno la Valle Stura fino al Colle della Maddalena con successivo rientro a Vinadio in località Goletta per il pranzo dove si concluderà la manifestazione. Lungo il percorso saranno predisposte alcune “prove di precisione” per chi vorrà provare a cimentarsi ed avvicinarsi alla “Regolarità”.

Sottolinea il presidente dell’“Automobile Club Cuneo”, Francesco Revelli“Ci prepariamo ad accogliere a Cuneo, per questo importantissimo centenario, numerose auto d’epoca che hanno scritto la storia del motorismo italiano del secolo scorso. Tra queste, vetture di marchi storici come ‘Lancia’ e ‘Alfa Romeo’, che hanno contribuito a rendere questa corsa un vero e proprio patrimonio di memoria e passione. Non mancherà ovviamente la ‘Fiat’, così come vetture ‘Renault’, ‘Porsche’, ‘Lambda’, ‘Innocenti” e tante altre ancora. Questo evento, infatti, non solo vuole celebrare la storia e la tradizione dell’automobilismo, ma rappresenta anche un’occasione unica per appassionati e pubblico di rivivere un passato ricco di emozioni e di innovazione tecnica. Invitiamo perciò tutti gli appassionati a partecipare per contribuire a mantenere vivo il patrimonio delle auto storiche italiane”.

Un patrimonio di altissimo livello tecnico e stilistico. A dimostrarlo, alcune delle auto già iscritte fra cui spiccano una “Lancia Lambda VI Serie” del 1926 e un’altra del 1928, comparsa nel film “La sposa bella” del 1960 con l’attrice americana Ava Gardner; da casa “Fiat” arriveranno una “508 SS Coppa Oro” del 1933 e una “1100 Sport” del 1950 che prese parte alle “Mille Miglia” del 1951; altre “meraviglie”, una “Porsche 356 A TI coupè GT” immatricolata per la prima volta a Parigi nel 1956 da un capitano dell’esercito americano, un’“Alfa Romeo 6C 1750 Gran Sport VI Serie – spider carrozzeria Touring” che rappresenta l’ultima versione del modello che portò all’“Alfa Romeo” innumerevoli e straordinari successi internazionali.

Per info dettagliate su programma e iscrizioni: “ACI Cuneo”, piazza Europa 5, Cuneo; tel. 0172/440031 o www.cuneo.aci.it o segreteria@acicuneo.it

g.m.

Nelle foto: Un’auto in partenza da piazza Galimberti in occasione di una delle primissime edizioni della “Cuneo – Colle della Maddalena”; un recente raduno a Cuneo; Francesco Revelli

Un brindisi a Torino: lo Spritz a Km0 che anima le serate estive allo Snodo delle OGR

Giovedì scorso, nel cuore pulsante delle OGR Torino, è stato svelato un nuovo protagonista dell’estate torinese: il “Gran Torino: Spritz a Km0”, il primo spritz interamente dedicato alla città e realizzato con ingredienti tutti piemontesi. Un cocktail che non è solo un drink, ma una dichiarazione d’amore per Torino, i suoi caffè storici, e l’arte dell’aperitivo che qui è nata e si rinnova.

Presentato nel suggestivo dehors dello Snodo, il nuovo Spritz — profumato di mela rossa e firmato Gran Torino 1861 — è pensato per essere gustato all’ora magica in cui il lavoro cede il passo alla convivialità. È un invito a rallentare, a condividere, a tornare a quella semplicità sincera che profuma di casa.

Dietro questo spritz c’è una storia che intreccia passato e futuro: quella dell’aperitivo torinese, nato tra le boiserie dei caffè ottocenteschi e oggi rilanciato nella cornice avveniristica delle OGR, cattedrale della cultura contemporanea. Il “Gran Torino” reinterpreta questa tradizione con un linguaggio nuovo ma fedele alle radici: ogni ingrediente parla piemontese, ogni sorso racconta la città.

Il progetto nasce dalla visione di Riccardo Ferrero, fondatore di Gran Torino, già noto per la produzione di Vermouth e Bitter di qualità. Con l’Aperitivo 1861, l’azienda compie un nuovo passo, proponendo un cocktail che è insieme prodotto locale e simbolo identitario. Il design essenziale delle bottiglie, la scelta di materie prime a filiera corta, la cura dei dettagli: tutto è pensato per esprimere eleganza, autenticità, territorio.

E così, mentre il sole scivola dietro le arcate delle OGR, lo “Spritz a Km0” si candida a diventare il protagonista delle serate torinesi. Una bevuta che non si limita al gusto: è esperienza, racconto, appartenenza. È Torino che si beve, con orgoglio e leggerezza.

Questa estate, al dehors di Snodo, l’appuntamento è fisso: si brinda al presente con uno spritz che guarda al passato, ma ha già il gusto del futuro.

GIULIANA PRESTIPINO