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Ospedale Oftalmico, dibattito infuocato in Consiglio regionale

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consiglio X 1Per l’assessore Saitta la scelta della Giunta porterà addirittura vantaggi all’utenza: “L’inserimento delle attività attualmente ospitate all’Ospedale Oftalmico presso strutture ospedaliere complesse garantirà ai pazienti attualmente tutte le attività di supporto diagnostico e terapeutico necessarie e non presenti attualmente”. La capogruppo leghista Gancia riceve la delegazione dell’Amministrazione comunale di Scarnafigi,  in rappresentanza della comunità che nel 1812 diede i natali al fondatore dell’Oftalmico, Casimiro Sperino

 

“La Giunta Chiamparino non commetterà con l’Oftalmico lo stesso errore che la Giunta Cota fece con il Valdese, chiudendolo senza preoccuparsi di dare adeguate risposte ai bisogni di salute delle pazienti. Non è possibile tornare indietro rispetto a decisioni prese nel passato con Roma, ma il trasferimento delle strutture attualmente presenti all’interno dell’ospedale Oftalmico presso due Hub quali l’A.O.U Città della Salute e il San Giovanni Bosco porterà vantaggi sia ai pazienti sia agli operatori, migliorando il livello delle prestazioni, la qualità dell’assistenza e la sicurezza. Il tutto avverrà senza creare problemi ai malati, nessun dipendente rischierà di perdere il posto di lavoro, e manterremo il Pronto Soccorso h24 e così il Centro di riabilitazione visiva. In questa operazione la Regione coinvolgerà i sindacati, gli operatori e i professionisti che lavorano nel presidio e le associazioni dei pazienti a partire dall’Unione italiana ciechi”. Questa l’opinione dell’assessore regionale alla Sanità Antonio Saitta, in occasione della seduta straordinaria del Consiglio regionale dedicata al futuro dell’Ospedale Oftalmico di Torino.

 

Ma non è dello stesso avviso l’opposizione: “Con il voto di oggi l’Oftalmico viene smembrato dal centrosinistra. Al grido di ‘contrordine compagni’ la Giunta Chiamparino quindi mostra il suo vero volto: quello di forza politica opportunista che gioca le partite a fianco dei cittadini, partecipando a fiaccolate, convegni e raccolte firme, ma esclusivamente per fini elettorali”. A sostenerlo il gruppo di Forza Italia e in particolare il capogruppo degli azzurri Gilberto Pichetto e i consiglieri regionali Porchietto e Vignale.

 

Continuano i consiglieri di Forza Italia: “Saitta smentisce quanto da lui dichiarato fino a pochi giorni fa. L’Oftalmico non verrà solo spostato di sede e inglobato in un’altra struttura, ma smembrato tra le Molinette e il San Giovanni Bosco. Lo dimostra la bocciatura non solo della nostra mozione – che chiedeva che il nosocomio di Via Juvarra non venisse trasferito fino alla costruzione della nuova Città della Salute – ma soprattutto il voto contrario espresso dal centrosinistra all’ordine del giorno del consigliere di maggioranza Monaco che domandava il mantenimento dell’unitarietà del presidio. Una situazione paradossale e priva di qualsiasi criterio oggettivo visto che già in Piemonte esistono ospedali monospecialistici quali Candiolo, CTO, Regina Margherita e Sant’Anna. E in Europa si pensi ad esempio al Moorfields Eye Hospital di Londra, all’Hospital Jules Gonin di Losanna e al Karolinska Institutet in Svezia”.

 

«Se proprio Chiamparino vuole smembrare l’Oftalmico, abbia la cautela di attendere la costruzione della Città della Salute, dove eventualmente trasferire in blocco l’ospedale, che fino a quel momento è bene resti dov’è, nell’interesse dei pazienti e degli operatori sanitari». Gianna Gancia, presidente del gruppo Lega Nord in Consiglio regionale del Piemonte, è intervenuta a sostenere le ragioni sottoscritte da oltre 40 mila cittadini e raccolte in una mozione consiliare (poi bocciata dalla maggioranza) . «Non si tratta di essere contrari per partito preso a qualsiasi forma di razionalizzazione amministrativa della Sanità – ha spiegato Gianna Gancia -, ma dividere l’Oftalmico in due tronconi è una scelta certamente antieconomica, illogica e pregiudizievole per la salute dei pazienti. Non c’è alcun bisogno di intervenire, la struttura è stata sottoposta a totale ristrutturazione e non presenta criticità di bilancio. E’ un ospedale di eccellenza, di assoluta priorità per la salute dei cittadini». La presidente leghista ha anche incontrato e ringraziato la delegazione dell’Amministrazione comunale di Scarnafigi, presente al Consiglio regionale con il sindaco Riccardo Ghigo, il consigliere Mauro Bollati e il gonfalone comunale, (nelle foto) in rappresentanza della comunità che nel 1812 diede i natali al fondatore dell’Oftalmico, Casimiro Sperino.

 

Per l’assessore Saitta la scelta della Giunta porterà addirittura vantaggi all’utenza: “L’inserimento delle attività attualmente ospitate all’Ospedale Oftalmico presso strutture ospedaliere complesse, dotate di tutte le funzioni di strutture ‘di secondo livello’, quali la Città della Salute o l’Ospedale S. Giovanni Bosco, porterà vantaggi da numerosi punti di vista. Intanto, garantirà ai pazienti attualmente tutte le attività di supporto diagnostico e terapeutico necessarie e non presenti attualmente all’Oftalmico, quindi senza necessità di trasferimento del paziente come accade oggi. Analogamente, arricchirà le competenze delle Strutture ‘ospiti’ di una specialistica di eccellenza, mettendo a disposizione di pazienti e professionisti l’esperienza maturata presso l’Oftalmico, e favorirà l’integrazione tra specialisti (oculisti, neurochirurghi, cardiologi, ecc.) permettendo la crescita e l’affinamento delle diverse tecniche di approccio al paziente. Tutto questo si tradurrà in aumento della qualità dell’assistenza dal momento che verrà aumentata la sicurezza dei pazienti (mettendo a disposizione degli stessi tutti i supporti eventualmente necessari, compresi quelli legati all’assistenza in emergenza e intensiva – in particolare nei casi di complicanze e/ o di emergenze cardiovascolari o neurologiche – e riducendo gli eventuali trasporti/trasferimenti legati all’espletamento di prestazioni/attività non presenti presso l’Ospedale Oftalmico). Senza dimenticare che la ricollocazione delle attività e l’organizzazione più efficiente del personale consentirà di ‘liberare’ risorse preziose da impiegare a favore dei cittadini”.

 

I Balcani nelle immagini di Paolo Siccardi

balcani3La mostra è esposta in un luogo-simbolo della storia del Novecento: la Casa della Resistenza di Fondotoce, a Verbania. In quelle immagini, rigorosamente in bianco e nero, sono riassunti dieci anni di guerre, di speranze e di cambiamenti di confini 

 

siccardi foto“Per me i Balcani, oltre a guerre e secessioni, richiamano note bastarde, voci e frequenze che bucano i confini, ignorano i visti, i passaporti e le lingue, per andare dritti al cuore dell’uomo”. Così descrive le terre ad est, oltre l’Adriatico, Paolo Rumiz, giornalista e scrittore. Ed è più o meno lo stesso per Paolo Siccardi che però non usa le parole ma le immagini delle sue fotografie. “Balcani, oltre i confini” è il titolo della mostra esposta in un luogo-simbolo della storia del Novecento:la Casa della Resistenza di Fondotoce, a Verbania. In quellebalcani2 immagini, rigorosamente in bianco e nero, sono riassunti dieci anni di guerre, di speranze e di cambiamenti di confini nei Balcani attraverso un viaggio itinerante che parte dalla rete di Gorizia e corre lungo un sottile filo virtuale unendo queste terre ad un unico destino. Un viaggio attraverso linee di confini che non rappresentano solo cicatrici nella geografia dei luoghi   ma un grumo d’emozioni, gioie e soprattutto dolore che pesano nell’anima della gente che abita e abitava queste regioni. Soprattutto a cavallo del millennio, nell’ultimo decennio del “secolo breve”.

 

balcani1Tempo di guerre e dissoluzione, raccontato da Siccardi, photoreporter freelance noto per i suoi reportage dalle zone di guerra più “calde” del mondo, fissando ogni tappa del viaggio con le immagini  più significative, corredate da un brevissimo scritto a commento. Un progetto visivo che si apre con una fotografia simbolica del riflesso in una pozza d’acqua della rete di Gorizia abbattuta nel 2004 che divideva i quartieri periferici della città italiana con quella slovena di Nova Gorica. Le fotografie che seguono sono un flash-back all’indietro del lavoro proposto, cioè alcune immagini dei clandestini che negli anni novanta,per sfuggire alle guerre balcaniche, attraversavano come oggi quella frontiera. Fermati dalla Polizia, schedati ebalcani4 rimandati ai loro paesi di origine, lasciando per terra lungo le maglie bucate della rete la propria memoria storica dei ricordi (fotografie dei propri cari, documenti ed oggetti personali per non essere identificati dalle autorità di frontiera). Quella rete per i migranti diventava la porta per l’Europa di Schengen come oggi il passaggio a nord di Subotica, in Ungheria. Il percorso segue poi la linea della complessa geografia dei confini nella ex-Jugoslavia negli ultimi vent’anni, con le singole popolazioni stritolate da u conflitto pazzesco con i propri vicini di casa e con la propria storia.

 

Tutte le fotografie sono tratte da un lungo lavoro nell’arco degli anni del conflitto, spostandosi sui vari fronti della guerra e toccando non l’aspetto militaristico, ma bensì quello sociale delle popolazioni della ex-Jugoslavia. Siccardi, in quegli anni, scatta immagini dalla Croazia alla Bosnia, dal Kosovo alla Serbia e dedica un intenso capitolo al lungo assedio di Sarajevo. Una di questa straordinanza testimonianza fotografica include l’Albania, “il paese delle Aquile”, prima del grande esodo di Bari del 1991 e chiuso per quart’anni balcani5da un regime nel cuore dell’Europa, per giungere alla rivolta dei Comitati Spontanei Rivoluzionari nel 1997 con la caduta delle società finanziarie albanesi creando il “caos” tra la popolazione e una guerriglia di bande rivali all’interno dello stesso territorio. La Romania, con la pesante eredità lasciata dal “Contucator” Ceausescu si propone con i suoi tremila ragazzi di strada che vivono nelle fogne di Bucarest, sniffando colla. Gli orfanotrofi e ospedali dove sono ricoverati i bambini sieropositivi, usati al tempo del dittatore come cavie umane dalle case farmaceutiche straniere per la sperimentazione medica. Le storie raccontate in questo capitolo sono il vissuto personale dell’autore con i ragazzi di strada, vivendo sotto terra nei cunicoli a Bucarest per ottenere la loro fiducia ed essere accettato all’interno dei loro clan.

 

Così come il racconto all’interno dell’ospedale “Babes” di Bucarest e nella Casa Famiglia di Mino D’Amato dove vivono i bambini colpiti da HIV. C’è poi a Moldavia, piccola parentesi all’interno della Romania, attraversata dal Danubio che solo in terra balcanica ritorna con il nome al maschile “Die Donau”; una regione considerata, dopo il crollo del socialismo, la nuova frontiera occidentale, ma attualmente dopo vent’anni si trova ad essere “l’est più ad est” che si possa immaginare di quelle terre. Lo stesso si può dire per la Bulgaria, dove le immagini narrano la lenta trasformazione del paese che dal socialismo passa alla privatizzazione delle piccole e medie industrie tra mille contraddizioni. Un viaggio che, nella quarta ed ultima sezione, comprende la Macedonia, triangolo di terra conteso tra Albania e Grecia, dove nel ’99 scoppiarono alcuni tumultibalcani6 da parte dalla minoranza kosovara albanese contro il governo centrale per l’indipendenza di alcune parti del territorio. E qui, l’esistenza dell’ultimo capo spirituale del sufismo nei Balcani,  consente d’imprimere una boccata di spiritualità alla complessità del lavoro fotografico che incontra poi la Grecia a Salonicco, l’antica Tessalonica, dove si mescolano le popolazioni di diverse etnie migranti, considerata la porta tra occidente ed oriente, sul bordo di un confine inesistente.

 

L’ultima immagine del percorso fotografico (riassunto nella sua totalità dal video che accompagna l’esposizione) ci porta in riva al mare, a quell’Adriatico che, simbolicamente, si propone come linea virtuale che corre in uno spazio obliquo infinito, a volte quasi irraggiungibile per i clandestini che affrontano un viaggio per la fuga. E’“il mare dell’intimità”, come lo definisce Predrag Matvejevic, uno dei più grandi intellettuali europei dei Balcani .Lo stesso specchio d’acqua su cui s’affacciano genti diverse per genere e provenienza, le cui storie sono inesorabilmente destinate ad intrecciarsi, come ci suggerisce Paolo Siccardi che, con le sue immagini, ci regala forti emozioni e  un potente richiamo alla realtà della storia. 

 

Marco Travaglini

Lettera a un amore mai nato

Vagavamo con aria serissima per la città al tramonto come due soldati che si tengono per mano, in silenzio, così, con qualche occhiata complice, come se ci conoscessimo da una vita

 

 

cuore coppia amoreCiao amore mai-nato, quanto ci saremmo divertiti insieme. Quante cose avremmo potuto fare se solo quel giorno anzichè camminare e guardarti di striscio ti avessi afferrato e tirato giu dal pullman in cui ti avevo occhieggiato per baciarti davanti a tutti, una scena proprio tanto da film.

 

Avremmo preso insieme un enorme gelato di quelli con la panna le nocciole e anche i marshmallows, e pure il cacao, ho deciso così. Io potevo sbrodolarmi tanto ero vestita di nero-ma no che triste il nero, facciamo che ero vestita di blu- e tu facevi finta di non vedere le ditine appiccicose e la faccia piena di cioccolato.

 

Vagavamo con aria serissima per la città al tramonto come due soldati che si tengono per mano, in silenzio, così, con qualche occhiata complice, come se ci conoscessimo da una vita. E gli altri pensavano “che coppia” lei tutta impettita nel suo metro e cinquanta la coda biondissima e la faccia piena di gelato e lui invece così alto e rosso di capelli e la faccia serissima. Sembrano felici però a vederli da qui.

 

E la cosa bella è che noi eravamo veramente felici, il sorriso non ci serviva a niente, avevamo uno scopo, ed era camminare allacciati sconosciuti e innamorati, senza fermarci mai.

 

Federica Billone

Un'Aida da Oscar inaugura la stagione lirica del Teatro Regio

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Scelta per celebrare la riapertura al pubblico dopo tre anni di lavori del Museo Egizio, l’Aida per la regia di William Friedkin è un’opera verdiana senza tempo

 

 

Di tutta l’opera dell’Aida verdiana forse l’aria più famosa rimane “Celeste Aida”, la romanza che lega sicuramente la sua celebrità a grandi interpreti come il tenore Enrico Caruso. Di rara bravura sono anche gli interpreti che saliranno sul palco mercoledì 14 ottobre, alle 20,  per interpretare l’Aida, cui il teatro Regio di Torino affida quest’anno l’inaugurazione della sua stagione lirica.  Il ruolo del capitano Radames è affidato al tenore Marco Berti, quello della schiava etiope al soprano Kristin Lewis, e quello di Amneris, la figlia del faraone invaghita di Radames, al mezzosoprano Anita Rachvelishvili.  Sarà un’Aida trionfale da Oscar quella che incanterà il pubblico torinese, da Oscar appunto, perché a firmare la regia è William Friedkin,  già premio Oscar per la regia dell’ “Esorcista”,  esponente di punta della “New Hollywood” degli anni Settanta e autore di capolavori polizieschi quali “Il braccio violento della legge” (The French connection).

 

Cresciuto nei quartieri malfamati di Chicago, con il film precedente è stato riconosciuto come un giovane prodigio. Vincitore di cinque Premi Oscar e tre Golden Globe, ha firmato la sua prima regia d’opera nel 1999. Da allora ha realizzato diversi allestimenti che hanno da sempre attirato l’attenzione della critica.  “Spesso impiego anche due anni – spiega Friedkin – per mettere a fuoco una regia; non amo le provocazioni inutili che si scontrano con le idee del compositore. Dal mio punto di vista il carattere più interessante in Aida è quello di Amneris,  perché in lei convivono emozioni opposte, di amore e odio per il capitano delle guardie, personaggio con il quale faccio fatica a identificarmi,  perché veicola un conflitto troppo violento. Appena lo incontriamo sulla scena, il suo desiderio più profondo è quello di condurre il suo popolo in battaglia, ma nel giro di pochi minuti è pronto a lasciar perdere e a tradire la sua gente per amore di una schiava,  Aida, figlia del re degli Etiopi”.

 

In questa produzione Kristin Lewis, originaria dell’Arkansas, sarà Aida. Dotata di un timbro sensuale, corposo e limpido, ha interpretato per la prima volta questo ruolo nel 2006, presso l’Opera del Cairo e ha fatto di questo personaggio verdiano un punto di riferimento.  Anita Kachvelishvili sarà Amneris. L’immensa quantità di suono e di armonici che possiede questa mezzosoprano dà nuova luce al difficile ruolo creato da Verdi, di gran peso vocale e drammaturgico. Il tenore Marco Berti, che il pubblico del Regio ha  avuto modo di ascoltare in ruoli a lui congeniali, quali don Jose’ , Pollione,  Cavaradossi, possiede un timbro luminoso e duttile, perfetto per il ruolo del condottiero, che risulta una parta impervia e complessa, per la quale Verdi scrisse passi di grande finezza espressiva. Il basso baritono Mark S. Doss interpreterà il ruolo di Amonasro, dimostrandosi capace di scolpire ogni sillaba del dettato verdiano con potenza e musicalità. Coerentemente con il lavoro realizzato per il primo allestimento, il regista ha scelto di mantenere in scena le ambientazioni originali dell’antico Egitto. A Torino, dove ha sede il Museo Egizio,  il secondo al mondo per le antichità egizie dopo quello del Cairo, con questo allestimento di Aida si è voluto rendere omaggio alla riapertura del Museo dopo tre anni di lavori.

 

“Ciò che più mi affascina di questa imponente partitura verdiana – spiega il regista – è la visione di Verdi, capace di spaziare da uno spettacolo maestoso, corale e di grande respiro, a piccoli momenti di profonda intimità.  Da un lato è presente la grandiosità dei panorami e delle marce trionfali, dall’altra l’intreccio affettivo tra i due amanti, Radames e Aida, che saranno legati per l’eternità,  cui si contrappone la solitudine di Amneris, che solo alla fine comprende che Radames prova un amore fortissimo e divorante per Aida, e che ciò è scritto nel destino. La musica di Verdi è dono di Dio, capace ancora oggi di stimolarci e  ispirarci, emozionandoci. Le sue opere, oltre a essere bellissime, sono meravigliose da vedere. Basti pensare al finale dell’Atto II, la scena più spettacolare che mai sia stata scritta per l’opera”.

 

Mara Martellotta

L'Auditorium Rai inaugura con il dramma lirico "Pelleas et Melisande"

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L’Orchestra Nazionale della Rai affida l’ inaugurazione della nuova stagione a Debussy, un testo innovativo per il teatro musicale contemporaneo

 

A inaugurare la stagione 2015-16 dell’Auditorium Rai di Torino sarà il dramma lirico “Pelleas et Melisande” di Claude Debussy, articolato in cinque atti e dodici quadri, su libretto di Maurice Maeterlinck.  L’opera,  proposta sotto forma di concerto, verrà eseguita giovedì 15 ottobre alle 20.30 all’Auditorium Rai Arturo Toscanini,  con trasmissione in diretta su Rai 5, con la conduzione di Mathieu Mantanus,  e su Radio 3, con replica venerdì 16 ottobre sempre alle 20.30.  Claude Debussy era profondamente convinto dell’innovazione che quest’opera avrebbe rappresentato nel linguaggio musicale dell’epoca, tanto da scrivere “Non pretendo di avere scoperto tutto con Pelleas, ma ho cercato di tracciare una strada che altri potranno seguire”.

 

La pagina, sintesi perfetta del simbolismo musicale di Debussy e di quello teatrale di Maeterlinck,  verrà interpretata dal direttore principale dell’orchestra Nazionale della Rai, Juraj Vulcuha. La compagine Rai ripropone questo splendido dramma musicale a ventun anni dalla sua ultima esecuzione,  avvenuta nel lontano ’94, proprio poco dopo la nascita dell’Orchestra Sinfonica della Rai con sede a Torino. Accanto al Direttore Vulcuha,  un  cast artistico quasi tutto francese, con il soprano Sandrine Piau e il baritono Guillaume Andrieux nei ruoli dei protagonisti,  il baritono Paul Gay in quello di Golaud,  il soprano Chloe’ Briot nei panni del piccolo Yniold,  il contralto  Karan Armstrong in quello di Genevieve. Il baritono Mauro Borgioni comparirà nel doppio ruolo del dottore e del pastore, mentre il basso Robert Lloyd in quello di Arkel.

 

Da tempo Debussy attendeva un soggetto per comporre un’opera. Riuscì a trovarlo solo nel 1892 nel testo di Maeterlinck,  rimanendo ulteriormente folgorato dalla rappresentazione di questo dramma teatrale, avvenuta a Parigi nel 1893. Il compositore francese completò il Pelleas soltanto nel 1902, a causa di numerosi ripensamenti, e l’opera andò in scena al Theatre National de l’Opera-Comique a Parigi, il 30 aprile di quell’anno, creando sconcerto tra il pubblico e divisioni nella critica. La lunga gestazione dell’opera ebbe, tra le altre cause, anche un rovello costante per Debussy, il suo sforzo di evitare, il più possibile, di cadere nella tentazione wagneriana di fare della sua opera una copia francese del Tristano e Isotta. Se Pelleas si allontana dal dramma musicale wagneriano per la scelta di un testo in prosa e la conseguente rigenerazione del canto sul tono tipico della conversazione,  Debussy si approprio’ dei motivi conduttori, spostando il luogo deputato di raccordo psicologico e architettonico alla sola orchestra. Le voci di Pelleas, infatti,  non fanno mai propri nessuno dei temi di cui è intessuta la partitura.  Gli accordi incompleti e fluttuanti dell’anarchia armonica di Debussy rappresentano la cifra più personale di questo innovativo compositore del Novecento. L’orchestra,  su questa base armonica, si fa carico di unire le brevi scene di un testo che rinuncia all’unità di tempo e distribuisce l’azione in una regione del sogno e dell’indeterminato. In Pelleas, infatti, è molto evidente l’intrinseca complementarietà di simbolo e inconscio,  capace di rendere questo testo antioperistico e antirealistico una pietra miliare nella complessa evoluzione del teatro musicale contemporaneo.

 

Il concerto di giovedì 15 ottobre sarà preceduto, alle 18.45, sempre all’Auditorium Rai, dalla prima conversazione del ciclo intitolato “Saper ascoltare”, una serie di incontri organizzati in collaborazione con la Banca di Asti, tenuti dal professor Paolo Gallarati,  che vogliono introdurre il pubblico ai classici della musica moderna.

 

Mara Martellotta

Medicina d'emergenza, congresso al Lingotto

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Al centro del dibattito l’emergenza sanitaria, la gestione della presenza dei profughi nei vari Paesi, l’organizzazione dei soccorsi nelle zone di guerra

 

Fino a mercoledì oltre 2.000 medici e infermieri d’emergenza si danno appuntamento a Torino, al Centro Congressi del Lingotto, in occasione del 9° congresso Eusem, European society for emergency medicine. Al centro del dibattito l’emergenza sanitaria, la gestione della presenza dei profughi nei vari Paesi, l’organizzazione dei soccorsi nelle zone di guerra, il sovraffollamento nei pronto soccorso di tutta Europa. L’iniziativa è promossa da Eusem, in collaborazione con Simeu, Società italiana medicina di emergenza-urgenza.
   

Librolandia e presunti scandaletti: l'orgoglio di Rolando, il vecchio leone

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SALONE 111“E’ a dir poco triste che chi ha tenuto alto il valore e il prestigio della Città riceva tanto ingrato ostracismo”

 

La legge che impera in questo nostro paese “non normale” è quella della ricerca dello scandalo ad ogni costo. E così il patron di Librolandia, tirato in ballo alla veneranda età di 79 anni  in un’inchiesta che sembra fatta apposta per dare titoloni di giornali in pasto al pubblico, reagisce con orgoglio all’ultimo presunto scandaletto degli  ingressi gonfiati al Salone del Libro, “elaborati da Società esterne”, e che sono sempre stati “pienamente accessibili”. E’ quanto dice  all’ANSA l’ex presidente Rolando Picchioni, un vecchio leone democristiano che non ci sta al gioco del massacro mediatico gratuito. “Quanto sta avvenendo – dice all’agenzia stampa – è un’assurda ricerca di un capro espiatorio del quale né il Salone né la Fondazione, per 15 anni vanto della Città, avevano bisogno”. “E’ a dir poco triste che chi ha tenuto alto il valore e il prestigio della Città riceva tanto ingrato ostracismo”. E ha pienamente ragione.

 

(Foto: il Torinese)

Come schiarirsi i capelli da sole, con facilità

Camomilla ma anche limone e birra: ingredienti naturali, economici e casalinghi per ottenere l’effetto “baby light” che va di moda questa estate

 

capelli-biondiTi piacerebbe far risaltare i tuoi capelli schiarendoli un po’ senza dover correre dal parrucchiere? Sappi che puoi ottenere dei buoni risultati anche tutta da sola a casa e con ingredienti che ti stupirai avere già in cucina. Preparati a spendere poco ed avere un bel risultato.

 

Schiarire in modo naturale
Il metodo più noto per schiarire i capelli in maniera naturale è usare la camomilla. Prendi due bustine di camomilla, se hai i capelli molto lunghi meglio metterne una in più, e prepara un’infusione mettendole in un pentolino con dell’acqua e portando ad ebollizione. A questo punto spegni e fai raffreddare. Dopo lo shampoo usa l’infuso preparato per bagnare i tuoi capelli e lasciali asciugare al sole. Per avere un risultato ancora più evidente ripeti l’applicazione per 2 o 3 settimane dopo lo shampoo.

Ingredienti in cucina
Forse non lo sapevi ma in cucina troverai anche altri ingredienti utili per avere capelli più chiari, aprendo il frigo o nel cestino della frutta. Il limone può essere un prezioso alleato dei tuoi capelli. Spremi due limoni e diluisci un po’ il succo con dell’acqua; utilizza il liquido ottenuto per bagnare i capelli e lasciarli così per mezz’ora. Attenta però, questo metodo non è consigliato se hai i capelli secchi e disidratati: in questo caso meglio la camomilla.

A tutta birra
Altro ingrediente che potrai trovare in cucina è la birra: versane una lattina in una bacinella e bagnati i capelli, lasciandoli così per qualche minuto, meglio cinque. Una volta strizzati i capelli, avvolgili in un asciugamano ed aspetta un’ora; a questo punto non ti resta che fare uno shampoo. Ripeti dopo qualche giorno l’applicazione.

Sigonella trent'anni dopo. Ma il Pd si dimentica di Craxi

craxiLA GANGAandreottiLA VERSIONE DI GIUSI /

di Giusi La Ganga 

 

Il governo italiano, guidato da Craxi e con il leale sostegno del ministro degli Esteri Andreotti, seppe resistere al riflesso condizionato di supina acquiescenza ai voleri dell’alleato più potente, che pretendeva la consegna di un gruppo di terroristi palestinesi che avevano sequestrato la nave “Achille Lauro”, negoziando poi con il governo italiano il rilascio dei passeggeri

 

Sono passati trent’anni esatti dalla vicenda di Sigonella, che costituisce uno degli eventi più significativi degli anni ’80 e rappresenta il punto più alto della rivendicazione di autonomia della nostra politica estera, quasi sempre gestita con spirito gregario rispetto agli USA.  La cosa apparentemente più sorprendente è che il protagonista principale, Bettino Craxi, era da sempre definito dall’opposizione comunista come l’ “amerikano”, quello degli euromissili del 1979.  I fatti sono ampiamente noti.  Il governo italiano, guidato da Craxi e con il leale sostegno del ministro degli Esteri Andreotti, seppe resistere al riflesso condizionato di supina acquiescenza ai voleri dell’alleato più potente, che pretendeva la consegna di un gruppo di terroristi palestinesi che avevano sequestrato la nave “Achille Lauro”, negoziando poi con il governo italiano il rilascio dei passeggeri. In quei giorni tragici i terroristi avevano ucciso un passeggero americano. Il reato era compiuto su suolo italiano (nave battente bandiera italiana) e quindi italiana era la giurisdizione. Ma in passato (e anche in seguito) gli americani erano abituati a pretendere la consegna dei responsabili.  L’Italia si oppose, anche perché aveva risolto la crisi con un negoziato che aveva salvato molte vite e che prevedeva un salvacondotto per il commando palestinese autore del sequestro.

 

Al di là del giudizio sull’opportunità di negoziare, era evidente che l’Italia, nella sua sovranità, aveva scelto quella che riteneva la soluzione migliore e meno rischiosa per le moltissime vite umane coinvolte.    La pretesa americana, se accolta, avrebbe confermato che la sovranità nazionale cessava di aver valore di fronte ad un alleato prepotente. Ci furono momenti di grande tensione, con scene da film. I caccia americani che fanno atterrare nella base di Sigonella l’aereo con a bordo i terroristi, circondandolo con i marines di stanza nella base. Marines a sua volta circondati da un reparto di carabinieri, che avevano l’ordine di lasciar ripartire l’aereo. lla fine gli americani cedono e la crisi si supera.

 

Due giorni dopo alla Camera il governo ottiene una larghissima approvazione, con l’eccezione dei repubblicani (Spadolini si dimette da ministro della Difesa) e del Movimento Sociale.  Il PCI di Berlinguer deve abbozzare. A denti stretti riconosce che Craxi ha difeso il prestigio nazionale.  Dall’alto dell’emiciclo potevo vedere parecchi deputati comunisti (fra cui Giancarlo Pajetta) che applaudivano sotto il banco, per non dare nell’occhio. Craxi, atlantista e filoamericano, ma non servo, l’aveva spuntata. Ma gli Usa non si scordarono quello che ritennero un grave torto e, anni dopo, a Craxi e Andreotti  restituirono lo sgarbo.  Ma questa è un’altra storia. Dopo trent’anni la notte di Sigonella è stata ricordata con evento pubblico e la proiezione di un docu-film.  C’erano molte personalità  politiche. Mancava il PD.   Francamente una assenza sciocca e incomprensibile.

Ci lascia Massimo Scaglione, grande regista piemontese

Fondatore del Teatro delle  Dieci, ha sempre difeso il recupero della piemontesità

 

 

Massimo_ScaglioneEra un gran signore, forse erano inusuali per i nostri tempi convulso e disordinato la sua eleganza e la sua squisita gentilezza che mostrava con tutti; era un grande signore del teatro italiano Massimo Scaglione. . Se n’è andato in una giornata di ottobre lasciandoci un grande vuoto. Nato a Garessio nel 1931, approdò alla Rai vincendo un concorso come regista nel 1955, per un posto allora occupato da Aida Grimaldi. Assunto, quindi,  come assistente di studio, iniziò la sua attività artistica in radio. A lui si deve la fondazione di una compagnia teatrale storica torinese, il Teatro delle Dieci, a fianco del quale avrebbe firmato numerose  regie per il palcoscenico. A partire dal ’62 intraprese quindi l’attività di regista televisivo, per poi abbandonare la regia nel 1992. Ampia la filmografia che ci ha lasciato. Solo prima citare alcuni titoli, “Albert Einstein”,  “Il versificatore”,  tratto da Primo Levi, “Una nuvola d’ira”,  da Giovanni Arpino, scrittori da lui molto amati, e “Ancora un giorno” da Joseph Conrad. Non si può assolutamente tralasciare la sua regia della parodia dei Promessi Sposi con il trio Marchesini Lopez – Solenghi.

 

Massimo Scaglione era uomo di teatro a 360 gradi. Amava molto, infatti,  anche l’opera lirica, tanto da  curare, nel 1991,  la regia della prima rappresentazione,  al Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania de “Il paese del sorriso”. A lui si deve il grande merito di aver contribuito, con l’inseparabile amico Gipo Farassino,  al recupero della cultura piemontese, il cui amore era capace di trasmettere, in maniera naturale, non solo al suo pubblico sempre affezionato, ma anche agli studenti, che seguivano i suoi corsi universitari al Dams. Più di recente curò la regia dell’Elisir d’amore di Donizetti,  in una versione in lingua piemontese, datata 1859, recuperata e allestita dalla Società Culturale Artisti lirici ” Francesco Tamagno”. Ci lascia molti saggi sulla storia del teatro, in particolare piemontese. Mi piace ricordare la sua cordialità nell’ambiente del Teatro delle Dieci, una rara signorilità,  che si rifletteva anche nel suo stile di scrittura, come nel celebre saggio intitolato ” I divi del ventennio. Per vincere ci vogliono i leoni…”. Quei leoni che nel mondo oggi, tanto artistico quanto politico, troppo spesso mancano perché mancano il coraggio delle proprie idee e la coerenza con se stessi. 

 

Mara Martellotta