LIFESTYLE- Pagina 217

Il Mammut e la vetta del Mottarone

Ale era un bambino vivace. Tanto vivace che in casa lo chiamavano “argento vivo”. Con la sua famiglia abitava sulla collina del Parogno, proprio in cima alla salita della Verzella, in un punto dove – con lo sguardo – si dominava tutto il centro della sua città. Era uno spettacolo, soprattutto di notte, nelle giornate di vento: Omegna stava lì sotto, punteggiata da centinaia e centinaia di luci che parevano fiammelle tremolanti. Già da piccolo era capace di stare – proprio lui, così irrequieto – anche più di un’ora al giorno incollato alla finestra oppure appoggiato alla ringhiera del balcone per guardare, affascinato, la montagna che aveva davanti: il Mottarone.

 

Quella montagna, per Ale, aveva qualcosa di misterioso che stuzzicava la sua fantasia. E ne aveva, oh se ne aveva, di fantasia. Mentre i suoi amici giocavano, si rincorrevano, lui – che non si tirava certo indietro – a volte veniva come rapito da quel monte. Non passava giorno che , almeno per un po’, non lo scrutasse in lungo e in largo, passando in rassegna tutti i contorni delle vette, scendendo – con lo sguardo – tra gli alberi fin giù, alle prime case di Omegna tra le Brughiere, Verta, Vignale e Borca segnavano il perimetro più basso della montagna. Almeno così era per quello che poteva vedere con i suoi occhietti vispi dall’osservatorio di casa sua. Persino a scuola, dove frequentava la quarta elementare, non staccava gli occhi dal Mottarone.

Per sua fortuna e per disperazione  della maestra che, di tanto in tanto, doveva chiamarlo più volte per nome al fine di ottenerne l’attenzione al lavoro della classe, il suo banco era proprio di fianco alla finestra che dava, guarda caso, sulla montagna. Ale si metteva a guardare, appoggiando la testa bruna sulle braccia incrociate, la “sua” montagna. Già, poiché lui aveva una montagna tutta per se. O almeno era ciò che pensava, correndo con la fantasia. Un giorno gli sembrò persino che si fosse mossa, proprio lassù sulla vetta, tra la baita-rifugio del Club Alpino e le antenne paraboliche  della televisione ( in realtà erano dei ripetitori radiotelevisivi che, una volta ricevuto il segnale, lo ritrasmettevano nella zona, in tutte le case: ma per lui erano “le paraboliche”, perché gli ricordavano delle specie di astronavi lunghe e snelle che puntavano in alto, verso il cielo, quasi a volerlo toccare con le loro punte dritte). Dove eravamo rimasti? Ah, sì…che cosa strana. Era durata poco più di un attimo, di un battito di ciglia. Eppure non si era sbagliato. Anche gli alberi – castagni e faggi dalle chiome fitte – erano stati scossi da un fremito , come  se degli orsi si fossero grattati la schiena sui loro tronchi, come aveva visto fare in un documentario alla TV. Un’ondeggiamento, una scrollatina, niente di più. Un terremoto ? No, non poteva essere. La maestra un giorno aveva spiegato che quella non era una terra sismica, non era “ballerina” come altre parti d’Italia. Eppure non si era sbagliato. L’aveva vista. Non se le inventava le cose, lui…almeno quando si parlava del Mottarone. Eh, no ! Con la “sua” montagna non si poteva proprio scherzare o raccontare bugie. Un giorno, rovistando tra i libri della biblioteca di papà, ne trovò uno che parlava proprio del Mottarone. Ale si mise a sfogliarlo, lentamente, rimanendo a bocca aperta davanti a tutte quelle belle foto. I paesaggi invernali , con la neve s scintillante e quei ghiaccioli che scendevano giù dai rami degli alberi, come tante candeline rovesciate; la primavera, con i prati di mezza costa striati di varie tonalità di verde e punteggiati da margherite, primule e viole; l’autunno dai caldi colori pastello, che trasformano i boschi cedui in luoghi magici, abitati da vispi animaletti e da piccoli folletti alla ricerca di funghi e di bacche, alle prese con un tempo che si stempera dolcemente in una vena malinconica quando gli occhi scendono giù, dai versanti della montagna fino alle acque appena increspate del lago d’Orta. Ale guardava le foto sgranando gli occhi, pieno di meraviglia. Con una certa fatica ma anche tanta buona volontà, si mise a leggere:“…La cima del Mottarone ha la forma di una soda polenta montanara. Pare anche uno dei buoni panettoni di una volta, cotti senza la costrizione degli stampi costruiti perché si alzassero cilindricamente. Sembra una grossa pagnotta, fatta in casa e ben lievitata nel mezzo..”.

Gli era venuta una gran fame . Tutti quei paragoni con cose da mangiare gli stuzzicavano l’appetito, rammentandogli che era quasi mezzogiorno e che la mamma – guarda caso – stava proprio preparando la polenta. Ma un’altra frase lo colpì, stuzzicandogli questa volta non l’appetito ma la fantasia: “..La strada sale dolcemente verso la vetta, come se risalisse il dorso di un grosso pachiderma addormentato “. Un “pachiderma”? E che cos’è un pachiderma !? Non riusciva proprio a farsene un’idea. Forse si trattava di un animale ma papà gli aveva spiegato che sul Mottarone c’erano scoiattoli, cinghiali, tassi, volpi, ricci, capre, mucche al pascolo, qualche cavallo, tanti uccelli. Si ricordava di averlo sentito parlare di un uccello strano, il cuculo, che veniva – a primavera, dopo le rondini –  a” cantare maggio” e di altri animali – forse le talpe – che scavano buche e gallerie sotto terra. Ma quei “pachi-non-so-bene-come-si-chiamano” non li aveva proprio mai sentiti nominare. Però, che bello pensare alla vetta del Mottarone come alla schiena di un grosso animale, se poi di animale si trattava. Era come se un qualcosa o un qualcuno, pensava, fosse salito fin lassù e poi di fronte a quel panorama che , in giro completo d’orizzonte, spaziava dal Monte Rosa alle vette ossolane e valgrandine e giù, a rotta di collo, verso la Svizzera e la pianura lombarda segnata dall’azzurro dei laghi per vedere ad ovest la punta aguzza del Monviso e risalire verso il Rosa dai contrafforti valsesiani, avesse deciso di rimanere lì per sempre. Ale chiuse il libro a malincuore. La mamma lo stava chiamando per il pranzo. Papà, come spesso accadeva, era via per lavoro e lui decise che , all’indomani, avrebbe chiesto spiegazioni al nonno Enzo che abitava a Baveno, sul lago Maggiore, ma che da giovane era vissuto con i suoi in montagna, all’Alpe Scerea, un po’ sotto la Vidabbia che, come in terrazzo naturale , era a un soffio dal Mottarone. Lui sapeva tante storie della montagna. Forse conosceva anche questa storia del pachiderma. Non pensò più ad altro e , sedutosi a tavola, ordinò alle mandibole l’attacco in grande stile alla polenta. Quel sabato i suoi genitori erano andati a trovare una vecchia zia che abitava in Val d’ Ossola. Lui era stato accompagnato dal nonno a Baveno. Scoccata l’ora di pranzo, davanti al suo piatto preferito,un invitante risotto con i funghi porcini, chiese: “Nonno, tu lo sai cos’è un pachiderma ?”. “Un pachiderma? Mah, se ricordo vengono chiamati così gli elefanti. Lo sai, vero che cosa sono ? “ ,rispose il nonno, sorridendo. ”Certo che lo so “,rispose pronto. ”Sono quei bestioni grossi che vivono in Africa, con le orecchie, il naso e i denti enormi..”.  ”Si chiamano proboscide e zanne, non naso e denti..e comunque sono più o meno quelli che dici tu”, corresse, paziente il nonno. “Ma, levami una curiosità: perché ti interessano tanto i pachidermi, gli elefanti ?”. Il nipotino non stava più nella pelle e disse, tutto soddisfatto: ”Nonno, lo sai che il Mottarone assomiglia a un pachi…., a un elefante ? L’ho letto su di un libro che ho trovato a casa“. ” A un elefante, cosa? Il Mottarone? Il Mottarone che assomiglia a un elefante? Ale, bambino mio, lo so che  hai tanta fantasia ma come fai a vedere nel Mottarone un elefante ?”, sorrise il nonno, scuotendo il capo ed accendendosi la pipa con delle lunghe tirate. ”Ma tu ,nonno, che hai vissuto sulla montagna, non hai mai sentito una storia che raccontava di un elefante sul Mottarone ? “ ,chiese ancora. Il nonno ci pensò su un po’ e poi, per non deluderlo, inventò una storia lì per lì, su due piedi. ”Vedi, tanti, tantissimi anni fa…”. ”Quanti,nonno?” l’interruppe Ale.

”Tanti quanti le dita tue e di tutti i tuoi amici moltiplicate per mille e forse anche di più..Ti stavo dicendo? Ah,sì..Tanti anni fa, ai tempi della preistoria, la terra era selvaggia. L’uomo viveva nelle caverne e da poco tempo aveva fatto una eccezionale scoperta: il fuoco. L’unico modo che aveva per poter sopravvivere era quello di cacciare. Ma purtroppo per lui gli animali erano enormi. E il più grande di tutti era il Mammut, l’antenato degli elefanti. In quel mondo non c’era nessuno che riusciva a tenergli testa. La sua mole imponente teneva lontana la  feroce Tigre con i denti a sciabola e persino l’enorme e coraggioso Orso delle Caverne non aveva mai osato sfidarlo a viso aperto. Eh, il Mammut era proprio un gran bel tipo…e forse uno di questi bestioni, nel suo girovagare, è arrivato fin su in cima al Mottarone e, addormentatosi, è rimasto lì per sempre”. Ale non era tanto convinto. Ma era anche molto curioso. Il dubbio lo rodeva. Quella del nonno era una storia inventata per non deluderlo oppure c’era qualcosa di vero? I pensieri gli si leggevano negli occhi. E il nonno Enzo se ne accorse. ”Tu vorresti saperne di più, non è vero ? Forse…forse ho qualcosa che ti può essere utile. Aspetta,però..dove l’ho messo?.. Ah, ora ricordo. E’ nell’armadio in soffitta”. Qualche minuto dopo Ale si trovò tra le mani un libro, un po’ vecchiotto e impolverato.  “Era di tuo papà. E se non ricordo male parla proprio di quell’epoca“, disse il nonno. La sera stessa, nel suo letto, Ale iniziò a leggerlo. Il titolo già l’aveva affascinato: “La guerra del fuoco”. Incredibile. Aveva ragione il nonno, era proprio la storia dei Mammut! Il ragazzino, una dopo l’altra,  divorava le pagine.

 

Il Mammut dominava invincibile. L’uomo non avrebbe mai potuto lottare contro di lui. Era agile, rapido, instancabile, capace di superare i monti;dimostrava d’essere riflessivo e dotato di una memoria tenace. Afferrava, lavorava e misurava la materia con la sua proboscide, scavava la terra con le enormi zanne, conduceva con saggezza le sue spedizioni e conosceva la propria supremazia. Il suo corpo sembrava una collina, le zampe grossi alberi; aveva zanne lunghe, capaci di trapassare una quercia; la proboscide sembrava un lungo serpente nero; la testa, una roccia. Si muoveva dentro una pelle grossa e rugosa come la scorza dei vecchi olmi, coperta di lunghi peli ruvidi. Le sue orecchie parevano dei giganteschi pipistrelli e quando si muoveva con il suo branco sembravano, tutti assieme, una colonna di giganti color dell’argilla. Quando, assetati, si allineavano sulla riva di un lago, bevevano in maniera così formidabile che il livello dell’acqua si abbassava.”. Ale chiuse gli occhi e si addormentò, sognando il Gran Mammut.  “Il Gran Mammut, dopo aver sostenuto mille battaglie vincendole tutte, si era stancato. Prese la decisione di lasciare il branco, dov’era da tutti riconosciuto come il capo e si incamminò verso la montagna che aveva di fronte, lasciandosi alle spalle il lago e le colline. Il sentiero era impervio, pieno ci cespugli e rovi, ma il Gran Mammut non se ne curava. Continuava a salire, puntando dritto verso l’alto. La sua mole enorme, di tanto in tanto, spariva dentro le nubi basse che avvolgevano i fianchi del monte e, dopo tanto camminare, giunse alla vetta che era ormai buio. Nel cielo era stesa una coperta di stelle che brillavano come tante fiaccole nella notte. Il Mammut alzò la proboscide più in alto che poté, per cercare di stringerle. Ma era fatica inutile : le stelle, che parevano così vicine, quasi da poterle sfiorare, restavano sempre al loro posto. Il Gran Mammut lanciò un tremendo barrito che scosse l’aria come una frustata e scese giù per le valli con il rumore di un tuono e l’impeto di un uragano. Poi, con la stessa foga , risalì sulla vetta, stanco del lungo viaggio ma soddisfatto per la scelta di vita solitaria. Si addormentò, pesantemente, coprendo con la sua mole immensa tutta la vetta”.

Anche sul Mottarone qualcuno dormiva e sognava. Era il Mammut che, caduto ormai da tantissimi anni in una forma di letargo, aveva il corpo coperto di terra e d’erba al punto d’aver preso le sembianze di una collina. La pioggia bagnava generosamente quello strano dosso, rendendolo sempre più fertile tant’è che vi erano cresciuto persino degli alberi. Molti anni dopo, a causa dell’ egoismo speculativo di uomini con pochi scrupoli su quel poggio vennero costruite prima una, poi due, poi tante costruzioni di legno, mattoni e cemento. Il Mammut dormiva e non sentiva sulle sue spalle il peso delle costruzioni, la ragnatela degli impianti sciistici e il fremito provocato dallo scivolare di discesisti e slalomisti che proprio in vetta al monte si divertivano d’inverno a scendere e risalire lungo le piste innevate. E nemmeno sentiva, durante le calde giornate estive, le grida di tutti quelli che passavano in quei luoghi ameni i loro pomeriggi d’ozio, in cerca di un refolo di vento che desse loro almeno l’impressione di un alito fresco. Erano tanti, troppi e spesso si lasciavano alle spalle una indelebile traccia di ignoranza e maleducazione, visibile in quei cumuli di rifiuti di ogni natura e volume. Ma lui non sentiva niente e nulla pareva potesse disturbarne il sonno millenario, quando un bel giorno operai e tecnici delle telecomunicazioni decisero di installare sulla vetta un’altra, potente, antenna televisiva. Gli scavi, piuttosto profondi, si concentrarono proprio nel punto dove il Mammut aveva la sua proboscide. Il solletico fece prudere l’enorme naso finché starnutì. La terrà tremò tutta. Gli addetti agli scavi, terrorizzati, fuggirono a gambe levate. Nei giorni successivi l’intera aera del Mottarone e la sua vetta furono meta di decine di esperti, tecnici, ricercatori,illuminati professori delle più importanti Università del paese. Vennero eseguiti studi accurati con sofisticate apparecchiature per cercare di capire cosa aveva originato quel fremito, quella scossa. Dopo un lungo consulto, durante il quale spesso il confronto degenerò in rissa al punto che, più di una volta, dovettero intervenire le forze dell’ordine per dividere quegli uomini di scienza che si stavano accapigliando, tutti convennero su di un punto fermo e preciso: non era successo nulla. Gli operai avevano sentito la terra ballare sotto i piedi? Fantasie. Erano scappati via di corsa , temendo un terremoto? Si erano sbagliati o forse avevano inventato questa storia per farsi un po’ di pubblicità. Del resto la scienza è scienza, e se afferma che non è accaduto nulla che si possa spiegare, significava  semplicemente che nulla era capitato. O forse qualcuno nutriva il coraggio di contraddire professori e cattedratici ? Passata anche quella bufera, sulla vetta della montagna venne finalmente innalzata una nuova costruzione d’acciaio. Il traliccio, formato da una miriade di pezzi di metallo intrecciati tra di loro, saliva slanciato verso il cielo per quasi quaranta metri. La terra non era più tremata. Comunque, per non  incappare in altri guai, i tecnici avevano scelto una diversa disposizione dell’antenna, a più di mezzo chilometro da quella pensata in un primo momento. Ma ormai il sonno di millenni era stato  disturbato. Il vecchio, grande Mammut era ormai sveglio. Non che si fosse destato subito, perché ci vollero alcuni mesi prima di averne piena coscienza. Dopo aver sbadigliato a lungo, l’enorme bestione si sentiva in piena forma. Quel lungo riposo gli aveva giovato. Se il giorno in cui si era appisolato sentiva le sue ossa cigolare e la grande massa dei muscoli era intorpidita ora , dopo il “sonnellino” , si sentiva come ringiovanito. Provò ad aprire gli occhi ma non vide nulla. In quello scuro immaginò fosse ancora notte. Una notte senza luna, nera come la pece, dove non s’intravvedeva  nemmeno una stella. Gli parve persino di sentirselo addosso quel cielo nero e opprimente quasi a dover sostenere sulle possenti spalle portare l’intero peso di quella cappa buia. Gli venne il dubbio di sognare ancora ma un istante dopo decise di muoversi. Zolle di terra grosse come aiuole saltarono in cielo come per effetto di una esplosione. Grandi alberi misero a nudo le loro radici, crepitando. Dal Santuario di Luciago alla strada Borromea, dalla Vidabbia all’alpe Grandi fino ai boschi che salivano oltre il Mastrolino, sopra Omegna , l’intero Mottarone  fu scosso da un formidabile e inaspettato evento. Un gigantesco animale, grande come il culmine della vetta, coperto da un pelo fitto, stava lì fermo su quattro enormi zampe, con due lunghe zanne e una impressionante proboscide che sferzava l’aria. Sulla groppa aveva tracce evidenti di terriccio, piccoli arbusti, muschi e radici. Nel mezzo del muso due occhi , grandi come scodelle, si guardavano attorno. Uno sguardo incuriosito, non spaventato. Si sarebbe quasi potuto azzardare anche l’aggettivo intelligente.

Quel giorno Ale era andato, come faceva di solito, a passeggio nei primi boschi che salgono sulla “montagna dei milanesi”, alla ricerca di funghi e piccoli frutti del sottobosco. In una radura in mezzo al bosco, incontrò l’enorme animale che dalla vetta era sceso in basso cercando di evitare strade e sentieri. In silenzio, il vecchio e grande Mammut e il ragazzino dalla testa bruna, si guardarono negli occhi. Era difficile stabilire chi dei due fosse più stupito per lo strano incontro. All’animale preistorico mancava solo il dono della parola. Cosa, del resto, superflua poiché durante il lungo sonno aveva sviluppato le sue capacità di pensiero a tal punto da poter comunicare attraverso gli impulsi che la sua enorme mente era in grado di trasmettere. Il suo cervello, enormemente evoluto, ospitava un grande archivio di memoria, paragonabile a un  potente computer. Fatti, luoghi, situazioni erano stati immagazzinati con un ordine perfetto, tale da far invidia ai più moderni e sofisticati sistemi infornatici. Bastò che Ale pronunciasse le sue prime parole ( “E tu,chi sei ?” ) perché il suono della voce del bambino gli rammentasse i suoni di quegli animali che sembravano scimmie ma camminavano su due zampe e con la schiena diritta: il modo di esprimersi, di comunicare attraverso suoni gutturali degli uomini che aveva conosciuto prima di lasciarsi andare al lungo sonno aveva qualcosa in comune. Il suo cervello, in un attimo, aveva già trovato il modo di stabilire un contatto con quel minuscolo essere che aveva davanti e che, con tutta probabilità, doveva essere proprio un cucciolo d’uomo. E dunque, al “chi sei?” pronunciato da Ale, rispose articolando delle parole lentamente, quasi sillabando: “Sono il Gran Mammut, signore delle immense foreste. Chi sei tu, piuttosto..”. Ale rimase a bocca aperta. Quella montagna di muscoli e peli che aveva davanti aveva parlato. E nonostante non avesse emesso il benché minimo suono, aveva sentito la sua “voce”. “Io..io sono Ale…” , rispose , tradendo  qualche incertezza. “Che strano nome. Non l’ho mai udito prima d’ora. Eppure, a prima vista, mi sei parso un cucciolo d’uomo. Ale.. Mah.. e che razza di animale saresti, allora ? –, borbottò il pachiderma. “Ma scusa, te l’ho appena detto:sono Ale, ho dieci anni e vivo ad Omegna. Se per cucciolo d’uomo intendi un bambino allora sì, sono proprio così. Ma tu, che sembri un Mammut, cosa ci fai qui sul Mottarone ?Non eri un animale preistorico e come tale ormai estinto ?”. Per nulla intimorito, Ale non intendeva rinunciare alla sua curiosità. Figurarsi poi in questo caso, dal momento che si trovava davanti proprio un bel Mammut in carne e ossa. E per di più sulla vetta della sua montagna. Non stava più nella pelle dalla contentezza. Altro che storie!n Quel libro diceva il vero quando lesse “ ..la strada sale dolcemente verso la vetta, come se risalisse il dorso di un grosso pachiderma addormentato..”. Chiese allora al Mammut se conosceva quel signore che aveva scritto il libro ( perché,pensava, dovevano per forza conoscersi altrimenti , lo scrittore, come avrebbe potuto sapere che la sommità del Mottarone nascondeva proprio il Gran Mammut?). Il pensiero dell’animale incontrò quello del bambino, dialogando per un po’. Al termine di quell’incredibile colloquio, seppure a grandi linee, Ale apprese la storia del Mammut, scoprendo  che ci aveva scritto quelle cose era all’oscuro di tutto. Aveva tirato a indovinare, usando la fantasia. E gli  era andata bene.  Dopo di che toccò al bambino raccontare la sua di storia e così tra i due nacque una forte simpatia. Fu a quel punto che Ale pensò di far conoscere al vecchio Mammut il mondo che stava attorno. Disse all’animale: “Sai, credo che le cose, dai tuoi tempi, siano cambiate un po’. Forse è bene che ti accompagni giù dalla montagna, così te ne renderai conto da solo. Ma non andiamo da questa parte. E’ meglio passare dall’altro versante”. Con buon passo – il Mammut, con la sua enorme mole ed il bambino in groppa, dove si teneva ben stretto alle grandi orecchie – presero a risalire il monte attraverso boschi di castagni, robinie e  faggi per poi ridiscendere. Raggiunsero una strada e quella terra, liscia e dura, color antracite, era già una novità per l’animale. L’asfalto, come lo chiamava Ale, non c’era ai suoi tempi e il Mammut nutriva seri dubbi sulla bontà di quella terra. Comunque, in breve tempo , a dispetto del suo considerevole volume, il Mammut si era già lasciato alle spalle molti tornanti, tant’è che potevano già intravedere le prime case di Cheggino, sopra Armeno. Non incontrarono anima viva. Il Mammut si stupiva vedendo quei blocchi di pietra con delle aperture chiuse da assi di legno e Ale ebbe il suo bel daffare a spiegargli che erano case e che lì dentro vivevano gli uomini. Il Mammut aveva memoria di uomini primitivi che dimoravano nelle caverne e pareva scettico ma non insistette per non dare dispiacere a quel suo piccolo amico così gentile e premuroso. Ad Armeno non incontrarono nessuno. Il paese era come vuoto. Le strade deserte e le case con gli usci sbarrati. Anche il bar sulla piazza del Municipio,quasi sempre aperto, aveva calato la serranda. E così pure i negozi. Ale era sorpreso. Gli sembrava di attraversare uno di quei villaggi fantasma dei film western. Ignorava che, appena segnalata la presenza di uno strano, enorme animale,  somigliante a un elefante, che stava scendendo la Mottarone, la voce si era sparsa in un battibaleno e la gente, spaventata, si era chiusa in casa , chiudendo porte e finestre. Così, dopo Armeno, fu anche a Bassola, al Pescone, ad Agrano. Solo a Borca incontrarono le prime auto che, alla vista del Mammut, fecero dei rapidi dietrofront, con manovre convulse quanto azzardate. Nonostante Ale gli avesse parlato delle auto, la vista di quei strani animali colorati, rumorosi , veloci e puzzolenti  (si lasciavano alle spalle una scia odorosa e acre che irritava la sua proboscide) turbò non poco il vecchio Mammut. Non più con passo spedito ma con andatura incerta, dubbiosa, il bestione imboccò la statale del lago d’Orta, dirigendosi verso il centro di Omegna. Ma lì i pochi curiosi che, sfidando la paura, si erano nascosti dietro le colonne di granito del Municipio per spiarne le mosse, non lo videro mai arrivare. Il Mammut sparì nel nulla. Di quella montagna di carne e peli preistorici non c’era traccia. Svanita, quasi non fosse mai esistita se non nei sogni e nell’immaginario dei cusiani. Anche quel bambino che alcuni giuravano di aver visto in groppa al Mammut ma che nessuno poteva dire di aver riconosciuto, era sparito con lui. Alcuni automobilisti, qualche abitante di Borca, il gestore dell’Agip, giuravano che i due stavano andando verso Omegna. Ma lì, come già sappiamo, non erano mai giunti.

Nei giorni che seguirono furono indette assemblee, riunioni, tavole rotonde, consigli comunali a “porte chiuse” e in sedute aperte al pubblico. Corsero fiumi di parole,un bla-bla-bla impressionante, tanto monumentale quanto inutile. Tutti dicevano la loro, chi aveva visto e chi no. Scomodarono  scienziati, storici e biologi, antropologi e paleontologi, filosofi e medici, impiastri e ficcanaso, letterati e analfabeti. Giornali e riviste pubblicarono articoli, saggi, inchieste, indiscrezioni, fotomontaggi. Un mare d’inchiostro sommerse l’opinione pubblica. Alla fine di tutto questo chiassoso guazzabuglio il “caso” venne chiuso con una rassicurante presa di posizione di Sua Eccellenza il Prefetto che così sentenziò: “Non è successo nulla. Dopo aver analizzato e ponderato il problema siamo giunti, con assoluta certezza e senza difetto alcuno, alla decisione di comunicare che si è trattato solo di uno scherzo dell’immaginazione. Tutto, dunque, è sotto controllo: parola di Prefetto“. E quindi? Era stato solo un sogno, un’illusione ottica? La gente si guardava, scettica. E se nessuno, pubblicamente, osava mettere in discussione il Prefetto, in cuor proprio agli abitanti dei paesi attorno al lago d’Orta quelle parole suonavano poco convincenti per non dire addirittura false. Non erano per nulla convinti. Dopotutto, passati la paura ( ma era poi davvero paura ? O non era forse una bella e forte emozione di quelle che si provano davanti a qualcosa di nuovo e inaspettato!) l’idea di un Mammut in giro per la città non dispiaceva affatto. Qualcuno , con uno spiccato pallino per gli affari,aveva già pensato di cambiare nome a un noto ristorante per ribattezzarlo “ Al vecchio Mammut “ o di aprire un locale notturno in stile preistorico, con arredamento alla “Flinstone” oppure il Caffè “Delle due clave”. Tutto sommato, quell’elefante vecchio di  milioni di anni , alla gente piaceva. Anche a scuola, tra i bambini, si parlò per molto tempo solo di questo. E tutti si impegnavano a far supposizioni su dov’erano andati a finire il Mammut ed il bambino. C’era chi li aveva visti prendere il volo e sparire tra le nuvole, in direzione delle alture dei “Tre Gobbi”, suscitando un coro di risate. Chi invece li aveva visti nuotare nel lago verso il lido di Gozzano, lasciandosi alle spalle una scia come la motonave Azalea. Solo Ale non parlava. Dal suo banco guardava fuori dalla finestra, su verso la vetta del Mottarone. Il Mammut era tornato là, considerando quella del letargo la miglior soluzione. Si era scavato una comoda tana in una valletta isolata e con la proboscide si era coperto di foglie e terriccio. Era un segreto pattuito con il suo piccolo amico. Di tanto in tanto, senza farsi vedere dagli altri, Ale agitava la mano, accennando un timido saluto in direzione del rifugio segreto tra gli alberi, pensando intensamente al Mammut. Chissà se l’animale lo  percepiva il saluto? Non ne era del tutto certo ma, di tanto in tanto, seppure l’aria era immobile, senza un benché minimo alito di vento,  là in alto le chiome degli alberi  parevano scosse da un leggero, appena percettibile, fremito. E i suoi occhi sorridevano di una felice complicità.

Il ristorante Piano 35 conquista la stella Michelin

Il ristorante in cima al grattacielo Intesa Sanpaolo guidato dallo chef resident Christian Balzo si aggiudica l’importante riconoscimento del mondo della ristorazione. Doppio traguardo Michelin per chef Sacco che, oltre a Piano35, conferma per il 15° anno la seconda stella nel suo ristorante Piccolo Lago a Verbania

 

Durante la presentazione della Guida Michelin 2021, trasmessa quest’anno da Milano in una inconsueta formula a distanza a causa delle restrizioni dovute all’emergenza sanitaria, lo chef “d’acqua dolce” Marco Sacco ha coronato due traguardi che, in un anno in cui il settore della ristorazione sta attraversando uno degli scenari più critici degli ultimi decenni, esprimono ancora di più il valore di uno chef che negli anni ha costruito una vera e propria famiglia di professionisti.

Piano35, il ristorante unico per posizione e vista sulla città di Torino, situato a 150 metri d’altezza, guidato dallo chef resident Christian Balzo, ha ricevuto la stella Michelin. Il successo arriva a poco più di un anno dall’inizio della gestione di chef Sacco che fin da subito aveva affidato la cabina di regia a Balzo. Un’intuizione vincente che ha permesso al locale in cima al grattacielo Intesa Sanpaolo di salire nell’olimpo della Rossa in poco più di un anno.

Un successo che si aggiunge a un’altra grande emozione: per il 15° anno di fila è stata confermata la seconda stella al Piccolo Lago, quartier generale di chef Sacco sul Lago Maggiore, luogo in cui ha raggiunto i primi traguardi e dove ha consacrato la sua carriera. In questo complesso 2020, sono ancor più significativi i due risultati storici che festeggiamo – commenta pieno di gioia Marco Sacco – E’ stato un anno difficile e i prossimi mesi non saranno da meno, ma questi riconoscimenti ci permettono di mantenere alta la voglia di indossare la divisa e l’energia creativa fra i fornelli. Tutto questo è stato possibile grazie al lavoro dell’incredibile squadra che mi circonda: un team fantastico che ogni giorno condivide tutto, dai sacrifici più dolorosi alle gioie più emozionanti”.

Christian Balzo, classe ’78, è un poliedrico talento cresciuto e formatosi in Piemonte. Dopo alcune esperienze sul territorio, di cui l’ultima alla Cascina Lautier a Chieri, nel 2019 approda a Piano35 dove, in soli otto mesi di apertura, conquista uno dei traguardi più importanti per chi lavora in questo mondo. “Ancora non ho ben realizzato quello che è successo – racconta Balzo – l’emozione è davvero grande ed è resa ancora più intensa dalla straordinarietà della situazione attuale. Mai avrei pensato di ricevere la stella in un anno in cui il settore della ristorazione è stato fermato! Con Marco Sacco ci siamo incontrati due anni fa e, fin da subito, abbiamo capito che insieme avremmo potuto fare grandi cose. A Piano35 ogni giorno portiamo avanti la ricerca di nuovi sapori, la cura verso ogni dettaglio e soprattutto il divertimento per quello che facciamo: se non si appassiona lo chef fra i fornelli non lo faranno neanche le persone sedute a tavola. E’ un grande onore raggiungere questo traguardo a Torino, nella terra che mi ha cresciuto, mi ha formato e mi ha fatto innamorare dell’eccezionale cultura gastronomica piemontese.”

A poco più di un anno dal debutto della nostra gestione a Torino – conclude chef Sacco – il riconoscimento accordato dalla Guida all’idea gastronomica che abbiamo portato avanti ci riempie di orgoglio. È un onore raggiungere questo doppio successo ed è un’occasione unica condividere questa emozione con tutto il mondo culinario italiano. Sono convinto che torneremo a far rivivere il bello che l’Italia gastronomica è in grado di realizzare”.

27 Novembre: il primo Panettone Day di Eataly. Uno sconto speciale su panettoni e pandori

Una presa di posizione simbolica e dolce contro la tendenza ormai radicata ad incentivare le persone ad acquistare durante il Black Friday qualsiasi tipo di bene, inclusi prodotti che non avrebbero mai acquistato.  

Il 27 novembre Eataly lancerà il suo primo Panettone Day, un giorno in cui ci sarà uno sconto speciale su panettoni e pandori.

 

Il messaggio di Eataly è da sempre “compra solo quello che ti serve, ma compralo di qualità.”

 

L’iniziativa, che parte quest’anno per la prima volta, intende infatti offrire uno sconto speciale su una categoria di prodotti che le persone considerano immancabili sulle tavole natalizie della nostra tradizione, rendendo quindi più dolce e accessibile l’acquisto di alcune specialità frutto del lavoro di tanti artigiani, piccoli produttori e marchi storici italiani.

 

Venerdì 27 novembre, in tutti gli Eataly in Italia e online, sarà possibile godere di uno sconto del 20% sull’acquisto di almeno due panettoni o pandori fra le oltre 50 varietà e marche dell’assortimento di Eataly.

 

L’assortimento 2020 di panettoni e pandori comprende storiche aziende e piccoli artigiani italiani, per citarne alcuni: il panettone Stratosferico della pasticceria artigianale Golosi di Salute, un tripudio di cioccolato fondente e nocciole Tonde Gentili Trilobate, e quello firmato dallo chef stellato Ugo Alciati con pregiati canditi di limone “Costa di Amalfi” e uvetta; il classico panettone Galup al Moscato d’Asti Moncucco docg oppure le specialità ai pistacchi di Bronte o ai Fichi e Malvasia della pasticceria artigianale siciliana Vincente; e ancora, il pandoro Tiramisù dei maestri pasticceri veneti Borsari, o il classico della pasticceria trevisana Fraccaro; il panettone ai marron glacé della piemontese Bonifanti, oppure il panettone Excellence in scatola dei milanesi Vergani realizzato con vaniglia in bacche Bourbon del Madagascar, scorze d’arancia di Sicilia candite fresche, zucchero di canna e miele d’acacia toscano. Senza dimenticare uno dei più amati, il “pere e cioccolato” dell’antica pasticceria umbra Tommaso Muzzi.

 

E visto che panettone e pandoro di anno in anno sono sempre più apprezzati anche all’estero, Eataly Monaco segue l’iniziativa italiana promuovendo la bontà dei due dolci tipici italiani, mentre gli Eataly di Medio Oriente, Turchia, Corea e Giappone avranno dei corner dedicati ai mitici dolci all’interno degli store.

 

 

 

www.eataly.it/panettoneday

Asporto e delivery agroalimentare sul sito della Regione

Prodotti agroalimentari made in Piemonte: sul sito della Regione le aziende agricole e gli agriturismi che effettuano asporto e delivery

Per sostenere la promozione dei prodotti agroalimentari del nostro territorio la Regione Piemonte, attraverso l’Assessorato all’Agricoltura e Cibo, invita i consumatori ad acquistare prodotti delle aziende agricole e degli agriturismi piemontesi che effettuano consegna a domicilio o asporto.

I prodotti delle aziende agroalimentari, #madeinpiemonte, stagionali, di qualita’ e a km zero, aggiornati dalle rispettive organizzazioni sono riportati al link https://www.regione.piemonte.it/web/temi/coronavirus-piemonte/coronavirus-servizi-consegne-domicilio-prodotti-agroalimentari 

“La Regione Piemonte come avvenuto durante il primo lockdown, invita nuovamente i cittadini e i consumatori ad acquistare e consumare i prodotti made in Piemonte – sottolinea l’assessore regionale all’Agricioltura e Cibo Marco Protopapa – Segnalando gli elenchi delle aziende e degli agriturismi, aggiornati dalle rispettive organizzazioni, si ritiene di offrire un servizio utile a tutti. Anche attraverso questa azione sosteniamo i nostri agricoltori nuovamente colpiti dall’emergenza Covid”.

Cle. Ven.

Delizie di Moncalieri

Un successo l’Evento Diffuso Gastronomico Autunnale Moncalierese

Domenica 22 si è concluso l’Evento Diffuso Gastronomico Autunnale Moncalierese: il 7/8, 14/15 e 21/22 novembre sono stati infatti tre weekend all’insegna del buon cibo e dell’eccellenza, con la volontà di promuovere le specialità gastronomiche del territorio, in assenza delle consuete fiere autunnali ad esse dedicate (la Fiera Nazionale della Trippa di Moncalieri e la Fëra dij Subièt e Sua Maestà il Bollito) e nel rispetto delle normative igienico-sanitarie vigenti per il Covid-19.

Una scommessa vinta, alla luce del buon riscontro che l’iniziativa ha riscosso. Sono proprio alcuni dei proprietari dei ristoranti della Città di Moncalieri, protagonisti dell’Evento con le loro ricette a base del Gran Bollito Misto, della Trippa, del Salame di Trippa e del Lardo di Moncalieri, a rilasciare dichiarazioni più che positive.

“Grazie a questo Evento Gastronomico abbiamo lavorato molto bene sia con le consegne a domicilio che con il servizio di asporto” – dichiara Giorgio Picco, chef dell’Osteria e Gastronomia La Cadrega – “È stato bello constatare in un periodo così complesso la volontà di creare rete tra quasi tutti i ristoratori del territorio, per valorizzare nel miglior modo possibile i cibi moncalieresi di grande qualità”.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Marco Albano, chef di Cà Mia Ristorante – Casa Albano, che afferma: “Nei weekend le ordinazioni per i menù dei piatti tipici moncalieresi sono arrivate e anche numerose. Un’iniziativa senz’altro interessante, che porta attenzione a noi ristoratori in questo brutto periodo”.

Davide Di Marzo del Ristorante Pizzeria I Mascalzoni, a tal proposito, ha sottolineato: “Le ordinazioni, in quantità diverse nei tre fine settimana, ci sono state e ci teniamo a ringraziare il Comune e l’Ufficio Commercio per il supporto e l’aiuto che ci hanno dato nel promuovere le nostre attività in questo momento difficile”.

Paola Manni del Ristorante Antica Trattoria della Rosa Rossa si è mostrata soddisfatta dell’esperienza appena conclusa: “Quest’iniziativa ha senza dubbio contribuito all’incremento degli ordini ricevuti durante i weekend: c’è stato un buon riscontro e ne siamo contenti”.

Il Comune di Moncalieri ha voluto far sentire la sua presenza in un momento difficile per tutti, sostenendo un progetto che, con la collaborazione di Pro Loco Moncalieri, ha valorizzato anche quest’anno il forte legame fra il territorio e i suoi rinomati prodotti tipici.

L’Evento, in virtù delle normative entrate in vigore a pochi giorni dal suo inizio, ha subìto in corsa inevitabili variazioni che han visto eliminare tutti gli eventi di contorno, ma è stato comunque raggiunto l’obiettivo primario: sostenere le attività locali e dare a tutti la possibilità di gustare le specialità moncalieresi, con prelibate ricette a cura degli chef che hanno aderito.

Angelo Ferrero, Assessore al Commercio e alle Attività Produttive, ha commentato: “Sono soddisfatto per l’ottimo punto di partenza di un Evento alla sua prima edizione e nato in un periodo estremamente difficile e in continuo mutamento. Ringrazio tutti i ristoratori e le ristoratrici che hanno creduto e aderito al progetto, oltre a Pro Loco Moncalieri, sempre presente nelle attività della Città”.

Un ringraziamento anche alle Aziende specializzate di Moncalieri che producono ed esportano le materie prime alla base dei menù autunnali proposti in queste settimane: l’Associazione Macellai di Moncalieri, La Tripa ‘d Muncalè e il Salumificio del Castello.

Ultimi, ma non ultimi…grazie ai ristoranti che hanno aderito all’Evento Diffuso Gastronomico Moncalierese: Osteria e Gastronomia La Cadrega, Cà Mia – Ristorante Casa Albano, Antica Trattoria della Rosa Rossa, I Mascalzoni, Ristorante Pizzeria Hotel Rigolfo, Ristorante Al Borgo Antico, Primopiano – Gasthaus, L’Oragiusta.

Dove mangiar bene in Canavese

” Mangiar bene, Canavese e dintorni” e’ una pagina facebook che nasce qualche settimana fa

“Visto il grande periodo di difficolta’ che stanno vivendo le aziende della ristorazione, – commenta l’ideatore Mario Zucaro – ho pensato di creare questa piccola vetrina per i ristoratori e produttori della zona del canavese e circondario.”

In questo spazio i titolari o lavoratori delle imprese possono publicizzare i loro locali e i loro prodotti.

Inizialmente servira’ per dare una mano ai ristoratori a mettere in risalto i loro servizi d’asporto e di consegne a domicilio, succesivamente, a emergenza conclusa l’ intento e’ quello di fare in modo che la pagina sia un punto di riferimento per i “lettori”,  per l’enogastronomia del nostro territorio e diventi un po’ una guida al dove mangiare bene. Ovviamente e’ tutto totalmente gratuito e senza fini di lucro.

 

https://www.facebook.com/Mangiar-bene-canavese-e-dintorni-105484734708514/

Un po’ di bon ton per tutti

A cura di: https://quantabellezzainquestomondo.com/blog/

Esistono mille regole per un cameriere che deve servire un potage a tavola, o preparare una mise en place; anche il suo abbigliamento e’ codificato con cura. Ci sono persino scuole che insegnano ad impilare piatti e posate senza farli mai cadere.

Io credo che ci vorrebbero anche un po’ di regole per essere dei buoni clienti. Ci avevate mai pensato? Molti ritengono che basterebbe rispettare la buona educazione, ma secondo me non e’ sufficiente.

Cio’ che va aggiunto in dosi adeguate, proprio come nella preparazione di un buon piatto, sono tre ingredienti essenziali: rispetto, gentilezza e collaborazione.

Rispetto. Di fronte a noi abbiamo una persona che sta lavorando; non solo: sta lavorando per farci star bene, ci serve pietanze e piatti che dovrebbero soddisfare il nostro palato e lo fa con dedizione, attenzione e grazia. A tale proposito mi ricordo il butler dell’Andros Boutique Hotel a Cape Town, un uomo di colore che aveva trasformato la sua vita in arte del servizio: vi posso garantire che avrebbe potuto insegnare grazia, attenzione, perfezione e generosità a tanti di noi.

Gentilezza. Quando siamo al ristorante ci aspettiamo di essere serviti mentre discutiamo con i nostri commensali, e di rado ci rendiamo conto che il sommelier che sta versando il vino è una persona; e’ importante ricambiare la sua attenzione con un sorriso ed un grazie e interrompere per un attimo una conversazione che sicuramente non lo/la riguarda. Recentemente siamo stati a pranzo da Stratta in piazza San Carlo a Torino: un locale in cui si respirano tanta esperienza e superba professionalità; uno dei camerieri a cui ho fatto proprio questo complimento mi ha ringraziato dicendomi che le mie parole valevano più di una mancia, perché ormai pochi sono in grado di apprezzare la qualita’ del suo lavoro.

Il tea delle 17 all’Andros Boutique hotel

Collaborazione: avete mai notato la fatica cui a volte sottoponiamo chi ha il compito di raccogliere le ordinazioni oppure i piatti? Io credo sarebbe bellissimo se al nostro tavolo all’arrivo del cameriere si smettesse di parlare (abbiamo tutta la vita per farlo) e si ascoltasse attentamente la persona che sta descrivendo i piatti da gustare… anche se si tratta della solita lista di “…profitterol, tiramisù, panna cotta, creme caramel e chipiùnehapiùnemetta”.

Ah che hotel favoloso! ❤️

Regole molto semplici che costituiscono gli ingredienti segreti per un’esperienza di vera bellezza, e che renderanno straordinari anche i piatti piu’ banali.

Vino “d’artista” per aiutare MUS-e

 

 

Sarà sicuramente un Natale “diverso” per tutti noi; viviamo con il fiato sospeso in attesa di sapere se potremo riunirci con i nostri cari, passare qualche ora insieme in letizia, riabbracciare figli e nipoti…

Sarà un Natale “diverso” anche per le tradizionali spese per i regali: difficile programmare l’abituale shopping, fermarsi davanti alle vetrine illuminate, scegliere gli oggetti più adatti, eccetera.

Ecco l’occasione per abbinare il regalo a un’opera solidale usando comodamente Internet: la proposta di MUSe per acquistare bottiglie di vino “griffate” dai bambini  che fanno parte del progetto d’integrazione portato avanti dalla ONLUS a Torino.

IL PROGETTO MUS-E

Dal 1999 Mus-e porta l’arte nelle scuole elementari: musica, danza, canto, arti visive, teatro, accompagnando per tre anni i bambini in un percorso gratuito di scoperta di sé e degli altri.

Mus-e crede che ogni bambino abbia il diritto di sperimentare il linguaggio artistico indipendentemente dal contesto sociale, dalla provenienza culturale e da ogni forma di disabilità, facilitando l’inclusione e l’integrazione, incoraggiando la creatività e la partecipazione.

Per Natale i bambini sono diventati artisti, cimentandosi nella creazione di etichette per bottiuglie di vino da utilizzare come strenna.

Sono le dichiarazioni dell’avvocato Marco Rossi, Presidente della ONLUS che ha lanciato questa bella iniziativa che abbina, come suol dirsi, l’utile (la solidarietà) al dilettevole (un bel brindisi con i parenti e gli amici)

ETICHETTE ARTISTICHE PER VINI PRESTIGIOSI

Quest’anno, grazie alla collaborazione con l’Azienda Vinicola Garesio si può sostenere il progetto Mus-e regalando o regalandosi due vini selezionati e decorati con le “etichette d’artista” ricavate dai laboratori con i bambini.

Si tratta di un’edizione limitata, “targata Mus-e”, di due vini speciali.

Il rosso Nizza, da vitigno barbera DOCG, ha per simbolo un elefante a scacchi: solido, robusto, imperturbabile. Perfetto per un vino serio, importante, ma molto godibile.

Il bianco Resilio è un Sauvignon da Monferrato DOC Bianco, rappresentato da fiori coloratissimi e radiosi, che sopravvivono felicemente alle ingiurie della pioggia e raccontano con allegria cosa sia la resilienza e quindi il senso di un vino che porta questo nome così carico di speranza.

Dietro ogni etichetta c’è una classe Mus-e del quartiere Falchera, che ha realizzato i disegni in un grande lavoro collettivo e c’è l’attenzione di una delle aziende vinicole più importanti del territorio piemontese: Garesio, che ha i propri vigneti a Serralunga d’Alba (CN)

MODALITÀ DI ACQUISTO

Le bottiglie in limited edition possono essere ordinate scrivendo via mail a regali@mus-e.it.

L’ordine minimo è di 6 pezzi per scatola, componibile in maniera personalizzata, specificando quante bottiglie di uno dei due tipi di vini.

Il costo (comprensivo di donazione – per ogni bottiglia una parte del prezzo viene accreditato a MUS-e) è di 13,00€ per il bianco RESILIO e di 14,50€ per il rosso NIZZA DOC

Spese di spedizione al costo di 10€ per 6 bottiglie (ordine minimo).

Spedizione gratis da 12 bottiglie in poi.

Chi preferisse ritirare personalmente le confezioni può contattare la sede MUS-e, alla segreteria di Via Campana 7 a Torino.

Gianluigi De Marchi

info.torino@mus-e.it

Medaglia d’Oro per il Vermouth di Torino Superiore al Barolo Del Professore

 Al Concours Mondial de Bruxelles – Spirit Selection 2020

Un grande riconoscimento, per il Vermouth di Torino Superiore al Barolo Del Professore, che ha ricevuto la Medaglia d’Oro del Concours Mondial de Bruxelles 2020 al recente Spirit Selectionevento internazionale alla sua 21a edizione, che premia i migliori spiriti di tutto il mondo e si è tenuto a Bruxelles dal 30 ottobre al 1 novembre. Un successo sempre maggiore per l’unico vermouth al mondo realizzato a partire da una base caratterizzata dal Re dei vini, il Barolo, nello specifico il Barolo del vigneto Cerretta, un grande cru della celebre cantina Ettore Germano di Serralunga d’Alba. Nato dalla ricerca e dalla creatività Del Professore, azienda fondata dal gruppo del The Jerry Thomas Project di Roma, il primo speakeasy italiano e da anni tra i migliori cocktail bar del mondo, il Vermouth di Torino Superiore al Barolo è un vero e proprio ritorno alle origini, ai tempi in cui un ottimo vermouth non poteva che nascere da un ottimo vino.

Una miscela segreta di erbe e spezie selezionate, tra cui assenzio, rabarbaro, vaniglia, china, chiodi di garofano, il doppio invecchiamento in botti di rovere, prima come vino Barolo e poi come vermouth, per circa 3 o 6 mesi. Un lavoro sapiente e paziente, in collaborazione con la distilleria Quagliache crea un vermouth caratterizzato dalla finezza dei profumi e con un’impronta elegante di tannini, che si arricchiscono della complessità delle spezie naturali. Un successo crescente per il Vermouth di Torino Superiore al Barolo Del Professore, in particolare in Paesi europei come Germania, Belgio, Inghilterra e Francia e già premiato due anni fa al Concorso The WineHunter Award, svoltosi durante il Merano Wine Festival.

Data la natura un po’ estrema del progetto – sottolinea Fabio Massazza Gal, commercial manager Del Professore – caratterizzata da un lato da un ritorno alle origini e dall’altro da una forte spinta pionieristica e da un pizzico di follia, non era semplice prevedere il tipo di risposta che il mercato avrebbe dato. Ma sembra che il coraggio sia stato premiato, alla luce della Medaglia d’Oro al Concours Mondial de Bruxelles. E anche in Italia, grazie alla crescita di vari siti per la vendita on line, tra cui thedrinkshop.it e enotecacostantinipiero.itassolutamente essenziali nel periodo che stiamo vivendo, i risultati commerciali sono lusinghieri e ci confermano che siamo sulla buona strada“.

Spirits Selection
, nato da una costola del Concours Mondial de Bruxelles, riconosciuto dall’Unione Europea e giunto alla 21a edizione, è l’appuntamento internazionale di riferimento che premia i migliori spiriti provenienti da tutto il mondo, unico nel suo genere ad essere itinerante. Grazie al panel internazionale di giudici, le sessioni formative a loro dedicate, le degustazioni “alla cieca” e un rigoroso controllo dei campioni ricevuti, il concorso si distingue per qualità, imparzialità e fiducia. L’edizione 2020, in tempi di pandemia, ha visto la presenza a Bruxelles ddegustatori professionali che hanno seguito regole sanitare scrupolose, per favorire uno svolgimento fluido della competizione.

Per maggiori informazioni: 

www.delprofessore.it
sales@delprofessore.it
www.facebook.com/VermouthDelProfessore/
www.instagram.com/delprofessore/

Nasce a Torino il nuovo Liceo Linguistico Artistico ed Enogastronomico

Il Liceo Madre Mazzarello, insieme a Fondazione Torino Musei e Slow Food, annuncia la nascita, a partire dall’anno scolastico 2021/2022 di un nuovo Liceo Linguistico che coniuga l’arte e le scienze gastronomiche.

 

Il Liceo Madre Mazzarello di Torino riprogetta il Liceo Linguistico, presente da molti anni all’interno dell’Istituto, proponendo un impianto innovativo.

 

Il nuovo corso di studi, nato dalla collaborazione con Fondazione Torino Musei e Slow Food, che prenderà il via a partire dall’anno scolastico 2021/2022, affiancherà allo studio delle lingue un percorso artistico ed enogastronomico, applicabile in contesti reali e qualificati. Gli studenti acquisiranno così un innovativo profilo culturale che consentirà di adattarsi ai diversi scenari internazionali.

 

Per tutto il percorso di studi della durata di 5 anni, all’insegnamento tradizionale delle varie materie verranno affiancate esperienze sul campo, grazie al supporto didattico di professionalità della Fondazione Torino Musei e di Slow Food, che guideranno gli studenti alla scoperta del mondo dell’arte e dell’enogastronomia.

Saranno affrontati temi specifici, come ad esempio la tutela e il restauro del patrimonio artistico, la curatela delle collezioni permanenti, delle mostre temporanee e delle attività didattiche e il management di un’istituzione culturale, ma anche la storia e la cultura del cibo, con focus su Torino e il Piemonte, l’educazione sensoriale, il binomio cibo e salute, la tutela della biodiversità e la valorizzazione dei prodotti di qualità.

 

Questi nuovi percorsi avranno una durata di circa 50 ore all’anno e si svolgeranno sia in aula, condotti dagli esperti individuati da Fondazione Torino Musei e Slow Food, sia nelle sale espositive dei musei (GAM – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica e MAO Museo d’Arte Orientale), e presso alcune realtà produttive che collaborano con Slow Food.

 

Le lezioni prevedono infatti anche attività di laboratorio, attività a gruppi, alcune delle quali svolte direttamente in lingua inglese.

 

Coniugare passione e professione: questo è l’obiettivo che il Liceo Mazzarello si è posto.

Al fine di ottenere tale risultato, il Linguistico si è ridisegnato, valorizzando le peculiarità che permettono di sfruttare al meglio la dimensione internazionale che caratterizza il nuovo percorso di studi.

 

Grazie all’apporto di Slow Food e Fondazione Torino Musei, l’internazionalità si fonderà con la valorizzazione delle realtà territoriali. La formazione che gli studenti riceveranno risulterà propedeutica anche alla frequentazione dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, permettendo un potenziamento altamente competitivo del profilo già acquisito.