Magnifica Torino / Le Luci d’artista in via Po
Miss Italia è piemontese, Francesca Bergesio di Bra
A Salsomaggiore Terme è stata eletta Miss Italia 2023: Francesca Bergesio. E’ nata a Bra (Cn), ha 19 anni, è alta 1.80, occhi e capelli marroni ed è diplomata al Liceo Classico Europeo. Spera di riuscire a conciliare il lavoro con le sue passioni: ” Vorrei essere un medico, magari specializzandomi in cardiochirurgia, e affiancare al mio lavoro il mondo della moda o del cinema, al quale non rinuncio”. I.M
Le vaccinazioni del gatto
IL TORINESE… CON LA CODA
Dopo aver parlato delle vaccinazioni del cane, oggi affrontiamo quelle del gatto.
Come già detto per il cane, anche per il nostro felino non esiste un obbligo vaccinale, ma per la sua salute è caldamente consigliato seguire una corretta profilassi vaccinale.
Anche per il gatto, esistono i cosiddetti vaccini core, che proteggono per malattie molto contagiose e spesso mortali, e i vaccini non core, ovvero quelli destinati ai singoli individui a seconda della localizzazione geografica, ambientale e/o dello stile di vita.
I vaccini core sono quelli per il calicivirus, l’herpesvirus (responsabili della rinotracheite infettiva) e il parvovirus ( responsabile della panleucopenia felina).
I vaccini non core esistenti sono quelli per la clamidiosi, consigliata solo a gatti che vivono in gruppo ad alto rischio di infezione o in ambienti con infezione endemica documentata, e quella per la dermatofitosi, che ha effetto preventivo e anche terapeutico.
Esiste poi una vaccinazione classificata come circumstanziale ma che sta assumendo sempre più importanza, vista l’aumento della presenza della malattia sul territorio, ovvero quella per la FeLV, o leucemia felina.
Quando vaccinare?
Le linee guida internazionali delle vaccinazioni nei gattini prevedono la somministrazione della prima vaccinazione a 8-10 settimane, che si ripeterà dopo 3-4 settimane e poi dopo le 16 settimane.
Queste tempistiche sono legate al fatto che, nel gattino, gli anticorpi di origine materna possono andare a interferire con la vaccinazione, ma non sapendo esattamente il momento in cui questi non sono più presenti a livello ematico, si è studiato un protocollo che prevede vaccinazioni multiple.
Il richiamo vaccinale avverrà dopo un anno e poi a seconda dello stile di vita del vostro gatto, il vostro veterinario vi saprà consigliare come procedere.
Se si vaccina un gatto adulto per la prima volta, dopo la prima iniezione si farà un richiamo dopo 3-4 settimane.
E’ importante vaccinare il gatto, ogni 3 anni, anche se vive solo in casa, perché se un domani dovesse stare male e venisse portato in una struttura veterinaria, potrebbe contrarre una di queste malattie, in un momento in cui le sue difese immunitarie sono più basse.
Se il gatto ha accesso all’esterno, si consiglia caldamente la vaccinazione per la FeLV, o leucemia felina, che si contrae da contatto diretto con un animale malato. Allo stesso modo, se si porta a casa un gattino nuovo, prima di metterlo a contatto con il vostro felino domestico, è bene eseguire un test per la FeLV, dopo 4 settimane dal momento in cui il gatto non è più a contatto con l’ambiente a rischio.
In qualsiasi caso, chiedete al vostro veterinario, che saprà consigliarvi al meglio per la salute del vostro micio.
Andragogia, questa sconosciuta
ANDRAGOGIA
Meno conosciuto del suo opposto, la pedagogia, il termine andragogìa indica l’insegnamento agli adulti: derivato da ἀνήρ (uomo) e ἄγω (condurre), fu coniato una quarantina di anni or sono e si riferisce ad una teoria che ha avuto in Malcolm Knowlesil suo massimo esponente.
E’ una teoria che si basa sulla differente capacità di apprendimento delle persone adulte rispetto ai giovani e che consente, perciò, una diverso risultato se impostato opportunamente.
I risultati delle teorie di Knowles furono da lui raccolte nel 1980in “The Modern practice of adult education: from pedagogy to andragogy”.
Vediamo alcune differenze.
I giovani ritengono utili le nozioni trasmesse dal docente, mentre gli adulti ritengono più significativo ciò che viene appreso attraverso l’esperienza.
Nella pedagogia, Il ruolo del discente è di dipendenza. Il docente è visto come colui sul quale pesa ogni responsabilità su cosa, come e quando una materia verrà appresa e di verificare se sia stataappresa; nell’andragogìa, il docente stimola l’apprendimento nei discenti, che sono auto-motivati.
Nei giovani l’insegnamento è impostato in modo uguale per tutti, indipendentemente dai loro interessi e dalle loro attitudini, secondo precisi piani ministeriali spesso inadatti ai tempi; nell’andragogìa l’educatore fornisce i mezzi perché i discenti possano perseguire il fine a cui tendono, ma sono i discenti stessi a percepire le loro necessità, i loro gusti e le loro attitudini.
Nella pedagogia i giovani sono investiti del compito di imparare, mentre negli adulti è frutto di una loro scelta.
I giovani ricevono una formazione basate sulla logica della materia trattata con criteri di difficoltà crescente (dalla filosofia presocratica ai filosofi attuali, dalle tabelline aritmetiche alle equazioni di quarto grado); gli adulti considerano l’educazione come un processo di sviluppo delle competenze che permettano loro di raggiungere il loro pieno potenziale. Sanno che applicando le nozioni e le tecniche apprese oggi potranno vivere meglio il domani e sono in grado di applicare alla vita reale la teoria trasmessa dai docenti.
Abbiamo numerosi esempi di insegnamento andragogico: dall’Università popolare di Torino, nata nel 1900 per consentire l’istruzione di chi, per varie ragioni, non aveva potuto completare o approfondire gli studi, alla miriade di Università della terza età sparse nel territorio, il cui compito è appunto quello di fornire formazione agli adulti, fino ai numerosi istituti di cultura di varia natura.
Io mi occupo di insegnamento dalla fine del secolo scorso (ecco come sentirsi vecchi …) e credo che uno dei punti di forza dell’insegnamento andragogico stia proprio nel coinvolgere i discenti nei progetti cui aderiscono. Non può essere una lezione calata dall’alto, informazioni diffuse per osmosi da chi ne sa di più a chi ne sa di meno, ma il compito del docente deve anche e soprattutto essere quello di stimolare nei discenti la voglia di fare proprie le nozioni, di imparare dai propri errori e fare tesoro dell’esperienza.
Sia nelle mie lezioni di sociologia che di fotografia, coinvolgo sempre i miei allievi nella realizzazione di progetti, nell’organizzazione di eventi e di viaggi, perché solo in tale modo essi diventano parte del progetto, vivendolo come una loro creatura e non imposto come un fardello da indossare.
Una sorta di cameratismo dove i ruoli da un lato si confondono quasi a non riconoscere chi sia il docente e chi il discente ma, al tempo stesso, il docente sia sempre tale per rispondere ad ogni e qualsiasi necessità dei discenti di sentirsi integrati nella lezione, nella materia, nel progetto.
Considerando che l’età media è notevolmente aumentata l’andragogìa sembra rispondere perfettamente alle esigenze di una società sempre più anziana ma sempre più bisognosa di apprendere nuove tecniche, nuove realtà ed apprendere nuovi linguaggi, non solo etnici ma anche tecnici.
Che dire poi dell’esercizio mentale che tutti dovremmo affrontare,raggiunta e superata una certa età, per mantenere il buon funzionamento del nostro cervello e del sistema nervoso? Lo studio, la pratica di attività soprattutto manuali, la lettura e la scrittura, l’allenamento della memoria sono tra le terapie più adatte per mantenersi giovani “dentro”: cosa aspettiamo? Le opportunità sono infinite, sta a noi saperle sfruttare.
Sergio Motta
Scopri – To Itinerari e sorprese in città





Pasticceri e pasticcini nel sabato di DolcissimArte
PANE E CIOCCOLATO
Dal 10 al 12 novembre, la città di Torino diventa la capitale della pasticceria artigianale di alta qualità con la seconda edizione di DOLCISSIMArte, la rassegna organizzata da Ascom Epat per celebrare la maestria e l’eleganza dei Maestri Pasticceri del Piemonte con golosi appuntamenti aperti al pubblico e degustazioni gratuite.
Fitto il programma della seconda giornata, sabato 11 novembre, con le iniziative Pasticceri in Vetrina, Pasticcini in Carrozza e Pane e Cioccolato.
«La seconda edizione di DOLCISSIMArte – sottolinea la presidente di Ascom Confcommercio Torino e provincia Maria Luisa Coppa – è dedicata alla valorizzazione della pasticceria piemontese. Ascom Confcommercio Torino e provincia ed Epat hanno intuito che nel panorama di promozione dell’enogastronomia c’era ancora un grande spazio per il settore della pasticceria. Per questo motivo lo scorso anno abbiamo realizzato la prima edizione e grazie al successo avuto abbiamo consolidato l’evento e lo riproponiamo ampliato e arricchito.
Il Piemonte è leader nella pasticceria, soprattutto nelle produzioni ‘mignon’. Per questo ci impegniamo fortemente nel far conoscere sempre di più il nostro settore dolciario anche ai visitatori e ai turisti, che restano immancabilmente estasiati ad ogni assaggio delle nostre meravigliose produzioni».
Dopo la prima giornata di venerdì, anche sabato sono protagonisti i “Pasticceri in Vetrina”: dodici pasticceri in altrettanti negozi del centro per un intrigante tour esperienziale di esibizioni e show pastry ‘a sorpresa’ nelle vetrine dei negozi del centro di Torino. Le esibizioni sono aperte gratuitamente al pubblico e prevedono la degustazione dei dolci realizzati.
Si inizia alle ore 11.00, nel negozio di elettrodomestici Gamer, in via Po 2 che ospita la pasticceria Dolcissimo di Orbassano, mentre il negozio di accessori moda, bijoux e idee regalo De Wan, in piazza San Carlo 132, è pronto per accogliere le creazioni della pasticceria Stillitano di Torino.
Alle 12.00 la pasticceria Ugetti di Bardonecchia si esibirà nel nuovo negozio Breitling di piazza San Carlo 169.
Il programma riprende dopo pranzo alle 15.00 con la pasticceria Il Dolcino di La Loggia al negozio di abbigliamento Secret Garden, in via Carlo Alberto 30. Alle 15,30 la pasticceria Raimondo è al negozio di articoli per la casa De Carlo in via Carlo Alberto 36.
Alle 16.00 la pasticceria Avidano di Chieri è al negozio di borse Baronio, in via Po 48, mentre la pasticceria Dell’Agnese di Torino è alla Peter’s Tea House di via Mazzini 7G e la pasticceria torinese Orsucci è nell’altro store De Carlo in via Cesare Battisti 5.
L’ultimo appuntamento della giornata è alle 17.00 da Monticone Fabbrica Occhiali, in via Lagrange 31, che ospita la pasticceria La Baita di Caselle.
«Grazie a questa iniziativa – evidenzia l’assessore alla Cultura, Turismo e Commercio della Regione Piemonte Vittoria Poggio – mettiamo in vetrina non soltanto prodotti di eccellenza con storie secolari ma la qualità che è l’unico ingrediente non imitabile sul mercato globale. Se le nostre imprese artigiane riescono ad essere competitive, è proprio grazie alla lavorazione precisa, minuziosa, eseguita manualmente che accresce il valore del prodotto finale tanto da renderlo unico».
Inoltre, alle 11.00 e alle 14.00 ci saranno i Pasticcini in Carrozza: a bordo del tram turistico, il caffè del mattino e del dopo pranzo diventa dolcissimo con un Maestro Pasticciere, i pasticcini piemontesi, una guida turistica e…Torino! L’iniziativa si ripete anche domenica 12 novembre.
Alle 14.30 i bambini potranno fare merenda in piazza Castello angolo via Garibaldi con Pane e Cioccolato: i maestri panificatori e i pasticceri preparano insieme una golosa merenda, gratuita fino a esaurimento.
Durante DOLCISSIMArte, inoltre, i maestri gelatieri rendono omaggio alla pasticceria piemontese con il gusto creato appositamente “Zabaione e Paste di Meliga“.
DOLCISSIMArte racconta una storia di eccellenza, scritta dalla creatività e dal saper fare dei Maestri Pasticceri piemontesi. Una storia che affonda le radici nel passato e che ancora oggi possiamo assaporare nelle pasticcerie storiche, molte delle quali hanno più di 200 anni. E accanto a queste, le nuove proposte dei Maestri Pasticceri che sperimentano e innovano una tradizione che non ha eguali.
Organizzata da ASCOM EPAT, con il sostegno e la collaborazione di Regione Piemonte, DMO Visit Piemonte, Camera di commercio di Torino, Città di Torino, Turismo Torino, Unioncamere, FIPE e le Amministrazioni locali dei territori coinvolti, DOLCISSIMArte chiama a raccolta i pasticceri di Torino e del Piemonte per far scoprire al pubblico un’eccellenza dalla storia secolare, espressione di un saper fare unico con solide radici nella tradizione e grande voglia di sperimentare e innovare.
YOGA SENZA BARRIERE
Il torcicollo è un fastidioso problema che può ostacolare la nostra giornata fin dal mattino.
Lo yoga offre un approccio naturale e delicato per alleviare il dolore al collo e migliorare la nostra flessibilità.
In questo articolo, esploreremo tre pose yoga specifiche da praticare al mattino appena svegli per combattere il torcicollo e iniziare la giornata con energia e serenità.
Tadasana (Posizione della Montagna) Poggia i piedi a terra, allinea le gambe e solleva le braccia sopra la testa, unendo le mani.
Stira tutto il corpo verso l’alto, mantenendo i piedi ben ancorati al suolo.
Respira profondamente e tieni la posizione per almeno 30 secondi, concentrandoti sullo stiramento del collo e della colonna vertebrale.
Bitilasana-Marjaryasana (Posizione della Mucca-Gatto)Posizionati a quattro zampe con le mani sotto le spalle e le ginocchia sotto l’anca. Inspirando, curva la schiena in su (posizione della Mucca) e solleva la testa verso l’alto.
Espirando, curva la schiena in basso (posizione del Gatto) e abbassa la testa.
Ripeti questo movimento per almeno 1-2 minuti, coordinando il respiro con il movimento del corpo.
Setu Bandhasana (Posizione del Ponte) Sdraiati sulla schiena con le ginocchia piegate e i piedi a terra, vicino ai glutei.
Solleva lentamente il bacino verso l’alto, mantenendo le spalle e i piedi ben ancorati.
Intreccia le mani sotto il corpo e spingi il petto verso il mento.
Mantieni la posizione per 30 secondi, respirando profondamente e sentendo lo stiramento nel collo e nella parte superiore della schiena.
Praticare regolarmente queste tre pose yoga al mattino può aiutarti a prevenire e alleviare il torcicollo, migliorando la tua mobilità e riducendo la tensione muscolare.
Ricorda di eseguire i movimenti lentamente e di ascoltare il tuo corpo durante la pratica.
Inizia la giornata con queste pose e goditi i benefici del corpo flessibile e del collo libero da tensioni.
Namasté – @odakawithserena
SERENA FORNERO
Il progetto – avviato nella primavera 2023 – ha coinvolto più di 10 persone quasi tutte under 30 e ha portato alla creazione di un diorama di sei metri interamente meccanizzato. Un omaggio alla città di Torino, alle campagne torinesi e cuneesi e alla loro produzione lattiero-casearia |
Torino, novembre 2023 – A Torino c’è già aria di Natale: dopo l’inaugurazione dell’ormai tradizionale kermesse Luci d’Artista, anche il Negozio Biraghi di Piazza San Carlo ha scelto di vestire le sue storiche vetrine tramite un ambizioso progetto di miniature natalizie. Le vetrine ottocentesche sono state addobbate con una struttura di 6 metri realizzata ad hoc da più di 10 persone tra artigiani, scenografi e pittori quasi tutti under 30 e con diversi gradi di esperienza e professionalità. Le miniature – realizzate a manoprincipalmente in legno e accuratamente decorate e meccanizzate – celebrano la città di Torino in alcuni suoi luoghi simbolo: Piazza San Carlo e i suoi portici, i Murazzi con tanto di canottieri lungo il Po, e naturalmente la Mole Antonelliana. La tradizione piemontese viene invece rappresentata ripercorrendo passo dopo passo tutta la filiera del latte: dall’allevamento di bovini in una cascina nelle campagne piemontesi alla raccolta latte, fino ad arrivare ai piedi del Monviso, presso l’azienda Biraghi di Cavallermaggiore (CN). Un progetto volto a incuriosire e intrattenere, ma anche insegnare ad adulti e bambini come avviene il ciclo di produzione del formaggio.
I lavori sono stati avviati nella primavera 2023 da Giampiero Boffa, dipendente Biraghi dal 1995 ed appassionato di progettazione meccanica, con un passato da artigiano di strumenti musicali. «Avevo già collaborato negli allestimenti natalizi degli scorsi anni del negozio Biraghi di Piazza San Carlo– ha affermato Boffa – ma per quest’anno abbiamo scelto di implementare ulteriormente le movimentazioni e le personalizzazioni. Sono molto orgoglioso del risultato finale, che spero potrà stupire ed emozionare tutti i turisti e i torinesi di passaggio davanti alle vetrine Biraghi».
Se Giampiero si è occupato di progettare e realizzare la struttura in legno, i modelli e i meccanismi di movimentazione, ad affiancarlo nella finalizzazione e nella decorazione dell’opera è stato Livio Pareschi, pittore professionista di 29 anni, e i suoi due collaboratori Andrea Montedoro e Daniela Cortese. Il progetto ha visto anche il coinvolgimento di un gruppo di 6 scenografi e costruttori tra i 20 e i 27 anni con diversi background e specializzazioni, tutti provenienti dal corso di scenotecnica dell’Associazione Tecniche Scuole San Carlo. I loro nomi: Giuditta Papale, Silvia Pirrotta, Fulvia Nanna, Elia Cariani, Luca Pescaglini, Giulia Furci.
Ad arricchire ulteriormente le vetrine, anche i villaggi natalizi Lemax con le loro movimentazioni meccaniche. «L’allestimento di quest’anno prevede più di 100 movimentazioni meccaniche e l’unione tra diverse figure professionali ha creato un risultato di grande impatto visivo e ricco di dettagli» ha affermato Gabriele Bolle, Direttore Marketing di Biraghi S.p.A. «L’Azienda ha voluto fortemente omaggiare la città di Torino, che a ottobre 2019 ci ha calorosamente accolti nel salotto cittadino, ed il nostro territorio, raccontando come in una favola la trasformazione del latte nei prodotti Biraghi». |
Allora, come lo vogliamo questo docente?
Competente, affabile, simpatico, comprensivo, preciso, serioso, preparato, innovativo, creativo.
Sarebbe meglio fosse sempre disponibile e con un perenne sorriso sul volto a mascherare la stanchezza.
Dovrebbe poi mostrarsi attento ai bisogni delle famiglie e alla quantitàdi compiti assegnati per casa: abbastanza da ripassare gli argomenti ma non eccessivi da intralciare lo sport pomeridiano; egli poi dovrebbe essere sufficientemente accorto da redarguire talvolta l’alunno, ma senza arrivare al punto d’inserire note sul registro di classe, appassionato e devoto al proprio mestiere, esigente certo, tuttavia non così rigoroso dal sostenere un’eventuale bocciatura a fine anno.
Senza tralasciare le “skills” individuate dalla Commissione Europea che ogni professionista dell’educazione dovrebbe avere intrinseche nel DNA, quali l’affabulazione, l’essere resilienti, possedere un’ottima gestione dello stress ed una buona abilità nel comunicare e nel cooperare; vi sono inoltre altre caratteristiche, richieste dall’opinione comune, che riguardano la capacità d’iniziativa, di pianificazione e autonomia nel lavoro, nonché discreta attitudine al problem solving ed all’auto analisi. Chiude questo infinito elenco di richieste l’ovvia e dovuta vocazione atta ad intrattenere e affascinare classi colme di adolescenti, propensi a mantenere l’attenzione per massimo cinque minuti e ormai disinteressati a quasi tutto ciò che li circonda.
Ora che abbiamo scelto il personale, passiamo oltre: come la vogliamo questa scuola?
Digitale o antiquata, con o senza zaino, con meno o più vacanze?
Vi dico la verità, cari lettori, l’impressione –personale ovviamente- èche le pretese stiano aumentando a dismisura, così come le prese di posizione per questi “diritti” che però mai s’accompagnano ai sacrosanti “doveri”.
E in questo singolare momento storico, in cui, per la prima volta, viene effettivamente messa in discussione l’essenziale importanza dell’istituzione scolastica, per la crescita e la formazione dell’individuo in qualità di futuro cittadino, pare che tutti si sentano in diritto di enunciare la propria verità riguardo a tale sistema educativo, ormai considerato vetusto ed inadeguato.
Mi sento di ribadirlo: le uniche persone in grado ed in dovere –qualora lo ritenessero opportuno- di pronunciarsi a proposito di cambiamenti e modifiche al sistema scolastico, sono quelle medesime figure attualmente impiegate negli istituti d’istruzione, che giornalmente s’imbattono in numerosi studenti, di età disparate, ciascuno con le proprie peculiarità e le specifiche attitudini.
Un fatto rimane, la scuola di oggi non solo non è quella di ieri, ma non potrà mai diventarlo.
Viviamo ormai in una società che comporta e richiede dei cambiamenti, tra i quali un rinnovato approccio pedagogico-educativo, volto ad accompagnare i giovani nativi digitali lungo il loro percorso di crescita, attraverso un’azione formativa che si dimostri al pari con i tempi.
La sfida che devono affrontare i professori oggi è tutt’altro che semplice, evenienza che forse richiederebbe un po’ più d’attenzione e, perché no, un rispetto maggiore.
Ecco il motivo per cui ritengo che una riflessione sia d’obbligo.
In questo contesto di evidente mutamento, è facile salire in cattedra –permettetemi l’espressione- e giudicare le azioni e le decisioni prese dai professori, che talvolta possono passare per superficiali, affrettate o addirittura sbagliate, eppure l’errore più grande, commesso dai più, sta nel dimenticarsi che si tratta di professionisti, esperti del settore educativo, pedagogico e relazionale e, soprattutto, individui abituati a condividere tempo e spazi con i ragazzi, i quali –ripeto- hanno abitudini e visioni diverse rispetto a quelle degli adolescenti delle generazioni precedenti.
L’uso invasivo dei media e la costante presenza dei social nell’esistenza di tutti, nonché la generale perdita del riconoscimento dei ruoli istituzionali e familiari, fanno sì che anche la norma che regola la vita di classe esiga delle trasformazioni, tra queste anche un innovativo rapporto studente-docente.
Ed ecco l’inghippo: qual è la modalità giusta per avvicinare le nuove generazioni, per ottenere un rispetto che fino a poco tempo fa era dato per scontato, per guadagnarsi la fiducia degli alunni, come conquistare attenzione e collaborare?
Mi hanno molto colpito le parole di Roberto Vecchioni, pronunciate su La 7 a “In altre Parole”, il programma condotto dal giornalista Massimo Gramellini: “L’insegnante non deve essere amico degli studenti. Il docente ha un ruolo e un’autorità. Agli studenti deve dare certezze”.
L’affermazione si inscrive in un discorso più ampio, riguardante l’episodio avvenuto in una scuola bolognese, in cui la Dirigente ha proposto precise sanzioni disciplinari per gli studenti bulli, che si sarebbero ritrovati a dover zappare l’orto dell’edificio scolastico mentre rimuginavano sulle proprie malefatte.
In qualità di docente mi trovo più che d’accordo sul fatto che non possa nascere una vera e propria “amicizia” tra professori ed allievi, non solo per i ruoli formali degli uni e degli altri, ma per una serie di altre motivazioni non meno importanti, quali ad esempio la differenza d’età, la diversa prospettiva di vita o le difformi abitudini quotidiane che diversificano il mondo gli adulti da quello dei giovani.
In tutta sincerità credo che se è necessario un tale appunto, forse siamo ormai estranei al concetto stesso di amicizia.
D’altro canto, dopo un’attenta riflessione basata sull’esperienza di questi anni d’insegnamento, mi sento di pormi come una sostenitrice di una tipologia di relazione “amichevole”, volta a creare un ambiente d’apprendimento positivo e propositivo, pur tenendo ovviamente conto dei doveri e dei limiti annessi non solo alla figura del docente, ma anche a quella dell’allievo.
Chi sceglie di fare questo mestiere ha ben chiara l’influenza che puòsuscitare un professore su un ragazzo in fase di crescita e sviluppo, in continua ricerca di approvazione e che si trova nel delicato momento di strutturazione della propria identità.
Per fornire solide basi culturali, l’insegnante si avvale delle proprie competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative ma soprattutto relazionali, grazie a queste ultime infatti il docente cerca di risvegliare l’interesse negli studenti, tenta di appassionarli, di pungolare la curiosità e la voglia di conoscere, qualità che accompagneranno i fanciulli per tutti la vita.
La relazione dunque deve svolgere un ruolo di primaria importanza, èessenziale instaurare un clima accogliente e comprensivo, un contesto educativo adeguato allo svolgimento delle attività scolastiche e consono nel far sentire a proprio agio gli studenti.
Questa è la teoria, poi c’è la realtà dei fatti.
Come concretizzare questi buoni propositi? Come appassionare questi giovani, disillusi e apparentemente privi di interessi? Qual èl’atteggiamento più consono per avvicinare tali ragazzi, lasciati sempre più soli davanti agli schermi, eppure eccessivamente protetti, ed inaspettatamente non più abituati a relazionarsi, né tra pari né con gli adulti?
Nessuna verità inconfutabile, solo un’opinione personale.
Forse un atteggiamento disponibile e cordiale potrebbe essere una buona idea, qualche battuta per ridimensionare la distanza tra le parti, dei sorrisi per far comprendere che si è comunque parte di una squadra, anche se c’è chi guida e chi segue. Inoltre un comportamento “amichevole” non significa “amico” né vieta il diventare “autorevole”, qualora il momento lo renda necessario.
Sdrammatizzare la lezione, trattare con rispettosa leggerezza un dato argomento o condividere un momento “simpatico” con i propri studenti, non può di certo essere un male, al contrario, attraverso lo sfoggio di una gentilezza costante ed una condotta genuina e spontanea, si può entrare in relazione anche con gli individui piùostici, che, come sappiamo, sono spesso proprio coloro più bisognosi di attenzioni e fiducia.
E se, infine, dopo essersi compresi vicendevolmente, un alunno si sbilanciasse a “chiedere aiuto” al docente per una questione di cuore, che male ci sarebbe?
Aprire un dialogo sicuro su questioni più personali, che esulano prettamente dalla didattica, potrebbe essere un modo ulteriore per supportare l’adolescente nelle proprie scelte di vita, per sostenerlo di fronte ad una decisione difficile, magari un amore finito o uno appena incominciato, perché vedere in questa tipologia d’approccio un limite, un abbassamento del ruolo di docente e non un’opportunità in più, per dimostrasi ancora una volta una guida, un punto fermo, a cui i ragazzi possano far riferimento sempre, e non solo in ambiti nozionistici?
Le mie rimangono domande aperte, che tengono comunque conto del fatto che ogni istitutore, in qualità di professionista, è libero di scegliere il proprio modo di impostare la relazione con la classe, in tal senso gli alunni avranno altresì l’opportunità di visionare diverse tipologie d’approccio e potranno imparare a confrontarsi con diversi modelli, modulando il proprio atteggiamento nelle varie situazioni.
Troppo spesso ho sentito sminuire la problematica degli atteggiamenti scorretti degli studenti e troppo spesso ho letto che “la colpa” va data al professore, che non è in grado di gestire la classe, che non si èimposto sugli alunni, che non è stato capace e via discorrendo.
Il problema è decisamente più complesso e articolato, e riguarda un discorso educativo che non può essere relegato esclusivamente all’ambito scolastico, inoltre, siamo sicuri che serva davvero piùdistanza e maggiore severità per risolvere tale problematica riguardante un sempre più diffuso disagio giovanile?
La scuola è cambiata, la società anche, eppure i giovani, a mio modesto parere, hanno le medesime fragilità che abbiamo vissuto noi alla loro età, la differenza sta nel come i ragazzi oggi decidono di (non) affrontare gli ostacoli della vita, un po’ perché il mondo oggi vuole individui inattivi e controllabili, un po’ perché noi adulti ci crogioliamo in questa contemporanea sindrome dell’infermiere.
Io me li ricordo i miei professori, ognuno con il proprio metodo educativo, e mi rammento bene di come io ed i miei compagni ci comportavamo in maniera differente a seconda di chi entrava in classe.
Anche grazie agli esempi dei docenti che mi hanno accompagnato lungo il mio percorso scolastico sono oggi in grado di ragionare criticamente sulla modalità di relazione da adottare in classe, appoggiandomi alla tipologia educativa che ritengo più vicina al mio modo di essere.
A distanza di tempo mi rendo altresì conto di come non ci sia in realtàun unico archetipo corretto, ogni personale attitudine influisce sulla formazione del carattere dello studente, lo forgia e lo sostiene nei diversi bisogni della vita.
Quel che ricordo bene inoltre è che nessun docente si è mai permesso di giudicare apertamente un collega su come gestiva la classe, né un genitore o una qualunque persona estranea all’ambito scolastico. Ricordo che l’azione educativa non era mai messa in discussione, nétantomeno la figura stessa del docente.
Questo è forse il vero limite da rispettare.
ALESSIA CAGNOTTO
A cura di piemonteitalia.eu
Leggi la ricetta: ↘️
https://www.piemonteitalia.eu/it/enogastronomia/ricette/antipasto-di-marroni-della-valle-di-susa-con-miele-millefiori-erbe-e-fiori-di