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Rivoli si tinge di verde con due eventi immersivi nella natura

Nel programma del Festival del Verde, focus su Forest Bathing e Collina Morenica

Ha preso il via il 5 maggio e proseguirà fino al 25, il Festival del Verde, la rassegna diffusa che porta a Torino e in oltre 10 comuni dell’area metropolitana oltre 150 eventi dedicati al verde urbano, al paesaggio e alla natura in città. L’edizione 2025, dal titolo “Il futuro con le piante”, mette in rete parchi, giardini, progetti di rigenerazione e nuovi modi di vivere il verde, con un format rinnovato e coinvolgente.

Rivoli, per la prima volta tra i comuni aderenti, propone due appuntamenti speciali organizzati da TurismOvest che invitano a vivere la natura in modo lento e consapevole.

Domenica 18 maggio – Passeggiata sulla Collina Morenica
Una camminata guidata attraverso uno degli habitat più suggestivi del territorio, tra sentieri, scorci panoramici, storia e biodiversità.Il percorso si concluderà con una degustazione gratuita presso la Fattoria Roggero, per unire movimento, scoperta del paesaggio e sapori locali. Ritrovo per partecipare alle ore 15,00 in Piazzale Mafalda di Savoia. La conclusione del percorso è prevista alle ore 18,30 circa.

Domenica 25 maggio – Forest Bathing al Parco di Villa Melano
Un’esperienza di benessere immersivo tra gli alberi, ispirata alla pratica giapponese dello shinrin-yoku. I partecipanti saranno accompagnati da esperti in una sessione di bagno di foresta per rallentare, riconnettersi con l’ambiente e ritrovare equilibrio psicofisico.

Ritrovo per partecipare alle ore 9,30 in Piazzale Mafalda di Savoia. La conclusione dell’esperienza è prevista alle ore 13 circa.

Entrambe le giornate sono gratuite.

Gradita la prenotazione all’e-mail info@turismovest.it

Tokyo Pancake apre il secondo store a Torino

La morbida seduzione dei pancake giapponesi vaporosi come nuvole

Tokyo Pancake è il nuovo format gastronomico firmato Akira Yoshida, già fondatore del noto Ramen Bar Akira e considerato uno dei principali promotori della cultura gastronomica giapponese in Italia. Dopo la sede pilota di Roma, il brand di dolci orientali inaugura il suo secondo store italiano a Torino, in Via Sant’Ottavio 12.

 

Tokyo Pancake nasce per raccontare, in chiave autentica e contemporanea, l’universo dei fluffy pancake giapponesi, portando nel panorama italiano una delle espressioni più iconiche dello street food dolce (e non solo) nipponico. L’esperienza offerta fonde l’eccellenza artigianale con un’estetica raffinata, in un formato vivace, colorato e dal carattere pop. Un’esplosione di Giappone contemporaneo, giovane e dinamico. Pochi prodotti, preparati alla perfezione, con un’attenzione particolare per la freschezza e la genuinità degli ingredienti. Nel nuovo tempio della dolcezza i pancake sono nuvole soffici e i topping sembrano usciti da un manga.

Ogni pancake è realizzato al momento, con un tempo di preparazione di circa 15–20 minuti, necessario per garantire la caratteristica consistenza soffice e vaporosa che distingue questo dolce nella tradizione giapponese.

Il menù si completa con una selezione di bevande esclusive a base di latte (Tokyo Milk), pensate per valorizzare il gusto dei pancake e offrire un’esperienza multisensoriale coerente.

 

Un’identità visiva forte e riconoscibile che si accompagna ad una qualità impeccabile per una proposta gourmet capace di trasportarti con un morso nella Tokyo contemporanea.  

 

L’offerta gastronomica:

Pancake dolci: preparati sul momento, soffici e leggeri, con topping freschi e combinazioni che spaziano tra frutta, panna, matcha e cioccolato. Particolarissimo l’Harajyuku, il tiramisù al matcha.
Pancake salati: reinterpretazioni fusion con ingredienti tipici della cucina nipponica, come l’UenPancake con il pollo fritto giapponese, oppure dal sapore più occidentale.
Bubble. Milk e tè drinks, bevande a base latte o tè, anche queste preparate con ingredienti di alta qualità e proposte in gusti originali come matcha, fragola e tapioca.

 

 

TOKYO PANCAKE

Via in Arcione, 71 – Roma

Via Sant’Ottavio 12 – Torino

La legge truffa, le mondine e i pifferi di montagna 

 

Una mattina di fine ottobre dalle parti di Oira sul lago d’Orta nella cucina dello Scardola, al secolo Cristoforo Clemente, rinfrancati nel corpo e nello spirito davanti a una bottiglia di Gattinara ( lo Scardola ne teneva sempre una a portata di mano, per le emergenze) Faustino diventò loquace e in vena di ricordi, rammentando episodi del passato come quello in cui, poco più che ragazzo, dovette nascondersi nel fosso di una risaia a Borgovercelli. Era di maggio, verso la metà del mese. L’anno non poteva certo scordarselo: il 1953. “ A quel tempo ero un giovane operaio e da meno di un anno ero stato indicato dal partito a rappresentarne l’organizzazione giovanile a livello provinciale. Allora mi avanzava poco tempo per pescare le anguille”.

 

Faustino  Girella-Nobiletti a quel tempo era uno dei più brillanti e vivaci dirigenti della gioventù comunista novarese. Un’attivista coi fiocchi, tanto bravo e affidabile che un giorno, su esplicita richiesta del senatore Leone, venne inviato a Vercelli. I comunisti della città del riso avevano richiesto ai cugini novaresi l’invio di “un compagno sveglio e in gamba per una delicata azione di propaganda”. In ballo c’era la campagna elettorale contro la legge-truffa. “Dovete sapere che la legge elettorale varata quell’anno, che noi ribattezzammo legge truffa, fu una modifica in senso maggioritario della legge proporzionale vigente all’epoca dal 1946”. Promulgata il trentun marzo millenovecentocinquantatre la legge numero centoquarantotto, composta da un singolo articolo, introdusse un premio di maggioranza consistente nell’assegnazione del sessantacinque per cento dei seggi della Camera dei Deputati alla lista o a un gruppo di liste apparentate in caso di raggiungimento della metà più uno dei voti validi. Nel tentativo di ottenere il premio di maggioranza nelle elezioni politiche di giugno, la Democrazia Cristiana e altri cinque partiti si apparentarono. Al fianco dello scudocrociato c’erano socialdemocratici, liberali, repubblicani, gli altoatesini della Südtiroler Volkspartei e gli autonomisti del Partito Sardo d’Azione. “Noi, comunisti e socialisti, insieme a personalità come Ferruccio Parri e Piero Calamandrei avversammo con tutte le nostre forze quella legge”, aggiunse Faustino. Nel Paese era ancora vivo il ricordo della legge Acerbo, voluta da Mussolini in persona pochi mesi dopo la Marcia su Roma. In base a quella legge, la lista che prendeva più voti otteneva i due terzi dei seggi. E fu così che il listone fascista , grazie ai brogli e alle intimidazioni delle squadracce, nel ventiquattro ottenne il sessantaquattro virgola nove per cento dei voti, offrendo al regime una larga quanto fraudolenta base di consenso popolare.  Faustino, di fronte a quell’importante incarico, non volle farsi trovare impreparato e predispose con cura  il suo corredo. Infilò nel tascapane un po’ di vestiario di ricambio, la tuta, due pennelli ( “per le scritte murali”), una pagnotta di segale, una piccola toma di formaggio del Mottarone. Raggiunse Novara in treno e da lì Vercelli, viaggiando su di un carro carico di fieno. Recatosi alla sede del Pci in corso Prestinari, trovò ad attenderlo Francesco Leone in persona. Il senatore era un personaggio di prim’ordine. Noto antifascista e fondatore del Partito Comunista, comandante antifranchista durante la guerra civile spagnola e dirigente di spicco della Resistenza. La prima sorpresa l’ebbe in quel momento. L’incarico che egli era stato riservato consisteva nel contattare i vecchi monarchici vercellesi ai quali, spacciandosi per un inviato della casa Reale ( i Savoia erano in esilio a Cascais , in Portogallo), doveva rivolgere l’invito alla mobilitazione contro quella legge-tagliola. Già in Parlamento, i rappresentanti del Partito Nazionale Monarchico avevano votato contro la legge e il suggello della casa Reale serviva a rinvigorire la critica. Fu così che , lasciato perdere il suo corredo da propagandista dovette infilarsi un completo grigio scuro non proprio della sua misura, visto che  gli andava un poco stretto di spalle, era corto di maniche e risultava lungo di gamba. Ma, come precisò con voce ferma Francesco Leone erano “particolari ai quali non si doveva prestare troppa attenzione”. Dopotutto, in quegli anni duri del dopoguerra, anche a un inviato dei Savoia sarebbero stati perdonati certi difettucci sartoriali. L’anello con il sigillo della Real Casa invece gli andava a pennello. Massiccio e lucente, pareva vero in tutto e per tutto. Merito di Gianni Fiorino, un artigiano orafo di Valenza che aveva fatto il partigiano in Valsesia con Cino Moscatelli. “Mi venne da ridere, guardandomi allo specchio”, confidò Faustino. Rise ancora di più quando, apprendendo che sua madre dimorava a Pratolungo, una frazione di Pettenasco, sfruttando quel suo doppio cognome, il Partito decise di affibbiargli anche un titolo nobiliare: Fausto Girella-Nobiletti, Conte di Pratolungo. Ah, se l’avesse saputo quel suo amico e compagno, sindacalista dei tessili della FIOT-CGIL. Lui sì che portava un nome e un cognome in grado di far scattare sull’attenti ogni monarchico: Umberto Re. Con il cognome a precederne il nome si sarebbe ottenuta la più alta carica dei Savoia.

Ma non era il caso di esagerare. Con la nuova identità, in un paio di settimane, Faustino girò in lungo e in largo il vercellese. Dal tè e pasticcini nei salotti di anziane dame ai cascinali più spersi, dove vivevano contadini, mezzadri e fittavoli rimasti fedeli alla Corona, il falso inviato di casa reale si diede da fare come un dannato per illustrare ai suoi interlocutori la volontà di Sua Maestà.“ Il Re Umberto II d’Italia, vede come il fumo negli occhi questo  disegno ordito dai democristiani e dai loro alleati, del quale questa ignobile legge rappresenta l’arma più subdola e pericolosa”, diceva a tutti, con piglio combattivo. In fondo, da quanto s’intuiva, il Re di Maggio non la pensava tanto diversamente. Bastava calcare la mano qua e  là per scaldare le passioni represse dei fedelissimi di casa Savoia. Tutto andò liscio, tra baciamano e saluti militareschi, finché non accadde il guaio. E che guaio! Durante il suo girovagare, capitò sull’aia di un cascinale dove aveva appuntamento con un anziano veterinario. Aveva da poco, come si usa dire, attaccato bottone  quando udì un canto che conosceva bene, anzi, benissimo: “Son la mondina, son la sfruttata /, son la proletaria che giammai tremò/ Mi hanno uccisa, incatenata/ carcere e violenza, nulla mi fermò. Coi nostri corpi sulle rotaie / noi abbiam fermato i nostri sfruttator / c’è molto fango sulle risaie/ ma non porta macchia il simbol del lavor.”. Si era imbattuto, colmo della sfortuna, in un gruppo di mondine. Alcune di loro, l’anno prima, avevano partecipato alle lotte sindacali per i contratti, il salario e l’occupazione nelle risaie a Lumellogno, nella bassa novarese. Lì avevano conosciuto proprio lui, il Faustino, nella veste di dirigente dei giovani comunisti. Una di loro, oltretutto, una morettina di un paese vicino a Reggio Emilia, l’aveva conosciuto molto ma molto bene e a fondo. Quando lo videro lì, vestito come un “sciùr”, parlare fitto con quel vecchio di cui tutti conoscevano le idee monarchiche, per di più tenendolo amichevolmente sottobraccio, ammutolirono. Lo sconcerto durò una manciata di secondi e , come  quando scoppia un temporale estivo, si scatenò il putiferio. Insultandolo in tutti i modi possibili ( “traditore”, “venduto”, “carogna”..) lo fecero correre a perdifiato fin quando riuscì a nascondersi nel fosso pieno d’acqua. A mollo, in compagnia delle rane, ci stette fino a notte tarda. Scampato il pericolo, nei giorni successivi , ormai bruciata la sua copertura e smessi i panni da uomo del Re, tornò  mestamente a casa, con una tosse carogna e un fastidioso raffreddore. La settimana successiva, il  sette giugno millenovecentocinquantatre, all’apertura dei seggi ,la vittoria del blocco centrista sembra scontata. I forchettoni, così ribattezzati da Giancarlo Pajetta, si apprestavano a spartirsi la torta elettorale. E invece, accadde il miracolo. Con grande sorpresa, lunedì otto, dalle urne le forze politiche della coalizione ottennero un quarantanove virgola ottantacinque per cento, arrestandosi ad un soffio dalla meta.

Così, non potendo usufruire del premio di maggioranza , la legge divenne inefficace e più tardi venne abrogata. Per circa  cinquantasettemila voti non scattò il temuto premio di maggioranza. Rispetto al quarantotto la Dc perse più di otto punti e tutte le liste apparentate arretrarono. Il Pci ottenne il ventidue e sei per cento, il Psi il dodici e sette. I monarchici, a loro volta, passarono dal due e otto al sei e nove per cento. Il leader dei socialdemocratici, Giuseppe Saragat, sconsolato, esclamò: “La colpa è del destino cinico e baro”. Faustino, in cuor suo, è sempre rimasto convinto di aver dato una bella mano per far lievitare quel cinismo del destino. E pazienza se il giornale della Curia vercellese ( chissà come l’avevano saputo..)  gli dedicò un corsivo al vetriolo, intitolato “I pifferi di montagna vennero per suonare e furono suonati”. Nonostante fossero passati tanti anni, nel ricordare la storia del suo bagno più famoso, non nascondeva il rammarico per l’incidente con le mondine. Con alcune di loro ebbe l’occasione di spiegarsi più avanti, ma aveva avuto la sensazione che, pur fidandosi più del partito che di lui, non compresero le ragioni strategiche che l’avevano costretto  a vestire, in quelle due settimane, i panni stretti del Conte di Pratolungo.

Marco Travaglini

La fonduta di caciocavallo è perfetta sui paccheri

I Paccheri sono un formato di pasta molto versatile e i modi per gustarli sono infiniti. Ve li propongo accompagnati da una setosa e avvolgente fonduta di Caciocavallo. Un primo piatto sostanzioso, gustosissimo e particolare. 
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Ingredienti 

350gr. di pasta “Paccheri” 
100gr.di formaggio Caciocavallo 
100ml. di panna liquida 
4 cucchiai di granella di pistacchi 
2 pomodorini secchi 
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Grattugiare il Caciocavallo con una grattugia a fori grandi. Scaldare la panna, sciogliere mescolando il formaggio sino ad ottenere una crema liscia. Nel frattempo cuocere la pasta in acqua salata. Quando cotta versare in una terrina, condire con la fonduta e cospargere con la granella di pistacchi ed un trito di pomodorini secchi. Servire subito. 

 

Paperita Patty 

Lo strudel di Cavour con gli asparagi di Santena

Dolci, teneri, rinfrescanti e delicati dal caratteristico colore verde-viola

Parliamo di asparagi, in particolare della varieta’coltivata a Santena che appartiene ai prodotti agroalimetari tradizionali della Regione Piemonte. Proprio quelli di cui, il “goloso” Camillo Benso conte di Cavour contribui’ a rafforzare la fama di prodotto alimentare d’eccellenza, gradevolmente dolci, teneri, rinfrescanti e delicati dal caratteristico colore verde-viola. Si prestano a tantissime preparazioni, provateli cosi’…

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Ingredienti:

1 rotolo di pasta sfoglia rotonda

½ kg. di asparagi di Santena

3 fette di prosciutto cotto

3 cucchiai di ricotta fresca

3 cucchiai di Parmigiano grattugiato

1 uovo intero, piu’ un tuorlo

sale e pepe q.b., qualche foglia di menta

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Pulire gli asparagi, cuocerli a vapore, lasciar raffreddare. Stendere la sfoglia su di un foglio di carta forno, coprirla con le fette di prosciutto cotto. In una terrina, amalgamare la ricotta con l’uovo intero, il parmigiano, la menta tritata, il sale, il pepe e gli asparagi tagliati a tocchetti. Spalmare il composto sulle fette di prosciutto e avvolgere la pasta formando uno strudel. Spennellare i bordi con il tuorlo, cuocere in forno pre-riscaldato a 200 gradi per circa 30 minuti. Lasciar intiepidire e servire a fette.

 

Paperita Patty 

Chiusa di San Michele, a maggio i laboratori di creatività del Comune

L’Amministrazione Comunale di Chiusa di San Michele, guidata dal sindaco Riccardo Cantore promuove i “Laboratori di Maggio” che si tengono presso il Salone Polivalente del paese. La cittadinanza è invitata a partecipare.  E’ un’opportunità per trascorrere pomeriggi all’insegna dell’apprendimento, della manualità e della socializzazione in un ambiente accogliente e stimolante. Ogni martedì del mese di maggio sarà dedicato a un laboratorio differente, offrendo ai partecipanti la possibilità di esplorare nuove tecniche e dedicarsi a temi specifici. L’iniziativa è pensata per coinvolgere persone di tutte le età, senza distinzione di esperienza o provenienza.

Il calendario dei laboratori è iniziato Martedì 6 Maggio, con la GINNASTICA DOLCE condotta da Giusy Balilla. Un’attività pensata per il benessere fisico, adatta a tutti i livelli.

  • Oggi, Martedì 13 Maggio, ore 15:00 – 16:00: LABORATORI a cura di Ivana Rocci. Un appuntamento dedicato alla manualità e alla creatività. I partecipanti sono invitati a portare ago per lana, forbici e delle “mattonelle” (il tipo di materiale specifico potrebbe essere comunicato in seguito o sarà indicato all’inizio del laboratorio). “Iniziamo ad avvicinarci al clima natalizio con lavori a tema a partire dall’uncinetto, fino agli alberi di Natale. Un modo per manifestare la propria creatività pensando già alle festività di fine anno”, spiega Ivana Rocci.

  • Martedì 20 Maggio, ore 15:00 – 16:00: ORIGAMI con Mariangela. Un’introduzione all’antica arte giapponese del piegare la carta. Si invita a portare carta regalo, anche di recupero, per dare libero sfogo alla fantasia.

  • Martedì 27 Maggio, ore 15:00 – 16:00: LABORATORIO Creativo, con idee per allestimenti. Un’occasione per imparare a realizzare decorazioni e allestimenti originali per diverse occasioni.

“Perluna”, la nuova creazione della Cantina Sei Castelli

In scena tra cultura, tradizioni e innovazione

Un grande successo di pubblico ha contraddistinto l’evento di presentazione, tenutosi domenica 11 maggio scorso presso la Cantina Sei Castelli di Castelnuovo Calcea, nell’astigiano, di “Perluna”, la nuova creazione firmata dalla Cantina medesima, uno spumante rosato extra brut ottenuto da uve barbera.

Decine tra appassionati e professionisti del settore hanno partecipato all’incontro con il direttore della Cantina Enzo Gerbi, che ha presentato ufficialmente la nuova produzione di “Perluna”, ottenuto con metodo Martinotti, e grande risultato del progetto il “Risveglio del Ceppo”, nato a seguito di un attacco da parte della fillossera, che ha causato l’estinzione di molti vitigni, a parte quello della Barbera, che ha resistito.

Per salvaguardare il patrimonio genetico di questi vigneti, in collaborazione con l’Università degli Studi di Torino, è stato avviato il sopracitato progetto che prevedeva la selezione in vigneto di 34 ceppi con caratteristiche particolari che hanno portato, dopo un iter di analisi scientifiche, studi e degustazioni, a evidenziare la presenza tra questi di quattro ceppi eccezionali. “ Il Risveglio del Ceppo” evoca, quindi, una sorta di rinascita produttiva basata sugli importanti concetti di sostenibilità e memoria, in cui le nuove viti conservano il patrimonio genetico originario, senza introdurre cloni o innesti esterni. Fondamentale per l’ottenimento di questi risultati è  stato l’incontro con Monica Meneghelli e l’artista Ezio Ferraris, che hanno contribuito a dare un taglio culturale e artistico al progetto.

È nato così un vero e proprio museo del vino dal nome “L’anima del Vino”, in cui sono conservate le originali opere in legno di Ezio Ferraris, che offre ai visitatori un’esperienza che, oltre a quella del gusto, fa vibrare le emozioni evocate dall’arte.

Un luogo in cui l’enoturismo si fonde con l’identità artistica e storica del territorio e che crea un’esperienza immersiva unica e irripetibile.

“Perluna è il simbolo di una maniera differente di guardare alla Barbera – dichiara Enzo Gerbi- tradizionalmente un vino fermo che oggi però si presenta in una nuova forma elegante e sostenibile, accolta con molto entusiasmo. Perluna è simbolo di un rispetto verso il paesaggio e nei confronti del lavoro dei vignaioli, una sorta di trait-d’union che richiama al concetto di comunità. Un’ode alla Barbera attraverso la passione per il nostro territorio che affonda le sue radici nei continui stimoli che la bellezza ci offre di fronte alle nuove sfide”.

Il successo dell’evento è poi proseguito con un secondo momento dedicato allo show  cooking e che ha visto protagonista il finalista di MasterChef Simone Grazioso, che ha intrattenuto i presenti con abbinamenti molto originali tra cibo e vino di produzione della Cantina Sei Castelli.

Mara Martellotta

Un Figaro rossiniano

È doveroso accostarsi alla famosa cavatina del Barbiere di Siviglia, opera lirica composta inizialmente da Paisiello e successivamente oscurata dal successo mondiale di Gioachino Rossini per raccontare la storia originale di Gennaro Fardello, il coiffeur operativo a Casale Monferrato. L’entrata di Figaro nella seconda scena del primo atto dell’opera rossiniana rappresenta il factotum fortunato della città che vantava la propria popolarità del tuttofare di un tempo che non solo esercitava le proprie mansioni di barbiere ma acconciava parrucche, distribuiva consigli medici e speziali, eseguiva trattamenti odontoiatrici, ricercava giocatori di football per le squadre locali e favoriva incontri galanti tramite messaggi privati.
Tra i baritoni che hanno interpretato Figaro, tratto dalla commedia omonima francese del 1775, spicca il torinese Giuseppe Valdengo richiesto al Metropolitan di New York dal grande direttore d’orchestra Arturo Toscanini. La fortuna del coiffeur, proveniente dalla scuola napoletana, ebbe inizio nel 1981 quando il maresciallo dell’Esercito e cognato Antonio Fardello lo contattò per sostituire il barbiere delle reclute ormai prossimo alla pensione. Giunto a Casale, Fardello fu alloggiato nel “casermone” Nino Bixio del XI battaglione di fanteria, il più antico della storia italiana fondato nel XVII secolo dal Ducato di Savoia come reggimento del Monferrato. Dal 1958 era sede del CAR, il centro addestramento reclute che ospitava annualmente circa 12000 militari.

Le affilate forbici di Fardello conobbero il pugile italo-malese Nino La Rocca classe 1959, arruolato nell’Esercito Italiano dopo ostacoli e lentezze giudiziarie risolte tramite l’interessamento del presidente Pertini che gli concesse la cittadinanza italiana nel 1983. Degli 80 incontri disputati il pugile vinse 74 volte, di cui 54 per KO con sole sei sconfitte, perdendo il titolo mondiale nel 1984 contro il texano Curry detto “il cobra”. Anche se non possedeva il pugno proibito, La Rocca  finalmente diventò campione europeo dei pesi welter nel 1989, definito il Cassius Clay italiano per la mobilità sul ring e per le doti di pugile innovativo. Fece scalpore il matrimonio di Nino La Rocca con la pornostar toscana Manuela Falorni, detta la “venere bianca”, separato da lei dopo una lunga battaglia giudiziaria. Incredibile la protesta del pugile che si incatenò davanti a Palazzo Chigi e al Quirinale, invocando un lavoro nel settore per essere stato respinto all’esame di insegnante federale. Nel 2014 gli fu concesso un vitalizio dallo Stato Italiano che gli permise di allenare giovani pugili.

Nella struttura militare soggiornarono Adriano Celentano, Gianni Morandi, Ivano Fossati e l’attuale ministro Matteo Salvini per svolgere il periodo di addestramento. Durante le festività natalizie venivano organizzati concerti per le reclute con alcuni cantanti in voga. Tra gli invitati, il Figaro casalese ricorda lo stile ironico e dissacrante di Donatella Rettore con i suoi 30 milioni di dischi venduti e Dino, pseudonimo di Eugenio Zambelli, scoperto da Teddy Reno e famoso per il suo disco “Te lo leggo negli occhi” del 1964. L’appalto ventennale del coiffeur Gennaro Fardello si concluse nel 1999 con la chiusura definitiva della caserma casalese, seguita nel 2004 dall’abolizione totale della leva militare obbligatoria in Italia. Da uno studio del Politecnico di Torino del 2008 e da una recente proposta parlamentare emerge la concreta possibilità di realizzare un nuovo carcere per la provincia di Alessandria nel contesto di ristrutturazione e valorizzazione della struttura abbandonata.
Armano Luigi Gozzano 

Tanti, maledetti e subito

Chi di noi non ricorda cantautori o gruppi come Battisti, De Andrè, Bertoli, Battiato, Beatles, Rolling Stones, ecc?

Una carriera durata decenni, ricordata oggi anche da chi all’epoca non era presente, costruita attraverso sacrifici, perfezionamenti, modifiche della propria cifra stilistica permettendo, per quanti hanno già raggiunto il Creatore, di lasciare i propri eredi nell’agiatezza.

Oggi si assiste invece al fenomeno del mordi e fuggi. Tralasciando il penoso espediente dell’autotune che sta al canto come l’intelligenza artificiale sta al cervello e che permette a persone che non sanno tenere due note in fila di autodefinirsi cantanti, ovunque è un proliferare di fenomeni mediatici che nascono dal nulla, diventano famosi per la vincita di qualche evento canoro o per la partecipazione a qualche talent show, riempiono gli schermi delle emittenti TV per qualche mese, quando va bene 2-3 anni, e poi tornano nel nulla.  Quando proprio va di lusso, di un gruppo si salva il cantante che proseguirà in solitaria la ricerca di uno spazio nel firmamento della musica.

Il problema principale è l’ubriacatura da successo: persone spesso di origine modesta si ritrovano a viaggiare per tutto il Paese per concerti, interviste e comparsate, a guadagnare cifre da capogiro e, proprio perché non abituati, altrettanto in fretta se li spendonolamentandosi poi di essere ridotti sul lastrico.

Tralasciando la qualità artistica (de gustibus non disputandum est) è evidente che si tratta di personaggi costruiti a tavolino, veri e propri prodotti, che coraggiose operazioni di marketing fanno diventare miti del momento, con tormentoni spesso incomprensibili, vuoi per il tono della voce, vuoi perché non sai se sia il rapper che canta o il tuo compagno di viaggio che ti sta raccontando qualcosa.

E’ evidente che rispetto ai testi, a volte polemici, sempre studiati di cantanti e cantautori degli anni ’70 e ’80, non solo italiani (ricordiamo Joan Baez, Cat Stevens,  Patti Smith e molti altri) i testi attuali, prodotti con ignoranza artificiale (definirla intelligenza è un torto) al computer ed adattabili a chiunque, con la musica hanno niente a che fare.

Per fortuna l’Eurovision Song Contest ancora non consente l’uso dell’autotune, così percepiremo eventuali stonature come un fenomeno umano, che può capitare, e non come un guasto tecnico.

Spezzo una lancia in favore di molti giovani: sentire ragazzi che oggi hanno 20-30 anni ascoltare i nostri miti, ancora in attività o già deceduti, parlare dei testi di questo o quello, riempiono il cuore di gioia, perché evidentemente c’è ancora qualche speranza.

Sfido chiunque, anche dopo 3 ascolti, a ricordare (e, dunque, ripetere) il testo di una “canzone” moderna (o anche solo il titolo…): è evidente che non ci siano penetrati al punto di ricordarli, farli nostri, riflettere sui testi, come avviene con testi articolati (Guccini, Baglioni, Doors, Pet Shop Boys) anche a distanza di quarant’anni.

Non siamo obbligati ad ascoltarli; per fortuna possiamo sempre ascoltare le musiche che amiamo e lasciare le immondizie musicali a che le ha create.

Sergio Motta