LIFESTYLE- Pagina 119

Un decalogo per proteggere gli animali dai botti

 IL PERICOLO ARRIVA ANCHE DALLE LANTERNE CINESI

Anche gli animali selvatici soffrono per le esplosioni dei petardi, e sono le vittime più numerose. Anche le lanterne cinesi possono essere letali

 

 

L’inizio dell’anno è alle porte riproponendo il solito problema delle esplosioni di petardi e fuochi artificiali. Per informare i proprietari di cani e gatti su come comportarsi per metterli in sicurezza durante la notte di Capodanno, l’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) ha realizzato un video-decalogo per evitare morti, ferimenti e smarrimenti dei quattro zampe terrorizzati.

Non è raro che gli animali, impauriti, scappino dai giardini e dai cortili perdendosi o finendo investiti. Animali più anziani o cardiopatici possono morire d’infarto. E anche la fauna selvatica, uccelli e animali dei parchi e dei boschi, spaventata dal frastuono e dalle improvvise luci si disorienta schiantandosi contro alberi, muri, vetrate, cavi elettrici o finendo sotto le auto. Anche le “lanterne cinesi”, fatte spesso volare in occasione del Capodanno, possono causare il ferimento e la morte di animali. Si sono verificati diversi casi di selvatici e domestici ustionati, strangolati, o morti per emorragia interna dopo aver ingoiato il metallo tagliente dello scheletro delle lanterne. Il loro volo incontrollato è inoltre molto pericoloso in quanto facile innesco di incendi boschivi.

Alcuni Comuni italiani hanno già emesso ordinanze per vietare l’utilizzo di petardi per i festeggiamenti del Capodanno, ma sono sempre troppi coloro che non rinunciano a questa anacronistica tradizione anche per l’esiguità dei controlli volti a reprimere chi non rispetta le regole.

«Per evitare che l’ultimo giorno dell’anno si trasformi in dramma o tragedia per gli animali, abbiamo stilato un decalogo con le regole e suggerimenti per mettere in sicurezza e rassicurare il proprio familiare con la coda (v. video e infografica in calce). L’inizio del nuovo anno dovrebbe essere una gioia per tutti, non motivo di terrore e angoscia», spiega il presidente dell’Oipa, Massimo Comparotto. «Allo stesso tempo, facciamo appello alle forze dell’ordine affinché considerino una priorità i controlli finalizzati a far rispettare le ordinanze, non minimizzando le conseguenze, dirette e indirette, di una condotta irresponsabile da parte di chi maneggia i petardi».

Ecco i punti del decalogo Oipa

1.    Teniamo gli animali il più lontano possibile dai festeggiamenti e dai luoghi in cui i petardi vengono esplosi

2.    Non lasciamoli soli, potrebbero avere reazioni incontrollate e ferirsi. Stiamo loro vicini, mostrandoci tranquilli e cercando di distrarli

3.    Non lasciamoli in giardino. Teniamo in casa o in un luogo protetto gli animali che abitualmente vivono fuori per scongiurare il pericolo di fuga

4.    Teniamo alto il volume di radio o televisione, chiudendo le finestre e le persiane

5.    Lasciamo che si rifugino dove preferiscono, anche se si tratta di un luogo che normalmente è loro vietato

6.    Durante le passeggiate teniamoli al guinzaglio, evitando anche di liberarli nelle aree per gli animali per evitare fughe dettate dalla paura

7.    Facciamo visitare l’animale da un veterinario comportamentalista affinché valuti la possibilità di una terapia di supporto

8.    Evitiamo soluzioni fai da te somministrando tranquillanti, alcuni sono addirittura controindicati e fanno aumentare lo stato fobico

9.    Organizzare una “gita fuori porta” per trascorrere il Capodanno in luoghi lontani dai centri urbani e dai rumori forti e improvvisi

10. Chiediamo al nostro Comune un’ordinanza contro i botti e sensibilizziamo l’opinione pubblica su quanto questi inutili rumori possano essere dannosi per gli animali domestici e selvatici

Guarda il video-decalogo su Youtube

“Sì Virginia, Babbo Natale esiste”. Una storia vera diventata leggenda di Natale

“Caro direttore, ho otto anni. Alcuni dei miei piccoli amici affermano che Babbo Natale non esiste. Mio papà mi ha detto: “Se lo vedi scritto sul Sun, sarà vero”. La prego di dirmi la verità: esiste Babbo Natale?”.

1897, Manhattan –Virginia O’Hanlon vuole disperatamente continuare a credere nel grande mistero di Babbo Natale, ma, al tempo stesso,è costretta a scontrarsi con la razionalità di un mondo cinico che vuole spogliare di poesia la festa più magica dell’anno. Per risolvere il dubbio si rivolge al padre, il medico legale Philip O’Hanlon che le suggerisce di scrivere al direttore del Sun. La risposta è affidata a un editoriale che porta la firma di un veterano del giornalismo: Francis Pharcellus Church. Il giornalista, che aveva seguito la guerra di secessione americana, era venuto a contatto con le sofferenze, le ingiustizie, gli odi, ma soprattutto con la mancanza di fede che si era diffusa in gran parte della società. La domanda di Virginia, in tutta la sua disarmante e apparente semplicità racchiude speranze e desideri di generazioni di bambini e di generazioni di adulti che sono stati e continuano a essere, dentro di sé, fanciulli, chiede alla società di riflettere su uno dei misteri che se svelati, se distrutti, se rivelati, se sviliti, porterebbe con sé la morte del sogno e apre un dibattito sull’eterna dicotomia tra il credere e non credere. L’editoriale di Church rappresenta non solo una grande lezione di giornalismo, ma una riflessione su un mondo incapace di andare oltre l’apparenza delle cose e di percepire la realtà se non attraverso la pura razionalità, ma soprattutto di abbandonarsi a un atto di fede, accettando di credere in qualcosa che non si può vedere, che non si può esperire attraverso i sensi. “Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano)”scriverà nel 1943, quasi 46 anni dopo l’editoriale di Church, Antoine de Saint Exupery nella dedica del suo capolavoro, pubblicato proprio negli Stati Uniti. Solo i bambini o solo chi, crescendo è riuscito a conservare dentro di sé lo spirito del fanciullo, è in grado di continuare a vedere con il cuore. L’articolo di Church non rappresenta soltanto una risposta chiara e articolata alla domanda di Virginia, ma mostra a tutti i lettori quanto sarebbe triste, spoglio e senza prospettive un mondo senza misteri, senza atti di fede, senza sentimenti. “Virginia, i tuoi amici si sbagliano. Sono stati contagiati dallo scetticismo tipico di questa era piena di scettici. Non credono a nulla se non a quello che vedono. Credono che niente possa esistere se non è comprensibile alle loro piccole menti. Tutte le menti, Virginia, sia degli uomini che dei bambini sono piccole. In questo nostro grande universo, l’uomo ha l’intelletto di un semplice insetto, di una formica, se lo paragoniamo al mondo senza confini che lo circonda e se lo misuriamo dall’intelligenza che dimostra nel cercare di afferrare la verità e la conoscenza. Sì, Virginia, Babbo Natale esiste. Esiste così come esistono l’amore, la generosità e la devozione e tu sai che abbondano per dare alla tua vita bellezza e gioia. Cielo come sarebbe triste il mondo se Babbo Natale non esistesse! Sarebbe triste anche se non esistessero delle Virginie. Non ci sarebbe nessuna fede infantile, né poesia, né romanticismo a rendere sopportabile la nostra esistenza. Non avremmo altra gioia se non quella dei sensi e della vista. La luce eterna con cui l’infanzia riempie il mondo si spegnerebbe. Non credere in Babbo Natale! E’ come non credere alle fate! Puoi anche chiedere a tuo padre che mandi delle persone a tenere d’occhio tutti i comignoli del mondo per vederlo, ma anche se nessuno lo vedesse venire giù, che cosa avrebbero provato? Nessuno vede Babbo Natale, ma non significa che non esista. Le cose più vere del mondo sono proprio quelle che né i bimbi né i grandi riescono a vedere. Hai mai visto le fate ballare sul prato? Naturalmente no, ma questa non è la prova che non siano veramente lì. Nessuno può concepire o immaginare tutte le meraviglie del mondo che non si possono vedere. Puoi rompere a metà il sonaglio dei bebè e vedere da dove viene il rumore, ma esiste un velo che ricopre il mondo invisibile che nemmeno l’uomo più forte, nemmeno la forza di tutti gli uomini più forti del mondo potrebbe strappare. Solo la fede, la poesia, l’amore possono spostare quella tenda e mostrare la bellezza e la meraviglia del mondo. Ma è tutto vero? Ah, Virginia, in tutto il mondo non esiste nient’altro di più vero e durevole. Nessun Babbo Natale? Grazie a Dio lui è vivo e vivrà per sempre. Anche tra mille anni, Virginia, dieci volte diecimila anni da ora, continuerà a far felici i cuori dei bambini”. La risposta di Church è diventata parte integrante delle tradizioni di Natale degli Stati Uniti, è stata tradotta in venti lingue e The Sun, fino alla sua chiusura nel 1950, l’ha ristampata ogni anno in occasione del Natale. La storia realmente accaduta di Virginia si è trasformata, con il tempo, in qualcosa di non dissimile dalla visita dei tre fantasmi a Scrooge: una leggenda, un racconto, un canto che, insieme a tanti altri, si rievoca, si rilegge e che contribuisce a rendere speciale il Natale. In fondo, la bellezza di questa festività è racchiusa nell’abbandonarsi, anche solo per ventiquattro ore alla fede, nel credere al ripetersi della nascita di un Bambino che cambierà il mondo, nel credere a un Vecchio che porta i regali, nel credere che possano diffondersi ovunque la pace, la gioia, la speranza. Illusioni? Fantasie? Utopie? Forse. Ma anche potenti strumenti per rendere la vita di ciascuno di noi migliore.

Barbara Castellaro

… Quando un buon “Aglianico del Vulture” si trasforma in un bel “Nebbiolo d’Alba”

“Facce da scuola” / 9

Quarant’anni fa, a Vallette … I “migliori” anni della mia scuola

Gianni Milani

Inizi ’80. Era di domenica. Penso settembre – ottobre. Tempo di vendemmia, su quelle colline di Langa che ci accoglievano in tutta la loro stupefacente, magica bellezza. Con tutta la combriccola “vallettara” s’era arrivati a Mango, cuore di Granda, paese di superbo Moscato e “del partigiano Johnny” di fenogliana memoria. Insegnanti in “fantozziana” gita fuori porta. Appresso come sempre c’eravamo portati anche il “saggio”, ma “buontempone” più di tutti noi, don Ruggero, magistrale docente di Religione, punto saldo di riferimento per tutta la “Levi”, ragazze e ragazzi, e tutti noi colleghi compresi. Inizi anni ’80, dicevamo. A Mango s’era prenotato in un Ristorante di cui non ricordo il nome, dal panorama mozzafiato su un mare di colline da cui non avresti mai staccato gli occhi, a pochi metri dal possente Castello (secolo XIII) dei Marchesi di Busca. Gruppone da dieci, uno più uno meno. Insegnanti e un bidello (pardon, “assistente di palestra”, come rettificava lui). Lo scopo, ovviamente, mangiare e bere bene. Ma anche divertirsi e soprattutto, quella domenica, giocare un tiro mancino al povero Francesco, il Francesco Sarracino, insegnante di Educazione Artistica e ottimo pittore (a casa conservo una sua rigorosissima incisione dedicata ai danni terribili, a cose e a persone, causati dal terremoto dell’Irpinia del novembre dell’’80), da poco arrivato a Torino, con tutto l’ingombrante carico di nostalgia per la sua Basilicata e, in specifico, per la sua Rionero in Vulture. A Torino … e in Vallette, poi!. Lui così attento, scrupoloso e rispettoso. Di tutto e di tutti. E, soprattutto, di quell’Istituzione “Scuola”, così importante per lui, uomo integro del Sud, e così poco rispettata – pur se in fondo amata – dai nostri ragazzotti di via delle Magnolie. Schcreanzati (con tanto di h alla pronuncia), lo si sentiva gridare per ogni “sgarro” ai principi di una scuola che deve educare – comiziava a dito alzato – ed esigere il massimo rispetto da parte di tutti. E lì, invece! Ottimo insegnante. Bravo giovane. Lo prendemmo tutti a ben volere, nel nostro gruppo di colleghi “giocherelloni” a tempo perso, per strappargli, ogni tanto almeno, qualche risata e fargli per un po’ posare a terra quella cupa “saudade” per il suo paesello. Scoppiò perfino (dietro, sempre alla nostra regia) una bella “simpatia” fra lui e una giovane collega, anche lei arrivata dal Sud. Aveva un solo difetto, il Sarracino. Tutto in Piemonte e a Torino era per lui “brutto, sporco e cattivo”. L’inferno. In Basilicata, invece, regnava il paradiso! Non parliamo della cucina. Quello era proprio il suo tasto dolente. Ogni giorno era una lamentosa, ridicola, insopportabile litania. Quella piemontese? Ma per carità! Vuoi mettere il “Piatto del Brigante” o i “Ravioli con la ricotta” o i “Cavatelli con cime di rape”? Quanto mi mancano! Atroché “Bagna cauda” o “Agnolotti” o “Brasato”. E i nostri “Mustacciuoli” e i “Calzoncelli”, non c’è “Bunet” che tenga! Non c’è proprio paragone! Ragazzi, non se ne poteva più. Non si poteva toccare il tema “cucina” che, subito, esplodeva il “rosario” dei migliori piatti lucani.

E poi, l’Aglianico del Vulture, il “Barolo del Sud”, ma che Barolo! E’ l’“Aglianico” il miglior vino rosso d’Italia, se non del mondo! Uno sfinimento! E noi si esplodeva “alla Carosone”, accerchiandolo con un ‘O sarracino, ‘o sarracino, bellu guaglione, ‘o sarracino, ‘o sarracino, tutt’e ffemmene fa ‘nnammurà … Schcreanzati, (sempre con l’h), gridava e sorrideva lui. Quella domenica, in quel di Mango avevamo studiato per lui un piano niente male. Se domenica andiamo al Ristorante – aveva proposto lui qualche giorno prima – vi porto una mia bottiglia di Aglianico e lì faremo il confronto con i vostri Dolcetti, Barbere o Nebbioli. Voglio proprio vedere! Affare fatto! Ed eccoci al Mango. Interno Ristorante. Gentile, paffuta ristoratrice: Ah, suma bin ciapà. No, bei fioi, pos nen felu … esageruma nen. E il più piemontese del gruppo ma madama a l’è mach ‘na marminela, uno scherzo. Va là va là è solo uno schcherzo, ribadiva in italiano-riminese il Ghinelli, braccia rubate alla Riviera, emigrato a insegnare Lettere alle Vallette di Torino. Ommi, pòvra dòna si rassegnò la simpatica ristoratrice. Che, nel giro di qualche minuto, ritornò con due (dico due) bottiglie di rosso, sistemate come le avevamo raccomandato. Cambio di etichette. All’“Aglianico” del Sarracino aveva sorapposto quella di un “Nebbiolo d’Alba” da favola. E viceversa. Si mangiò alla grande. E tutto strettamente alla piemontese con gran finale di “Bunet” e “Moscato”. Devo ammetterlo – sorrise un po’ sforzato il buon Sarracino – anche se non siamo dalle mie parti si è proprio mangiato e BEVUTO proprio bene!  BEVUTO, sottolineò a voce alta con amichevole ghigno, ripensando al tragicomico inizio pasto. Eh già, ricordate lo scambio di etichette? Un bel brindisi, aveva gridato il calabro cosentino di Paola Franco Molinaro alzando un calice di rosso. Assaggiamo questo Aglianico. In alto i calici. Strepitoso! Gridò il Francesco. E adesso proviamo questo bel Nebbiolo. Calice al naso, buon profumo, gusto … Però, non male. Ma non come l’Aglianico. E lì, scoppiò una risata corale che fece sobbalzare tutti i clienti. Via le etichette! Sarracino sbiancò. Il suo “Aglianico” era diventato “Nebbiolo d’Alba” e il “Nebbiolo” scoprì essere il suo “Aglianico. Quello da noi affidato alla simpatica, paffuta ristoratrice. Povero! Si sedette, stranito e accennò appena Schcreanzati!!! E noi a canticchiare ‘o sarracino, ‘o sarracino, … La giornata finì a tarallucci e vino. E grappini (tanti) di Langa. Che contribuirono forse a riconciliare Francesco con il mondo. La nostra amicizia si sostituì e si affiancò poi, nei giorni e negli anni successivi, ai Grappini, agli Aglianici e ai Nebbioli e il buon Francesco imparò a trovare del “buono” anche in quel piccolo quadrato di territorio subalpino chiamato “Vallette”. Le nostre “Vallette”.

Gianni Milani

A proposito del Natale…

“Ho sempre pensato al Natale come ad un bel momento.
Un momento gentile, caritatevole, piacevole e dedicato al perdono.
L’unico momento che conosco, nel lungo anno, in cui gli uomini e le donne
sembrano aprire consensualmente e liberamente i loro cuori, solitamente chiusi”
(Charles Dickens)

 

 

Lo sapevate che la storia del nostro Salvatore e il 25 dicembre non sono proprio originali perché in realtà si sono ripetute nei secoli prima dell’avvento di Gesù? Horus, in Egitto 3000 anni prima di Cristo, nasce il 25 dicembre dalla vergine Isis-meri, la sua nascita è annunciata da una stella proveniente da est, e tre re giunsero a salutare la sua nascita.     Aveva 12 discepoli che viaggiavano con lui ed eseguiva miracoli come curare i malati, camminare sull’acqua, era conosciuto come, Il figlio di Dio, l’Agnello di Dio, ecc. ecc., tradito fu crocifisso e sepolto per tre giorni, poi resuscitò. Sui muri del Tempio a Luxor ci sono immagini dell’Annunciazione, Immacolata Concezione, Nascita ed Adorazione di Horus, con Kneph, lo “Spirito Santo” che impregna la vergine; e con l’infante e la presenza di tre re, o magi, che portavano doni. Virishna nel Medio Oriente, 1200 anni prima di Cristo, nacque da madre vergine per immacolata concezione: quando nacque il tiranno di allora fece uccidere tutti i bambini suoi coetanei. Angeli e pastori presenziarono alla sua nascita in una grotta; compì miracoli come la trasformazione dell’acqua nel vino e resuscitò i morti; fu crocifisso alla fine in mezzo a due ladroni e resuscitò dopo tre giorni. Attis di Frigia 1200 aC, nato dalla vergine Nana il 25 dicembre, crocifisso e poi resuscitato….e tanti altri ancora…. Ci sono quindi tanti salvatori nati il 25 dicembre, per lo più da una vergine, che hanno effettuato miracoli, sono morti su croci, alberi, oggetti fatti di legno, poi sono risorti, e presentano tra loro delle somiglianze impressionanti. La domanda sorge spontanea: perché queste caratteristiche? Una spiegazione si basa sull’effettivo movimento degli astri ed è quella che gli studiosi ed archeologi chiamano l’antico culto del sole. Il 25 dicembre segna l’effettiva nascita del sole. La “stella d’oriente” che dà il messaggio della venuta del Dio, non è altro che Sirio, che il 24 dicembre di ogni anno, si allinea con le tre stelle più brillanti della cintura di Orione :“I tre Re”.    La linea retta descritta idealmente da queste 4 stelle indica esattamente il punto dell’orizzonte dove il sole sorgerà il 25 dicembre. Ecco da dove viene l’allegoria della stella che, insieme ai tre re che la “seguono”, indica il punto dove il sole (cioè la divinità del Sole) nascerà. Il 22 dicembre la “morte” del Sole si realizza completamente quando raggiunge il punto più basso nel cielo. Il Sole è morto sulla croce, morì per 3 giorni per poi risorgere e nascere di nuovo: da qui l’idea di crocifissione, morte per 3 giorni e resurrezione che è comune a tante divinità del Sole come Gesù.  Gli Apostoli sono le 12 costellazioni dello Zodiaco, assieme ai quali Gesù, essendo il Sole, viaggia. La madre vergine del Dio Sole è un tema anch’esso popolare in tutte le religioni dell’antichità: secondo il “mito solare”, infatti, il Sole nacque sotto la costellazione della VergineL’oro, l’incenso e la mirra, infine, erano i doni che gli antichi facevano al sole poco dopo la sua rinascita, in quanto con la sua nuova “luce” avrebbe promesso grano, raccolti e cibo nuovamente a sufficienza.

 

 M a u r i z i o  P l a t o n e

 

 

 

La Cotoletta alla piemontese conquista i ristoranti

La Cotoletta alla Piemontese è indubbiamente la novità culinaria dell’anno e in particolare della cucina piemontese. Il piatto ideato da Mino Giachino, il grande sostenitore della TAV, sta  rilanciando il consumo della carne di razza piemontese e dei formaggi tipici delle nostre vallate alpine.  Aumentano i ristoranti che l’hanno inserita nel menu in Città e nelle località di montagna. Accompagnata da un bicchiere di Nebbiolo giovane e dai grissini della collina piemontese sta trovando il suo spazio e incuriosisce piemontesi e turisti.

Nella foto il manifesto affissione nei ristoranti firmato dall’assessore regionale alla agricoltura Protopapa

La colazione di Natale al Caffè San Carlo

A un anno dall’apertura , per il bar- caffé da sempre considerato uno dei  più rappresentativi della storia  di Torino, la pastry chef Andre Celeste Allione, ha realizzato due speciali brioches che raccontano il  dolce Natale sabaudo
 
Eleganza che fa rima con Torino, soprattutto nelle sue espressioni dolciarie , che accompagnano da secoli la regalità con cui, tuttora, la città si presenta ai suoi cittadini e ai turisti  che la apprezzano.
L’identitá sabauda che si respira in ogni angolo della cittá, soprattutto nelle zone centrali, si percepisce in modo particolare nel locale che si é dato nuova vita , poco più di anno fa, e che ha restituito a piazza San Carlo – ” il salotto di Torino – , quella luce ” gastronomica  ” che, nel tempo, i torinesi hanno visto affievolirsi proprio lì.
Il Caffè San Carlo, per la colazione delle feste ( ma non solo), propone due speciali brioches: una, la più elegante, come le signore di Torino e che, come delle care amiche, fanno compagnia in maniera sommessa ma con tante storie da raccontare e da ascoltare con attenzione,  la “Carla” ; l’altra, un vero e proprio alberello di natale, ma non da allestire con addobbi e luci, bensì da assaporare in tutte le sue gustose preparazioni.
A proposito della  Carla la pastry chef ci racconta : ” All’inizio la Carla non aveva questo nome, ma era in via di definizione. É nata con il nuovo San Carlo, per identificare l’essenza e la sontuosità informale del posto. Abbiamo pensato che il caffè rappresenta la colazione di tanti  : per questo, doveva trovare una collocazione di gusto fra lo sfogliato – la brioche, appunto,  che accompagna spesso il caffè – e il ripieno. Lo sfogliato è incassato alla francese ed è impastato con una ricchezza di ingredienti leggermente diverso dalle classiche brioches: miele, burro,  tante uova e zucchero di canna. Lo stampo che abbiamo deciso di utilizzare é sicuramente più grande e diverso rispetto al lievitato tradizionale ; e lo abbiamo pensato come da ” condivisione” ( anche se tanti la mangiano da soli…) , da dividere con piú persone.  L’interno é tutto da scoprire ed é tanto: crema pasticcera  e caramello al caffè, dove lo zucchero lo lavoriamo di piu per dare quel gusto leggermente amaro, in contrasto col dolce delle creme. Le farciture vengono preparate fresche giornalmente, così come la Carla e la selezione di croissant classici. 
L’altra novità per la colazione delle feste, firmato Caffè San Carlo, è il coloratissimo ” Alberello di Natale”, non solo da vedere, ma soprattutto da mangiare : buono,  leggero , una gioia per gli occhi e per il palato.
Col mio staff  – racconta sempre la pastry chef – , abbiamo deciso di dare una veste natalizia anche alla proposta per i lievitati: così, si é arrivati alla realizzazione di una brioche a forma di albero di natale, con lo stesso impasto che utilizziamo per i croissant tradizionali. 
All’interno una crema di zabaione, arricchita con perle croccanti al caramello salato così da dare croccantezza;  il colore verde –  a ricordare l’albero, appunto –  utilizzato nella sfogliatura della pasta matta che compone il prodotto. Per finire l’addobbo, sono state realizzate tante piccole palle di natale ” commestibili” a base di cereali”
 
 
Chiara Vannini

Cohousing all’insegna della sostenibilità

Cohousing

Da alcuni anni un neologismo è entrato nel nostro lessico: cohousing; vediamo di cosa si tratta.

Per poter comprendere il fenomeno nelle sue componenti, occorre innanzitutto analizzarlo alla luce di quelle che sono le attuali condizioni economiche, sociali, energetiche della società in cui viviamo.

Va detto innanzitutto che sono soprattutto i giovani ad abbracciare questa che, a tutti gli effetti, si configura come una scelta di vita che ricorda, per alcuni aspetti, le comuni hippy degli anni ’60 e ’70.

Il termine, tradotto letteralmente, significa coabitazione solidale: immaginiamo un condominio dove una parte, i singoli appartamenti, sono riservati ad ogni singola famiglia o individuo mentre gli spazi comuni sono a disposizione dell’intera collettività: orti condivisi, campi sportivi o piscina, laboratori per il bricolage, car sharing, cantine per la produzione di vino, asili per i bambini, infermerie e molto altro.

Nulla vieta, infatti, che vi siano spazi comuni per mangiare o preparare cibi da conservare (salsa, verdure sott’aceto o sott’olio, ad esempio), un cinema o una sala con Tv 100” con canali a pagamento, una sartoria, un’officina per il minuto mantenimento del condominio o un recinto nel quale allevare conigli, galline ed altri animali da alimentazione.

 L’aspetto più importante del cohousing è l’assenza di una gerarchia, essendo tutto gestito e ideato pariteticamente tra tutti i partecipanti al progetto; si tratta, sostanzialmente, di non penalizzare qualcuno a favore di qualcun altro garantendo parità di trattamento e di accesso alle risorse per tutti i partecipanti.

Il cohousing è concepito come un progetto di partecipazione sociale.
Viene così definito perché chi aderisce al progetto parteciperàdirettamente ad ogni fase del medesimo, dalla progettazione alla realizzazione, alla gestione, alla soluzione dei problemi.

Solitamente l’aggregazione e la gestione delle entità di cohousing non sono regolate da principi religiosi, politici o, comunque, ideologici.

Vigendo il principio di parità nella gestione della cosa comune, il cohousing rappresenta una realtà adatta anche alle fasce più deboli della società, tipicamente bambini ed anziani, che diventano parte del tutto anche nelle decisioni, essendo definiti fin dall’inizio in modo chiaro ed equo i ruoli di gestione e di responsabilità; la condivisione di spazi comuni, inoltre, consente la nascita e lo sviluppo di relazioni interpersonali che, specie per alcuni individui, può costituire uno stimolo ed un rimedio alla solitudine, all’abbandono ed alla mancanza di scambi interpersonali, tipici questi ultimi delle realtà condominiali urbane.

Per economia di scala, inoltre, l’acquisto di beni comuni e, perché no, anche di quelli individuali moltiplicati per il numero di cohousers consente di ridurre in modo significativo i costi, attribuendo un ulteriore valore aggiunto a questa forma di partecipazione sociale.

Qual è la situazione in Italia? Nel nostro Pese, il cohousing si sta diffondendo significativamente; in una società i cui individui sono spesso costretti a vivere lontano dal luogo natìo per motivi di lavoro o di studio è diventato disagevole vivere in una struttura di tipo tradizionale; la mancanza di tempo e, quindi, di incontrare altri individui, inoltre, limitano molto la possibilità di intessere relazioni e, realizzare una socializzazione soddisfacente.

I tre punti di forza del cohousing sono la sostenibilità sociale, ambientale ed economica: vediamoli in dettaglio.

La sostenibilità ambientale, di cui tanto si parla negli ultimi anni, è la capacità di un progetto (o azienda o altro) di rispettarel’ambiente in ogni ambito (domestico, lavorativo, alimentare). Pensiamo, a titolo di esempio, all’adozione di pannelli fotovoltaici o pale eoliche, la produzione di humus partendo dai rifiuti organici ed il riciclo di vetro, plastica e alluminio.

La sostenibilità sociale, invece, è la proprietà di un organizzazione, di un evento o di un progetto di garantire e consentire il rispetto e la comunicazione senza ledere gli interessi di una parte della società, ad esempio generando occupazione.
Lsostenibilità economica, infine, è la politica economica che consente di evitare sprechi, di autoprodurre i beni ed autogestire i servizi, riciclando gli oggetti non più utili o non di ultima generazione; questo aspetto si lega molto alla sostenibilità socialeed a quella ambientale perché permette anche a persone in stato di indigenza di accedere a beni e servizi altrimenti preclusi.

Com’è comprensibile, se il cohousing diventasse una realtà estesa, a guadagnarci non sarebbero soltanto i cohousers di questa o quella realtà ma l’intera società che potrebbe, ad esempio, ridurre i rifiuti e gli sprechi, occupare persone nella gestione e nella manutenzione della cosa comune, permettere con la coltivazione in proprio di ridurre la spesa necessaria per l’alimentazione e molto altro.

Sarebbe opportuno che gli Stati incentivassero la politica del cohousing, considerando il denaro utilizzato come un investimento e non come una spesa.

Sergio Motta

Il Torinese con la coda: Buon Natale!

Buon Natale

Buon Natale a tutte le persone che hanno deciso di condividere la vita con un amico a quattro zampe. 

Buon Natale a quelli che sono andati al canile e hanno salvato un cagnino, o un gattino, a chi ha deciso di prenderlo cucciolo, a chi ha scelto un animale adulto e Buon natale a chi ha deciso per un amico anziano. 

Buon Natale a chi ha scelto il proprio amico in un allevamento, ha pensato con attenzione e preparazione a quale razza fosse più adatta e ha atteso il cucciolo con pazienza. 

Buon Natale a chi non aveva programmato un bel niente ed un amico a quattro zampe è arrivato nella sua vita proprio in quel momento e proprio in  quel modo.

Buon Natale a chi ha dovuto salutare il suo animale, e adesso non ha proprio voglia di sostituirlo, ed è giusto così, che la perdita si elabori e si sedimenti. 

Buon Natale a chi invece proprio non ce la fa a non avere con se’ un cane o un gatto.

Buon Natale a chi ha solo un animale per volta e Buon Natale a chi ha una tribù pelosa.

Buon Natale a chi vorrebbe tanto un amico a quattro zampe, ma proprio non può tenerlo con se’, vedrete che prima o poi la vita farà giri strani e il vostro sogno si realizzerà.

Buon Natale a quelle persone, soprattutto anziane, che hanno solo il proprio animale come amico e Buon Natale a quelli che scelgono i propri amici in base al cane, o al gatto, che li accompagna.

Buon Natale a quegli amori nati al parco, passeggiando con i cani. Buon Natale a chi ha un cane che non va d’accodo con nessuno e le passeggiate le fa sempre da solo.

Buon Natale a chi lavora con il proprio cane e a chi vorrebbe, ma non può.

Buon Natale a chi fa volontariato e va al canile, o nelle colonie feline o semplicemente si dà da fare come può.

Buon Natale alle signore con il cagnino in borsetta. Buon Natale a chi si alza alle 6 della mattina per poter stare al parco con il cane il più possibile.

Buon Natale a chi dorme accoccolato al proprio gatto. 

Buon Natale a chi raccoglie palline di Natale per tutto il salotto.

Buon Natale anche a Babbo Natale, che comunque ha con se’ un sacco di renne!

Buon Natale alle persone educate e rispettose che quando vanno dal veterinario ascoltano ciò che gli viene detto e capiscono che spesso una diagnosi non si fa in 5 minuti e un problema non si risolve in due giorni.

Buon Natale a noi medici veterinari, che siamo spesso stanchi, ma ci adoperiamo per far stare al meglio i nostri pazienti.

Buon Natale a chi ha letto fino a qui.

 

Dott.ssa Federica Ferro
Dott. Stefano Bo

“Chieri in luce” per le festività natalizie

Ritorna anche quest’anno  (e si amplia) il magico spettacolo del “video mapping” … con due preziose novità

Fino al 4 gennaio 2024

Chieri (Torino)

E’ ormai consolidata e piacevolissima tradizione natalizia. Il progetto di “video mapping” (tecnica di proiezione evoluta che ormai, in tempi di festività, va più che alla grande) “Chieri in luce” nasce infatti nel 2019 con lo scopo di valorizzare i più bei monumenti della città. E, puntuale, eccolo riproposto anche quest’anno, con due preziose, lodevoli, novità. Cinque anni fa si era cominciato con l’“Arco Trionfale” edificato nel 1580 e raro esempio di monumento celebrativo di età manieristica, uno dei pochi ancora esistenti in Piemonte. Il secondo intervento aveva invece riguardato la “Chiesa dei Santi Bernardino e Rocco”, gioiello barocco in piazza Cavour. Novità 2023: il completamento del progetto di “video mapping” sulla facciata della “Chiesa di San Guglielmo” e sul campanile del “Duomo”, entrambi realizzati dall’artista chierese Francesco Granieri e dal suo team “F2Alab”.

“Le video proiezioni – spiega Antonella Giordano, assessora alla Cultura – sono sempre più di moda e si stanno diffondendo in numerosi Comuni del Piemonte. Il nostro intende, però essere un vero progetto culturale, poiché oltre a regalare bellezza ai cittadini, sulle facciate presentiamo le splendide opere d’arte custodite all’interno delle chiese, così da ‘restituirle’ alla comunità, valorizzarle e attrarre l’attenzione delle generazioni più giovani e dei turisti”. Come dire: non trattasi di una semplice illuminazione “ma di una complessa e suggestiva proiezione artistica che guarda a consolidate esperienze straniere, per esempio Madrid, Lione e la ‘Fête des Images’ di Épinal, città francese gemellata con Chieri”.

E così, sui 50 metri d’altezza del maestoso Campanile del “Duomo” si proietteranno la cosiddetta “Pala Tana”, custodita all’interno del “Battistero” e tutto il ciclo di affreschi della “Cappella Gallieri”. Da ricordare che la “Pala” deve il suo nome al chierese Tommaso Tana, cavaliere “gerosolimitano” o “di Malta” morto a Rodi nel 1503. A realizzarla furono il pittore lombardo di Mombello Francesco Berglandi e il fiammingo Gomar Davers: venne fatta eseguire (come recita la scritta ai piedi della figura di S. Giovanni Battista) da Ludovico e Tomeino Tana in memoria del fratello Tommaso, morto nel 1503 in una battaglia navale contro i Turchi. La seconda parte del “videomapping” presenta il ciclo di affreschi dedicati a San Giovanni Battista custodito nella “Cappella Gallieri”, costruita fra il 1414 e 1418 per volere del nobile mercante e banchiere chierese Guglielmo Gallieri. Gli affreschi, recuperati con interventi di restauro nel secolo scorso, sono oggi osservabili nel loro antico splendore. La volta del soffitto “a crociera” presenta nelle sue vele i “quattro Evangelisti”. Le pareti, ordinate in senso orario a partire da quella che fronteggia l’ingresso, ripercorrono la vita di San Giovanni Battista dalla sua nascita, al battesimo di Gesù, fino alla sua decapitazione e sepoltura.

Sulla facciata della “Chiesa di San Guglielmo” è invece proiettata “L’adorazione dei Magi” del chierese Francesco Fea, uno dei principali allievi dell’astigiano da Montabone Guglielmo Caccia detto “il Moncalvo” o il “Raffaello del Monferrato”. L’esecuzione dell’opera è anteriore al 1632, visto che essa era già presente sull’altare in occasione della visita pastorale di monsignor Provana di Leinì (signore di Druento ed Arcivescovo di Torino dal 1632 al 1640), avvenuta proprio in quell’anno.

Due proiezioni artistiche illuminano anche la facciata della “Chiesa dei Santi Bernardino e Rocco”. La prima è dedicata alla magia di suoni e luci del Natale, la seconda celebra il “Barocco” chierese e il patrimonio artistico custodito nella Chiesa attraverso l’animazione delle preziose “pale d’altare”, opera sempre di Guglielmo Caccia, e la musica dell’“organo”, il più antico della città, conservato nella chiesa monumentale (eretta tra il 1675 e il 1683, anche se la facciata è stata terminata nel 1792).

E infine torna ad essere illuminato anche l’“Arco Trionfale”, grazie a un video mapping che si ispira alla “trama di un tessuto” di inizio ‘900, il cui disegno preparatorio è conservato nell’“Archivio della Fondazione Chierese per il Tessile”.

Le videoproiezioni continueranno fino a giovedì 4 gennaio 2024, tutti i giorni dalle ore 18 alle ore 22.

g.m.

Nelle foto:

–       Chieri: Facciata della Chiesa di “San Guglielmo”

–       Chieri: Il Campanile del “Duomo”

–       Antonella Giordano, assessora alla Cultura di Chieri