LIFESTYLE- Pagina 118

Con le scarpe tutte rotte

Chi ha paura delle masche?
Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce
Folletti e satanassi, gnomi e spiriti malvagi, fate e streghe, questi sono i protagonisti delle leggende del folcklore, personaggi grotteschi, nati per incutere paura e per far sorridere, sempre pronti ad impartire qualche lezione. Parlano una lingua tutta loro, il dialetto dei nonni e dei contadini, vivono in posti strani, dove è meglio non avventurarsi, tra bizzarri massi giganti, calderoni e boschi vastissimi. Mettono in atto magie, molestie, fastidi, sgambetti, ci nascondono le cose,sghignazzano alle nostre spalle, cambiano forma e non si fanno vedere, ma ogni tanto, se siamo buoni e risultiamo loro simpatici, ci portano anche dei regali. Gli articoli qui di seguito vogliono soffermarsi su una figura della tradizione popolare in particolare, le masche, le streghe del Piemonte, scontrose e dispettose, mai eccessivamente inique, donne magiche che si perdono nel tempo e nella memoria, di cui pochi ancora raccontano, ma se le loro peripezie paiono svanire nei meandri dei secoli passati, esse, le masche, non se ne andranno mai. Continueranno ad aggirarsi tra noi, non viste, facendoci i dispetti, mentre tutti fingiamo di non crederci, e continuiamo a “toccare ferro” affinchè la sfortuna e le masche, non ci sfiorino. (ac)
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Con le scarpe tutte rotte
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«La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
con le toppe alla sottana
viva viva la Befana!»
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Le streghe non esistono e non ci piacciono, ma una di esse, in un momento particolare dell’anno, la aspettiamo con benevolenza, e lasciamo per lei sulla finestra una tazza di the e del latte caldo con biscotti, in modo che possa ristorarsi durante i suoi viaggi notturni. E’ la “Befana”.  Il termine “Befana” deriva da una corruzione lessicale di “Epifania”, attraverso “bifanìa” o “befanìa”. Figura del folklore italiano, essa è conosciuta principalmente nelle nostre regioni settentrionali e centrali, tuttavia col passare del tempo si è andata diffondendo in tutta la penisola. Meno nota nel resto del mondo. Secondo la tradizione, si tratta di una donna molto anziana, che, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, viaggia a cavallo di una logora e antiquata scopa e va a far visita ai bambini, portando dolcetti e caramelle a quelli che sono stati buoni durante tutto l’anno, e carbone e aglio a coloro che, invece, si sono comportati male. Le origini di tale festività vanno ricercate in epoche lontane, probabilmente da considerare in stretta connessione con i riti propiziatori pagani, legati al susseguirsi delle stagioni e attinenti alla sfera dell’agricoltura. Queste abitudini vennero ereditate e assimilate dai Romani, i quali, associando tali rituali al proprio calendario, celebrarono il collegamento tra l’anno solare, il solstizio invernale e la ricorrenza del “Sol Invictus”, “Il Sole invitto”, ossia la “rinascita” del sole quando la durata del giorno incominciava ad aumentare e a prolungarsi. 
Secondo altre fonti, invece, la Befana è da riferirsi alla antica dea Diana, protettrice della natura e dei boschi, e collegata ai riti di fertilità nei campi: moltitudini di figure femminili in volo aleggiavano sui campi, benedicevano il terreno, facendo sì che i raccolti fossero abbondanti e generosi. Vi sono studiosi che associano la festività della Befana ad un altro culto romano, che si svolgeva in inverno in onore delle divinità di Giano e Strenia, (“Strenia” è termine connesso con “strena”, voce latina che significa “strenna, dono augurale”), durante il quale era uso scambiarsi dei doni. Nel IV secolo d.C. la Chiesa di Roma condannò i riti e le credenze pagane, tuttavia gran parte della popolazione faticò a staccarsi dalle proprie usanze, e trovò l’escamotage di “far finta” di dimenticarsi della natura stregonesca dell’anziana signora e sottolineandone invece le caratteristiche di generosa bonarietà.   Fu il Vescovo Epifanio di Salamina (315-403 d.C.) a recuperare l’antica simbologia numerica pagana, proponendo di fissare la data dell’Epifania nella dodicesima notte dopo il Natale. Esiste anche una versione cristianizzata della leggenda: si narra che i Re Magi, diretti a Betlemme per portare i doni al Bambino Gesù, persero la strada e chiesero allora aiuto ad una anziana donna, che rispose gentilmente con precise indicazioni. I Magi, per ringraziare la vecchietta della cortesia, la invitarono ad andare con loro a far visita al piccolo Gesù, ma lei rifiutò e non li seguì. Si racconta che poco dopo la donna si pentì della decisione presa e provò a mettersi alla ricerca dei Magi che aveva soccorso, ma, non trovandoli, iniziò a fermarsi in ogni casa, lasciando doni ai bambini, nella speranza che uno di quelli fosse il piccolo Gesù. La strega buona continuò a “volare” anche in epoca fascista: nel 1928, infatti, il regime introdusse la festività della “Befana Fascista”, (nota anche con l’appellativo di “Befana del Duce”), giorno in cui si distribuivano regali ai bambini delle classi più povere. 
L’anziana signora riuscì a scampare alle innominabili brutture delle Guerre Mondiali, ma non poté dimenticare la malvagità degli uomini, così, ancora oggi, si dimostra scontrosa e antipatica nei confronti degli adulti, al contrario è amorevole e premurosa con i bambini. A motivo dell’estrema gentilezza con cui essa si pone nei confronti dei più piccoli, questi ultimi non rimangono intimoriti dal suo brutto aspetto; essa è vecchia, rugosa, con pochi denti e con un naso prominente, tutta curva sul manico di scopa. Il freddo pungente dell’inverno la costringe a ripararsi con lunghi gonnelloni, lisi e rattoppati con pezze di colore sgargiante; indossa calzettoni pesanti contro il gelo e scarpe comode e scollate, sulle spalle ingobbite ha sempre uno scialle di lana pesante e colorata, talvolta ha anche un mantello svolazzante: se fa freddo per strada, figuriamoci in volo! Alla fine della storia l’unico mistero che rimane da risolvere è in che rapporti siano Babbo Natale e la Befana, perché alcuni li vogliono parenti, altri acerrimi nemici, in quanto l’ormai vestito di rosso signore con la barba sembra spettegolare sul conto della donna, assicurando che l’unico vero portatore di regali sia lui, e non quella “vecchia Befana”.L’eterno battibecco tra uomini e donne non trova pace, anche tra le figure del folklore gli uomini si impuntano e alzano la voce, ma le donne continuano imperterrite nelle loro faccende.
Alessia Cagnotto

Rivoli, il 6 la Festa della Befana

Pomeriggio di divertimento in piazza San Rocco. A causa del previsto maltempo la festa della Befana è spostata al 6 gennaio

Ultimi giorni anche per visitare il Villaggio di Babbo Natale di Rivoli

Mentre la città festeggia fino a domenica 7 gennaio la ventesima edizione de Il Villaggio di Babbo Natale, Rivoli si prepara ad accogliere una grande festa in onore della Befana. Inizialmente in programma per venerdì 5 gennaio, visto il previsto maltempo, si svolgerà sabato 6 gennaio.

Sabato 6 gennaio, quindi, in piazza San Rocco, dalle 16,30, sono in programma animazione e merenda alla Casa della Befana con la presenza di alcune befane in moto. Poco dopo, alle 17, è prevista la tradizionale accensione del falò.

           Sono anche gli ultimi giorni per divertirsi al Villaggio di Babbo Natale di Rivoli in piazza Martiri e piazza Portici, con la casa di Babbo Natale, la pista di pattinaggio, le casette per la merenda e tanto altro, aperto fino a domenica 7 gennaio. Nei giorni feriali apertura 15-19, sabato e domenica anche 10-13.

           La festa della Befana, a cura dell’associazione commercianti e artigiani San Rocco, è infatti inserita nel calendario de Il Villaggio di Babbo Natale di Rivoli organizzato da TurismOvest, con il contributo della Città di Rivoli e la collaborazione di numerose realtà del territorio.

Ad Alpignano una spettacolare festa della Befana

 

Il 6 gennaio alle ore 16.30 al Palazzetto dello sport in via Migliarone 26 

Sarà un grande evento dedicato alle famiglie e soprattutto ai bambini che si divertiranno con lo spettacolo gratuito “Christmas Family Circus” proposto da Fem Spettacoli. L’evento è organizzato dal Comune di Alpignano e dalla Pro Loco di Alpignano.

Verranno proposti numeri di giocoleria, equilibrismo e acrobatica aerea, comicità e.… le “Luci itineranti”, trampolieri luminosi e una maschera danzante che incanteranno il pubblico
con performance di danze e coreografie a tempo di musica.

All’inizio della festa sarà regalato a tutti i bambini lo zucchero filato! La Pro Loco accoglierà il pubblico con uno stand dove si potranno trovare popcorn, vin brulè, kinderpunch, bevande e caffè.

Inoltre, ci sarà l’attesa l’estrazione dei biglietti della lotteria della Befana con ricchi premi offerti dalla Pro Loco e dalla Associazione Artigiani e Commercianti di Alpignano; il primo
premio è una bicicletta a pedalata assistita della Bianchi. I biglietti saranno in vendita fino al momento dell’estrazione.

Verranno anche premiati i partecipanti al tradizionale concorso dei presepi promosso dagli Amici dell’Ecomuseo Cruto e un premio sarà anche assegnato alla letterina di Natale più
originale tra quelle che i bambini hanno imbucato da Babbo Natale durante il Villaggio
allestito in via Arno’ 33.

Sarà anche l’occasione per annunciare ai cittadini di Alpignano a quale iniziativa benefica verranno donati i 30.000 tappi di plastica raccolti per allestire l’albero di Natale di piazza
Caduti, albero abbattuto dalla tempesta di vento del 22 dicembre scorso.

L’evento del 6 gennaio come detto è finanziato dal Comune di Alpignano e organizzato dalla Pro Loco in collaborazione con il Comune medesimo.

Appuntamento sabato alle 16.00 al Palazzetto dello sport in via Migliarone, 26.
L’ingresso è GRATUITO fino ad esaurimento posti.

Sponsor della manifestazione sono Smat Torino e NovaCoop.

Sestriere: grande spettacolo con la fiaccolata di fine anno

Come tradizione ogni 30 dicembre Sestriere ospita “La più grande fiaccolata d’Italia dei Maestri delle Scuole di Sci”. Uno spettacolo con i Maestri delle Scuole di Sci che insegnano sci e snowboard a Sestriere riuniti per una magica discesa formando un lunghissimo tricolore sceso dai tre tracciati del monte Alpette. Grande festa al parterre di arrivo piste con gli Alpini del Gruppo ANA Sestriere che hanno offerto vin brulé a tutto il foltissimo pubblico. A scaldare l’atmosfera sotto le stelle è stato il DJ Set by RICH MORE, dj e producer che sta scalando le hit internazionali con “Rhythm of the Night”, rivisitazione dance del celebre brano di Corona. “La più grande fiaccolata d’Italia dei Maestri delle Scuole di Sci” è stata organizzata dal Comune di Sestriere insieme al Consorzio Turismo Sestriere, Vialattea, Pro Loco Sestriere e ha visto la partecipazione di: Scuola Nazionale Sci & Snowboard Sestriere; Scuola Sci Vialattea Sestriere; Scuola Sci Olimpionica Sestriere; YES Academy Snowboard e Ski; Sestriere Borgata Scuola Sci; Scuola Nazionale Sci Pragelato; Passion Ski & Snowboard School; PreSkige Ski & Snowboar School. (Facebook Comune di Sestriere)

Contest “Natale di luce” fino al 31 gennaio

Oltre alle tradizionali Luci d’Artista, quest’anno è stata inaugurata l’iniziativa #NatalediLuce realizzata dal Comune di Torino (Città di Torino) in partnership con Iren: 7 suggestive opere luminose installate nelle circoscrizioni del capoluogo piemontese.

Un progetto destinato ad ampliarsi nei prossimi anni per portare la bellezza e la magia del #Natale anche nelle periferie.

Per l’occasione è stato lanciato un contest che invita cittadini e turisti a fotografare le installazioni e condividere gli scatti sui social utilizzando l’hashtag #nataledilucetorino. Le foto pubblicate verranno valutate da una giuria e premiate in tre categorie differenti.

Scopri qui il regolamento ➔ http://www.comune.torino.it/circ4/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/6209

Quando la notte si mangia le stelle

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Con passo deciso ma non frettoloso, ci si accompagnava agli altri avventori giù ai “Quattro Cantoni”. Lì, tra un bicchiere e un piatto di polenta “concia” accompagnato dai pesciolini in carpione ( una vera “mazzata” per il fegato, soprattutto alla sera, ma era quello che passava il convento e non era bello dire di no quando l’oste – il Luisin – era in vena di “offrire” il merendino fuori-orario) s’inanellavano ricordi, ritratti ed aneddoti

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Quando la notte si mangia le stelle e si fa nera come l’inchiostro, è segno che il tempo cambia. Le nuvole, scure e cariche di pioggia, riempiono il cielo formando una coltre spessa. “E’ notte di fiaschi e di chiacchiere da osteria”, diceva Ugo Pollastri, titolare della pescheria di Feriolo, prendendomi sotto braccio. E così, con passo deciso ma non frettoloso, ci si accompagnava agli altri avventori giù ai “Quattro Cantoni”. Lì, tra un bicchiere e un piatto di polenta “concia” accompagnato dai pesciolini in carpione ( una vera “mazzata” per il fegato, soprattutto alla sera, ma era quello che passava il convento e non era bello dire di no quando l’oste – il Luisin – era in vena di “offrire” il merendino fuori-orario) s’inanellavano ricordi, ritratti ed aneddoti. Prendevano forma e si animavano i personaggi più conosciuti. Ad esempio, il Tino Bagutti ed il suo “Motom”. Tino era stato tra i primi, subito dopo la seconda guerra mondiale, ad aver tra le mani quel ciclomotore robusto ed economico ( una specie di piccola motocicletta), di buone prestazioni ed elevata affidabilità, pur essendo confinato nei limiti di cilindrata dei più classici “cinquantini”. Il Motom, creato dal fantasioso ingegner Battista Falchetto, un ex-progettista della Lancia, in collaborazione con gli industriali De Angelis Frua , venne presentato al salone di Ginevra del 1947 con il mome di Motomic ( era l’abbreviazione di “Moto Atomica”..). Come lo teneva il Bagutti era uno spettacolo: sempre lucido, in ordine.

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Dietro al sellino aveva applicato una coda di volpe che, nelle intenzioni, doveva svolazzare davanti agli occhi dei passanti quando transitava la rombante motocicletta. In realtà, la coda restò quasi sempre giù, moscia, tristemente penzolante. Il Motom, infatti, andava a passo d’uomo sulla salita che dall’incrocio sopra il circolo di Oltrefiume saliva – tra due file di alberi – verso la Tranquilla. Tino Bagutti teneva molto “all’assetto del pilota”: guidava in posizione da corsa,proteso in avanti sul manubrio, vestito di pelle nera con cuffia di cuoio ed un paio di enormi occhialoni. Noi, all’epoca ragazzini, gli correvamo appresso, lo affiancavamo, lo guardavamo e lo sorpassavamo. Lui, umiliato, ci guardava digrignando i denti ma non ci diceva mai nulla. Non usciva nemmeno una sillaba dalla sua bocca anche se non era difficile intuirne i pensieri bellicosi. Così, lo ribattezzammo “il centauro della volpe triste”. E lui, con qualche ragione, non ci ringraziò. Un altro personaggio che veniva evocato spesso era il Balloni. Il nome non lo ricordo bene: forse si chiamava Alberto o Gilberto o qualcosa del genere. Comunque, era un bel personaggio. Era stato militare nella “Légion étrangère”,da giovane. Con la Legione aveva combattuto in Indocina, partecipando alla tragica battaglia di Dien Bien Phu, nel 1954. Era un uomo d’azione, sprezzante del rischio.Si definiva un “fascista-comunista”. La sua famiglia era stata dalla parte del Duce durante il ventennio ed alcuni avevano combattuto sotto le insegne della Repubblica di Salò. Lui, negli anni che seguirono alla Liberazione, continuò a coltivare il mito dell’ uomo forte e dell’ordine“. Dove aveva fallito il Duce, c’è sempre la possibilità che andasse bene a Stalin”, diceva ad alta voce, quando alzava un po’ il gomito, a riprova che “nel vino c’è la verità”.L’ideologia, non era opposta? L’ideologia, per lui, non c’entrava un tubo. “Ciò che conta è la dittatura. Qui ognuno fa i cavoli suoi e non risponde a nessun altro che ai propri interessi. Ed allora, caro mio, ci vuole ordine, disciplina. Un tempo era il fascismo a far rigare diritti questi lazzaroni, ora ci potrebbe pensare il comunismo”. Quel “ci potrebbe” veniva espresso in forma dubitativa poiché aveva scarsa considerazione dei comunisti locali ed italiani in genere. “Gente troppo democratica, troppo perbene. Vogliono cambiare le cose con le elezioni, con il consenso. Non capiscono che qui ci vuole lo schioppo e non il voto. Quelli lì son molli, si perdono dietro alle parole quando invece c’è bisogno di agire, di tirar fuori le palle”. Lo diceva mettendo in mostra un sorrisetto sardonico, enigmatico, sotto i baffetti radi. Non capivi mai se scherzasse o se facesse sul serio. Sono tanti anni che è trapassato ma, pensandoci, ho sempre più la convinzione che incarnasse davvero, a modo suo, il paradosso dell’essere un “fascista-comunista”.

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C’era poi il Gùstin, al secolo Aurelio Gustavino. Abilissimo nel fare affari, si era fatto un nome per la capacità di contrattare l’acquisto del riso giù nella “bassa”, tra le risaie del novarese e del vercellese. Portava con se una stadera, una bilancia per la “pesata” a braccio, utilissima per misurazioni che non superassero i 15-20 chili. “A trattare era un mago. Li faceva su con la galla, li infiocchettava con la sua parlantina che alla fine non capivano più niente. Ah, che roba: li fregava sul peso e loro – per la paga – lo ringraziavano anche, al Gùstin”, diceva l’Ennio, con ammirazione. Il meglio di se, però, lo dava nell’acquisto delle uova dalla sciura Marianna. La frase che accomapgnava il lesto movimento delle mani nel contare le uova sembrava quasi uno scioglilingua: “Quatar e quattr’ott , e quatar che fan vott, e quatar dudas..la va ben, Marianna?”. E Marianna annuiva, consegnando sedici uova al prezzo di dodici. “Bisognerebbe tirar su un monumento all’abilità ed alla faccia tosta del Gùstin, cari miei”, sentenziava l’Alfredo. Non aveva torto. Da giovane, nei paesi attorno a Milano, il Gùstin chiedeva l’elemosina con fare dimesso. Guardava, supplicante, negli occhi le vecchie signore, sussurrando loro con un filo di voce: “Fate la carità ad un pover uomo che in una mano ha cinque dita e nell’altra tre e due”. Un po’ di denaro l’aveva raccolto, insieme a cibo, vestiti e qualche legnata sul groppone. Ma gli “incidenti di percorso” non lo dissuasero dal mettere a frutto la sua fantasia. Così passavamo le serate di pioggia all’osteria dei “Quattro Cantoni”. Fuori, la notte si era ormai mangiata le stelle; dentro, tra il fumo del camino e dei sigari e le chiacchiere degli amici, si “lustravano” i ricordi, quasi fossero le pentole della Maria dell’osteria dei Gabbiani.

La morte come inizio della vita

Parlare di morte in questo periodo, in cui parte del mondo celebra la nascita del Salvatore, può sembrare quanto meno controcorrente.

In realtà, poiché nessuno ha la certezza di cosa vi sia dopo la morte, cosa succeda quando un individuo cessa di vivere e la sua anima, il suo spirito vitale, abbandona il corpo dobbiamo affidarci alla fede e credere compiendo, appunto, un atto di fede magari comportandoci in vita in modo da meritarci il dopo migliore.

Abbiamo visto come la concezione del dopo morte cambi enormemente nel corso dei secoli a seconda delle culture e delle epoche considerate.

Nell’antichità greco-romana si riteneva che i defunti richiedessero cure funerarie specifiche al fine di ricevere la protezione dei loro antenati, in assenza della quale si credeva che gli spiriti vagassero sulla Terra. Quando nel XXIV libro dell’Iliade Achille, per vendicare la morte dell’amico Patroclo, trascina il cadavere del nemico Ettore intorno alle mura di Troia, suscita nella società l’indignazione perché la profanazione dei morti era considerata un atto sacrilego.

Per i norreni la destinazione nell’aldilà dipendeva da modo in cui si moriva: morire in battaglia permetteva di accedere al Walhall tra gli einherjar insieme a Odino fino al momento del ragnarǫk(destino ultimo, fine del Creato); morire di malattia o di vecchiaia comportava, invece, la discesa nell’Hel, gli inferi.

Con l’arrivo del cristianesimo, a partire dal VI secolo, si è plasmata una diversa coscienza collettiva relativamente alla morte. Nel secolo scorso, complici due conflitti mondiali e la guerra in Vietnam, la morte era vista come un tabù, un argomento da non affrontare. La globalizzazione e la diffusione dei social hanno permesso di incontrare culture e credo diversi, permettendo una diversa comprensione di ciò che avviene dopo la morte.

In Europa nei confronti della morte e del defunto vi sono atteggiamenti diversi. In Germania il decesso è una parte della vita. Un retaggio cristiano ormai, però, superato anche da parte del Vaticano consente la cremazione ma obbliga a inumare o tumulare i resti cremati in un cimitero.

‍In Croazia, invece, analogamente a quanto avviene nell’Islam la sepoltura deve avvenire entro il giorno successivo al decesso. Icongiunti e chi lo desidera si riuniscono in una veglia notturna nella casa del defunto cosicché questo non resti, solo, al buio. Ilcorteo funebre segue un ordine preciso: in testa c’è la croce, seguita dagli uomini, dalle corone, dal sacerdote, dal defunto, dalla sua famiglia e, per ultime, le donne. In Italia dove la cremazione è consentita da anni, c’è ancora qualche ostacolo sollevato dalla Chiesa che ammette il deposito delle ceneri solo nel cimitero o altro luogo consacrato, ma non accetta che le si portino a casa degli eredi o vengano disperse.

Ma come è considerata la morte dalle varie culture? In Asia, complici le diverse etnie e religioni presenti (Islam, Cristianesimo, Ebraismo, Buddismo, Confucianesimo, Shintoismo, Induismo e Taoismo), sono molto diverse tra di loro le credenze sul “dopo vita”; quasi ovunque è vista come una transizione e l’approccio migliore per elaborare il lutto è accettarlo come un accadimento naturale, un evento normale della vita. In India, invece, la morte è percepita come il passaggio da una identità ad una nuova, più o meno importante a seconda di come ci si è comportati in vita(karma).

In Cina parlare dei defunti è tabù, perché si teme di invocare la sfortuna. Pur considerando il decesso come un evento inevitabile, è caldeggiata la pratica di alcune tecniche quali il Tai Chi Chuan o il Feng shui nella convinzione di prolungare la vita.‍

Il trattamento riservato ai defunti dipende da alcuni fattori quali, ad esempio, età o ceto. Nella cultura cinese gli anziani ricevono il giusto rispetto, anche per i morti. Ciò include il lavaggio e la vestizione del corpo, la preparazione della casa per il funerale e il rispetto del galateo funebre. Ad esempio, il rapporto con il defunto determina cosa si può indossare al funerale. Il colore dell’abito è via via più scuro allo stringersi del grado di parentela: per il coniuge o il figlio sarà nero, per un nonno blu scuro, poi grigio chiaro e così via.

Anche in Africa le usanze risentono delle molteplici culturepresenti. Nel Ghana, ad esempio, gli Ashanti ritengono che la morte sia il momento di transizione tra una vita e quella successiva. Come in altre culture, il trattamento riservato al defunto dipende dal modo in cui muore o, meglio, da come sia vissuto: una morte improvvisa non riceverà molta considerazione a differenza di una persona che muoia di vecchiaia, alla quale verranno tributati onori.

Rispetto ad altre culture, dove i riti funebri sono solitamente tristi, presso gli Ashanti si celebra la vita dei defunti. Il funerale è un saluto comunitario durante il quale si tributa l’ultimo saluto offrendo ai defunti cibo, bevande e musica, proseguendo il trattamento iniziato ante mortem con l’unzione degli infermi.

E che dire dei funerali a New Orleans (Louisiana)? Uscito dalla chiesa, il corteo con il feretro passa nei luoghi più importanti per il defunto, permettendo così a parenti ed amici di tributare l’ultimo saluto. Giunti sul luogo di sepoltura, i musicisti suonano a marciani molto lentamente, ma al ritorno dal cimitero che il ritmo assume diventa un crescendo incalzante, con i partecipanti che ballano al ritmo della musica; si credeva, infatti, che tale confusione nella strada avrebbe disorientato lo spirito del defunto, al punto di non fargli trovare la strada di casa dove avrebbe causato problemi ai suoi cari.

Sempre più persone si avvicinano alla morte in modo sereno, distaccato; pensate soltanto al suicidio assistito che sta raccogliendo sempre più fautori come unica alternativa alla sofferenza incurabile di una patologia incurabile. Nonostante le resistenze ovvie di alcuni esponenti religiosi, sempre più persone ritengono che suicidarsi non sia andare contro i disegni divini decidendo noi quando lasciare questa valle di lacrime ma sia, al contrario, una scelta legittima di chi vuole decidere del proprio destino.

Siamo tutti concordi nel ritenere la morte un evento certo, ineluttabile anche se non ne conosciamo la data né il modo in cui avverrà: perché, quindi, non accettarla con serenità, sia per noi stessi che quando accade a chi ci è caro, preparando per tempo ogni cosa (comprese le incombenze burocratiche) per ridurre al minimo i problemi a chi ci sopravvive?

Sicuramente, temere la morte significa soltanto caricarsi di emozioni negative, che non possiamo risolvere razionalmente perché è la paura di un dopo sconosciuto, temuto dal quale non si torna indietro.

Personalmente consiglio di vivere in pace con sé stessi e con gli altri, rinunciando a quei comportamenti che possono essere comodi o utili in questa vita ma sono oggettivamente dannosi per gli altri, agendo nel rispetto delle altre persone, degli animali e della natura in genere; sono certo che un tale comportamento non possa in alcun modo e secondo nessun credo essere di ostacolo ad un dopo vita dignitoso.

Sergio Motta