Dall Italia e dal Mondo- Pagina 79

Auto investe coppia di anziani, morta la donna

DAL FRIULI VENEZIA GIULIA

Un altro incidente mortale sulle strade italiane in questo inizio 2018. Un’anziana  di 81 anni, è morta e suo marito, di 83 anni , è rimasto gravemente ferito dopo essere stati investiti a Sistiana, sulla strada provinciale per Duino Aurisina (Trieste). I due erano sulle strisce pedonali, ad investirli è stata una Lancia Y alla cui guida era uomo di 60 anni circa.  L’incidente ha causato disagi al traffico in prossimità dell’imbocco dell’autostrada

In Francia un telefono per i carcerati

La Francia ha in programma l’installazione di un telefono fisso nella cella di ogni detenuto. E’ partita una gara d’appalto per equipaggiare progressivamente circa 50.000 utenze nei penitenziari d’oltralpe.  I detenuti potranno telefonare soltanto ai numeri autorizzati dall’amministrazione penitenziaria. Il Governo francese vuole  favorire il mantenimento dei legami famigliari, intesi come un elemento chiave del reinserimento in società e debellare il traffico di telefoni nelle carceri.

Frontale tra auto e furgone, muore giovane donna

DALL’ABRUZZO

Un altro incidente stradale mortale sulle strade italiane,  vittima donna di 38 anni, Cinzia Tucci, di Ancona ma residente a Francavilla al Mare, è morta nel sinistro stradale avvenuto stamane sulla variante  che collega Montesilvano (Pescara) a Francavilla (Chieti). La donna guidava una Matiz che, per cause da accertare, si è scontrata frontalmente con un autocarro che procedeva in direzione di Ortona. E’  morta sul colpo e il suo corpo è rimasto intrappolato nella vettura prima dell’intervento dei Vigili del Fuoco. 

 

(foto: archivio)

Tragico San Silvestro: investito e ucciso da furgone mentre controlla il motore dell’auto

DALLA CALABRIA

Un 51enne di Pizzo Calabro, titolare di un ristorante,  è morto in un incidente stradale a Maierato. L’uomo stava aiutando  un amico la cui auto ha avuto problemi al motore. Mentre ne stava verificando il funzionamento, è stato investito da un furgoncino guidato da una ragazza. Il ristoratore è morto pochi minuti dopo i tentativi di rianimarlo. Il proprietario del veicolo guasto è rimasto gravemente ferito, come la conducente del furgoncino.

(FOTO: ARCHIVIO)

Yemen tra colera e bombe italiane

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

Ricorderemo la tragedia dello Yemen non solo per la guerra in corso da quasi tre anni con oltre 10.000 morti e milioni di sfollati ma anche per l’epidemia di colera e le bombe italiane che distruggono e uccidono. Si chiude ancora più tragicamente il 2017 per gli yemeniti che sopravvivono in un Paese che sta lentamente morendo nell’indifferenza del mondo. E non c’è solo la morte che arriva dai raid aerei sauditi contro i ribelli sciiti Houthi filo-iraniani. C’è anche un’altra morte che colpisce in forma violenta e contagiosa, nel silenzio totale, come denunciato dal Papa nel suo messaggio natalizio. Si muore di colera. L’ennesimo grido di allarme è stato lanciato dalla Croce Rossa Internazionale: il numero di casi di colera ha raggiunto un milione di persone. Secondo i dati delle Nazioni Unite, più di 2.200 persone sono già morte a causa di questa malattia e il colera si sarebbe diffuso nel 90% dei distretti del Paese. A quasi tre anni dall’inizio del conflitto in Yemen, più dell’80% della popolazione non ha accesso ad acqua potabile, cibo e cure mediche e il conflitto sta colpendo in particolare i bambini nel disinteresse generale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha messo in guardia la comunità internazionale facendo sapere che oltre 11 milioni di bambini hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria. Il Pam (Programma alimentare mondiale dell’Onu) ha rivelato che su una popolazione di 26 milioni di persone, almeno 17 milioni di yemeniti non sanno se oggi potranno mangiare e almeno 7 milioni di persone dipendono totalmente dall’assistenza alimentare fornita dalle Nazioni Unite e da altre organizzazioni umanitarie. Secondo l’Unicef, oltre 3 milioni di persone, la metà delle quali bambini, sono a rischio crisi idrica per la mancanza di carburante. Il prezzo del carburante diesel è raddoppiato nel giro di un mese, compromettendo la distribuzione di acqua, in particolare modo per le famiglie più povere. Le stazioni per il pompaggio dell’acqua, che riforniscono oltre 3 milioni di persone attraverso i sistemi pubblici in 14 città, stanno rimanendo senza carburante. Il Pam segnala anche che il numero dei Paesi impegnati ad aiutare lo Yemen si sta riducendo. Quasi l’80 percento dei finanziamenti destinati allo Yemen è stato fornito quest’anno dagli Stati Uniti, dalla Germania, dall’Unione Europea e dal Regno Unito. La situazione generale continua però ad essere disperata e il protrarsi del conflitto non fa altro che aggiungere disastri, lutti e sofferenze. Nella guerra yemenita piovono dal cielo anche bombe di fabbricazione italiana vendute ai sauditi che le sganciano regolarmente sugli insorti armati da Teheran. Si tratta di bombe fabbricate in Sardegna, nel Sulcis, che hanno provocato vittime anche tra i civili. La denuncia arriva dal New York Times che in prima pagina pubblica un video intitolato “il percorso del commercio delle armi” che stanno insanguinando lo Yemen. Il quotidiano newyorkese riconosce che l’Italia è solo uno dei tanti Paesi che inviano armi all’Arabia Saudita.

 

 

Gelosia fatale. Uccide il rivale in amore e confessa

DALLA SICILIA

La Polizia di Catania ha fermato Danilo Guzzetta per l’omicidio di Enzo Carmelo Valenti, l’uomo assassinato il 20 dicembre. Guzzetta e la vittima avevano avuto una  lite: l’aggressore aveva iniziato una relazione con la ex del Valenti. Guzzetta ha confessato ed è stato fermato dagli agenti. Al reo confesso vengono contestate le aggravanti per avere commesso il fatto per futili motivi e la detenzione e porto illegale di arma da fuoco. Valenti è morto all’ospedale Vittorio Emanuele per le ferite  al braccio e al torace.

Padre e figlia rapinano banca, arrestati

DALL’ABRUZZO

I rapinatori di banca arrestati dai carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Pescara sono padre e figlia. Antonio Tombion, 53enne, panettiere di Città Sant’Angelo (Pescara) e sua figlia Roberta Tombion, 32 anni di Cappelle sul Tavo (Pescara), sono accusati di rapina aggravata in concorso ai danni della Bcc di Castiglione Messer Raimondo agenzia di Elice (Pescara),  lo scorso 31 agosto. Il genitore avrebbe ideato ed eseguito la rapina, mentre la figlia ha avuto il ruolo di complice.

Il caso Gerusalemme

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

Riconoscendo Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele, Trump mira a rafforzare l’asse strategico con l’Arabia Saudita in funzione anti-iraniana ma accende la rivolta del mondo musulmano guidata dal sultano Erdogan

(AP Photo/Carlos Osorio)

Telefona al Papa, si consulta con i leader del mondo islamico, lancia strali a Stati Uniti e Israele, guida la ribellione dei musulmani, dal Nord Africa all’Indonesia, contro la scelta di Trump di spostare a Gerusalemme l’ambasciata americana riconoscendo di fatto la Città Santa come capitale dello Stato ebraico. Incontra Putin, diventato lo zar del Medio Oriente, e indossa i panni del “sultano” Recep Tayyip Erdogan ben consapevole che, insieme al leader del Cremlino, ha tutto da guadagnare dagli eventi in corso. Mentre Putin, il vincitore della guerra siriana, raccoglie i frutti del disimpegno occidentale dalla regione e vede crescere i suoi consensi nel mondo arabo sempre più ostile all’America, l’uomo forte di Ankara si erge come fiero condottiero neo-ottomano della comunità islamica universale contro l’Occidente infedele e bellicoso. Al capo della Cristianità Erdogan ha stretto idealmente la mano dopo le dichiarazioni preoccupate del Pontefice che, criticando l’annuncio americano, ha chiesto rispetto per lo “status quo” di Gerusalemme. Erdogan definisce “irresponsabile” la decisione dell’inquilino della Casa Bianca perchè “andrà tutto a beneficio dei terroristi”. É una vittoria per il presidente turco che viene acclamato da una parte all’altra del mondo musulmano come il vero “difensore della Città Santa”, colui che ammonisce il presidente degli Stati Uniti che il riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele rappresenta “una linea rossa per tutti i musulmani” e porterà alla rottura delle relazioni diplomatiche con Israele.

 

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E pensare che meno di due anni fa Erdogan affermava: “Israele ha bisogno di una potenza regionale come la Turchia. E anche noi, dobbiamo riconoscerlo, abbiano bisogno di Israele perchè è una realtà dell’area”. Ma quello era un altro Medio Oriente, molto diverso da quello attuale. Turchi e russi erano in rotta di collisione per l’abbattimento del jet russo da parte dei turchi nel novembre 2015 al confine con la Siria e per le sanzioni imposte da Mosca ad Ankara. E mentre infuriava la guerra siriana Putin rivelava il suo piano di dividere la Siria in tre parti, curdi compresi, suscitando l’ira di Ankara e rischiando uno scontro frontale con la Turchia. Oggi Putin e Erdogan sono amici e alleati e decidono insieme, con nostalgie imperiali, il futuro della Siria e dell’intera regione. L’offensiva del comandante della Mezzaluna contro gli Stati Uniti e Israele è partita da piazza Fatih, dalla moschea di Maometto II, sulla sommità del quarto colle della Roma d’Oriente, dove un tempo sorgeva la chiesa costantiniana dei Santi Apostoli che il Conquistatore fece demolire 564 anni fa per costruire la sua moschea. Non si tratta solo di manie di grandezza quando il neo “sultano” rispolvera le glorie del passato imperiale. Di frequente fa riferimento ai sultani ottomani, pensando che nel Paradiso islamico dovrà spiegare la sua strategia in politica estera a personaggi come Maometto II e Solimano il Magnifico. Nel frattempo, da Istanbul infiamma l’islam, radicale e moderato, parla da capo della Fratellanza musulmana più che da presidente di un grande Paese, da 65 anni pilastro sud-orientale della Nato, ma oggi sempre meno stabile e credibile. Piace ai musulmani vedere che con forza guida la riscossa dei Paesi islamici e riunisce nella sua Istanbul una grande assise con i leader dei 57 Stati membri dell’Organizzazione della cooperazione islamica (Oic) per un vertice straordinario che ricompatta una volta tanto sunniti e sciiti per un obiettivo comune. In un colpo solo vede aumentare il consenso interno e si presenta come grande potenza nel risiko mediorientale. La decisione di Trump su Gerusalemme muove nuovamente lo scenario levantino.

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Se in senso conflittuale o in direzione della ripresa concreta del processo di pace tra israeliani e palestinesi lo vedremo nei prossimi mesi. Certamente ha avuto l’effetto di mobilitare l’intero mondo musulmano, da Rabat a Jakarta, e di mettere a rischio quanto di positivo è stato raccolto negli ultimi tempi come il Trattato di pace tra Israele e la Giordania del 1994 che re Abdallah minaccia di rivedere ma per il resto, al di là delle solite oceaniche e violente manifestazioni di protesta che hanno coinvolto migliaia di persone è praticamente fallita quella “terza Intifada” che avrebbe dovuto, nelle intenzioni dei musulmani, sconvolgere l’intera regione. Mentre l’Unione Europea esprime grande preoccupazione e assicura che nessuno dei Paesi europei sposterà le proprie ambasciate da Tel Aviv, su Trump si abbatte la collera dell’Onu che rifiuta ogni soluzione unilaterale per i negoziati. Per padre Patton, Custode di Terra Santa, questa decisione non fa che provocare danni irreparabili e aggiungere violenze. Nel nuovo Medio Oriente che si sta delineando bisognerà fare i conti con l’inarrestabile espansione russa nel Mediterraneo orientale e con la forza emergente di una Turchia che non si accontenta di un ruolo di secondo piano.

 

dal settimanale “La Voce e il Tempo” Filippo Re

 

Non vogliono che si faccia suora: papà e fratello narcotizzano 25enne per portarla al paese d’origine

DALLA LOMBARDIA

Padre e  figlio sono stati arrestati per sequestro di persona nei confronti di una ragazza di 25 anni, figlia e sorella dei due che volevano impedirle di diventare suora. Gli agenti di polizia sono intervenuti dopo le segnalazioni giunte al 113, in via Pantaleo a Milano . I due uomini, di 59 e di 28 anni, stavano tentando di far salire a bordo di un’auto la giovane per portarla nel paese d’origine, in provincia di Avellino. Il padre e il fratello di lei non volevano che  diventasse suora, e dopo averla stordita in casa con del sonnifero con l’aiuto della madre di 52 anni,  indagata, l’hanno portata fino all’auto. La ragazza è però riuscita a divincolarsi, richiamando  l’attenzione dei passanti e chiedendo aiuto.

Natale in Terra Santa

FOCUS  INTERNAZIONALE di Filippo Re

É Natale in Terra Santa, a Gerusalemme, a Betlemme, a Gaza e nei Territori palestinesi, anche se in tono minore per il clima di scontro che si è acceso sulla questione della Città Santa. Nella tradizionale lettera di fine anno i capi religiosi delle chiese locali ribadiscono il loro appello a proteggere lo status quo di Gerusalemme, “dono sacro per tutto il mondo”, fino a un giusto accordo di pace fra israeliani e palestinesi. É Natale anche nelle terre martoriate della Siria e dell’Iraq. Anche qui si attende la nascita di Gesù in un clima di festa e di speranza nonostante la grandi difficoltà del momento. Come nel monastero di Deir Mar Musa, 80 km a nord di Damasco, dove le luci del Natale accolgono i pellegrini. Nella Siria disastrata da sei anni di guerra cristiani e musulmani si ritrovano di nuovo nel convento fondato da Paolo Dall’Oglio, il gesuita romano rapito nel 2103 nella zona di Raqqa e scomparso nel nulla. Lo fanno sapere i monaci e le monache della comunità monastica che promuove il dialogo tra cristianesimo e islam in una lettera natalizia in cui raccontano i preparativi per le feste imminenti. Sono numerose le famiglie cristiane e musulmane che in questi giorni salgono insieme al convento che ha vissuto periodi travagliati prima con il regime siriano e poi a causa della follia jihadista. La comunità comprende anche il monastero di Mar Elian nel governatorato di Homs, distrutto dagli islamisti nell’estate del 2015. Un messaggio di speranza giunge anche dalla piana di Ninive in Iraq dove l’Isis, nonostante la ferocia mostrata durante l’occupazione contro i musulmani e le minoranze, non è riuscito a cancellare la presenza cristiana.

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Nel villaggio di Tellskuf è rinata la chiesa di San Giorgio che era stata distrutta e profanata dai miliziani del califfo. I jihadisti sono stati cacciati e i cristiani sono tornati e ora possono pregare di nuovo nella loro chiesa ricostruita con i fondi stanziati dall’associazione Aiuto alla chiesa che soffre (Acs). Nonostante tragedie, violenze e immense sofferenze ci sono ancora le energie per preparare degnamente il Natale. Spuntano presepi nelle case e nelle strade, addobbi natalizi un po’ ovunque e le chiese sono pronte per la messa della vigilia. Ultimi preparativi anche nei villaggi cristiani della piana di Ninive già rimessi in sesto, almeno parzialmente, dai volontari e dai tecnici inviati sul posto dall’Acs grazie ai quali oltre il 30% dei cristiani, circa 6000 famiglie, sono rientrati nelle proprie abitazioni. Il paese più fortunato è Tellskuf, presso Mosul, che un anno fa era un villaggio fantasma e distrutto in gran parte, e ora il 70% delle famiglie, quasi tutti cristiani caldei, vi ha fatto ritorno. L’immediato restauro della chiesa di San Giorgio e della statua della Madonna decapitata dai fanatici dell’Isis ha segnato la ripresa delle attività della Chiesa. Tellskuf fu occupata dai miliziani dell’Isis nell’estate 2014 ma la sua sorte fu meno drammatica rispetto a quella di tanti altri paesi abitati da cristiani e yazidi attorno a Ninive. Fu ripresa dai peshmerga curdi dopo poche settimane e divenne una linea del fronte tra i combattenti iracheni di Barzani e le forze del Califfo che più volte attaccarono senza successo la roccaforte curda. Gli abitanti erano nel frattempo fuggiti ad Alqosh o a Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno. La rinascita della piana di Ninive liberata dall’Isis si avverte anche nella cittadina di Karamles dove quasi 300 famiglie sono rientrate nelle loro case e vivono con gioia l’attesa del Natale, come essere usciti da un lungo incubo durato tre anni.

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Oggi la loro vita sta tornando lentamente alla normalità e i sacerdoti caldei, sopravvissuti alla ferocia dei tagliateste di Al Baghdadi, hanno celebrato le prime funzioni religiose in attesa del Natale. I problemi non mancano e sono comuni a tutti i paesi della piana di Ninive. Centinaia di case, incendiate e bombardate, devono essere ricostruite e mancano quasi del tutto i servizi pubblici come il riscaldamento e l’elettricità che viene erogata poche ore al giorno. Servono denaro e tempo ma ciò che le chiese irachene temono di più è l’instabilità politica della regione a causa della quale molti cristiani sono scappati all’estero in questi ultimi anni e difficilmente torneranno nelle loro terre. Quasi 250.000 caldei vivono già negli Stati Uniti e 50.000 in Australia e la fuga potrebbe continuare. Anche ad Aleppo nella vicina Siria, città martoriata per anni e semi-distrutta, la vita riprende a poco a poco. L’appello del vescovo caldeo Antoine Audo, ai donatori internazionali, ai ricchi del mondo, è esplicito: ” la mia Aleppo riprende vita ma dipendiamo ancora dal vostro aiuto. Vi prego, sostenete i pochi cristiani rimasti in modo che possano continuare a restare in Siria”. I danni in città sono enormi. La fornitura di acqua e luce è stata ripristinata anche se i blocchi sono frequenti. In città la paura del nemico sembra scomparsa e vi è una lenta ripresa delle attività ma i cristiani rimasti sono pochi. Erano 150.000 e ora sono 40 mila. Anche le chiese, gli ospedali e gli ambulatori sono dimezzati dopo il conflitto, trovare medicine non è facile e l’80% dei medici ha abbandonato la Siria. Anche ad Aleppo i volontari e i tecnici dell’Acs portano avanti un lavoro ammirevole e tra i progetti della campagna di Natale vi è anche il sostegno all’ospedale Saint Louis diretto dalle suore di san Giuseppe dell’Apparizione, uno dei pochi rimasti in piedi dopo i massicci bombardamenti. Il premier irakeno Al Abadi ha annunciato con grande enfasi la fine della guerra contro l’Isis ma ciò che sopravvive è l’ideologia jihadista radicata almeno in una parte della popolazione. “La guerra santa, si legge nei siti della propaganda del Daesh, proseguirà senza interruzioni”. Senza il ritorno alla stabilità politica ed economica la minaccia del terrorismo sarà sempre dietro l’angolo e l’Isis tornerà con un altro nome e un altro volto feroce.

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La sconfitta del Califfato segnerà davvero il ritorno dei cristiani? Alcuni sono già tornati e altri torneranno ma in questi territori non si formerà di nuovo quel mosaico multietnico di cristiani, yazidi e di altre minoranze che ha contraddistinto per secoli la vita di questa regione. La storia dei cristiani d’Oriente sembra prossima alla fine e per riportarci i cristiani ci vorrebbe forse quel “piano Marshall” che il segretario di Stato vaticano Parolin invoca da tempo. Nel frattempo gli attacchi contro i cristiani non cessano neanche alla vigilia delle festività natalizie. Natale di sangue in Pakistan per un attacco kamikaze contro una chiesa cristiana metodista a Quetta con centinaia di persone che stavano seguendo la funzione religiosa. Sono morti tredici fedeli e altri 55 sono rimasti feriti. Poteva essere una strage molto più grave e solo la pronta risposta della polizia ha evitato lutti maggiori. I pakistani celebrano il Natale molto intensamente e tutte le chiese organizzano varie attività per l’intero mese di dicembre. Nella provincia pakistana del Beluchistan spadroneggiano gruppi armati di separatisti, talebani e gruppi jihadisti e gli attacchi contro le minoranze religiose sono frequenti. Il capo dell’esercito ha parlato di “attacco ai nostri fratelli cristiani” nel tentativo di “rovinare le celebrazioni natalizie”. Timori di attentati durante le festività natalizie anche in Egitto dove il governo ha mobilitato le forze di sicurezza in tutto il Paese. La comunità copta cristiana fu duramente colpita nella domenica delle Palme con gravissimi attentati contro due chiese, a Tanta, a nord del Cairo e ad Alessandria, di fronte alla cattedrale di San Marco.

Dal settimanale “La Voce e il Tempo”