Dall Italia e dal Mondo- Pagina 57

Come si diventa cittadini europei

“Chi  non ricorda il passato è condannato  a ripeterlo”: la citazione, del filosofo e scrittore spagnolo George Santayana, campeggia in una delle sale della Casa della storia europea a Bruxelles. Sul suo significato, sul valore di coscienza e di memoria collettiva e sui principi fondanti dell’Unione europea si sono soffermati i ventiquattro studenti degli istituti superiori piemontesi che hanno visitato nei giorni scorsi la città sede delle istituzioni europee, un viaggio premio per i vincitori della 34esima edizione del concorso “Diventiamo cittadini europei”, organizzato dalla Consulta regionale in collaborazione con l’Ufficio scolastico regionale. I ragazzi, provenienti dagli istituti superiori di Alba, Alessandria, Biella, Borgosesia, Cuneo, Ivrea, Novara, Novi Ligure, Rivoli, Savigliano, Torino, Tortona e Vercelli, hanno visitato il museo interattivo, inaugurato lo scorso anno, che racconta i grandi avvenimenti della storia europea, i processi che hanno portato alla nascita dell’Unione e il funzionamento delle sue istituzioni, mentre al centro visitatori del Parlamento hanno vissuto da protagonisti i lavori parlamentari attraverso il gioco di ruolo “Parlamentarium”. Dalla prima edizione del 1983, il concorso ha permesso a migliaia di studenti di fare un’esperienza formativa su cos’è l’Europa: quella di quest’anno ha visto la partecipazione di 68 istituti superiori e 878 alunni, che si sono dovuti cimentare in un elaborato sui temi della Brexit e della disoccupazione giovanile, valutati da una commissione di esperti e premiati con il viaggio a Bruxelles.

(CS) www.cr.piemonte.it

Le tutele della rete dallo strapotere dei colossi. Nuova normativa europea

In questi giorni è in corso alla Camera dei Deputati la discussione sulla SIAE, del diritto d’autore e media. Una riforma equa in tal senso sarebbe quanto mai auspicabile, ma nel frattempo al Parlamento Europeo sarà all’ordine del giorno, a partire dal 12 settembre, una discussione, per certi versi, simile ma molto più importante che dovrebbe tutelare artisti e autori dalle manipolazione e strapotere dei colossi della rete (Facebook, google ecc). Non solo per la tutela degli internauti è in corso la petizione regionale lanciata dalla Società Italiana degli Autori ed Editori diretta ai deputati del Parlamento europeo per richiedere la modifica delle attuali leggi che regolano Internet e in particolare gli articoli riguardanti il Copyright che favoriscono sempre di più i giganti della tecnologia a scapito degli utenti “semplici” come i cittadini. La petizione è regionale, quindi rivolta ai cittadini dell’Italia Nord Occidentale.  A pochi giorni dal voto in Europa, dopo la presa di posizione di editori e giornalisti, è nata Europe for creators, movimento composto da cittadini, creativi e quasi 250 organizzazioni a sostegno della direttiva Europea per il copyright, la cosiddetta Direttiva Barnier. Il movimento ha lanciato un sito web e un account su Twitter (@EUForCreators), con l’hashtag #EuropeForCreators. Sappiamo tutti che, ora, per i colossi della rete il pagamento equo non esiste. Speriamo che dal prossimo 12 settembre lo diventi quando vengono utilizzate le loro opere. La nostra preoccupazione è che invece, come per il regolamento per la tutela della privacy, recentemente entrato in vigore, sia un modo come un altro per affossare i più piccoli mentre i colossi continueranno imperterriti. Il voto serve per aggiornare le regole sul copyright nel 21° secolo, per garantire che musicisti, artisti e chiunque produca musica e altri contenuti che ci piace vedere e condividere su piattaforme come Facebook e YouTube, ottengano un pagamento equo quando vengono utilizzate le loro opere.  Attualmente, i giganti della tecnologia raccolgono la maggior parte dei profitti.

Tommaso Lo Russo

 

L’assedio di Idlib

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

Sembra l’atto finale della guerra siriana l’offensiva scatenata da Putin e Assad su Idlib nel nord-ovest del Paese, l’ultima roccaforte dei ribelli e delle milizie qaediste che da sette anni e mezzo combattono contro il regime di Damasco. E sembra anche uno sgarbo rivolto a Trump che poche ore prima aveva intimato a russi e siriani di astenersi da qualsiasi intervento militare. Invece, aerei russi e siriani hanno ripreso i raid attorno a Idlib dopo oltre tre settimane di sosta. I missili dei jet russi hanno colpito diverse postazioni dei jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham e un’area in mano a ribelli filo turchi.

L’attacco ordinato da Mosca e da Damasco è il segnale che potrebbe annunciare l’offensiva di terra, i cui piani sono al centro del vertice di Teheran tra russi, iraniani e turchi. Oltre 120.000 soldati siriani e russi sono pronti ad andare all’assalto di 60.000 insorti in quella che si presenta come una campagna militare ancora più cruenta e terribile di quelle viste ad Aleppo e nella Ghouta orientale, alle porte di Damasco. Si prevede la fuga di centinaia di migliaia di civili verso la Turchia che ha inviato rinforzi per bloccare l’ondata di profughi che si riverseranno lungo la frontiera. Le mosse di Ankara nei confronti dei suoi alleati a Idlib e verso Putin saranno decisive. Erdogan ritirerà i suoi soldati dalle zone contese e lascerà al loro destino le fazioni ribelli che sostiene? Staffan de Mistura, l’inviato dell’Onu per la Siria, ha chiesto a Putin e al presidente turco di fare di tutto per trovare un accordo ed evitare un bagno di sangue nella provincia di Idlib. Uno scontro su larga scala porterebbe a un nuovo massiccio esodo di civili verso il Paese della Mezzaluna. Un’eventualità che preoccupa Erdogan, già in difficoltà sul piano interno per la grave crisi economica. Nella guerra infinita siriana (circa 400.000 morti) si rischia una nuova catasfrofe umanitaria. Gli accorati appelli del Papa alla comunità internazionale per fermare la macchina bellica sembrano caduti nel vuoto. Il Vicino Oriente torna a infiammarsi.

 

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L’Iran sposta i missili in Siria e in Iraq per minacciare Israele e l’Arabia Saudita. Israele lancia i suoi missili contro basi iraniane al di là del Golan e il ministro della difesa Lieberman non esclude di colpire obiettivi persiani anche in Iraq. Nell’infuocata polveriera siriana le forze islamiste dell’Isis e di al Qaeda si riorganizzano e tornano a minacciare l’Occidente. Idlib conta oggi almeno 500.000 abitanti, la maggior parte dei quali sono siriani fuggiti da tante altre zone in cui si combatteva. Sembrava un’isola felice nella tragedia siriana ma oggi la situazione è cambiata. A Idlib sono presenti, secondo l’Onu, 10.000 foreign fighters e la popolazione della provincia è passata da uno a tre milioni di abitanti, quasi tutti sfollati e tutti a rischio con l’offensiva siro-russo-iraniana contro i ribelli jihadisti e filo-turchi che potrebbe causare un numero altissimo di vittime e di profughi. Oltre 700.000 civili sono intrappolati tra russi e turchi e potrebbero fuggire dalla Siria e raggiungere l’Europa in qualsiasi momento. Per aiutarli a fuggire da Idlib si sta cercando, con grande fatica, di aprire “corridoi umanitari” ma il tempo stringe. Rispunta anche la paura di possibili attacchi chimici da entrambe le parti. Francia, Gran Bretagna e Regno Unito minacciano di rispondere con la forza in caso di un attacco chimico da parte dei siriani contro Idlib. Si riaffaccia intanto lo spettro della pulizia etnica. Non mancano infatti le preoccupazioni per una possibile “pulizia etnica” da parte di sciiti e alawiti (il clan di Assad al potere) contro i sunniti, la maggioranza della popolazione, e dei curdi contro i cristiani nel nord-est del Paese. Il 60% della provincia di Idlib è controllato dai qaedisti di Hayat Tahrir al-Sham (ex Fronte al Nusra) mentre il resto del territorio è conteso da milizie jihadiste, rivali tra loro, e da altri gruppi riuniti nell’ “Esercito libero siriano” armato dalla Turchia. Assad vuole chiudere la guerra prima possibile e avviare la ricostruzione del Paese. Dopo la riconquista di Aleppo e Raqqa e nel sud della Ghouta orientale e Douma, le truppe del rais di Damasco marciano verso la riconquista delle aree settentrionali che ancora sfuggono al suo controllo.

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Dopo la riconquista di Idlib rimarebbero escluse solo alcune zone curde nel nord e nel settore centro-orientale dove hanno trovato riparo i soldati del Califfo. Nel caos siriano anche al Qaeda e l’Isis tornano a far paura come dimostrano i recenti appelli a continuare la guerra santa contro l’Occidente di Al Baghdadi e di Al Zawahiri, leader di al Qaeda. Tra Siria e Iraq sarebbero, secondo le Nazioni Unite e i servizi segreti americani, circa 30.000 i combattenti dell’Isis ancora operativi e pronti a colpire in Occidente e alcune centinaia di miliziani sarebbero già tornati nei Paesi europei da cui erano partiti per combattere nel Levante. La ferocia di questi miliziani è riemersa nuovamente a fine luglio nel massacro di Suweida nel sud-ovest della Siria contro la locale comunità drusa (oltre 250 vittime) e nella recente decapitazione di uno degli ostaggi sequestrati nel corso dell’incursione jihadista. Lo stesso regime siriano, che nonostante i crimini commessi contro la popolazione negli ultimi anni, è stato indegnamente nominato nei giorni scorsi alla presidenza di turno della Conferenza internazionale sul disarmo, ha messo in guardia i Paesi europei sul ritorno in patria di una folta pattuglia di combattenti reduci dal Siraq e potenzialmente pronti a colpire. La chiesa siriana osserva con angoscia gli sviluppi della situazione e ringrazia Papa Francesco per i suoi appelli a favore della pace in Siria. Manifesta però anche forti timori per la situazione dei cristiani siriani che dopo essere stati uccisi e cacciati dalle loro terre dagli estremisti islamici dell’ex Stato islamico sono ora perseguitati dai curdi. Una sorta di “pulizia etnica” in atto già da tempo nelle regioni nordorientali della Siria. La denuncia arriva da Jacques Behnam Hindo, arcivescovo siro-cattolico di Hassakè, nel nord est della Siria, secondo cui è in atto un tentativo da parte dei curdi di cancellare la presenza cristiana in queste zone del Paese. Alcune scuole cristiane, siriaco-ortodosse e armene, sono state chiuse dalle autorità curde scatenando le critiche delle associazioni cristiane che accusano i curdi di violare di diritti umani nel silenzio del mondo. Nel dramma siriano forse l’unica buona notizia è la prossima riapertura del monastero di Santa Tekla a Maalula, occupato e saccheggiato dai miliziani islamisti tra il 2013 e il 2014. Maalula, 50 km a nord est di Damasco, è famoso per essere uno dei luoghi al mondo in cui si parla ancora l’aramaico, la lingua del tempo di Gesù.

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dal settimanale “La Voce e il Tempo”

Il proibizionismo del sultano

FOCUS INTERNAZIONALE di Filippo Re

Dopo la guerra dichiarata contro il fumo nei locali pubblici, ora sotto la scure del sultano finiscono vino, birra e superalcolici. Il presidente-padrone della Turchia Recep Tayyip Erdogan si schiera apertamente contro la piaga dell’ alcolismo e i danni alla salute chiedendo ai turchi di cambiare, di adottare stili di vita diversi e di rispettare di più le regole dell’Islam. Per l’ennesima volta nel Paese della Mezzaluna sono aumentate le tasse sul vino, sulle bevande alcoliche e sul raki, un liquore all’anice simile alla grappa diventato una bevanda nazionale. Rigore puritano e clima da proibizionismo, è questa l’aria che si respira nella nuova Turchia presidenzialista e autoritaria del ciclone Erdogan. Il divieto di bere alcol è una norma islamica applicata severamente in tutti gli Stati musulmani ma i tentativi di aggirarla non sono mai mancati, né oggi né in passato. Nella Costantinopoli ottomana tale proibizione veniva spesso violata, si importava vino dai Paesi europei, si coltivavano viti sulle rive del Bosforo e le taverne sul Corno d’Oro erano affollate di poeti, scrittori e storici. Ma anche al vertice dell’Impero il vino scorreva a fiumi. Sultani, gran visir e religiosi islamici maledivano l’alcol in pubblico ma nell’intimità dei palazzi imperiali il vizio del vino non mancava mai. “Che giorno e notte nessuno deponga il calice…che si continui a bere e ad adorare il dolce nettare…anche a Solimano il Magnifico il vino piaceva molto, era vita, allegria e amore, e lo fece entrare nelle sue poesie. Per non parlare di suo figlio, il sultano Selim II, detto il Beone, che un giorno si sbronzò a tal punto da cadere a terra e morire. Ma quando ne scorreva troppo i sultani diventavano improvvisamente rigidi e severissimi contro il consumo dell’alcol. Taverne, osterie e botteghe venivano subito chiuse per tutti, musulmani, cristiani ed ebrei, con pene e sanzioni pesanti in caso di trasgressione del divieto. Ma la chiusura non durava molto, a volte pochi giorni, a volte perfino poche ore. Nella Turchia di Erdogan, l’uomo forte di Ankara, torna la crociata anti-alcol. Chi lo vende o lo produce non ha vita facile e solo nel 2017 sono stati almeno 10.000 i negozi di vino e altri alcolici chiusi per legge.

 

 

Libia: la guerra annunciata e le identiche visioni di Matteo Renzi e Emmanuel Macron

Molto probabilmente quando uno parla, in questo caso Matteo Renzi, non presta attenzione a quello che dice e, a forza di sparare a mitraglia, parole su parole non si rende conto delle gaffe. Così è avvenuto che, in un’intervista televisiva, Renzi abbia detto che la sua visione delle cose (politiche) è come quella di Macron. In effetti i due sono assimilabili, il francese cala, a rotta di collo, nei sondaggi e l’italiano Renzi lo insegue per non arrivare secondo. Eppure gli italiani gli avevano assegnato un’apertura di credito illimitato che lui ha, miseramente, sciupato. Tuttavia, nella sua prosopopea ancora oggi non si rende conto perché glielo abbiano ritirata. Non rendersi conto che “sposare” la linea di Macron ed è altrettanto deleterio ne è una nuova conferma, ma soprattutto gli interessi francesi non sono quelli dell’Italia. Come sia drammatica la visione sulla Libia di Emmanuel Macron per il nostro Paese lo stiamo vedendo e ancor più lo registreremo a breve. Dopo il disastro di Nicolas Sarkozy che aveva creato il disastro facendo cadere il dittatore libico Mohamed Gheddafi, il peggio è arrivato, ma non avrà mai fine perché ci pensa Macron ( ribattezzato in Francia Macroncino, all’italiana) ad aggravarlo. L’attivismo del presidente francese lo ha portato in Lussemburgo per un pranzo con i tre premier del

Benelux, seguito da una «consultazione con i cittadini» alla Filarmonica, a Marsiglia ha accolto la Cancelliera Merkel, preceduta da una visita ufficiale in Danimarca e Finlandia. Vale a dire, sono stati frutto di attenzione già 14 dei 28 Paesi dell’Unione, ma ci si aspetta il completamento del tour. Un super attivismo spiegabile solo con le prossime elezioni europee, a primavera 2019. Votazioni cruciali per l’Europa, ma anche per la carriera politica dell’unico capo di Stato che si è impegnato a fondo per rilanciare l’integrazione del continente. I sondaggi per lui sono invece preoccupanti: a otto mesi dal voto il suo partito è in calo di due punti e si attesta al 20% dei suffragi, davanti al Rassemblement national (ex FN) che lo segue al 17%, con la destra dei Républicains stabile al 15%, seguiti al 14% dalla France Insoumise, protagonista di un balzo in avanti di tre punti. Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon vogliono trasformare le prossime elezioni europee in un referendum contro Macron, se malauguratamente in Libia le cose dovessero peggiorare, i sondaggi subirebbero un ulteriore peggioramento. Lui (il divin Macron) accetta la sfida e come Mattero Renzi si sente invincibile. Appunto!

Tommaso Lo Russo

 

Cresce il commercio online

Il commercio on line cresce  in Italia rispetto allo scorso anno. Lo rilevano i dati di uno studio della Camera di commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi incentrato sul registro delle imprese. La crescita è del +58% per la Lombardia e +68%  nel resto delle regioni negli ultimi cinque anni, e il settore impiega quasi 6 mila addetti in Lombardia su 26 mila in Italia. Milano è capofila con 1.378 imprese e circa 4 mila addetti. Sono 17.432 le imprese specializzate, in crescita del 9% l’anno e del +68% in cinque anni. Quasi un’impresa su quattro tra chi vende su internet è giovane (24%).

Turchia e Russia sempre più vicine

FOCUS INTERNAZIONALE di Filippo Re

Ha già un piede fuori dalla Nato la Turchia, come sostengono diversi osservatori politici e militari? Siamo alla vigilia di un colossale sconvolgimento della struttura dell’Alleanza Atlantica che lascerebbe scoperto il suo fianco sud-orientale finora protetto dalla potenza anatolica? Lo zar di Mosca, già presente e forte in Siria e nel Mediterraneo orientale, ne approfitterebbe subito per colmare il vuoto strategico-militare che si aprirebbe Asia Minore e per rafforzare l’alleanza con il sultano di Ankara. Le tensioni crescenti tra i turchi e gli americani si sono spostate dal piano politico-diplomatico a quello militare. I toni sempre più accesi nel braccio di ferro tra Erdogan e Trump hanno convinto Mosca a vendere ai turchi i sofisticati missili anti-aerei S-400 ( i primi arriveranno all’inizio del 2019)) che mettono in forte imbarazzo i vertici della Nato e costringono Washington a rivedere la consegna ad Ankara dei caccia F-35 promessi tempo fa dal Pentagono. Ma russi e turchi sono così stretti amici e alleati da frantumare un pezzo vitale della Nato, cambiare gli equilibri mondiali e avviare una nuova era nelle relazioni internazionali est-ovest? Siamo forse arrivati a un bivio. “Un tempo, ha scritto Bernard Henri Levy, ci si interrogava sull’opportunità di far entrare o meno la Turchia in Europa. Ma quel giorno il nuovo problema da porsi sarà se non diventi opportuno di farla uscire dalla Nato”. Se l’Organizzazione atlantica ha seri problemi al suo interno con un pilastro importante che diventa una semi-dittatura, si allontana dall’Occidente, scappa a Oriente e si avvicina a quelle potenze che ha combattuto per secoli, la Russia e la Persia, non è detto che il patto trilaterale Mosca-Ankara-Teheran sia così forte come sembra. Ne sapremo qualcosa di più il 7 settembre quando Putin, Erdogan e l’iraniano Rouhani si incontreranno nella capitale iraniana per fare il punto sulla situazione nella provincia di Idlib, teatro di un’ offensiva congiunta siro-russo-iraniana per cacciare dalla città gli insorti filo-turchi e milizie qaediste. La guerra siriana infatti non è ancora del tutto finita e rischia di compromettere le relazioni proprio tra questi tre Stati che nel Levante hanno creato una triplice alleanza per contrastare i piani degli americani, delle monarchie del Golfo guidate dall’Arabia Saudita e dagli israeliani in chiave anti-iraniana.

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L’alleanza di Astana, di Sochi e di Ankara tra i tre grandi imperi del passato mostra preoccupanti scricchiolii quando si entra nel vivo delle questioni da trattare, dalla situazione nel Siraq allo scontro politico con Riad e ai rapporti sempre più tesi con l’Occidente. Tra sorrisi e strette di mano, attriti e divergenze, Putin, Erdogan e Rouhani proseguono lungo la strada tracciata nelle steppe asiatiche ben sapendo che dovranno scendere a delicati compromessi quando i nodi siriani verranno al pettine. Tra turchi e russi e tra turchi e iraniani i dissidi non mancano. L’intesa tra lo zar e il sultano anatolico è in questo periodo molto robusta se pensiamo che solo tre anni fa i due Paesi rischiarono uno scontro armato dopo l’abbattimento di un jet russo da parte dei turchi al confine con la Siria. Poi scoppiò la pace e oggi Putin cerca di dare una mano a Erdogan in forte difficoltà sul piano economico e finanziario dopo il crollo della lira turca e il drastico rialzo dell’inflazione. Ma sulla Siria è scontro. Il presidente russo, alleato di Bashar el Assad e vincitore della guerra siriana, pretende che i militari di Ankara se ne vadano dalla provincia di Idlib, ancora in mano alle milizie filo-turche e ai reparti inviati da Erdogan, per consentire alle truppe di Damasco di occupare l’ultima enclave ribelle. Motivi di preoccupazione non mancano neppure nella regione curdo-siriana attorno alle città di Afrin e di Manbij occupate dai carri armati turchi che si trovano a poca distanza da basi militari russe e americane. Se ne andranno i soldati della Mezzaluna da queste zone senza guastare l’intesa con russi e iraniani la cui presenza militare è sempre più ampia nel teatro siriano? La crisi turca frenerà le folli ed eccessive ambizioni dell’uomo forte di Ankara? In difficoltà sul piano interno, Erdogan viene soccorso dai russi e dall’emiro del Qatar che, con un atto dovuto, ha staccato un assegno di 15 miliardi di dollari per aiutare il suo alleato turco che un anno fa si schierò a difesa di Doha isolata economicamente dall’Arabia Saudita e dagli altri Paesi sunniti del Golfo per le sue posizioni filo-iraniane. Reggerà la triplice intesa per pacificare la Siria insieme agli sforzi dell’Onu che sembra però scavalcata dalle potenze direttamente coinvolte nel conflitto? Si direbbe quasi che il patto tra Ankara e Mosca e l’asse tra Ankara e Teheran risultano deboli e perfino eccessivi se guardiamo al passato. Nella Storia troviamo spesso gli elementi per capire ciò che accade oggi e proprio gli eventi dei secoli scorsi ci ricordano che le relazioni tra questi tre antichi imperi sono state molto più bellicose che collaborative e pacifiche. I sultani del Bosforo, gli zar russi e i persiani si sono confrontati e scontrati per lungo tempo sullo scacchiere tra l’Europa e l’Asia e si contendono tuttora il dominio sull’Oriente. A partire da Ivan IV “il Terribile” zar e sultani si sono combattuti in una decina di guerre tra il Cinquecento e il Novecento e tragici eventi restano scolpiti nella memoria storica turca, russa e iraniana. Come la battaglia di Caldiran del 1514 quando il sultano Selim I sterminò decine di migliaia di sciiti persiani della dinastia Safavide oppure quando furono i persiani a devastare e bruciare l’intera Anatolia mettendo a rischio la sopravvivenza stessa della potenza turca. I Safavidi divennero per tre secoli i nemici più temibili sul confine orientale dell’Impero ottomano. Le atrocità compiute su entrambi i fronti sono rimaste impresse nella storia delle due nazioni che per centinaia di anni hanno cercato di distruggersi a vicenda. Si odiavano, come da sempre si odiano sunniti e sciiti. Sta di fatto che solo nel giugno 2002 un presidente della Mezzaluna si è recato in visita ufficiale nella Repubblica islamica degli ayatollah. Fu Ahmet Sezer che è stato anche il primo capo di Stato turco a recarsi a Tabriz in tre secoli. Nonostante le posizioni siano state spesso diverse sul Medio Oriente e sullo scenario mondiale, ultimamente tra i due Paesi c’è stato un sostanziale riavvicinamento. Il viaggio di Erdogan in Iran nell’ottobre dello scorso anno per fare il punto sulla crisi siriana e sulle questioni regionali è stato un evento di grande importanza nella geopolitica mediorientale. Il confronto tra russi, turchi e iraniani prosegue nel terzo millennio ed è la chiave di lettura per mettere a fuoco quel che accade oggi nel Levante e in Medio Oriente.

 

dal settimanale “La Voce e il Tempo”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La storia (a lieto fine) dell’elefante Maya

Tra i parchi zoologici riconosciuti dalla legge in Italia, circa una cinquantina, il Safari Park Lago Maggiore (Pombia-Novara) si impegna a portare avanti i progetti legati alla tutela degli animali


Uno di questi si chiama SOS Elefanti Onlus, una fondazione senza fini di lucro istituita nel luglio 2011 con lo scopo di promuovere la conservazione degli elefanti del Borneo. La missione di SOS Elefanti Onlus è quella di fornire supporto tecnico e finanziario ai programmi di gestione e protezione degli elefanti presenti nelle loro rispettive aree. SOS Elefanti si occupa inoltre dell’assistenza nella gestione di zone protette per elefanti e del supporto alle iniziative di riproduzione in cattività e ai programmi di ricerca condotti nei Paesi di origine dell’elefante del Borneo. Una parte dell’incasso dell’ingresso al parco viene destinata proprio al finanziamento di SOS Elefanti per l’acquisto di equipaggiamento, nutrimento e tutto ciò che è necessario per la tutela e la conservazione degli elefanti. Grazie a SOS Elefanti Onlus, lo scorso giugno al Safari Park Lago Maggiore è arrivata Maya, un bell’elefante femmina di razza indiana, la più comune delle quattro sottospecie di elefante asiatico che arriva a misurare fino a 6,5 m di lunghezza per 3 metri di altezza e 5 tonnellate di peso.
Classe 1968, Maya sembra portare dentro lo spirito e il carattere forte di chi lotta per conquistare i propri diritti… e lei ci è riuscita! Liberata a Marsiglia, Maya è arrivata in Italia al Safari Park Lago Maggiore denutrita, con un’artrosi agli arti posteriori ed una brutta infezione all’arto posteriore destro. Da subito nutrita e curata, Maya ha ora una casa e tutto l’amore che fino a pochi mesi fa gli è stato negato. Grazie ad SOS Elefanti nuove stalle e alloggi sono stati costruiti per ospitare Maya, un luogo accogliente in cui si può muovere in tutta libertà senza essere disturbata dal pubblico. In futuro, solo
quando Maya sarà pronta, altri elefanti che come lei non sono stati fortunati nella vita, arriveranno a
farle compagnia. Lo staff esperto di Safari Park Lago Maggiore che già negli anni passati si è occupato delle cure e del reinserimento nel proprio habitat di alcune specie animali (ricordiamo il caso delle tigri siberiane Drako e Kuma), sta riservando a Maya una dieta a base di verdure ed integratori che in poco tempo la renderanno più forte. Safari Park Lago Maggiore non ha voluto comunicare immediatamente l’arrivo di Maya per tutelarne  la sua incolumità e per proteggerla dall’occhio curioso di un pubblico che, seppur affettuosamente, non vede l’ora di conoscerla e di fare il tifo per lei. Maya ha bisogno dell’appoggio e dell’incoraggiamento di ognuno di noi! Presto sarà attiva una pagina a lei dedicata sul sito www.safaripark.it. Seguitela anche sulla pagina Facebook del parco: @pombiasafaripark. E non dimenticate gli hashtag #sosteniamomaya #soselefanti.

Arriva Watch, la tv di Facebook

Sbarca in tutto il mondo, anche in Italia, Facebook Watch, la tv del social network già lanciata negli Usa da un anno. Si tratta di una sfida del più popolare social network  alla tv tradizionale e anche a YouTube, Amazon e Netflix. Da oggi Facebook Watch è disponibile ovunque, per dare agli utenti di tutto il mondo un nuovo modo di scoprire video e interagire con gli amici. “Watch – spiegano i responsabili di Facebook – significa nuove opportunità per i creatori e gli editori di tutto il mondo anche per fare in modo che più partner possano guadagnare dai loro video”. Per raggiungere il servizio su iOS e Android bisogna cercare l’icona Watch sulla piattaforma. E’ disponibile anche su Apple TV, Samsung Smart TV, Amazon Fire TV, Android TV, Xbox One e Oculus TV.

Istanbul, come cambia piazza Taksim

FOCUS INTERNAZIONALE  / di Filippo Re

Nella Turchia che cambia radicalmente mutano aspetto e scenografia anche i luoghi simboli della laicità storica del Paese della Mezzaluna. Come accade nella famosa piazza Taksim a Istanbul, la piazza delle proteste e delle manifestazioni antigovernative del Gezi Park, trasformata in un maxi cantiere. Tra qualche mese, o al più tardi nel prossimo anno, stambulioti e turisti entreranno in una piazza totalmente diversa. Il Centro culturale Ataturk è stato demolito e, pur continuando a essere la sede del Teatro d’Opera con sala da concerti per 2500 persone, ospiterà anche biblioteche, sale per conferenze e mostre, cinema e teatri, caffè e ristoranti sulla terrazza panoramica, librerie e negozi. Una specie di 8 Gallery stambuliota. La facciata del nuovo modernissimo palazzo servirà per proiettare sulla piazza gli spettacoli interni. Un progetto in stile erdoganiano, grandioso come al solito. E non è l’unica novità. Dall’altro lato di piazza Taksim sta sorgendo una nuova moschea dal profilo avveniristico come ben si nota nella fotografia del progetto. Alta 30 metri su una superficie di 1500 metri quadrati accoglierà anche una sala per incontri culturali e disporrà di un parcheggio sotterraneo. I lavori, iniziati lo scorso anno, dovrebbero concludersi nel 2019. Una moschea fortemente voluta dal ciclone Erdogan, padre-padrone di una Turchia che comincia già ora a prepararsi e ad abbellirsi per festeggiare il centenario della Repubblica ma che nel frattempo risveglia i timori di un’islamizzazione sempre più profonda della società turca guidata da un presidente, al comando della seconda

. (AP Photo/Thanassis Stavrakis)

potenza della Nato dal 2002, che dopo le elezioni del 24 giugno detiene poteri quasi assoluti e sta trasformando la Mezzaluna in un sultanato anatolico. In realtà l’idea di una moschea in piazza Taksim non è nuova. Ci aveva provato negli anni Novanta l’ex premier islamista Necmettin Erbakan ma fu bloccato dalla forte opposizione degli ambienti laici kemalisti che avevano bocciato il progetto. Erbakan non ebbe quella fortuna che oggi ha il “sultano” Erdogan in un contesto politico e religioso assai diverso da quello di alcuni decenni fa. Il nuovo tempio islamico nasce a pochi passi dalla chiesa greco-ortodossa della Santa Trinità, sulla Istiklal Caddesi, la celebre via del quartiere, e nelle intenzioni di Erogan, ex sindaco di Istanbul, vuole essere un simbolo del dialogo inter-religioso. Ma c’era davvero bisogno di una nuova faraonica moschea in una megalopoli stracolma di luoghi di culto musulmani, compresa l’area attorno a piazza Taksim? Erdogan non ha dubbi e l’edificazione di nuove moschee è necessaria per marcare in profondità il territorio e limitare gli spazi lasciati alla laicità. Il disegno erdoganiano di dare al Paese un’impronta più religiosa e conservatrice passa anche attraverso le trasformazioni architettoniche e urbanistiche.