Dall Italia e dal Mondo- Pagina 57

La tutela della privacy secondo Rocco Casalino

Un video diffuso dallo stesso Casalino gli ha provocato non pochi problemi. La sua difesa è stata tutta incentrata sul diritto alla privacy. Le sue furberie e il clamoroso autogol dovrebbero insegnare qualcosa

Veniamo ai fatti: il portavoce dei Cinque Stelle, diffonde di sua spontanea volontà, la notizia che: “all’interno del Movimento si pensa che alcuni alti funzionari dello Stato facciano ostruzionismo in merito alle proposte sul reddito di cittadinanza”, se dovessero persistere in caso contrario si attuerà, nel 2019, la “megavendetta”. Che ci sia qualcuno – anche a livello ministeriale – che non condivide l’idea del reddito di cittadinanza, la Flat tax e via di seguito, argomentandolo con l’aggravamento del deficit di Bilancio, è cosa nota. La furbizia di Casalino è stata quella di diffondere la notizia chiedendo ai due giornalisti di far circolare all’esterno la voce che la fonte era una parlamentare, ma in effetti era di lui stesso. Casalino si è lamentato perché la diffusione del video violerebbe i principi costituzionali alla riservatezza delle comunicazioni. Parimenti, della stessa opinione, è il premier Conti che seppur non è esperto di diritto della Privacy, è ordinario di diritto privato. Addirittura il presidente della Camera Roberto Fico paventerebbe anche la violazione delle norme deontologiche del Giornalismo. A nostro avviso tutti e tre sbagliano. Quando ci sono due norme da tutelare va stabilito quale è quella prevalente. Proferire la minaccia verranno “fatti fuori” è in netto contrasto con l’art 97 della Costituzione che stabilisce che la pubblica amministrazione deve uniformarsi a criteri di buon andamento e imparzialità. Trattandosi di una notizia di interesse pubblico non ci sono dubbi sul fatto che non ci sia bisogno del consenso per la pubblicazione. Del resto, va aggiunto che è lo stesso portavoce ad averla diffusa. Va da sé che una volta fornita la notizia non si può definirne i contorni e le modalità della sua circolazione.Vale a dire: pubblicate la notizia, ma non dite che ve l’ho data io. Se non è furbizia …! L’altra notizia, chissà se anche questa è violazione della privacy. Il Consiglio dell’Ordine dei

Giornalisti ha avviato Il procedimento disciplinare nei confronti di Rocco Casalino a cura
del Consiglio territoriale di disciplina.

Tommaso Lo Russo

 

Vita difficile per le minoranze religiose in Pakistan

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

Pare che Imran Khan non sia affatto interessato alle minoranze religiose del suo Paese. Ha promesso di difendere la legge sulla blasfemia che penalizza i cristiani e di cancellare tutto ciò che concerne la laicità dello Stato. Eppure Imran Khan, 65 anni, leader politico del Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti), partito vincitore delle elezioni del 25 luglio in Pakistan, ha annunciato pubblicamente di voler seguire l’eredità di Mohammad Ali Jinnah, il fondatore del Pakistan, il 14 agosto 1947, secondo il quale l’obiettivo prioritario è quello di creare uno stato sociale in cui il governo è responsabile per l’istruzione, la salute e l’occupazione dei suoi cittadini. Il “Movimento per la Giustizia” di Khan, partito vicino ai militari e ai gruppi radicali islamisti, ha ottenuto il maggior numero di seggi (151) ma non la maggioranza assoluta, scavalcando nettamente la “Lega musulmana” (64 seggi) dell’ex premier Nawaz Sharif finito in prigione per corruzione. Nonostante le accuse di brogli elettorali sollevate dalla Chiesa pakistana, gli osservatori dell’Unione Europea hanno riferito che le condizioni del voto sono state “soddisfacenti”. Il nuovo esecutivo, auspicano i vescovi pakistani, è chiamato a promuovere la libertà di pensiero, l’abolizione della corruzione, a contenere la discriminazione religiosa e a difendere le minoranze perseguitate dalla legge sulla blasfemia. Se Imran Khan sarà in grado di farlo vi sarà un grande cambiamento nella storia del Pakistan ma le perplessità sono molte. Ex campione di cricket, il nuovo premier, che ha studiato nelle università inglesi, è sempre stato ambiguo sui Talebani nei suoi discorsi e intollerante con le minoranze. Il suo partito ha già amministrato diverse città pakistane lasciando ai margini proprio i non musulmani. Dopo la sua vittoria che fine faranno i cristiani?

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Quale sarà la sorte di Asia Bibi, la donna cristiana in carcere da nove anni, condannata a morte per blasfemia perchè giudicata colpevole da un tribunale pakistano di aver offeso Maometto durante un banale litigio con la moglie dell’imam della sua città e tuttora in attesa di una sentenza di appello della Corte Suprema? Che ne sarà della famigerata e controversa legge anti-blasfemia? Finora chi ha tentato di riformarla è finito molto male come l’ex ministro cattolico delle Minoranze, Shahbaz Bhatti e l’ex governatore del Punjab, Salman Taseer, uccisi entrambi nel 2011. A partire dal 1990, settanta persone sono state linciate a morte in Pakistan per presunte accuse di blasfemia mentre altre quaranta sono morte o stanno scontando l’ergastolo. Ora vedremo come vorrà agire il nuovo governo e come Khan contrasterà gli estremisti religiosi che perseguitano le donne cristiane spesso costrette a matrimoni forzati. Il primo caso nella sua nuova era politica è già divampato e riguarda uno studente, Quatab Rind, falsamente accusato di blasfemia, e per questo ucciso ad agosto da altri studenti del college per risolvere una volta per tutte questioni personali. Imran Khan è talmente ben visto dai militari e dai servizi segreti, il potente Isi, che sarebbe stato aiutato a vincere le elezioni proprio dai gruppi estremisti e dalle fazioni radicali dell’esercito. Non solo, ma le accuse di corruzione all’ex primo ministro Sharif che lo hanno eliminato dalla scena politica e condotto in prigione sono molto deboli. Secondo i sostenitori di Sharif, dietro la sentenza che ha cacciato in carcere l’ex premier, ci sarebbero proprio i militari e lo stesso Khan. Molto ambigui sono sempre stati i suoi rapporti con i Talebani. Alcuni anni fa Imran Khan dichiarò che la guerra santa degli studenti coranici in Afghanistan era giustificata dalla legge islamica e quando Bin Laden fu ucciso dagli americani si scagliò aspramente contro il blitz segreto dei corpi speciali statunitensi avvenuto sulla sua terra. Washington accusa da sempre il Pakistan di sostenere i Talebani e ha cancellato i finanziamenti all’esercito mentre Khan ha chiesto il ritiro parziale delle truppe americane (circa 15.000 militari) dal Paese asiatico. Dopo decenni di estremismo religioso sono scarse le speranze di migliorare la situazione delle minoranze, cristiani, ahmadi, indù e sikh. Ne sono convinti i leader cristiani e gli attivisti dei movimenti per i diritti umani. I cristiani in Pakistan sono circa quattro milioni (due milioni i cattolici) su 200 milioni di abitanti e costituiscono il 2% della popolazione del Paese.

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La maggior parte dei cristiani pakistani vive nella provincia del Punjab, pochi hanno un lavoro, sono privi di coperture assicurative e sanitarie e sono discriminati dalle organizzazioni sindacali. Anche se siamo un piccolo gregge, osserva mons. Joseph Arshad, presidente della Conferenza episcopale pakistana, il servizio che offre la Chiesa è riconosciuto e apprezzato da tutta la popolazione e dal governo. “Il nostro contributo è benvoluto in particolare nel settore dell’educazione, delle cure sanitarie e dei servizi sociali. Le nostre istituzioni offrono un gran sostegno alla gente e alla nazione pakistana”. Le prospettive per la libertà religiosa rimangono però negative e sono strettamente legate alla situazione politica del Pakistan. Nel suo ultimo Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, l’Acs (l’Associazione Aiuto alla Chiesa che soffre) scrive: “negli ultimi anni il tentativo dei diversi governi che si sono succeduti ad Islamabad di combattere la violenza settaria e la discriminazione nei confronti delle minoranze ha riscosso modesti successi mentre la società pachistana ha subito una sempre maggiore islamizzazione. La Costituzione del 1993 afferma nel preambolo e agli articoli 20, 21 e 22 che tutti i cittadini godono della libertà di praticare e professare la propria fede. Tuttavia tale diritto è limitato in modo considerevole dalle strutture politiche, giuridiche e costituzionali del Pakistan che favoriscono un diverso trattamento dei musulmani rispetto alle minoranze”. I sacerdoti, aggiunge mons. Arshad, hanno la libertà di spostarsi per celebrare la messa nelle chiese nel Paese. “Tra i nostri fedeli possiamo professare liberamente gli insegnamenti di Cristo. Ma dappertutto esiste un problema di sicurezza. E tengo a sottolineare che il problema è per tutti, non solo per i cristiani. Anche le moschee e le scuole musulmane vengono attaccate dai fondamentalisti”. Nel suo comizio dopo la vittoria Imran Khan ha promesso che i principi fondamentali della Costituzione saranno rispettati ma è rimasto silenzioso quando i suoi più stretti consiglieri hanno definito i cristiani “kaafir” (infedeli) e di casta inferiore. Alcuni mesi fa è spuntato un nuovo problema poiché l’Alta Corte di Islamabad ha confermato l’obbligo per tutti i pakistani di denunciare la religione sulla carta d’identità. Per gli attivisti dei diritti umani si tratta di un duro colpo per le minoranze che rischiano di essere ulteriormente discriminate nel lavoro. La quota di posti di lavoro riservati per legge alle minoranze è pari al 5 % ma in diverse aree del Paese raggiunge solo il 2-3%.

(dal settimanale “La Voce e il Tempo”)

 

DOG LOVERS’ DAY, LA LE.I.D.A.A. DELL’ON. BRAMBILLA PREMIA I CANI EROI

Dai “cani eroi” di Genova e del soccorso alpino al “dog show” con i più simpatici amici di tutti i giorni. Anche quest’anno la Lega Italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente, fondata e presieduta dall’on. Michela Vittoria Brambilla, ha organizzato a Milano il “Dog Lovers’ day”, manifestazione nata per celebrare la plurimillenaria amicizia tra uomo e cane. Protagonisti, innanzitutto, i cani-eroi. A cominciare da quelli di Genova, che sono intervenuti tra le macerie del ponte Morandi come per tante altre emergenze del passato e che l’on. Brambilla ha voluto premiare. Tante le storie che i loro partner umani nelle operazioni di soccorso, i vigili del fuoco, hanno potuto raccontare. Come i loro colleghi del soccorso alpino, dove i cani sono da sempre protagonisti, i cani da salvataggio in ambiente acquatico, i cosiddetti cani “allerta diabete” capaci di segnalare iper- ed ipoglicemie. “Premiando questi magnifici animali e i loro conduttori – prosegue – abbiamo voluto ricordare a tutti che i cani non ci danno solo fedeltà ed affetto incondizionati, ma letteralmente salvano delle vite. Da tempo se n’è accorta anche la stampa, nazionale e internazionale, che giustamente esalta le loro eccezionali capacità. Dobbiamo ricordarcene anche noi. Alla generosità degli animali troppo spesso corrispondono indifferenza e spesso crudeltà da parte degli uomini”. Ospiti d’onore al “Dog Lovers’ day” di quest’anno i cuccioli di “Luce”, la cagnetta “incaprettata” in Calabria soccorsa dalla LE.I.D.A.A di Cosenza che, prima di morire, ha partorito 11 cuccioli. A circa tre mesi da quel drammatico avvio, gli otto piccoli sopravvissuti al primo impatto con la vita – Artù, Daisy, Fiocco, Birichino, Kira, Lara, Holly, Alissa – sono tutti in buone condizioni di salute, adottati in Lombardia da famiglie che li adorano, ed oggi acclamati come star dalla platea di appassionati nella sala dell’Istituto dei ciechi. La più piccola e gracile, Alissa, vive con la famiglia dell’on. Brambilla. Il video della loro storia è visionabile su YouTube all’indirizzohttps://www.youtube.com/watch?v=Ws3oKvLIah4&t o scaricabile all’indirizzohttps://drive.google.com/file/d/1TLXeaZosXxqJzOaGlb8frOf8usvS-72d/viewAlla sfilata conclusiva, invece, hanno partecipato gli animali che tutti i giorni allietano la vita dei loro amici umani. Premi per il più bello, il più cicciottello, quello che somiglia di più all’amico umano. Il Dog Lovers Day, promosso dalla World Dog Alliance, di cui la Lega Italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente è portavoce per l’Italia,
si tiene anche a Taiwan e a Shanghai, per rilanciare la richiesta di mettere al bando il consumo e il commercio della carne di cane nei Paesi, soprattutto dell’Estremo Oriente, dove sono, purtroppo, ancora diffusi.

Sono stati premiati nel Dog Lovers’ Day

Nella categoria GRANDI

1° classificato: Bernie, condotto da Chiara dell’associazione “Abbaio come Voglio”

2° classificato: Angelo, condotto da Donatella Tarsetti

3° classificato: Dagobert, condotto da Maria Rosa Paleni

Nella categoria MEDI

1° classificato: Balù, condotto da Gianpiera De Cecco

2° classificato: Gino, condotto da Maurizio Dragone

3° classificato: Charly, condotto da Teresa Cargiuli

Nella categoria PICCOLI:

1° classificato: Willy, condotto da Nicole Lumbruoso

2° classificato: Flap, condotto da Adriano Pezzano

3° classificato: Chuck, condotto da Sofia Merli

Nella categoria MINI: Tiganà, condotta da Antonella Garfagna

Nella categoria LA PUPA: Lindor, condotta da Carla Facchini

Nella categoria IL BULLO: Victor, condotto da Gianpiera De Cecco

Nella categoria NONNETTO: Cruciverba, condotto da Marina Monticelli

Nella categoria LO SMILZO: Dandelion, condotto da Maria Rosa Paleni

Una premio è andato anche a tutti i cuccioli di Luce, con i rispettivi proprietari:

Artù adottato da Lucia e Francesco, Milano. Adora molto le coccole e, tutte le volte che lo portano a passeggio, non vede l’ora di ricevere i complimenti e le carezze delle persone che incontra per strada. A settembre Artù accompagnerà qualche volta al lavoro Francesco che di professione fa l’architetto e ha la possibilità di tenerlo in studio.

Daisy, adottata da Andrea, Daniela e Leon, Rho. Con loro vive anche Doky, il Jack Russell adottato poco più di un anno fa, che è stato subito felice di avere una nuova sorellina con cui giocare e combinare marachelle. Adottata a Luglio, Daisy ad Agosto ha seguito la sua nuova famiglia in montagna; una volta finite le vacanze, insieme a Doky accompagnerà Daniela, libera professionista, a lavoro.

Fiocco e Birichino, adottati da Petra e Mario, Calolziocorte. Sono sempre stati i due fratelli più inseparabili del gruppo. Così, quando Petra e Mario, un coppia di Calolziocorte senza figli li hanno visti non se la sono sentita di separarli e li hanno adottati insieme. Di questa scelta coraggiosa non se ne sono mai pentiti: a distanza di due mesi li amano tantissimo e con loro giocano in giardino e fanno lunghe passeggiate nel parco. Fiocco e Beri vanno d’accordo con gli altri cani e con tutte le persone che, vedendoli così belli e dolci, li fermano per coprirli di carezze.

Kira, adottata da Debora, Pedro e i loro figli Manuel, Michele e Christian (Olgiate Molgora) che già la adorano. Amano giocare insieme, in casa o in cortile, oppure nel giardino dei nonni. Kira adora, inoltre, le passeggiate; sembra non stancarsi mai! Con loro resta anche un pesciolino rosso, Capitan Nemo, in onore del cartone della Pixar.

Lara, adottata da Margherita, Stefano e dal figlio Enrico. Oggi abita a Lecco e vive in simbiosi con la sua nuova mamma: le dorme in braccio ascoltando il battito del cuore, vanno insieme al lavoro e all’aperitivo con le amiche. Per lei la famiglia ha cambiato anche i piani delle vacanze, la Provenza anziché l’Albania, così i due cagnolini hanno potuto viaggiare con loro in auto e correre felici in campagna. Dopo un attimo di gelosia, ora le cose vanno meglio anche con Bau, felicissimo di avere una nuova amica di giochi.

Holly, adottata da Roberta e la sua famiglia: il figlio undicenne Filippo, la mamma Rita e Lia, una meticcia di cinque anni. Holly e Lia vanno al parco almeno tre volte al giorno, hanno già fatto amicizia fra di loro e giocano senza sosta. Anche se Roberta non può portare Holly con sé a lavoro, lei e la sua famiglia le dedicano tutte e attenzioni, non lasciandola quasi mai sola e suddividendosi i compiti per darle tutto ciò di cui ha bisogno.

Alissa adottata da Michela Vittoria Brambilla. Quando la figlia Stella l’ha vista è stato amore a prima vista: una tenera palla di pelo marroncino, tra tanti batuffoli bianchi. E’ una cucciola molto vivace, quasi iperattiva, che rosicchia e morde tutto quello che le capita a tiro. Il suo giocattolo preferito è una piccola paperella di gomma, appartenuta un tempo a Stella, e che lei stessa ha voluto regalarle. Arrivato il momento di partire per le vacanze, Alissa ha ovviamente seguito tutta la famiglia a Cesenatico.

All’ombra della Est del Rosa, Macugnaga e il “cimitero degli alpinisti”

Immane, alto fino a meta’ del cielo, ecco il massiccio del Rosa, con i suoi bianchissimi ghiacciai e le sue pareti di roccia nera. Non diverso e’ lo spettacolo dell’Himalaya. Lo guardiamo tra le lacrime. Che cosa c’e’ di piu’ bello su questa terra? Il monte Rosa visto da Macugnaga è eroico”.

MACUGNAGA4

Così scrisse Mario Soldati la prima volta che vide la parete Est, l’himalayana.  In cima  alla valle Anzasca, “terre alte” del Piemonte nord orientale, c’è Macugnaga. Oltre e più in su s’inerpica la montagna. Tra i prati e le case dall’inconfondibile architettura walser, all’ombra del monte Moro e di fronte alla più bella parete delle Alpi occidentali, c’è tutta la storia di questo borgo di montagna, iniziata nel XII secolo quando il “piccolo popolo” arrivò dal Vallese colonizzando questa conca ricca di alpeggi. Tutto, a Macugnaga, richiama la cultura del “Popolo delle Alpi”, composto da  pastori, alpigiani, boscaioli e contadini. I walser, dalla valle di Goms, appendice estrema del Vallese posta tra il passo del San Gottardo e l’Oberland bernese, raggiunsero l’alta valle Anzasca dal passo del monte MACUGNAGA2Moro e poi la Valsesia dal Colle del Turlo. Attorno al XIII secolo, interi nuclei familiari con i bambini più piccoli trasportati nelle gerle, si misero in cammino lungo le antiche mulattiere per risalire le valli, superare nei punti più convenienti le montagne e ridiscendere a sud delle Alpi in cerca di luoghi ove dar vita a nuovi villaggi. A fine Settecento, il ginevrino Horace Benedicte de Saussure, appassionato studioso,  nel corso del suo viaggio intorno al Monte Rosa, li definì nei suoi diari “sentinella tedesca” in territorio italiano. Macugnaga è composta dalla frazione più grande – Staffa – insieme a quelle di Pestarena e Borca, le più basse,  e Pecetto, la più alta. Macugnaga ospita alcuni interessanti e originali musei. A Borca, ad esempio,  c’è la Casa-museo Walser, abitazione d’epoca comprensiva di tutti gli arredi e gli oggetti di un tempo e anche il museo della miniera d’Oro della Guja, prima miniera-museo in Italia, percorribile per un chilometro e mezzo nel ventre roccioso della montagna, dove si è estratto il prezioso metallo dal 1710 fino al 1945. A Staffa, invece, si può trascorrere un po’ di tempo al museo della Montagna e in quello del contrabbando che racconta la secolare storia degli “spalloni” che valicavano con i loro carichi di merce il confine tra l’Italia e la Svizzera, sfidando i rischi naturali e i controlli della Finanza. A poca distanza dal centro del paese, nel Dorf – l’antico borgo fatto da abitazioni costruite con tronchi di larice incastrato –  davanti alla Chiesa Vecchia si trova il vecchio tiglio. Sotto all’imponente albero pluricenteneario, dalla circonferenza di oltre sette metri, un tempo si tenevano i mercati, s’incontravano le genti delle diverse valli del Rosa, si svolgevano, come in una sorta di tribunale all’aperto, riunioni giudiziarie e amministrative. A fianco della Chiesa Vecchia c’è il cimitero degli alpinisti. La storia ci dice che, il 22 luglio 1872,  Ferdinand Imseng di Saas, ma residente a Macugnaga, con una guida e un portatore condusse tre inglesi alla vetta della Dufour direttamente da Macugnaga. Da quel momento iniziò un’epoca di grandi ascensioni e, come capita sulle grandi montagne, anche di parecchie tragedie, la prima delle quali causò proprio la scomparsa di Imseng MACUGNAGAassieme a un suo cliente, Damiano Marinelli, e alla guida Battista Pedranzini. Un evento che provocò una sollevazione dell’opinione pubblica al punto che furono proibite le ascensioni sul Rosa, ma il provvedimento non venne preso in grande considerazione visto che, cinque anni dopo, venne inaugurata la capanna Marinelli, per aiutare gli scalatori che tentavano le ascensioni dirette da Macugnaga. Nel cimitero, tra le tombe che ospita, molte portano il nome dei “caduti del Rosa”, sfortunati alpinisti che trovarono la morte nel bianco perenne della grande montagna. Un luogo suggestivo, dove spesso sono state intonate struggenti invocazioni al “Signore delle Cime”. Tra lapidi e foto, immagini di corde, piccozze e ramponi  ci sono anche delle tombe vuote perché i corpi sono ancora sepolti nel ghiaccio della parete Est e chissà mai se verrà il giorno in cui la montagna consentirà di trovarne le povere spoglie. In qualche caso è passato anche più di mezzo secolo, come quando – nel 2007 –  vennero alla luce un femore, alcune costole, un dito e dei brandelli di abiti che, l’esame del Dna, attribuì ad Ettore Zapparoli, alpinista, scrittore e musicista, scomparso sul Rosa nell’agosto del 1951 durante un’ascensione solitaria e nonostante le ricerche, mai ritrovato. Ora anche lui, come tanti, riposa  nel vecchio cimitero, sotto il portichetto dove una lapide ricorda i soci defunti del Gruppo italiano scrittori di montagna, del quale Zapparoli era membro. Un sonno eterno, quello dell’ “unico vero alpinista solitario” – come lo definì il grande alpinista Emilio Comici, proprio davanti all’imponente incanto della Est, la parete più alta delle Alpi, con le sue insidiose rocce, i seracchi e i ripidi pendii di neve.

Marco Travaglini

LA STATUA DELLA LIBERTA’ E’ UN “PLAGIO” DI UN’OPERA FIORENTINA?

La Statua della Libertà è probabilmente uno dei monumenti più famosi al mondo ed è senza dubbio il simbolo più rappresentativo della città di New York e degli interi Stati Uniti d’America. Con i suoi 93 metri d’altezza, è visibile a 40 km di distanza e si erge come un imponente “biglietto da visita” per il visitatore che si appresti ad entrare nel Paese.L’opera, inaugurata nel 1886, fu donata dalla Francia agli Stati Uniti d’America, non solo in quanto le due nazioni erano storicamente alleate, ma anche perché, nell’imminenza del centenario delle rispettive rivoluzioni francese ed americana, si voleva ricordare l’impegno profuso da questi due popoli nella lotta per la conquista dei diritti fondamentali del cittadino.La Statua della Libertà fu realizzata dallo scultore francese Frédéric Auguste Bartholdi, con la collaborazione di Gustave Eiffel (noto anche per la torre parigina che porta il suo nome), che si occupò in particolare di progettare gli interni dell’immensa opera. Il genio creativo di Bartholdi è stato giustamente celebrato in tutto il mondo, ma sarà stata tutta farina del suo sacco? Nella bellissima basilica di Santa Croce a Firenze si trova una splendida scultura che ricorda moltissimo, soprattutto nella posa della figura femminile, il celebre monumento americano. L’opera si chiama “Libertà della Poesia” ed è stata realizzata tra il 1870 ed il 1883 e dunque solo qualche anno prima rispetto all’inaugurazione della Statua della Libertà. Il suo autore, lo scultore Pio Fedi, all’epoca in cui lavorava all’opera scultorea, era già all’apice della sua notorietà, avendo appena ultimato il suo ultimo capolavoro (il famoso “Ratto di Polissena”), che aveva avuto l’onore di essere collocato sotto la Loggia de’ Lanzi in Piazza della Signoria, in compagnia di altre stupende opere d’arte realizzate da artisti di tutte le epoche. Data la riconosciuta bravura dello scultore italiano, Pio Fedi ebbe anche l’onore di realizzare una scultura che rappresentasse un’allegoria della poesia e che sarebbe stata collocata, come in effetti è avvenuto, sopra la tomba del drammaturgo italiano Giovan Battista Niccolini, deceduto circa dieci anni prima e sepolto nella basilica di Santa Croce. Il destino ha voluto che, in quegli anni, si trovasse a Firenze lo scultore francese Bartholdi, il quale visitò l’Italia in più occasioni, soprattutto per combattere, a fianco di Garibaldi, nelle file dei franchi-tiratori durante la guerra franco-prussiana. Si sa per certo che Bartholdi si trovava a Firenze nel 1875, poiché è stata ritrovata una lettera che lo stesso scultore aveva scritto alla madre quell’anno. E’ altamente probabile che uno scultore straniero come Bartholdi, trovandosi a Firenze e visto il clamore suscitato dall’opera che il “collega” Pio Fedi stava realizzando, non abbia resistito alla tentazione di dare un’”occhiata” al lavoro dello scultore italiano e, con l’occasione, di studiarne i dettagli. Del resto, al di là delle differenze di dimensioni e di materiali utilizzati dai due artisti, la somiglianza tra le due statue è strabiliante ed induce a pensare che Bartholdi, quantomeno, abbia preso ispirazione dall’opera italiana. A ben vedere, infatti, entrambe le statue rappresentano una figura femminile con una corona in testa (quella di Pio Fedi è composta da otto raggi, mentre quella newyorkese ne ha solo sette), entrambe hanno il braccio destro sollevato, sebbene la statua italiana tiene nella mano una catena spezzata, mentre nella statua della libertà americana la figura femminile tiene in mano una fiaccola (le catene invece la statua americana le ha ai piedi); il braccio sinistro della statua italiana è abbassato e culmina con una ghirlanda d’alloro, simbolo della poesia, mentre la Statua della Libertà ha anch’essa il braccio sinistro abbassato ma tiene in mano il libro della dichiarazione di indipendenza americana. Entrambe le statue, infine, indossano una lunga toga e poggiano su un piedistallo. E’ plagio o semplice casualità?

Davide Longo 

 

IL RITORNO A TORINO DI AUGUSTO CESARE FERRARI

FOCUS INTERNAZIONALE / ARTE

Il 20 settembre si inaugurerà presso l’Accademia Albertina di Torino la mostra “Augusto C. Ferrari, pittore architetto da Torino all’Argentina. ¡Qué bello es vivir!“, che chiuderà il 18 novembre. 

Nato figlio di ignoti a San Possidonio (Mo) nel 1871, Augusto crebbe con la famiglia della balia fra Bassa Modenese, Oltrepò Mantovano  e Genova, dove nel 1892 fu riconosciuto dal padre Francesco Ferrari, negoziante di vini nato a Cavezzo ma residente a Roma. Finalmente col  cognome Ferrari,  corse a Torino per intraprendere la vita che sognava: studiare in Accademia e fare il pittore. Nel 1900 si diplomò docente di disegno d’ornato al Museo Industriale di Torino. Espose a Torino dal 1901 alla Promotrice ed al Circolo degli Artisti, di cui fu socio da quell’anno. Dipinse anche panorami, dapprima col suo maestro Giacomo Grosso, per le battaglie di Torino e di Maipù, poi da solo, quando  realizzò con aiuti il grande panorama di Messina distrutta (1950 mq di pittura, esposto a Torino negli anni 1910-11). Su indicazione di Giacomo Grosso, decorò nel 1911 la chiesa parrocchiale del suo paese natale, Cambiano (To). Approdato a Buenos Aires  nel 1914 per riallestire il suo panorama, non riuscendo nell’impresa, affrontò la sua vita di migrante dipingendo due chiese in cambio di ospitalità. Ma la vita riprese a girare per il verso giusto: conobbe Celia del Pardo che nel 1917 divenne sua moglie e presto si fece conoscere, ricevendo gli incarichi di altri due panorami e della decorazione della chiesa di San Miguel (suo capolavoro, ora monumento nazionale), nella quale lasciò prova della sua maestria nel governare grandi spazi con la pittura. Per questa impresa realizzò un’eccezionale documentazione fotografica preparatoria (di modelli e scene),  delineando il programma decorativo col parroco mons. Miguel De Andrea, importante  esponente della Chiesa argentina. Raggiunta una certa agiatezza, tornò a Torino nel 1922 con la moglie e tre bimbi per fare il pittore, iscriversi  nuovamente al Circolo degli Artisti, studiare, viaggiare…. Tornò in Argentina con la famiglia nella primavera del 1926, per non allontanarsene più.  Dopo lo scarso successo della grande mostra realizzata a Buenos Aires subito dopo il rientro, superò la nuova difficoltà  riproponendosi – a cinquantacinque anni – come architetto, soprattutto apprezzato dagli Ordini religiosi, che in lui, architetto ornatista eclettico con grande erudizione e un geniale talento nel combinare frammenti diversi, trovavano l’interprete perfetto per perpetuare programmi iconologici e simbologie, in riferimento alle loro radici europee. Realizzò dapprima il chiostro nel convento cappuccino che lo aveva accolto nel 1914 (Nueva Pompeya), poi la grande e splendida chiesa neogotica del Sagrado Corazón (“De los Padres Capucinos”) di Córdoba (1927-32), poi molte altre chiese e complessi ecclesiastici nella provincia di Córdoba e ville private nella vicina cittadina di villeggiatura di Villa Allende. Lavorò fino a tarda età, quando ancora fu impegnato nelle supervisione architettonica e direzione lavori dell’abbazia benedettina di Belgrano a Buenos Aires, ed in progetti di chiese che elaborava per proprio svago e dedicava ai nipoti.

Liliana Pittarello

Sangue sulle strade: due morti e due feriti

DALLA PUGLIA Nuove vittime della strada sulle autostrade italiane. Un grave incidente ha coinvolto una Fiat Doblò che, rientrando in Puglia,  si è schiantata contro il guard-rail dell’autostrada A/14, nei pressi di Termoli. E’ morta la moglie del conducente del veicolo, Anna Dell’Orco di 56 anni, di Bisceglie, e un uomo di 36 anni Leonardo Papagni, amico della figlia della coppia. In condizioni molto gravi il conducente del Doblò, di 59 anni, ed  è ferita, ma non è in pericolo di vita la figlia di 30 anni. Sono intervenuti  i Vigili del Fuoco e il 118.

Vernante, dove la storia di Pinocchio si legge sui muri delle case

vernante pinocchioE’ stato eretto anche un bel monumento al personaggio di legno, opera degli artigiani locali fratelli Bertaina. Nella pace del cimitero comunale, l’artistica tomba dello “zio di Pinocchio” è vegliata dal burattino che piange

Vernante , porta dell’alta Val Vermenagna e della Val Grande, deve il proprio toponimo al nome occitano dell’ontano, la Verna, pianta molto diffusa da quelle parti. A venti chilometri da Cuneo e a sei da Limone Piemonte, questo paese di poco più di mille abitanti, divisi tra il centro e  le frazioni di Palanfrè, Folchi, Renetta e Ciastellar, è famoso per le sue cipolle ripiene, per le raviole alla vernantina  e per i “Vernantin”, particolari coltelli a serramanico interamente lavorati a mano con impugnatura in corno. Ma la fama di Vernante non finisce qui:  in questa località delle Alpi Marittime, la favola di Pinocchio ha trovato casa e si raccontata sui muri delle abitazioni. L’idea, nata sul finire degli anni ’80  per opera di due pittori locali – Carletto Bruno e Meo Cavallera – , si è concretizzata negli oltre centocinquanta “murales” che raccontano le vicende del burattino più celebre del mondo. Così, passeggiando lungo le strade di Vernante, si possono ammirare le scene che ripercorrono, con i tratti caratteristici di Attilio Mussino, il più famoso illustratore del Pinocchio di Collodi,  le avventure dello straordinario burattino. A Mussino, la municipalità di Vernante ha dedicato un museo, ospitato nei locali della ex Confraternita.vernante pinocchio 2 Il grande disegnatore scelse a Vernante la seconda compagna della sua vita, la signora Martini Margherita, ed il luogo in cui  dedicarsi al lavoro artistico e  trascorrere gli ultimi anni della sua vita, dal 1944 al 1954. Formatosi all’Accademia Albertina di Torino, già da studente Mussino collaborò con alcuni giornali satirici come La Luna e Il Fischietto. Lungo quasi mezzo secolo fu il rapporto con il Corriere dei Piccoli : a partire dal primo numero, pubblicato nel dicembre del 1908, fino al 1954  (anno della sua morte). Il suo lavoro più celebre, tuttavia, è rappresentato dalle illustrazioni delle collodiane “Avventure di Pinocchio”nell’edizione del 1911 edita dalla fiorentina Bemporad . Con i disegni di Attilio, come usava firmarsi, Pinocchio affrontò per la prima volta il colore e andò ben oltre i limiti in cui l’avevano confinato i primi due illustratori, Enrico Mazzanti e Carlo Chiostri. Mussino portò il burattino di Carlo Collodi dentro la grande illustrazione europea del Novecento, al punto che la sua edizione sarà la più ristampata e venduta in assoluto e, per molti versi, resterà ineguagliata. Vernante, dove è stato eretto anche un bel monumento a Pinocchio, opera degli artigiani locali fratelli Bertaina,  gli ha intitolato – oltre al museo – anche  la Scuola Elementare e i giardinetti pubblici.  Non a caso, nella pace del cimitero comunale, l’artistica tomba dello “zio di Pinocchio” è vegliata dal burattino che piange.

 

Marco Travaglini

I tappeti della guerra russo-afghana

13-09-2018 Inaugurazione della mostra “Dall’Afghanistan all’Italia. I tappeti delle guerra russo-afghana 1979-1988”

Ci sono anche semplici stilizzazioni di aerei, carri armati, fucili bombe ed elicotteri nei trenta tappeti Baluci afghani esposti nella mostra “Dall’Afghanistan all’Italia. I tappeti della guerra russo-afghana. 1979-1988”, allestita nella galleria Carla Spagnuolo di Palazzo Lascaris dal 13 settembre al 6 ottobre 2018.”Dalle trame di questi tappeti – ha affermato il consigliere segretario Giorgio Bertola durante l’inaugurazione – emergono le trame delle storie personali di coloro che li hanno tessuti a mano nei cortili delle case afghane. Una produzione artistica che racconta le vite di una comunità e potenzia il messaggio rendendolo comprensibile a tutti attraverso le immagini semplici dettate dalle emozioni”.   La mostra verrà aperta in via straordinaria anche sabato 6 ottobre (dalle 15 alle 21) in occasione della manifestazione cittadina Portici di Carta. Quel giorno l’esposizione sarà accompagnata da un intervento con musiche tradizionali afghane e da una dimostrazione di tessitura su un telaio artigianale. 

Alessandro Volta e la “nativa aria infiammabile di palude”

VOLTA 3Alessandro Volta, tra i più famosi fisici della storia, studioso e inventore molto prolifico che si applicò soprattutto allo studio dei fenomeni elettrici. Infatti, quella che viene comunemente chiamata lapila di Volta”, il primo generatore statico di energia elettrica mai realizzato, tanto da costituire il prototipo della batteria elettrica moderna, fu un’invenzione davvero rivoluzionaria. Ma al geniale ingegnere comasco si deve anche la scoperta del metano, avvenuta nel 1776, tre anni prima della “pila”. Alessandro Volta nel corso dei suoi studi di fisico e filosofo viaggiò molto, spostandosi in diversi paesi d’ Europa,senza trascurare i territori più vicini. Tra questi anche la sponda lombarda del lago Maggiore, dove – ospite della famiglia Castiglioni – trascorse ad Angera alcune giornate nell’autunno dell’anno in cui, a Filadelfia, veniva scritta la dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America. Il soggiorno nel paese all’ombra della Rocca Borromea fu breve ma fruttuoso. Durante  una gita in barca attorno alle rive dell’IsolinoPartegora( quello che gli angersi chiamano “l’isulìn”), un piccolo scoglio circondato di canneti nelle acque del golfo di Angera,  praticamente l’unica delle undici isole del Lago Maggiore situata in territorio lombardo, Volta s’imbattè nell’aria infiammabile delle paludi. Costeggiando quei canneti, frugando con un bastone il fondoVOLTA melmoso dell’acqua, Volta vide salire a galla e poi svanire nell’aria bollicine gassose. Incuriosito, racchiuse il gas all’interno di provette di vetro e incominciò a studiarne le proprietà e scoprì che poteva essere incendiato, sia per mezzo di una candela accesa, sia mediante una scarica elettrica( Quest’aria arde assai lentamente con una bella vampa azzurrina”)ededusse che il gas si formava nella decomposizione di sostanze organiche, animali e vegetali, in assenza di ossigeno. Pensando immediatamente a un suo utilizzo pratico ( dalle sue ricerche risultava che quel gas fosse presente in grande quantità in  tutte le paludi) Alessandro Volta pensò subito a un utilizzo pratico della sua “aria infiammabile” e costruì una pistola elettroflogopneumatica in legno, metallo e vetro, il cui scopo sarebbe stato la trasmissione di un segnale a distanza, dimostrandosi – in pratica – un precursore dei sistemi di accensione dei moderni motori a benzina. Non pago realizzò una lucerna ad aria infiammabile e perfezionò l’eudiometro per la misura e l’analisi dei gas. Per una corretta determinazione della composizione del gas passò più di un quarto di secolo. La scoperta portò VOLTA 2grandi vantaggi e, già nella prima metà dell’Ottocento, l’illuminazione a gas divenne comune in molte città americane ed europee, a tal punto da modificare gli stili di vita dei cittadini: le strade, ben illuminate anche di sera, scoraggiarono i malintenzionati, la gente usciva anche di sera i luoghi d’incontro e cambiavano anche i costumi.  Nel febbraio del 1822 il gas fece la sua prima apparizione a Torino, in piazza San Carlo, nel caffè del sig. Gianotti ( quello che oggi è il Caffè San Carlo) ma solo vent’anni dopo venne impiegato nell’illuminazione delle strade cittadine. Nel 1837, Carlo Alberto, autorizzò François Reymondon, architetto di Grenoble, e Hippolyte Gautier, ingegnere di Lione a costruire il gasometro di Porta Nuova e due anni dopo un nuovo tipo di illuminazione a gas entrò in funzione con 100 fiamme che divennero 1600 nel 1840. Le cronache dell’epoca raccontano che, nell’ottobre del 1846, “fra l’entusiasmo della popolazione, furono illuminate le contrade Dora Grossa e Nuova”  e, poco dopo, anche le vie Po e Santa Teresa, piazza Castello, piazza San Carlo e piazza Vittorio. E tutto questo, in qualche misura, trovò origine anche da quella “nativa aria infiammabile di palude” che il Volta scoprì tra i canneti dell’isolotto sul lago Maggiore.

Marco Travaglini