Dall Italia e dal Mondo- Pagina 50

Il destino del Medio Oriente

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

Chi ricostruirà la Siria dopo quasi otto anni di conflitto? Chi pagherà la ricostruzione, stimata in 400 miliardi di dollari? Come sarà la Siria post bellica? Nella martoriata nazione levantina la guerra si sta spegnendo lentamente ma non è ancora finita. In alcune aree del Paese si continua a morire e centinaia di miliziani jihadisti si riorganizzano nelle zone dove il regime non ha ancora il totale controllo del territorio

Siria – Aleppo; 2012 (foto P. Siccardi)

La ricostruzione della Siria non passa solo attraverso il suo tessuto economico e sociale, afferma il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, ma tocca anche la sfera religiosa in una nazione in cui le minoranze, compresa quella cristiana, hanno beneficiato negli ultimi decenni di pari diritti e dignità”. Mentre nel vicino Iraq il nuovo corso politico, scaturito dalle ultime elezioni, avanza faticosamente tra povertà crescente e mire iraniane, nello Yemen infuria da tre anni una guerra combattuta per procura e quasi dimenticata dal mondo. La crescente ostilità tra le monarchie sunnite del Golfo e l’Iran sciita rischia di estendere l’incendio mediorientale. L’intera regione è in subbuglio e neppure la diplomazia dell’Onu riesce a placare gli animi e a ricomporre il mosaico di nazioni in disfacimento. Anche l’infaticabile mediatore italo-svedese Staffan de Mistura getta la spugna. L’annunciata uscita di scena dell’inviato speciale dell’Onu per la Siria dimostra la profonda delusione per l’impossibilità di trovare una via d’uscita al caos siriano la cui gestione è sempre più nelle mani di una diplomazia parallela ristretta e composta da Russia, Stati Uniti, Turchia e Iran, gli attori internazionali pronti a spartirsi la Siria. Anche Torino vuole riflettere sul nuovo Medio Oriente che un giorno nascerà sulle ceneri di quello attuale. Convegni e giornate di sensibilizzazione faranno il punto sugli eventi in corso con l’obiettivo di non spegnere mai i riflettori su quel che accade in una regione così strategica e vicina all’Europa. Il primo appuntamento sarà il convegno internazionale “La fine del Medio Oriente e il destino delle minoranze” organizzato dal Centro Federico Peirone di studi sull’Islam il 12 novembre presso la Facoltà Teologica di via XX settembre 83 alle ore 17,30 mentre il secondo incontro verterà su una giornata di mobilitazione promossa da Pax Chisti il 1 dicembre all’Istituto San Giuseppe per sostenere i diritti dei palestinesi a 70 anni dalla nascita di Israele e nel 70esimo anniversario della Nakba (catastrofe) quando 700.000 palestinesi furono cacciati dalle loro case e centinaia di villaggi distrutti. Il numero dei profughi siriani continua a crescere e ogni anno il rapporto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati registra un nuovo record. Gli sfollati sono ormai circa 40 milioni mentre i rifugiati, che per salvarsi da guerre e persecuzioni hanno varcato i confini nazionali e hanno chiesto asilo all’estero, sono quasi 20 milioni. “La vita di tutti è cambiata drammaticamente, spesso quasi da un giorno all’altro, ricorda Paolo Girola, organizzatore e moderatore del convegno del Centro Peirone. In una sola notte, ad esempio, quella dal 6 al 7 agosto 2014, 300.000 iracheni sono fuggiti dalla Piana di Ninive attaccata dall’Isis, lo Stato Islamico. Quel poco che erano riusciti a portarsi appresso, è stato loro sequestrato dai miliziani e sono arrivati a destinazione a mani vuote. Mentre i riflettori si sono un po’ spenti sulle guerre grandi e piccole “che non finiscono mai” in Medio Oriente, il convegno internazionale organizzato dal Centro Peirone il 12 novembre vuole fare il punto con grandi giornalisti e testimoni di quelle tragedie ancora in corso. Dalla Siria allo Yemen, dalla terra Santa all’Iraq, i conflitti hanno cambiato e ancora cambieranno il volto di questa regione, che ha visto e vede infinite sofferenze, grandi migrazioni, spietate guerre civili. Una terra senza pace in cui i conflitti fra sciiti e sunniti sono alimentati dalla lotta per l’egemonia di grandi e medie potenze: in prima fila Russia, Usa, Turchia, Iran, Arabia Saudita. E nel caos torbido emergono movimenti dell’islam radicale che sfruttano frustrazioni, risentimenti, ingiustizie palesi e corruzione di regimi autoritari o dispotici. I morti si contano a centinaia di migliaia, gli sfollati a milioni. Una tragedia alle porte dell’Europa che non è finita, anche se la pax di Putin sembra imporsi in Siria, con il consenso di una parte non piccola della popolazione, orientata a scegliere il male minore”. Meglio Assad al potere che un califfo ma la Siria marcia spedita verso la divisione del Paese in aree di influenza tra le potenze vincitrici. Così sembra anche nella provincia di Idlib, l’ultima roccaforte in mano ai ribelli, dove una parte di essa verrà controllata da Damasco e il resto si unirà al cantone curdo di Afrin e Al Bab sotto la custodia turca. Risolto il problema a Idlib, l’attenzione tornerà sul fronte nord orientale e lungo l’Eufrate. Resta infatti aperta la questione del Kurdistan siriano difeso da soldati americani invisi ai russi. Alla tavola rotonda del Peirone interverranno il Patriarca di Baghdad della chiesa caldea, cardinale Mar Louis Sako, Lucio Caracciolo, direttore di Limes, Samir Barhoum, direttore del Jordan Times di Amman, Michel Touma, direttore de L’Orient -Le jour di Beirut, Salvatore Pedulla, collaboratore dell’inviato Onu per la Siria e Alfredo Mantovano, presidente della Fondazione Pontificia Acs (Aiuto alla chiesa che soffre). L’altro

fronte caldo del Vicino Oriente, quello israelo-palestinese, conferma che i conflitti mediorientali hanno il loro fulcro a Gerusalemme e la complessa e irrisolta crisi palestinese resta saldamente al centro dei dibattiti internazionali. Da mesi migliaia di persone infiammano con manifestazioni, violenze e lancio di razzi il confine tra Israele e la Striscia di Gaza. Nessuno vuole una nuova guerra nella Striscia ma nessuno degli attori coinvolti vuole bloccare gli scontri e riportare la calma. Nonostante tutto i canali diplomatici restano aperti e, con la mediazione egiziana, Israele e Hamas trattano per la riapertura dei valichi, lo scambio dei prigionieri e il varo di una tregua di cinque anni. Per tenere alta l’attenzione su questo tema Pax Christi promuove una giornata Onu per i diritti dei palestinesi che si svolgerà il 1 dicembre al San Giuseppe. “Pax Christi si batte da sempre per il riconoscimento di uno Stato palestinese che però Israele non vuole, osserva don Nandino Capovilla, consigliere nazionale di Pax Christi e coordinatore della campagna “Ponti e non Muri”. Israele si oppone alla volontà della comunità internazionale di riconoscere, come hanno già fatto molti Stati, il diritto all’autodeterminazione e la possibilità che nasca uno Stato palestinese”.

 

(dal settimanale LA VOCE E IL TEMPO)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bloccati dal maltempo marito e moglie muoiono avvelenati

DAL VENETO Marito e moglie ottantenni sono stati trovati morti nella loro casa a Rivamonte Agordino, uno dei centri  bellunesi flagellati dal maltempo dei giorni scorsi. Si ipotizza che la coppia sia rimasta vittima di avvelenamento da monossido di carbonio per una stufetta difettosa.L’allarme è stato dato dai vicini di casa, che non riuscivano a contattare i due anziani. I vigili del fuoco sono entrati nell’appartamento e hanno trovato i coniugi privi di vita.

 

(foto archivio)

Un pranzo a Sarajevo  

A Sarajevo le zie di Goran, Samira e Zeina, vivono in una casa a pochi passi dalla Moschea Gazi Husrev-beg, in una viuzza parallela alla via Sarači che collega la bella strada di Ferhaddija con il cuore della Baščaršija, la città vecchia. Dappertutto, intorno,  s’innalzano i minareti mentre a oriente,  a poche centinaia di metri,  s’intravvede l’alto e austero profilo della biblioteca nazionale. Sulla sinistra, tenendosi alle spalle le acque della Miljacka, gli alteri palazzi asburgici sovrastano le case di legno dell’epoca ottomana. Poco distante c’è l’antica scuola coranica, la madrasa, centro del sapere musulmano sin dal 1537 e segno più che evidente di una storia d’istruzione, scienza e tolleranza  davanti alla quale vin quasi voglia di fare un inchino, togliendosi il cappello in segno di rispetto. Dall’uscio della loro casa bastano due passi e, svoltato l’angolo, si rimane incantati davanti alla bellezza della cupola centrale della Moschea, affiancata dai suoi tetims, le cupole laterali, più piccole. Il minareto, un dito puntato verso il cielo, teso a solleticare le nuvole con i suoi quarantacinque metri d’altezza, domina la piazza del mercato. Passare di qua e non far visita alle zie, mi dice Goran “equivale ad un’offesa molto seria al senso dell’ospitalità che qui è sacro“. Avvertite da lui, hanno preparato il pranzo. Ci accolgono con grande gentilezza. Entrambe con i capelli candidi, appena visibili sotto il velo, mostrano in volto i lineamenti delicati delle donne slave, con gli  zigomi alti, occhi grandi e chiari, sguardo orgoglioso e fiero. Non più giovani, entrambe sono state “partizanke” con Tito, combattendo nelle divisioni dell’esercito popolare di liberazione tra la Drina e la Neretva, scacciando i nazisti e riconquistandosi, coi denti e le unghie, il diritto di vivere libere. Mi stupisce la loro vitalità e si comprende quanto bene vogliano al loro adorato Goran che, per parte sua, ricambia l’affetto unendolo a una grande, e da noi rarissima,  reverenza. Ci fanno accomodare e, vistici visibilmente accaldati, ci offrono una birra fredda ( hladno pivo), ovviamente SarajevskoL’appartamento – tre stanze e i servizi – è piccolo ma ben curato e dalla cucina provengono profumi deliziosi. Goran dice che le zie hanno preparato dei piatti tradizionali, la Begova čorba – zuppa di pollo con verdure, riso, tuorli d’uovo e panna – e il bosanski ćimbur, un piatto a base di manzo e agnello immersi nel brodo e ricoperti da spinaci e uova. Nonostante la curiosità che mi porta ad assaggiare tutto ciò che trovo nel piatto, sul mio volto si deve notare una certa preoccupazione sulla digeribilità della cucina bosniaca. Goran, al quale non sfugge nulla, mi rassicura. “Tranquillo.La cucina bosniaca è leggera e non particolarmente speziata; i piatti si basano essenzialmente su legumi, frutta e vegetali come pomodori, zucchine, spinaci e fagiolini. E sul latte, utilizzato in una crema che noi chiamiamo pavlaka”. Mi fido. Si pranza. Si beve voda (acqua) e un vino bianco, fruttato che emana una luce verde-oro: lo Zilavka, prodotto in Erzegovina, nella valle della Neretva. Samira e Zeina portando in tavola anche la pita, un involucro di pasta fine ripieno di vegetali, carni, formaggi e erbe. La propongono nei tre diversi tipi: il burek, con la carne di vitello; la sirnica , con il Trávnićki Sir,formaggio di pecora originario di Travnik, dal gusto deciso e piuttosto salato che richiama un po’ la Feta greca, e la zeljanica , con gli spinaci. Hanno anche preparato i ražnjići , deliziosi spiedini di carne d’agnello, e i  classici čevapčići, le  polpettine di carne bovina e di montone tritata, passati alla griglia e serviti con cipolla cruda. Sono le specialità della cucina sarajevese. Ma le zie, che stravedono per il nipote e lo vorrebbero rimpinzare fino al collo, questa volta non esagerano e hanno preparato delle confezioni da asporto, così potremo gustarle per cena o in occasione del pranzo di domani. Per buon peso hanno aggiunto anche delle robuste porzioni di musaka alla turca, il timballo di carne tritata con melanzane (o patate, o zucchine) e cotto al forno. Ai dolci, invece, non si può dir di no. E’ proibito il rifiuto e nessuno di noi si sogna di trasgredire la regola. Alla faccia di carie e diabete, compaiono sul desco razioni impegnative di baklava , pita od jabuka ( praticamente uno strudel di mele), savijača od oraha ( altra strudel ma di noci),le palačinke , piccole e gustose frittelle e pasticcini di pasta lievitata aromatizzati al limone o alla vaniglia. Stop. Ci arrendiamo. Prima io e poi Goran. Alziamo bandiera bianca. C’è posto solo  per  il caffè , la bosanska kafa servita alla turca e una lašljivovica di prugne. Siamo stati in loro compagnia per quasi quattro ore. Ci congediamo tra tanti saluti, un passar di mano di pacchetti ( i nostri pasti futuri…) e la promessa che se tornerò da queste parti, sarò ancora loro ospite. La luce del pomeriggio si è fatta più scura quando varchiamo l’uscio e nubi cariche di pioggia s’apprestano a scendere  dai fianchi del Trebevic, stendendo un grigio e lattiginoso mantello su Sarajevo. E’ davvero l’ora del commiato. Un abbraccio, una stretta di mano. E, mentre ci stiamo allontanando sull’acciottolato, due mani s’alzano in un saluto. Un gesto semplice che ci accompagna, come i loro sguardi,  fino alla svolta dell’isolato. Non ci sono parole adatte per descrivere il senso dell’ospitalità. Penso solo che da noi, a malapena,  ci si guarda in faccia anche tra persone che si conoscono da una vita.

Marco Travaglini

Amministratore sottrae 140 mila euro destinati al condominio

DALLA LIGURIA Un amministratore di condomini che lavorava tra Albenga e Ceriale è stato denunciato per appropriazione indebita dalla Guardia di finanza, che  ha trovato sul suo conto personale  mezzo milione di euro  ingiustificato. Negli ultimi 12 mesi il professionista aveva sottratto 140 mila euro, riservati a interventi per la  manutenzione di vari immobili, da lui invece trasferiti alla gestione dell’ufficio, al pagamento dell’affitto e a spese voluttuarie. Circa 40 i condomini che ora hanno i bilanci in rosso. Più di  200 famiglie dovranno ripagare le quote per interventi già approvati.

E’ ITALIANA LA STRISCIA A FUMETTI PIÚ LUNGA DEL MONDO

DISNEY ITALIA CELEBRA IL 90° ANNIVERSARIO DI TOPOLINO E CONQUISTA IL GUINNESS WORLD RECORD

 

 

Il 3 novembre a Lucca Comics & Games, l’artista  Disney Claudio Sciarrone ha conquistato il Guinness World Record disegnando la striscia a fumetti più lunga del mondo realizzata da un singolo disegnatore. 

 

A Lucca Comics & Games The Walt Disney Company Italia in collaborazione con i forni Kinder ha celebrato il 90° anniversario di Topolino conquistando il Guinness World Recordper la striscia a fumetti più lunga del mondo ad opera di un singolo artista. Una straordinaria impresa realizzata da Claudio Sciarrone, uno dei più rilevanti disegnatori Disney.

 

La striscia, lunga ben 297,50 metri, vede Topolino protagonista di una storia inedita ideata per l’occasione e che ha visto lo stesso Sciarrone nella duplice veste di disegnatore e sceneggiatore.

 

Partner unico di questa straordinaria iniziativa è Ferrero con i Forni Kinder che ha accompagnato l’artista con la bontà dei suoi prodotti.

 

 

Treno regionale investe e uccide un uomo

DALLE MARCHE La vittima è un 71enne di Macerata, che è stato investito e ucciso sui binari nei pressi della stazione di Macerata da un  treno regionale con 100 passeggeri a bordo sulla Fabriano-Civitanova Marche. L’incidente mortale è avvenuto stamane e il traffico ferroviario sulla linea è stato sospeso e poi riattivato solo alle 10. Da una prima ricostruzione, l’anziano avrebbe attraversato i binari nell’imminenza dell’arrivo del convoglio e il macchinista non avrebbe così  avuto il tempo di fare nulla per evitarlo. Si ipotizza  un probabile suicidio.

(foto archivio)

Senza patente sullo scooter investe carabiniere e lo manda in ospedale

DALL’ABRUZZO È  finito in ospedale in osservazione intensiva breve, con un trauma cranico ed escoriazioni a un ginocchio, il carabiniere che è rimasto ferito dopo essere stato investito e trascinato per diversi  metri da un ragazzo di 22 anni, di Vasto,  che su uno scooter 500, non si è fermato all’alt. Il giovane era privo di patente di guida ed è stato rintracciato dopo alcune ore e arrestato per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale.

L’ultimo rigore di Faruk, storia di calcio e di guerra

faruk2Era la sera del 30 giugno 1990. Venotto anni fa, a Firenze. L’orologio indicava che di lì a poco sarebbero scoccate le 19,30 della sera e allo stadio Comunale ( quello che oggi porta il nome di Artemio Franchi) faceva un gran caldo. Nell’aria ferma e umida non c’era verso di trovare un briciolo di refrigerio. Ai calci di rigore si stavano decidendo i quarti di finale dei mondiali di calcio tra l’Argentina di Maradona e la Jugoslavia dei tanti talenti balcanici. Dopo 120 minuti di calcio a decidere fu un rigore di Faruk Hadžibegić, un difensore, maglia blu numero cinque  della nazionale della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Quello che, due anni dopo, fu l’ultimo ad indossare la fascia di capitano dell’ultima nazionale del paese prima che “la terra degli slavi del sud” si dissolvesse nella tempesta della guerra.Faruk tirò all’angolo ma  si fece parare il tiro da Sergio Goycochea, il portiere della “selecciòn” di Buenos Aires. La Jugoslavia era eliminata. L’illusione era finita .Quel rigore fallito, in un certo senso, divenne il simbolo del destino di una nazione condannata a sgretolarsi in una guerra feroce come solo le guerre tra fratelli sanno essere. Quasi che un “penalty” potesse diventare il detonatore dell’implosione di un intero paese, pronto ad imboccare il tragico destino che sarebbe seguito di lì a poco. Raccontando questa storia nel suo “L’ultimo rigore di Faruk” (Sellerio), il giornalista Luigi (“Gigi”) Riva coglie la complessità di un evento che sembrava soltanto sportivo e con un’attenzione da storico e una spiccata sensibilità da narratore porta il lettore “dentro” la storia di questo tiro fatale. La leggenda popolare vuole che una eventuale vittoria nella competizione avrebbe contribuito al “ritorno di fiamma” di un forte sentimento nazionale per gli jugoslavi, scongiurando il crollo che si sarebbe prodotto con la dissoluzione del paese orfano di Tito. Una sorta di “Bratstvo i jedinstvo”, “Fratellanza e Unità” in chiave calcistica. Quella parola faruk3d’ordine indicava meglio di altre il sentimento che univa i popoli della Jugoslavia, sottolineandone lo spirito laico, interetnico e tollerante sulla base del quale era stato rifondato il paese dopo il 1945. Una vicenda emblematica del rapporto perverso tra sport e politica. Proprio per la sua popolarità il calcio è sempre servito al potere come strumento di propaganda, dal fascismo che “usò” i trionfi del 1934 e 1938 ai generali argentini che sfruttarono il Mondiale in casa del 1978, per far dimenticare orrori e violenze della dittatura di Videla. Stessa cosa per l’Isis che decide di colpire lo Stade de France a Saint-Denis, nella banlieue parigina, durante una partita amichevole di calcio fra Francia e Germania, allo scopo di amplificare il suo messaggio di terrore. Ma, come si legge nel libro del caporedattore del settimanale “L’Espresso”, in nessun luogo come nella ex Jugoslavia il legame tra politica e sport è stato così violento e “malato”. Attraverso la vita del protagonista e dei suoi compagni (molti dei quali diventati poi famosi in Italia, da Boban a Mihajlović, da Savićević a Bokšić, da Jozić a Katanec),si scopre il travaglio di quella rappresentativa nazionale e del suo allenatore Ivica Osim, detto “il Professore”, o “l’Orso”. Nelle loro gesta s’intravede, come un immagine riflessa da uno specchio,  la disgregazione della Jugoslavia e la volgare spregiudicatezza dei suoi leader politici, che vollero utilizzare lo sport e i suoi protagonisti per costruire il consenso attorno alle idee separatiste. E’ in questa chiave di lettura che il calcio può essere definito come il prologo del conflitto che insanguinò i Balcani occidentali nella prima metà degli anni ’90 del “secolo breve”. Come se su quei rettangoli d’erba verde ci si predisponesse alla prova generale delle future battaglie. Non a caso si attribuisce agli scontri tra i tifosi della Dinamo Zagabria e della Stella Rossa di Belgrado il primato di aver messo in scena, in uno stadio il primo vero episodio del conflitto. Era il 13 maggio del 1990 e, paradossalmente, il nome dello stadio della capitale croata era ( ed è tutt’ora)  “Maksimir”, con un evidente sottolineatura della parola “mir”, cioè “pace”. E’ ormai noto come proprio nelle curve degli ultrà siano stati reclutati i faruk1miliziani poi diventati tristemente famosi per la ferocia della pulizia etnica a Vukovar come a Sarajevo, a partire da quel Željko Ražnatović, meglio conosciuto come “Arkan”,leader degli ultrà della Stella Rossa e poi capo sanguinario delle milizie paramilitari serbe delle “Tigri”. Per il loro valore emblematico le vicende narrate ne “L’ultimo rigore di Faruk”, pur risalendo a un quarto di secolo fa, sono ancora terribilmente attuali e il libro le propone con grande intensità e passione. Faruk Hadžibegić oggi ha cinquantanove anni e vive in Francia. Ha conservato il fisico asciutto dell’atleta e fa l’allenatore di calcio (attualmente del Valenciennes, seconda divisione del campionato d’Oltralpe). Quella parata nell’angolino da parte di Goycochea l’ha rivista e pensata mille e mille volte in questi 26 anni. Quando la rimuove, ci sono gli altri a ricordargliela. Come quando torna nei paesi che un tempo formavano la Jugoslavia e al controllo passaporti, porgendo il documento alle guardie di frontiera di cui ben conosce l’idioma ( si possono cambiare i confini, non la lingua) si sente dire “Faruk Hadžibegić..Ah, se lei avesse segnato quel rigore! Forse cambiavano i destini del Paese”. Alle frontiere ci sono i dazi e questo è il suo dazio. Ci è abituato ormai,l’ex capitano dei “Plavi”: “otto volte su dieci, quando incontro ex jugoslavi è così”. La memoria di quel rigore è andata oltre, si è fatta leggenda. Faruk a volte s’interroga su cosa sarebbe successo se avessero sconfitto l’Argentina e poi, magari, giocato la semifinale e la finale. Forse non ci sarebbe stata la guerra, se avessero vinto la coppa del Mondo? Non c’è risposta, ovviamente. Resta solo il rimpianto dell’errore. E Gigi Riva, in chiusura, commenta: “Più passa il tempo più la benevolenza prevale sul rimprovero. L’eroe soccombente è comunque eroe. Ettore non è meno valoroso di Achille, nel suo lato fragile anche più simpatico. Non poteva essere diversamente nella terra dove si celebrano le gloriose sconfitte: la consolazione dei perdenti”.

Marco Travaglini

Abbaiava troppo, cane legato e dato alle fiamme

DALLA PUGLIA Abbaiava tropo e così il povero  cane è stato dato alle fiamme sul balcone di un appartamento a San Pietro Vernotico, nei pressi di Brindisi. Ma Giako è salvo, anche se per miracolo. Infatti un passante se n’è accorto   e ha chiamato soccorsi. Il veterinario giunto sul posto ha pubblicato un post su Facebook: “Scena da brivido: carabinieri, vigili del fuoco e il povero cane, fortunatamente vivo e in questo stato”. L’ animale è stato prima legato, poi cosparso di liquido infiammabile e gli è stata resa impossibile  la fuga, chiudendo con un mobile la strada che gli avrebbe permesso di entrare in casa. L’appartamento è di una vecchietta che stava dormendo, sconosciuti sono arrivati al balcone e hanno commesso il vergognoso gesto.

(foto archivio)

Il grande silenzio di San Michele in isola

Una fitta nebbia lattiginosa avvolge Venezia nascondendo calli e canali. Anche la laguna è nascosta sotto quell’umido mantello. La luce dei lampioni si riverbera sui  lastroni  di pietra dei colli Euganei che formano il selciato della Serenissima. Il vaporetto si stacca dal molo delle Fondamenta Nuove e punta verso la prima isola che si affaccia a nord di Venezia. A mano a mano che ci si allontana dalla riva la bruma si dirada un poco e si intravede il rosso dei mattoni dei muri di cinta e il profilo scuro e cupo dei cipressi dell’isola di  San Michele, il cimitero monumentale di Venezia. Un tempo questo lembo di te terra veniva chiamato “cavana de Muran” perché offriva rifugio ai barcaioli diretti a Murano. Oggi è un luogo di pace, serenità e grandi silenzi. San Michele non fu sempre il cimitero della Serenissima. Prima dell’arrivo di Napoleone Bonaparte le salme dei veneziani venivano sotterrate negli spazi adiacenti alla chiesa parrocchiale di appartenenza — come ricordano inizioleti di campi e calli, i lenzuolini sui muri con dipinte le indicazioni stradali — e solamente i benefattori e i nobili potevano avere il privilegio di essere tumulati in chiese o chiostri.E quando non c’era più posto, i poveri resti venivano trasferiti nelle isole della laguna. Con l’editto di Saint Cloud del 12 giugno 1804 (il famoso “Décret Impérial sur les Sépultures”) venne scelta l’Isola di San Cristoforo della Pace, posizionata di fronte alle Fondamenta Nuove, per accogliere la necropoli cittadina. Nel 1837, con un lungo lavoro che si protrasse per molti anni, venne interrato il piccolo canale che divideva San Michele e San Cristoforo della Pace, formando un’unica isola, destinata interamente a cimitero cittadino. Sono molti i personaggi illustri inumati a San Michele. In due recinti sono ospitate le sepolture protestanti e quelle ortodosse, segno della millenaria accoglienza di Venezia verso le altre religioni. Il poeta e saggista americano Ezra Pound è tumulato nel settore evangelico, entrando a sinistra, tra il viale centrale e il muro di cinta. Lì riposa anche il poeta russo Josif Brodskij, Premio Nobel 1987, che a Venezia dedicò le sue Fondamenta degli Incurabili.Nella parte ortodossa s’incontra la tomba di Igor Stravinskij, grande compositore e innovatore della musica di cui si ricordano l’ Uccello di fuoco, Petruska e la Sagra della primavera. Non distante c’è quella del grande impresario teatrale russo Sergei Diaghilev, passato alla storia per aver creato i Balletti Russi, la più rivoluzionaria compagnia di danza del XX secolo, che realizzò una fusione tra danza, musica, arte e moda. Sempre nella parte ortodossa vi è anche un monumento di grande bellezza, collegato a una triste storia d’amore. E’ la tomba di Sonia Kaliensky, giovanissima nobile russa che giunse a Venezia per i festeggiamenti del Carnevale del 1907, dimorando all’Hotel Danieli sulla riva degli Schiavoni. Tra l’allegria generale di una notte di Carnevale, la ventiduenne Sonia si tolse la vita con una dose letale di laudano a causa di una cocente delusione d’amore. Sono davvero tanti gli ospiti illustri dell’isola di San Michele che vanno richiamati alla memoria. Tra questi il musicista e compositore Luigi Nono, gli storici Giulio Lorenzetti e Pompeo Molmenti, l’attore e grande interprete goldoniano Cesco Baseggio, i commediografi Riccardo Selvatico e Giacinto Gallina, i pittori e incisori Virgilio Guidi, Emilio Vedova e Mario De Luigi, lo psichiatra Franco Basaglia, straordinario medico e riformatore al quale venne intitolata la rivoluzionaria legge sulla salute mentale, lo scienziato Christian Doppler, il calciatore e allenatore Helenio Herrera, il “mago” che fece grande l’Inter di Angelo Moratti. Due note curiose meritano un accenno. I veneziani meno giovani ricordano che ancora negli anni ’50 si accedeva al cimitero dall’entrata storica a fronte delle Fondamenta Nuove e il primo novembre di ogni anno, giorno della commemorazione dei morti, veniva costruito un ponte di barche, come quello che viene posizionato per la festa del Redentore, che consentiva di attraversare la laguna e collegava Venezia all’isola. L’altra vicenda riguarda la cartolina con una veduta dell’isola dopo il tramonto che si trovava accanto alle altre immagini illustrate nei chioschi veneziani. La promessa di un appuntamento romantico s’intuiva dalla scritta invitante:”Manchi solo tu!”. Peccato che il luogo non fosse esattamente la “location” più indicata per un rendez-vous sentimentale. Evidentemente chi che le aveva fatte stampare era dotato di uno spirito decisamente burlone. Ma quello scherzo innocente non intendeva certamente mancare di rispetto a chi, veneziano o no, ha fatto dell’isola l’ultima sua dimora.

 

Marco Travaglini