DALLA LIGURIA Incidente in una scuola materna della Spezia, dove una bambina di tre anni è stata sfregiata al volto da un pezzo di persiana che è caduto durante la riparazione di una finestra. La piccola stava guardando con i compagni l’operaio mentre sistemava la finestra, quando un pezzo della persiana avvolgibile si è staccato. All’ospedale la bimba ha subito un intervento di chirurgia plastica in anestesia totale. Per suturare la ferita vicino all’occhio i chirurghi hanno utilizzato solo cinque punti per non renderla troppo visibile.
C’è chi non teme (quasi) nessun infestante e chi ha una vera e propria fobia, tanto da diventare maniacale in fatto di igiene e pulizia: un’indagine Doxa per Rentokil Initial svela i profili degli italiani nel loro rapporto tra infestanti e igiene
Oltre 16 milioni di italiani – in maggioranza donne – sono fanatici dell’igiene e terrorizzati all’idea di contrarre malattie anche a causa del contatto con infestanti di varia natura
L’unica certezza presente in tutte le case degli italiani è che prima o poi arriveranno a far visita insetti volanti o striscianti, cimici e purtroppo anche scarafaggi o piccoli roditori. Una convivenza forzata che si protrae nel tempo da sempre, ma diverso è il modo in cui ciascuno affronta il fatto che zanzare, vespe, calabroni, blatte, topi e infestanti di ogni tipo possano essere in agguato in ogni momento.Secondo un’indagine condotta da Doxa per conto di Rentokil Initial, leader mondiale in servizi di disinfestazione e derattizzazione e in servizi per l’igiene, sono 4 i profili emergenti quando si parla degli italiani e del loro rapporto con gli infestanti e l’igiene. Indifferenti, Consapevoli, Equilibrati e Fanatici: il quadro delineato dalla ricerca mette in mostra un universo variegato di comportamenti e un crescendo di ansie e preoccupazioni per la presenza di infestanti e la paura di contrarre infezioni a causa della scarsa igiene di cui sono sinonimo. Si va quindi da chi non ha paura quasi di nulla a chi sviluppa vere e proprie fobie che generano atteggiamenti maniacali in fatto di igiene personale e pulizia degli ambienti.
Ecco i 4 identikit degli italiani alle prese con infestanti e igiene:
- GLI INDIFFERENTI – Sono circa il 14% degli italiani intervistati, pari a circa 6,2 milioni di persone, prevalentemente uomini che vivono nelle regioni del Nord Ovest, tra i 35 e i 44 anni, senza figli.
Non temono insetti volanti o striscianti, ma si dimostrano più ‘sensibili’ alla vista di ratti e topi. Si dichiarano più tolleranti della media in caso di incontri ravvicinati con insetti al ristorante o in palestra e non usano accorgimenti per prevenire l’arrivo di infestanti in casa.
Non sono particolarmente attenti all’igiene – sia in casa che fuori casa – e, in generale, non temono il rischio di malattie causato da scarsa igiene o da presenza di infestanti: al contrario, una parte di loro (21%) ritiene che una situazione di scarsa igiene possa addirittura rafforzare le difese immunitarie.
- I CONSAPEVOLI – è il gruppo a cui appartengono circa 9 milioni di italiani, il 22% della popolazione intervistata. Anche in questo caso si tratta in maggioranza di uomini nella fascia d’età 25-34 anni, con bambini sotto i 10 anni, residenti al Sud e nelle Isole.
Per questo gruppo, zanzare e blatte sono gli infestanti più sgraditi anche se il vero incubo sono ratti e topi: i roditori infatti fanno ribrezzo, ma generano anche paura per il rischio di essere attaccati e di contrarre malattie, dato che la loro presenza è considerata sinonimo di scarsa igiene.
Per questa ragione sono attenti all’igiene personale e della casa, pur non essendo dei maniaci del pulito: hanno cura di stessi e dell’igiene delle mani, curano i sanitari del bagno di casa, le superfici della cucina, e svuotano i cassonetti della spazzatura con regolarità e frequenza.
- GLI EQUILIBRATI – Quasi 10 milioni e mezzo di italiani (il 24% della popolazione tra i 18 e i 70 anni) appartengono a questo gruppo: sono sia uomini (49%) che donne (51%), residenti nelle regioni del Nord Ovest e senza figli.
Rispetto ai Consapevoli, questo gruppo intende il concetto di igiene in modo più ampio: non si tratta solo di avere cura di sé e degli ambienti in cui si vive, ma anche di assicurare l’assenza di parassiti, insetti e infestanti in generale e la sicurezza degli alimenti. Pur non temendo in modo fobico la presenza di infestanti, sono molto sgraditi scarafaggi e topi, sinonimo di scarsa igiene e rischiosi per la trasmissione di malattie ed infezioni e per danni ai cibi.
Hanno anche paura e provano ribrezzo per insetti striscianti e temono le punture degli insetti volanti. Sono inoltre accorti nella pulizia periodica della casa: dalla lavatrice, ai tendaggi e al divano che vengono puliti con regolarità, così come pattumiere e cassonetti della spazzatura.
- I FANATICI – è il gruppo più numeroso, costituito da 16 milioni e mezzo di persone, ovvero il 40% degli italiani intervistati. Si tratta in maggioranza di donne tra i 55 e i 70 anni che vivono al Sud e nelle Isole, con figli che hanno superato i 10 anni di età.
Sono affetti da vere e proprie fobie, sono attenti a tutte le situazioni e temono la trasmissione di malattie e infezioni dappertutto. La loro lista degli infestanti più sgraditi è molto lunga: blatte, mosche, cimici, vespe, piccioni, topi, formiche, con picchi di vero e proprio terrore per ratti e topi. Temono la trasmissione di malattie e virus e danni ai cibi causati dagli infestanti e non sono affatto tolleranti quando capita di incontrarli, tanto che richiederebbero subito un servizio di disinfestazione urgente. Ritengono che la scarsa igiene sia la prima causa di una serie di problemi quali malattie, trasmissione di virus, problematiche dermatologiche e molto altro.
Adottano molteplici accorgimenti per tenere lontani gli infestanti e mantenere puliti tutti gli ambienti in cui vivono: monitorano il contenitore dei rifiuti, utilizzano zanzariere, controllano i letti, svuotano i cassonetti della spazzatura; evitano di lasciare all’esterno il cibo degli animali e utilizzano maggiormente un pulitore a vapore.
Italiani e infestanti, Indagine demoscopica realizzata da Doxa per Rentokil attraverso 1.005 interviste online su un campione nazionale rappresentativo della popolazione italiana adulta di 18-70 anni. Le interviste sono state condotte dall’ 11 al 14 maggio 2018.
DALLA PUGLIA Una limousine di 5 metri è andata a prendere una bimba di 8 anni e alcuni dei suoi compagni di classe all’uscita da una scuola pubblica. “Già lottiamo con il mito di calciatori e ballerini di Amici, adesso dobbiamo solo più spiegare ai nostri figli il mito della limousine per il compleanno degli 8 anni”, così una mamma scrive su Fb rivolgendosi alla preside dell’istituto vicino a Bari, scuola frequentata dai suoi figli. Molti commenti negativi per questa esibizione di sfarzo ma anche qualcuno positivo: “Se un genitore può permettersi di regalare un giorno così alla sua bambina, perché deve essere messo alla gogna?”.
FOCUS INTERNAZIONALE / STORIA di Filippo Re
Sono almeno due gli italiani che hanno fatto grande l’Impero della Mezzaluna. Da nord a sud, da Genova a Isola di Capo Rizzuto. Il nobile di origine genovese Scipione Cicala e il calabrese Giovanni Dionigi Galeni. Diventeranno Sinan Kapudan pascià e Uluc Alì pascià, detto anche Occhialì. Entrambi catturati dai corsari barbareschi entreranno nella storia e nella leggenda del Cinquecento come celebri ammiragli della flotta ottomana. Un genovese è diventato un famoso pascià e un calabrese ha guidato la flotta della Mezzaluna nientemeno che alla battaglia di Lepanto. Entrambi furono rapiti nelle acque del Mediterraneo dai corsari turchi. Portati a Costantinopoli e convertiti all’Islam servirono il sultano per il resto della loro vita. Schiavi fortunati ma che vita avventurosa e straordinaria…Il giovane Scipione Cicala, raggiunta la capitale sul Bosforo, rinnegò la sua fede (è costretto a farlo), venne educato e istruito nel Serraglio e diventò in poco tempo il favorito di Solimano il Magnifico, di cui sposa due nipoti, e soprattutto di suo figlio, il sultano Selim II. Entrato nelle grazie del Gran Signore fece una gloriosa e rapida carriera fino a diventare il potente ammiraglio Sinan Kapudan Pascià, comandante delle forze navali ottomane, a cui Fabrizio De Andrè ha dedicato una nota canzone, non certo per osannarlo ma anzi per denigrarlo. Il Cicala infatti si sarebbe subito arreso al nemico senza combattere, comportandosi come un codardo. Nella primavera del 1561 il corsaro Visconte Cicala salpò dalla Sicilia con il giovane figlio Scipione con destinazione la Spagna di Filippo II ma il viaggio durò poco. Ambedue furono catturati dalle galee turche e portati prima a Tripoli e poi a Costantinopoli, in dono al sultano. Nella capitale imperiale sul Bosforo il padre fu rinchiuso nella fortezza-prigione delle Sette Torri in cui morì tre anni più tardi mentre il figlio Scipione entrò nel palazzo sultaniale ma, prima, fu costretto a convertirsi all’Islam. Educato alle leggi, alla religione e alle arti militari ottomane Scipione combattè nella lunga guerra contro i persiani e fu nominato beylerbey (governatore generale) e capo dei giannizzeri, il celebre corpo militare ottomano. Al comando di una flotta corsara compì nel 1595 violente incursioni nell’Italia meridionale, particolarmente in Calabria e a Napoli. Per i suoi meriti venne nominato Kapudan pascià, ovvero Grand’Ammiraglio della flotta turca e poco dopo diventò addirittura gran visir (seconda carica dell’Impero) sotto il regno di Maometto III, anche se solo per quaranta giorni. Scipione Cicala usò però metodi troppo forti e violenti contro i nemici interni ed esterni, come i Tartari di Crimea che si erano ribellati. Il malcontento nei suoi confronti dilagò nell’Impero e Scipione venne deposto il 5 dicembre 1596. Ma la sua storia non finì qui perchè fu inviato di nuovo in Italia al comando di una flotta corsara e nel 1604 assunse il comando del fronte orientale per combattere nuovamente contro i persiani. Sconfitto, il rinnegato italiano Cicala dovette ritirarsi e morì durante la marcia di ritorno nel dicembre 1605. Schiavo, corsaro, ammiraglio ottomano fu anche Uluc Alì o Occhialì che in realtà si chiamava Giovanni Dionigi Galeni, un calabrese nato a Le Castella, borgo marinaro, frazione di Isola Capo Rizzuto. Visse nella stessa epoca di Cicala ma è più famoso del genovese. Come Cicala Kapudan pascià anche Occhialì trascorse la sua vita sulle coste e sulle acque del Mediterraneo, un grande mare di antiche civiltà, di commerci, di guerre e battaglie navali. Sfidò i Cavalieri di Malta, combattè a Lepanto contro Gian Andrea Doria riuscendo a distruggere diverse galee cristiane, devastò le coste italiane con incursioni e razzie, dalla Liguria al meridione, e diventò ammiraglio della flotta turca. Fu l’unico tra i capitani turchi a salvare la pelle nella disfatta di Lepanto nel 1571, l’unico comandante della flotta del sultano a tornare incolume a Costantinopoli. Figlio di pescatori e contadini fu rapito all’età di 16 anni dal corsaro Khayr al Din (Barbarossa) nel 1536 sulle spiagge calabresi, vicino a casa sua. Dopo aver passato alcuni anni, forse ben 14 lunghissimi anni, ai remi di una galea come schiavo, si convertì all’islam e iniziò la carriera di corsaro. Divenne bey (governatore) di Algeri e di Tripoli, e cercò addirittura di catturare Emanuele Filiberto di Savoia al largo di Nizza. Dopo Barbarossa e Dragut toccò a lui guidare la flotta ottomana. Nel 1574 riconquistò Tunisi che solo l’anno prima era stata presa dai cristiani. Per premiarlo il sultano Selim II lo nominò ammiraglio della flotta turca, e dopo essersi comportato da eroe a Lepanto, malgrado la sconfitta, ottenne il nome di Kalige-Alì, ovvero Alì la spada o Alì la scimitarra. Si costruì una moschea tutta per lui sul Bosforo che ancora oggi è visitata dai turisti e dagli stessi turchi. Se i calabresi lo hanno quasi dimenticato, la Mezzaluna ha di lui un ricordo più vivo e duraturo.
DALLA TOSCANA Un idraulico quarantanovenne è stato arrestato dai carabinieri. Ha infatti investito volutamente la cognata con la sua auto, a Barberino del Mugello. Lei è una pensionata di 65 anni, ora ricoverata all’ospedale di Borgo San Lorenzo (Firenze) e non sarebbe in pericolo di vita. L’aggressione è probabilmente avvenuta per dissapori su questioni di eredità.
DALLA TOSCANA Un idraulico quarantanovenne è stato arrestato dai carabinieri. Ha infatti investito volutamente la cognata con la sua auto, a Barberino del Mugello. Lei è una pensionata di 65 anni, ora ricoverata all’ospedale di Borgo San Lorenzo (Firenze) e non sarebbe in pericolo di vita. L’aggressione è probabilmente avvenuta per dissapori su questioni di eredità.
E’ possibile si tratti di una vendetta per le tendenze pedofile della vittima. L’omicidio di un uomo di 45 anni, avvenne in un agguato a Vibo Valentia nel 2015: gli spararono mentre stava parcheggiando l’auto. La polizia questa mattina ha arrestato due persone accusate dell’assassinio. L’uomo potrebbe essere stato ucciso perché avrebbe tentato di adescare uno o più minori vicini a persone che avrebbero successivamente organizzato la vendetta nei suoi confronti. L’assassinio e la scoperta delle tendenze pedofile della vittima diedero il via a un’indagine del Commissariato di Vibo Valentia che debellò un giro di pedofilia in cui era coinvolto anche un sacerdote.
Bisogna salvare lo Yemen
FOCUS INTERNAZIONALE di Filippo Re
Questo straordinario patrimonio viene sistematicamente distrutto dai raid aerei che da quattro anni devastano l’angolo sud-occidentale della penisola arabica
Bisogna salvare lo Yemen, porre fine alla guerra civile, ai lutti e alle sofferenze di decine di migliaia di yemeniti e difendere il grande patrimonio culturale di cui è ricco lo Yemen, fatto di arte, architettura e archeologia. Ma oggi questo straordinario patrimonio viene sistematicamente distrutto dai raid aerei che da quattro anni devastano l’angolo sud-occidentale della penisola arabica. L’accorato appello per proteggere i tesori dell’antica Arabia Felix è stato lanciato da Enzo Ravagnan, direttore dell’Istituto Veneto per i Beni Culturali, intervenendo a un convegno sulla guerra in Yemen presso il Circolo della Stampa di Torino. Ma tutto si è bruscamente interrotto nel marzo 2015 quando la capitale Sana’a fu occupata dai ribelli sciiti Houthi. In quel momento Ravagnan era a Sana’a, dove ha fondato un Centro italo-yemenita che ospita una scuola di restauro, ma con l’aggravarsi della situazione ha dovuto lasciare lo Yemen insieme ai suoi allievi. “Stavamo sistemando la moschea di Sana’a, per la quale eravamo in dirittura d’arrivo coi lavori e la moschea di Al-Ahrafiyya a Taiz, racconta Ravagnan. Già altre volte, in contesti che stavano diventando pericolosi, siamo rimasti lo stesso sul campo ma questa volta la situazione era troppo grave. Non c’erano più le condizioni per restare. Gi Houthi hanno occupato la capitale e di fronte al nostro Istituto hanno piazzato una grossa mitragliatrice, spari e bombe erano a un centinaio di metri dal nostro gruppo. Siano fuggiti dopo i primi bombardamenti”. Renzo Ravagnan, architetto e responsabile dell’Istituto Veneto per i Beni Culturali, racconta la sua storia di fuga dallo Yemen, insieme ad una decina di colleghi italiani. Ravagnan ha messo in piedi a Sana’a un laboratorio di restauro e conservazione e da 15 anni collabora con il ministero della cultura yemenita. In tutti questi anni ha formato decine di giovani yemeniti per la conservazione dei beni culturali. Oltre ad operare in Italia, l’Istituto veneto, con sede a Venezia, è presente anche all’estero come in Terra Santa dove sono stati condotti i restauri alla cappella di Sant’Elena nella Basilica della Natività di Betlemme, al muro crociato della Basilica dell’Annunciazione a Nazareth e alla cappella dell’Invenzione della Croce della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Accordi di collaborazione sono stati firmati con le autorità israeliane anche per interventi di ristrutturazione nella splendida Cittadella crociata di Akko (San Giovanni di Acri). L’Istituto Veneto per i Beni Culturali è già intervenuto nel restauro di altri patrimoni storico-architettonici come la Spianata delle Moschee in Terra Santa dal 1997 al 2009. Il centro italo-yemenita era impegnato in Yemen nella ristrutturazione di due importanti luoghi di culto yemeniti. La Grande Moschea di Sana’a Al Jami al Kabir, risalente al 630 d.C., due anni prima della morte di Maometto, costruita dagli arabi al posto dell’antica cattedrale della capitale, e la moschea di Al Ashrafiyya alle pendici del monte Saber presso la città di Taiz nel sud dello Yemen, eretta alla fine del Trecento. I lavori avrebbero dovuto terminare nell’estate 2015 ma la situazione è precipitata e la missione è rientrata di fretta in Italia. Non era la prima volta che succedeva ma questa volta, con l’aggravarsi della guerra civile, non si poteva più rimanere nel Paese. La maggior parte del lavoro veniva svolto nel centro storico di Sana’a con il restauro di 8000 case con torri antichissime, composte da mattoni cotti al sole, che con il degrado e l’incuria rischiavano di crollare. Un prezioso patrimonio costituito in particolare dalle due moschee in cui l’Istituto di Ravagnan stava lavorando, soprattutto quella di Sana’a con decorazioni antichissime e che durante il restauro ha fatto riemergere sostegni in legno dei primi secoli dopo Cristo. “Abbiamo cercato di mettere in pratica il sogno di Pasolini, ha affermato Ravagnan, nell’antichissimo centro città della capitale yemenita, che Pier Paolo Pasolini nei primi anni Settanta volle difendere dalla selvaggia speculazione edilizia”. La tragedia yemenita continua nonostante le tregue imposte dall’Onu con alterna fortuna. “La speranza è l’ultima a morire ma, credetemi, ha aggiunto Ravagnan, gli yemeniti non vogliono la guerra mentre il loro Paese vive da quattro anni gli effetti di uno scontro geopolitico che va ben oltre i suoi confini”. In Svezia il lodevole inviato dell’Onu per lo Yemen Martin Griffiths è riuscito a far sedere allo stesso tavolo tutti gli attori del conflitto ma il futuro del Paese resta denso di incognite.
E’ probabilmente scivolato l’ uomo di 89 anni che è morto annegato dopo essere caduto in un canale a Ora, in Alto Adige. Sarebbe caduto mentre passeggiava, finendo nell’acqua gelida. Sul posto sono giunti i soccorritori della Croce bianca e i carabinieri, ma hanno solo potuto constatare il decesso.
Lo smartphone del futuro prossimo non solo avrà dispositivi pieghevoli, ma telefoni con una scocca senza soluzione di continuità, senza connettori, pulsanti e fori degli altoparlanti. L’azienda cinese Vivo ha illustrato un concept phone innovativo presto disponibile in Europa: Apex 2019 presenta un corpo in vetro “super unibody”, senza cornici e senza foro per la fotocamera frontale, integrata sotto lo schermo come pure il lettore di impronte digitali, che consente lo sblocco toccando qualsiasi punto. Non sono presenti tasti fisici, sostituiti dalla tecnologia “Touch Sense” con sensori di pressione. Niente presa Usb: la ricarica e il trasferimento dei file avvengono grazie alla la “MagPort”, ovvero un connettore magnetico. Non esistono neppure i degli speaker, rimpiazzati da un display – altoparlante con vibrazione dello schermo.