Polveriera Nord Africa

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

Sembra seduto su un vulcano in eruzione il nord Africa, dalla Libia all’Algeria. Sulla sponda sud del Mediterraneo solo l’Egitto sembra reggere l’urto dell’attacco terroristico e del vasto malcontento popolare. Con il pugno di ferro e con una repressione spietata

 La Libia è in guerra, l’Algeria senza presidente teme il contagio del caos libico mentre il Marocco osserva le crisi nordafricane preoccupato dalle vicende che scuotono Algeri. E tutto ciò a poche miglia di distanza dalle coste italiane ed europee. Centinaia di migliaia di persone continuano a manifestare nelle città algerine con alla testa i giovani che rappresentano il 60% della popolazione, assoluti protagonisti dei movimenti di protesta che hanno portato alle dimissioni del presidente Bouteflika. Le proteste sono continuate anche dopo le dimissioni di Abdelaziz Bouteflika, al potere da vent’anni, e l’annuncio di nuove elezioni presidenziali previste per il 4 luglio. Si chiedono riforme radicali, democrazia, pluralismo politico e fine della corruzione dilagante. Non solo ma si pretendono anche le dimissioni del presidente ad interim Abdelkader Bensalah e del premier Noureddine Bedoui, ritenuti troppo vicini a Bouteflika. C’è di più perchè una parte delle opposizioni non vuole andare alle urne con l’attuale sistema politico per cui gli islamisti del Partito della Giustizia e dello sviluppo e al-Nahda hanno deciso di boicottare le elezioni presidenziali. Le proteste, per ora, sono pacifiche e controllate dall’esercito ma il timore generale è che le manifestazioni possano degenerare in violenza da un momento all’altro, come già accaduto nei Paesi limitrofi. Gli algerini conoscono bene gli orrori della guerra civile vissuta sulla propria pelle negli anni Novanta. Lo scontro tra lo Stato e i terroristi islamisti provocò quasi 150.000 morti e molti ricordano che nel 2001 il malcontento popolare esploso nella Cabilia berbera contro il caro vita fu duramente represso dai militari con un centinaio di morti e migliaia di feriti. Con la guerra libica a est e la tensione sempre viva con il Marocco sul versante occidentale l’Algeria del dopo Bouteflika si scopre più debole e più vulnerabile. Algeri guarda con preoccupazione al caos libico e al pericolo di infiltrazioni terroristiche nel suo territorio. Alle tensioni sul lato orientale si aggiungono quelle al confine ovest con il regno di Maometto VI. Da quasi mezzo secolo l’Algeria rivendica il Sahara Occidentale, ex colonia spagnola, il cui territorio è stato occupato dal Marocco che deve fronteggiare la ribellione armata del Fronte Polisario creato e armato da Algeri. Si intrecciano così in modo drammatico le vicende delle due entità statali nordafricane, entrambe alla ricerca di riforme economiche e riconciliazione nazionale. Ma i veri pericoli si annidano proprio nella mancanza di stabilità e nel vuoto di potere. Sullo sfondo di un contesto regionale assai precario il grande incubo si chiama fondamentalismo religioso. Nel conflitto libico gli estremisti salafiti prevalgono nettamente nel fronte di al Sarraj ma sono presenti, pur in misura minore, anche in alcune brigate che appoggiano Haftar nell’assalto a Tripoli. In Algeria la Fratellanza musulmana cavalca sempre di più la protesta popolare contro il regime. Ciò significa che l’estremismo religioso e politico potrebbe un giorno andare al potere nelle due nazioni maghrebine. Siamo alla vigilia di una primavera islamista ad Algeri? La guerra libica contagia pericolosamente il Paese nord africano dove il nuovo stenta a decollare. Mentre il sistema politico resta saldamente nelle mani del regime e dell’esercito che controlla l’intero Paese dall’indipendenza nel 1962, l’opposizione è molto divisa lasciando così spazio ai movimenti estremisti e fondamentalisti. L’uscita di scena dell’ultraottantenne Bouteflika non ha placato la piazza che continua a chiedere la fine dell’attuale sistema di potere. Ma l’alternativa potrebbe essere peggiore e il caso dell’Egitto insegna. Mohammed Morsi, del partito islamista vicino ai Fratelli Musulmani vinse le elezioni presidenziali nel 2012, rimase in carica quasi un anno e poi fu deposto da colpo di Stato militare con il plauso dell’Occidente che non poteva consentire a un estremista islamico di trasformare il grande Paese del Nilo in un Stato confessionale retto dalla rigida applicazione della sharia, la legge coranica. Secondo analisti e osservatori del mondo arabo-maghrebino l’Algeria è a rischio infiltrazione di terroristi islamici provenienti dalla Libia e dal Mali come i seguaci di “al Qaeda nel Maghreb” (Aqim) e dell’Isis oltre ad altri gruppi radicali che combattono contro i governi locali nel Mali e in Ciad. La preoccupazione è diffusa anche tra i pochi cristiani presenti nel Paese (appena lo 0,2% , tra cui solo 8.000 cattolici, su 40 milioni di musulmani) per la presenza dell’Isis e di altri gruppi islamisti nella vicina Libia. L’Algeria è stata classificata dal Rapporto di “Open Doors” al 42° posto nella lista dei Paesi del mondo in cui è più difficile essere cristiani. Per evitare che la situazione in Algeria precipiti verso la destabilizzazione con un eventuale ritorno dei fondamentalisti islamici e del terrorismo diventa urgente lavorare per una transizione democratica con l’appoggio diplomatico della comunità internazionale e dell’Italia in particolare che deve essere pronta a svolgere un ruolo attivo nell’area. Dal gas alle migrazioni per noi italiani ci sono in ballo interessi vitali e nel caso di una crisi migratoria provocata da un possibile caos politico o per l’insorgere della minaccia terroristica ci troveremmo particolamente esposti per la vicinanza geografica. Le forniture di gas e petrolio dall’Algeria giungono regolarmente e non sono a rischio anche se la concitata Primavera algerina rischia di rallentare il rinnovo dei contratti energetici. Il tacito compromesso tra il governo nazionalista e laico di Bouteflika e i Fratelli Musulmani ha reso possibili vent’anni di stabilità dopo la lunga stagione del terrorismo. Ma la Fratellanza musulmana non ha mai rinunciato al potere e oggi alimenta la protesta popolare con l’obiettivo di conquistare il potere e insediare un regime fondamentalista sulla sponda meridionale del Mediterraneo sostenuto da Qatar e Turchia (gli stessi Paesi che appoggiano il governo di al Sarraj a Tripoli) e, dall’Algeria, destabilizzare l’intera regione nord africana.

dal settimanale “La Voce e il Tempo”

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