Dall Italia e dal Mondo- Pagina 30

ITALIA IN RECESSIONE, L’IMPORTANZA DELLA LEGGE 3/2012

L’Italia della crisi ha prodotto un fenomeno nuovo, altresì conosciuto come ‘sovraindebitamento’ o ‘fallimento del privato’: situazioni derivanti da esposizioni finanziare o debitorie gigantesche, divenute ormai ingestibili, che di fatto impedirebbe a chiunque – cittadini, consumatori, artigiani, piccole e medie imprese – di uscirne, ipotecandosi così, di fatto, vita, futuro e professione. “Si deve l’intelligenza e la lungimiranza del Presidente Emerito della Repubblica Sergio Napolitano l’aver consentito a tale, importante legge, l’ingresso dalla porta principale, nello scenario legislativo italiano, qual e strumento atto a risolvere situazioni altrimenti impossibili, detto Legge 3/2012“, spiega Serafino Di Loreto, già stimato Avvocato e tra i soci fondatori storici di ‘SDL Centrostudi SPA’, azienda che per prima, dal 2010 a oggi, ha fornito sull’intero territorio nazionale una risposta efficace e pronta al dilagante tema dell’usura e dell’anatocismo bancari. Attraverso alcune distinte procedure, oggi l’italiano sovraindebitato può disporre di differenti strade risolutive per potersi chiamare fuori dall’eccesso di debiti maturati in ambito privato e professionale, che possono altresì, come molteplici casi dal 2015 a oggi dimostrano, anche essere stralciati fino all’80% del monte esposizione complessivo. Salvando vite, evitando dunque tragici finali, preservando l’occupazione, riassestando la gestione di soggetti d’impresa attorno al perno del buon senso: in due parole, facendo tabula rasa del passato per guardare al presente e al futuro con rinnovata fiducia, finalmente liberi dai vincoli pregressi” dichiara Serafino Di Loreto.

 

Picchia la compagna incinta di quattro mesi e la manda in ospedale

DALLA LIGURIA
I carabinieri di Genova hanno arrestato un uomo di 32 anni di origini albanesi per maltrattamenti in famiglia. L’uomo era rincasato completamente ubriaco e durante una lite con la convivente, incinta al quarto mese, ha iniziato a picchiarla. Lei è riuscita a chiamare i soccorsi e il compagno è stato arrestato. Ora la donna è ricoverata in ospedale.

Tra il tutto bene e il ridicolo dei parlamentari ucraini

Ci siamo molto spesso preoccupati per la situazione politica in Ucraina e degli scontri con la vicina Russia, ma possiamo smettere di preoccuparci

Quando un Parlamento può occuparsi di vietare l’ingresso a cantanti italiani, siano essi Albano oppure Toto Cutugno, vuol dire che va tutto bene. La notizia è stata rilanciata dall’Ansa che l’ha ripresa, a sua volta, dalla Testata Online “Economistua.com” che riporta che un gruppo di deputati ucraini ha chiesto al capo dei servizi di sicurezza (Sbu) Vasily Gritsak di vietare l’ingresso in Ucraina al cantante Toto Cutugno per le sue presunte posizioni filorusse. Viktor Romanyuk, primo firmatario della mozione, ha confermato la notizia, senza minimamente ravvedersi. Il possibile divieto di ingresso a Cotugno – l’eterno secondo della musica italiana- segue quello fatto in precedenza nei confronti di Albano. I due, sempre in cerca di pubblicità, ne saranno contenti perché qualcuno gliela fa gratis. A scanso di equivoci, Cotugno si affretta a precisare: “Sono molto sorpreso e dispiaciuto per questa notizia. Un gruppo di deputati ucraini vorrebbero impedirmi di cantare in un Paese che amo e che ama la mia musica? E’assurdo”. Tuttavia è preoccupato perché, il prossimo 23 marzo, ha in programma un concerto a Kiev, affiancato dall’orchestra sinfonica della capitale ucraina. Altrettanto sconcertato lo è anche il suo manager, Danilo Mancuso che dice che i biglietti sono già stati tutti venduti. Intanto, anche in Italia, fra problemi seri e altri serissimi, abbiamo ancora l’affair delle foto osé dell’ex presidente della Commissione Giustizia della Camera, Giulia Sarti. La rete è di tutti e niente viene dimenticato, però essere un pochino più accorti ci starebbe…!

Tommaso Lo Russo

 

ATTACCO CRISTIANO “NEL NOME DI LEPANTO”

FOCUS INTERNAZIONALE / STORIA  di Filippo Re
C’è perfino un richiamo alla celebre battaglia di Lepanto nella strage di musulmani compiuta a Christchurch in Nuova Zelanda da un gruppo di terroristi di estrema destra (almeno 49 morti e decine di feriti). Sui caricatori delle armi usate per il massacro nelle due moschee neozelandesi compaiono anche i nomi di due italiani, considerati dai terroristi “idoli” da seguire nella lotta ai musulmani. Oltre a Luca Traini, il giovane che a Macerata, un anno fa, aprì il fuoco contro alcuni immigrati africani, figura anche il nome di Sebastiano Venier, che fu doge della Repubblica di Venezia per meno di un anno, dal 1577 al 1578, quando morì. Il 7 ottobre 1571 Sebastiano Venier fu uno dei protagonisti della battaglia di Lepanto in cui la grande e invincibile flotta ottomana fu sconfitta dalle forze della Lega santa cristiana. Partecipò attivamente allo scontro militare, pur avendo già 75 anni, e uccise numerosi turchi con la sua balestra che veniva ricaricata da un marinaio perchè il vecchio ammiraglio non aveva la forza sufficiente nelle braccia. Sebastiano Venier viene anche ricordato come il doge che in pantofole sconfisse la flotta del sultano. Durante la battaglia fu ferito a un piede ma continuò a combattere in pantofole sul ponte della galea, sicuro del fatto che con le ciabatte si sarebbe mosso più facilmente sul ponte della “Capitana”, bagnato di acqua e di sangue, rispetto agli stivali da combattimento. Le spoglie del vincitore di Lepanto riposano a Venezia nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo (San Zanipolo) accanto a quelle di un altro illustre ammiraglio veneziano, quel Marcantonio Bragadin, scorticato vivo dai turchi a Famagosta, sull’isola di Cipro, nello stesso anno di Lepanto. Se da una parte gli estremisti islamici rivendicano i loro attacchi armati parlando di lotta ai crociati e ai cristiani, gli estremisti cristiani citano volentieri i grandi successi militari della storia contro i turchi che a quell’epoca incarnavano la potenza dell’islam sunnita. Non per nulla, il primo statista a parlare di grave atto terroristico contro i musulmani compiuto in Nuova Zelanda è stato il presidente turco Erdogan che aspira a guidare, da condottiero supremo, l’islam sunnita, come un tempo facevano i sultani della Mezzaluna. I cenni alla storia, anche molto remota, sono frequenti e tornano drammaticamente di attualità.

Bimbo di un mese muire nel degrado. La mamma non è rintracciabile

DAL LAZIO
La donna ha cercato di rianimarlo tentando  di farlo respirare, ma vedendo  che il bimbo di poco più di un mese non si riprendeva, ha chiamato il 118. Per  il neonato non c’era nulla da fare. Il fatto è avvenuto ieri a Tor San Lorenzo, località balneare vicino a Roma, in un complesso di edifici in preda al degrado. Il neonato non era con la madre, al momento irrintracciabile perché pare fosse fuggita in Francia alcuni giorni fa, ma con una donna romena di 63 anni alla quale la donna lo aveva affidato. La morte sarebbe avvenuta per cause naturali, il medico legale non avrebbe riscontrato segni di violenza. Il decesso potrebbe  essere stato causato da un rigurgito, il soffocamento o una patologia che non era stata diagnosticata. E’ stata comunque disposta l’autopsia.

Svolta democratica in Libia?

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re
Da leader indiscusso di mezza Libia a uomo forte di tutto il Paese nordafricano, riunito sotto la sua autorità. Non l’ha mai nascosto, il suo grande obiettivo è quello di comandare le forze armate libiche unificate

 La campagna militare lanciata dal feldmaresciallo della Cirenaica Khalifa Haftar all’inizio dell’anno per la conquista del sud-ovest libico non incontra quasi resistenza e candida il generale al ruolo di nuovo padrone della Libia. Mentre i carri armati di Haftar avanzano tra le dune del deserto del Fezzan, protetti dai raid dell’aviazione, il suo rivale Al Sarraj ha poteri e margini di manovra sempre più ristretti. Le speranze di normalizzare la Libia, sconvolta da otto anni di anarchia e guerra civile, corrono su due binari molto distanti tra loro, sul piano diplomatico e su quello militare. Mentre si cerca freneticamente un accordo per stabilizzare la Libia, il generale Haftar st conquistando con il suo esercito personale quasi tutto il Paese e al prossimo vertice potrà trattare da una posizione di assoluta forza. Resta invece ben poco spazio per le ambizioni del premier di Tripoli nonchè presidente del “Governo di accordo nazionale” Fayez al Sarraj, spinto sempre più nell’angolo dall’uomo forte della Cirenaica e, a questo punto, di quasi tutta la Libia. Khalifa Haftar comandante dell’Esercito nazionale libico e il premier di Tripoli Sarraj hanno raggiunto un accordo ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi, per indire elezioni generali in Libia. I prossimi passi della “road map” dell’Onu per la Libia dovrebbero essere una “Conferenza nazionale” di riconciliazione, prevista per fine marzo,una sorta di grande Assemblea libica per far ripartire il dialogo politico e uscire dal caos attuale. Sarebbe questo, secondo Ghassam Salamè, l’inviato speciale dell’Onu, il processo necessario per arrivare a una nuova Costituzione, a una nuova legge elettorale e ad elezioni parlamentari e presidenziali. Haftar è in netto vantaggio sul debole Sarraj, che controlla solo Tripoli ma nella stessa capitale è in difficoltà per la presenza di numerose milizie che non riesce a sottomettere. Ma Sarraj è pur sempre il leader di un governo voluto dalle Nazioni Unite nel tentativo, finora fallito, di stabilizzare la Libia che dal 2011 non conosce pace. Ma se manca l’intesa Haftar-Sarraj non si va da nessuna parte, ripetono i negoziatori. La stabilizzazione della Libia passa soprattutto attraverso il rilancio economico di un Paese ricco di petrolio e gas e al rafforzamento di organismi vitali come la Banca Centrale e la Compagnia nazionale per il petrolio (Noc). All’incontro di Abu Dhabi era presente il presidente della Noc, Mustafa Senalla, che sta negoziando la riapertura dei campi petroliferi di Sharara, uno dei giacimenti più importante della Libia (300.000 barili di petrolio al giorno) passato di recente sotto il controllo di milizie alleate ad Haftar. La Noc aveva chiesto, già alcuni mesi fa, la chiusura di Sharara dopo le proteste dei dipendenti, sostenuti da gruppi armati, che avanzavano richieste economiche alla compagnia petrolifera. Negli Emirati la Noc avrebbe raggiunto un accordo di massima ma non è chiaro quando i campi saranno riaperti e quando potranno riprendere la produzione. L’Esercito nazionale libico di Haftar ha anche annunciato di aver assunto il controllo dell’importante giacimento libico El Feel gestito dall’ Eni al 33% (produce oltre 70.000 barili di petrolio al giorno) insieme alla Compagnia petrolifera nazionale libica (Noc). Mentre la diplomazia avanza faticosamente sulla strada indicata dall’Onu, le forze armate cirenaiche proseguono la loro cavalcata nel deserto del Fezzan (oltre 600.000 chilometri quadrati di territorio nella regione sud-occidentale) occupando le città meridionali di Sabha e Ubari, e portando dalla loro parte quasi l’80% del territorio libico. Una nuova Libia pacificata e unificata sarebbe determinante per allontanare i gruppi di terroristi che nell’attuale disordine generale trovano terreno fertile per espandersi. Il pericolo è rappresentato da alcune migliaia di miliziani fuggiti dalle zone del defunto Califfato proprio in Libia e nei Paesi del Sahel. La minaccia terroristica è sempre presente nel Paese nordafricano. Da anni, sia l’Isis che “Al Qaeda nel Magreb islamico” (Aqmi), l’ex Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento (Gspc) nato in Algeria durante la guerra civile anni Novanta e poi diventato Aqmi nel 2005, dispongono di basi e campi di addestramento e trovano rifugi sicuri nel deserto. La cacciata dei combattenti di Al Baghdadi da Sirte quasi tre anni fa e le offensive di Haftar in Cirenaica non hanno espulso del tutto la presenza dei jihadisti dal Paese maghrebino. Al Qaeda in realtà non ha mai abbandonato la Libia. Gruppi estremisti erano presenti in Cirenaica già negli anni Novanta uniti nel Gruppo Combattente Islamico Libico, successivamente confluiti in Al Qaeda. Dopo essere stati cacciati dalle zone costiere, da Sirte, Sabrata e Derna, i movimenti jihadisti si sono trasferiti a sud in zone non controllate da nessuno come tra le dune del Sahara dove non è difficile riorganizzarsi per l’assenza di militari e di autorità. Mentre l’Isis aveva stabilito le basi a sud di Sirte, i qaedisti si sono rifugiati nel Fezzan al confine con il Niger speculando sul traffico di armi e sul transito di migranti diretti a nord. Negli ultimi anni la Libia è diventata un vero e proprio laboratorio di terroristi, anche grazie agli ingenti aiuti finanziari inviati dal Qatar alle organizzazioni islamiste. A metà febbraio gli americani hanno bombardato postazioni di Al Qaeda a Ubari, città nel sud-ovest del Paese, presa di recente da Haftar. Il raid è avvenuto nei pressi del giacimento petrolifero di Sharara, il più grande del sud della Libia, controllato al 30 % dalla francese Total. Alla fine del 2018 invece il Comando militare degli Stati Uniti in Africa (Africom), in coordinamento con il governo libico, aveva colpito con missili un campo di addestramento vicino ad Al Uwaynat, in Libia, uccidendo undici membri di “Al Qaeda nel Maghreb islamico” (Aqmi). Intanto, dal suo rifugio tra le montagne al confine tra Pakistan e Afghanistan il giovane Hamza, figlio di Bin Laden, ritenuto l’erede di suo padre e di Al Zawahiri alla guida di Al Qaida, esalta il jihad nel Levante e nel Maghreb e invoca una nuova “Internazionale del terrore” sul modello di quella creata dal padre Osama alla fine degli anni Novanta. Nel Fezzan, terra di nessuno e terra oggi di conquista da parte di Haftar, è di nuovo operativo il nuovo comando logistico dei qaedisti maghrebini.
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Dal settimanale “La Voce e il Tempo”

 

VOCI DAL SILENZIO

Il Complesso Monumentale della Pilotta in collaborazione con la Questura di Parma presenta la mostra

 
COMPLESSO MONUMENTALE DELLA PILOTTA
Voltoni del Guazzatoio Piazzale della Pilotta 15 – Parma
In occasione dell’8 marzo, Giornata internazionale della donna, il Complesso Monumentale della Pilotta e la Questura di Parma presentano Voci dal silenzio, una mostra a cura di Roberta Di Chiara con opere di Diego D. Testolin ed Elena Ruzza, visitabile gratuitamente dal 5 marzo al 10 aprile 2019 presso i Voltoni del Guazzatoio del Complesso Monumentale della Pilotta.
 
Con una modalità nuova, basata sulla condivisione di un linguaggio artistico che si fa portatore di contenuti educativi e di altro valore sociale, la mostra spalanca una porta su un tema purtroppo di forte attualità: l’omicidio di genere, meglio conosciuto come femminicidio. L’arte in questo caso si fa strumento affinché l’onda emotiva generata dal tema sia utile e si trasformi in azioni concrete, non esaurendosi nelle reazioni istintive di sdegno e condanna.
 
Diego Testolin, disegnatore di identikit e analista della scena del crimine della Polizia scientifica del Triveneto, scava in vicende umane che la sua vita professionale gli ha posto di fronte, rileggendo la realtà con sguardo intimo e atteggiamento rispettoso,  nell’intento di restituire attraverso le sue tele, quell’umanità e quella dignità estetica che la brutalità dell’uomo ha strappato via. Ecco quindi che alcune figure femminili prese dall’iconografia artistica del passato vengono rivisitate in chiave moderna secondo il principio di bellezza assoluta e spirituale, diventando portatrici di un messaggio di speranza: “la bellezza salverà il mondo”.
 
Parte integrante della mostra, la videostallazione Il silenzio del dolore, di e con Elena Ruzza. Il cortometraggio, presentato al 36° Torino Film Festival e tratto da una storia realmente accaduta, restituisce il punto di vista umano e professionale di Katia Ferraguzzi, poliziotta della Squadra Mobile e psicoterapeuta, che porterà con sé per sempre il ricordo degli occhi di un bambino che, suo malgrado, ha assistito al “femminicidio” della madre da parte del padre.
 
Il progetto è promosso da Legal@rte Onlus, associazione che nasce dalla volontà di un gruppo di appartenenti alla Polizia di Stato, con lo scopo di promuovere la legalità attraverso gli strumenti che la cultura mette a disposizione, nell’intima ambizione di contribuire alla nascita di nuove resilienze.
 

Nelle Filippine l'Isis minaccia la pace

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re
Bombe jihadiste contro i cristiani, contro il dialogo, gli accordi di pace e le riforme. Dall’Egitto dei copti alle cattoliche Filippine non c’è pace per i cristiani uccisi e terrorizzati dagli estremisti islamici da un continente all’altro. Ancora sangue che scorre dentro e fuori le cattedrali. Il bersaglio è ancora una volta la comunità cristiana con le sue chiese. Nelle lontane Filippine, uno dei pochissimi Stati asiatici a maggioranza cristiana, i jihadisti hanno voluto colpire gli accordi di pace firmati tra il governo e i separatisti musulmani dopo decenni di guerriglia e ancora una volta, per dimostrare il loro disprezzo contro le fede cristiana, si sono scagliati contro le chiese, bersagli facili da attaccare perchè poco protetti e affollati di fedeli.
 
L’obiettivo dichiarato dei terroristi è di creare uno Stato islamico nel Mindanao occidentale e fondare in seguito un Sultanato panislamico in tutto il sud est asiatico governato dalla sharia e in stretto contatto con i gruppi jihadisti mediorientali. Bombe e kamikaze hanno dilaniato una ventina di fedeli dentro la cattedrale di Nostra Signora del Monte Carmelo, sull’isola di Jolo, nella provincia di Sulu, nelle Filippine meridionali, che in passato aveva già subito due attacchi, e un altro ordigno è esploso nel parcheggio vicino causando una nuova strage. Complessivamente una ventina di morti e quasi 100 feriti. Jolo City è stata per anni presa di mira dai terroristi che hanno attaccato villaggi e città, prendendo in ostaggio i civili per poi decapitarli. Diversi gruppi islamisti operano da tempo sull’isola diventata la roccaforte di Abu Sayyaf, l’ex gruppo qaedista che conta migliaia di combattenti jihadisti.

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L’attentato contro la chiesa di Jolo è solo l’ultimo di una lunga scia di sangue che ha colpito le Filippine con decine di migliaia di vittime. Abu Sayaff è il movimento più spietato tra le varie milizie islamiste del sud con decine di rapimenti sia di filippini che di stranieri, tra cui sacerdoti e operai. Alcuni anni fa le sirene del califfo iracheno hanno raggiunto l’estremo oriente contagiando anche Abu Sayaff che si è trasformato nel braccio armato dell’Isis nell’arcipelago. I sospetti sull’attentato si sono concentrati inizialmente su un lungo elenco di sigle e di formazioni islamiste in grado di lanciare assalti che, oltre ad Abu Sayyaf, comprendono il gruppo Maute, Ansar Kalifah, separatisti e ribelli. L’attacco è avvenuto a poche ore dal referendum sulla regione autonoma, a maggioranza musulmana, di Bangsamoro (la Nazione dei Moro), nell’isola di Mindanao, in cui hanno prevalso i “sì” all’autonomia negoziata con il governo centrale. In sostanza, nascerà la regione autonoma di Bangsamoro nel Mindanao musulmano al posto della vecchia regione autonoma considerata troppo dipendente dal governo e accusata di corruzione. Un esito positivo che fa ben sperare per il futuro e che dovrebbe porre fine a 50 anni di scontri armati e guerriglia tra l’esercito di Manila e i gruppi islamici separatisti. Una guerra civile che ha causato oltre 150.000 vittime mettendo in ginocchio il sud delle Filippine. Putroppo però il risultato della consultazione è stato bocciato proprio nella provincia di Sulu, nel Mindanao musulmano, dove si trova Jolo. Qui le tensioni restano perchè ha vinto il “no” alla nuova Regione sostenuto fortemente da Abu Sayyaf e da altri movimenti ribelli in lotta contro il Fronte islamico Moro che ha invece firmato l’accordo sull’autonomia con il governo e dovrà gestire la politica della nuova Regione che si occuperà di questioni fiscali e amministative lasciando al governo la sicurezza nazionale e la politica estera. La nuova entità politica ha però suscitato il malumore delle altre etnie musulmane, favorevoli piuttosto a una soluzione federale, mentre la comunità cattolica di Mindanao ha espresso sostegno al progetto autonomista definendolo “un’occasione concreta per raggiungere una pace durevole a Mindanao”.

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L’isola di Mindanao è un bastione del gruppo islamista Abu Sayyaf che fa parte della lista nera degli Stati Uniti come organizzazione terrorista accusata di gravi e sanguinosi attentati tra cui l’assalto a un traghetto nel porto di Manila che nel 2004 provocò 116 vittime. Sulla matrice anti-cristiana dell’attentato non sembrano esserci dubbi. Le vittime sono state uccise per la loro religione. Ormai da parecchi anni nella regione musulmana di Mindanao i cristiani subiscono terribili attacchi da parte degli estremisti islamici di Abu Sayyaf affiliati all’Isis. Oltre l’80% della popolazione delle Filippine è di fede cattolica e solo il 5% è di religione islamica, concentrata soprattutto nel sud delle Filippine. Dura condanna della violenza e vicinanza alla popolazione del sud è stata espressa dai vescovi cattolici delle Filippine che hanno definito il grave fatto di sangue un vero atto di terrorismo. La maggior parte delle vittime è composta da persone che ogni domenica si recavano alla messa delle otto di mattina e sul fatto che si tratti di un attentato anticristiano non ci sono dubbi. Nei suoi rapporti sulla libertà religiosa nel mondo l’associazione “Aiuto alla Chiesa che Soffre” ha più volte denunciato che nella regione a maggioranza islamica di Mindanao i cristiani subiscono da anni sanguinosi attacchi da parte degli estremisti islamici di Abu Sayaf affiliati ad Isis. “Siamo però sicuri, scrive l’Acs, che nessun attacco. né violenza anticristiana potrà mai sradicare la fede dal cuore dei cattolici”.
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Dal settimanale “La Voce e il Tempo”
 
 
 
 
 

Ragazzo travolto dal treno mentre attraversa i binari in stazione

DALLA LOMBARDIA
Un ragazzo di 25 anni è rimasto gravemente ferito dopo essere stato investito da un treno. Il giovane, sudamericano, ha attraversato i binari, questa mattina nella stazione ferroviaria di Castronno, nel varesotto. Non  si sarebbe accorto del convoglio in arrivo e ha continuato a camminare sulle rotaie. E’ stato portato in serie condizioni all’ ospedale di Varese.

MATERA CULTURALE: VIAGGIO TRA STORIA, ARTE E ARCHITETTURA

A Matera, sfruttando gli anfratti naturali, in maniera sempre più sistematica, l’uomo si insinua all’interno del banco calcarenitico giungendo a plasmarlo. Così facendo arriva a conferirgli la forma più consona rispetto alla destinazione d’uso prescelta. Questo lavorìo ottenuto “per via di levare” viene svolto prevalentemente all’interno. Pertanto, nel caso di edifici adibiti al culto, la corrispondenza degli elementi artistico-architettonici caratterizzanti la tipologia edilizia è rispettata. Contrapposto al lavoro di scultura degli interni, all’esterno si procede “per via di porre”. Tanto nel caso più semplice, tompagnando l’apertura naturale della cavità, quanto in quello più complesso, elevando veri e propri corpi di fabbrica esterni. La commistione di queste due tecniche edilizie fa di Matera uno scenario fuori dal comune, sia in senso architettonico che paesaggistico. Il sito è stato riconosciuto di interesse mondiale date le caratteristiche geo-morfologiche del suo territorio in cui ancora oggi sopravvivono tracce materiali delle capacità tecniche dell’uomo che nel corso dei millenni ha adattato il banco calcarenitico alle sue esigenze.
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MATERA TRA ORIENTE ED OCCIDENTE
Nei secoli IX-X, Matera, già contesa da Bizantini, Longobardi e Saraceni e logorata da battaglie, saccheggi e assedi, assistette all’insediamento delle comunità monastiche,  provenienti dalla dalla Sicilia musulmana.La Basilicata e Matera non furono così innovate nel loro abituale sistema di costruzione che rinvenne nel territorio lucano la normalità di un insediamento del tutto consono alle proprie esigenze spirituali.Le chiese rupestri vennero, in molti casi, affrescate con le immagini sacre del Cristo, della Vergine, dei Santi, degli Apostoli. Data la simultanea appartenenza della Basilicata, nei secoli VII-X, a due diversi poli di lotta politico-religiosa, le chiese rupestri furono il portato di due diverse culture: la greca e la latina. La greca, facente capo ai “catapani” bizantini, la latina legata alla spiritualità romana dell’operante azione benedettina.Gli ordini religiosi, quello orientale e quello occidentale, Benedettino, divennero i canali attraverso cui bizantini e longobardi esercitarono il loro potere.La civiltà greca affiancò, la latina. Alcuni aspetti della cultura greca influenzarono la vita e le abitudini della popolazione indigena, senza provocare un radicale e profondo cambiamento del loro carattere latino.Latina la lingua, longobardo il diritto, “romano” il clero.Le influenze della civiltà bizantina contribuirono a rendere più ricca di contenuti la civiltà del Mezzogiorno d’Italia latino, successivamente vivificato dai Normanni. Questi ultimi, adottando una politica di tolleranza, agirono, nel corso dell’XI secolo, da catalizzatore tra le due culture e si posero come i diretti e legittimi continuatori della civiltà occidentale.Numerosissimi gli affreschi che ornano le oltre 150 chiese rupestri presenti nel territorio materano.Differenti per stile ed epoca accompagnano il visitatore nell’excursus storico-artistico della città e della regione. Unicum nel panorama artistico della pittura parietale rupestre in cui la contrapposizione tra il dipingere liberamente un’ampia parete ed il ripetere tipizzati gruppi iconografici nelle nicchie absidali trova l’amalgama stilistico in un’identica forza espressiva e nel continuo ricamo floreale che avvolge e sostiene le singole figurazioni. L’intero ciclo di affreschi denuncia una chiara mano latina, per il semplice linearismo di sapore provinciale.

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