Dall Italia e dal Mondo- Pagina 30

Cina ed Europa tra Seicento e Settecento

LA TESTIMONIANZA DEI RELIGIOSI

Due conferenze all’interno del progetto Alternanza Scuola-Lavoro 2019 dell’Istituto Confucio dell’Università di Torino

L’Istituto Confucio dell’Università di Torino, all’interno del progetto di Alternanza scuola Lavoro per il 2019, presenta due conferenze dedicate ad altrettante figure di religiosi fondamentali per le relazioni Europa – Cina tra il ‘600 e il ‘700: Teodorico Pedrini (Fermo 30 giugno 1671 – Pechino 10 dicembre 1746), missionario in Cina e musicista; Prospero Intorcetta (Piazza Armerina 1626 – Hangzhou, Cina 1696) è stato un missionario e gesuita italiano primo a tradurre in Europa le opere di Confucio.

Martedì 2 aprile è prevista la conferenza “La Cina e l’Europa tra Seicento e Settecento. La testimonianza dei religiosi e la figura di Teodorico Pedrini”.

Due i panel:

·       “Teodorico Pedrini: missionario e musicista nella Cina del Settecento” a cura di Fabio G. Galeffi e Gabriele Tarsetti – Centro Studi Teodorico Pedrini

·       “I primi imperatori Qing e la tolleranza religiosa” a cura di Monica De Togni – Università degli Studi di Torino

Fabio Galeffi e Gabriele Tarsetti sono due ricercatori indipendenti di Fermo, la città natale del missionario e musicista Teodorico Pedrini. Insieme hanno costituito, nel 2005, il Centro Studi Teodorico Pedrini (www.teodoricopedrini.it), con lo scopo di approfondire la ricerca e di costruire un patrimonio di documentazione permanente sulla figura del missionario fermano. Da allora hanno raccolto circa 200 documenti anagrafici su di lui e sulla sua famiglia e reperito circa 620 lettere e relazioni, in originale o in copia, attribuibili a Pedrini, tali da costituire quello che è uno dei più corposi epistolari missionari oggi conosciuti. Il loro primo volume organico e sistematico, da poco edito, “Son mandato à Cina, à Cina vado – Lettere dalla missione 1702 – 1744”, (Macerata, Quodlibet, 2018) è la prima monografia, del genere ”epistolario” pubblicata su Teodorico Pedrini.

Monica De Togni è professore associato di Storia dell’Asia Orientale presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. In questa università, nel 2013 e 2014, ha ricoperto il ruolo di vicepresidente del corso di Lingue e culture di studi asiatici e africani. Al momento, le sue ricerche mirano a capire se e come la proposta pacifista sia stata presa in considerazione e abbia trovato un’adesione in Cina durante il XX secolo, con un’attenzione particolare per la prima metà del secolo. In passato, si è occupata delle istituzioni di autogoverno alla fine della dinastia Qing e all’inizio del periodo repubblicano, guardando all’attuazione effettiva delle ultime riforme di Qing nella provincia del Sichuan e alle continuità e discontinuità di questa implementazione durante gli anni successivi della Repubblica.

Lunedì 8 aprile è prevista la conferenza “La Cina e l’Europa tra Seicento e Settecento. La testimonianza dei religiosi e la figura di Prospero Intorcetta”. Ad aprire l’incontro il Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici e membro del Board dell’Istituto Confucio, Prof. Donato Pirovano.

Due i panel:

·       “L’avventura dei Gesuiti in Cina e il suo impatto sulla cultura europea” a cura di Stefania Stafutti – Università degli Studi di Torino

·       “Come Confucio parlò latino: Prospero Intorcetta mediatore culturale e linguistico” a cura di Rodney Lokaj e Alessandro Tosco – Università degli Studi di Enna “Kore”

La professoressa Stefania Stafutti è direttrice dell’Istituto Confucio di Torino, ordinario di Lingua e Letteratura Cinese dell’Università di Torino e Delegato del Rettore per le Relazioni Internazionali con la Cina. Stefania Stafutti traccerà i momenti salienti della presenza dei Gesuiti in Cina ed evidenzierà l’influenza sulla cultura europea dei loro scritti e delle loro testimonianze, nonché le impronte che essi lasciarono nell’ambito della cultura cinese.

Il professor Rodney Lokaj si è formato fra Melbourne, Perugia, Edimburgo e Roma, in quest’ultima città sotto l’egida del filologo classico e dantista, Giorgio Brugnoli e dove, alla “Sapienza”, Lokaj è stato professore a contratto per più di un decennio di latino medievale e umanistico. Visiting professor a Oxford, Bristol e Berkeley, California, attualmente è professore associato di filologia italiana all’Università di Enna “Kore”. Alessandro Tosco si è laureato in Lingua e letteratura cinese presso l’Università degli Studi di Torino; nello stesso Ateneo ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Studi Euro-Asiatici. Ha perfezionato lo studio del cinese presso la Beijing Languange and Culture University e la East China Normal University of Shanghai. Nel 2014 ha vinto una borsa di studio per “Nuovi Sinologi” elargita da Hanban / Confucius Institute Headquarters. Attualmente è ricercatore di Lingua e letteratura cinese presso l’Università degli Studi di Enna “Kore”.

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DOVE E QUANDO

Martedì 2 aprile 2019 ore 10.00 – 13.00 Aula Magna, Palazzo del Rettorato, via Verdi 8 Torino.

Lunedì 8 aprile 2019 ore 10.30 – 13.30 Aula Magna, Palazzo del Rettorato, via Verdi 8 Torino.

Ingresso libero fino ad esaurimento posti.

INFORMAZIONI

Per informazioni: 011 670 39 13 / segreteria@istitutoconfucio.torino.it

Morte sulle strade: vittime una diciottenne e un ventenne

DALLA PUGLIA 
Due giovani sono morti e un terzo ragazzo è rimasto gravemente ferito in un incidente stradale la scorsa notte nei pressi di Bitonto. Per cause da accertare, il giovane alla guida di una Fiat Punto Evo ha perso il controllo  sfondando il guard rail in una curva. L’auto è poi finita in una scarpata ribaltandosi. Hanno perso la vita un ragazzo poco più che ventenne e una diciottenne. Un terzo giovane è stato soccorso da un’ambulanza del 118 e trasferito al Policlinico in gravi condizioni. A dare l’allarme una coppia di amici che viaggiava su un’altra auto.

Ragazzina 15enne ubriaca a scuola. I compagni di classe la legano, la prendono a calci e le dipingono la faccia

DALLA TOSCANA
Invece di soccorrerla, una decina i ragazzi del liceo artistico di Pistoia avrebbero bullizzato una loro compagna ubriaca. La preside ha annunciato provvedimenti severi. La ragazza di 15 anni aveva portato a scuola  alcune bottiglie di alcolici e superalcolici, poi ha bevuto e si è sentita  male. Secondo la preside, in giardino i compagni di classe, anzichè aiutarla, le hanno dipinto la faccia, tirato acqua e presa a calci e l’hanno legata, mettendole  lo scotch sulla bocca.

ITALIA QUART'ULTIMA IN EUROPA PER L'USO DI INTERNET

I dati Eurosat rilevano che gli italiani si sono piazzati solo quart’ultimi in Europa per l’impiego di internet, con il 74% di connessioni rispetto all’85% degli europei. Il web è utilizzato dagli italiani soprattutto per le email (57%), per vedere video (52%) e per i social network(46%). Gli  europei nel complesso usano internet in particolare per la posta elettronica (73%), poi per cercare informazioni su beni o prodotti (70%), per guardare video (57%) e social (56%).Sono i danesi  i più in rete d’Europa  con il 98% di utenti tra i 16 e i 64 anni) seguiti da lussemburghesi (97%) e olandesi (95%), invece i più disconnessi dei 28 Paesi sono i bulgari (65%).

AMBIENTE. ANCONA E LE MARCHE, NUOVA VITA PER GLI OLI INDUSTRIALI USATI

La tappa marchigiana del road show CircOILeconomy, promosso dal CONOU insieme a Confindustria, ha fatto il punto sulle opportunità, per gli imprenditori, di ottimizzare i sistemi di raccolta degli oli industriali usati

 L’incidenza ambientale ed economica del riutilizzo dei materiali di risulta delle attività industriali è oramai un dato di fatto, e non fanno eccezione gli oli usati che originano da molte lavorazioni che si svolgono all’interno delle imprese. Per questo è opportuno svolgere un’azione di aggiornamento costante dei detentori di questo rifiuto circa le norme e le tecniche che permettono un corretto stoccaggio dell’olio. Un intervento che, se per un verso supporta i produttori nell’adempimento delle regole vigenti, dall’altro contribuisce a rendere più efficiente il processo di rigenerazione incrementando la resa di produzione di olio base rigenerato. Su questo principio si basa l’iniziativa dal titolo CircOILeconomy, fortemente voluta dal CONOU, il Consorzio Nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati, e Confindustria. Dopo Rimini, Mestre e Brescia l’iniziativa ha fatto tappa ad Ancora, presso la sede della rappresentanza di Confindustria Marche Nord, dove i referenti tecnici del Consorzio e i rappresentati di Confindustria hanno accolto molti imprenditori titolari di aziende del territorio detentrici degli oli usati. I dati diffusi nel corso della manifestazione offrono efficacemente la misura dell’attività svolta sul territorio. Nel 2018, infatti, nel distretto di Ancona, sono state raccolte circa 1.547 tonnellate di olio usato industriale. Per quanto riguarda il territorio regionale va anche citato il dato riferito al distretto di Pesaro/Urbino che si attesta su una raccolta che, per il 2018, è stata di 229 tonnellate. Tutto il materiale raccolto è stato avviato al riciclo tramite rigenerazione, con un conseguente e significativo risparmio sulle importazioni di petrolio del Paese e sulle emissioni di CO2. Negli ultimi anni, rispetto ai quantitativi di olio lubrificante usato immessi al consumo in Italia, il peso del settore industriale ha assunto un’importanza crescente. Per questo motivo il CONOU ha dato vita a una campagna itinerante che sta attraversando l’Italia per incontrare le imprese proponendosi come loro interlocutore privilegiato. Il roadshow, grazie alla collaborazione con le rappresentanze regionali di Confindustria, proseguirà nei prossimi mesi il suo itinerario nelle principali città italiane (www.conou.it). Per le imprese, diventare ‘ambasciatrici’ di buone pratiche di gestione si traduce anche in vantaggi sotto forma di brand reputation, affidabilità e nuove opportunità di business: praticare scelte attente all’ambiente e alla sostenibilità economica facilita i rapporti con le istituzioni, la pubblica amministrazione e le associazioni del settore. “Il tessuto produttivo delle provincie di Ancona e Pesaro – ha dichiarato Salvatore Giordano, Direttore Generale di Confindustria Marche Nord – è rappresentato in larga parte da industrie manifatturiere, in particolare del settore meccanico, che continua ad essere un grande utilizzatore di oli usati industriali. Abbiamo dunque accolto con grande piacere la tappa marchigiana del roadshow promosso da Conou perché ne condividiamo gli obiettivi: anche a livello locale come Confindustria siamo in prima linea su tutti i temi che riguardano l’economia circolare perché riteniamo che sia sempre più un fattore centrale per il benessere diffuso ma anche per la competitività delle industrie, come ha recentemente affermato Claudio Andrea Gemme (Presidente del Gruppo Tecnico Industria e Ambiente di Confindustria e firmatario del Protocollo d’intesa con Conou). Contribuire a formare gli imprenditori che hanno a che fare con un rifiuto complesso da gestire, eleverà ulteriormente l’efficacia di una filiera già molto performante”. “È inscritta nel DNA del Consorzio l’esigenza di promuovere, in ogni ambito della vita civile, l’idea che solo procedendo ad una profonda rivoluzione culturale ispirata ai principi della sostenibilità economica e ambientale delle attività industriali si possa sperare di consegnare alle prossime generazioni un ecosistema ancora vivo e vivibile – sottolinea Riccardo Piunti, Vice Presidente del Conou -. Con CircOILeconomy noi vogliamo contribuire a tradurre in fatti concreti questo passaggio di visione, in particolare per quanto riguarda gli oli industriali usati, nella certezza di trovare accoglienza e rispondenza nei nostri interlocutori che possono individuare nel CONOU il giusto alleato per trarre vantaggio da una corretta gestione di questo rifiuto”.

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Il CONOU

Il CONOU, che raggruppa 72 imprese di raccolta e 3 impianti di rigenerazione, dal 1984 a oggi ha raccolto 5,7 milioni di tonnellate di olio lubrificante usato, ne ha avviato a rigenerazione 5,1 milioni consentendo un risparmio sulle importazioni di petrolio di circa 3 miliardi di euro. Sotto la guida del Presidente Tomasi dal 2003, ha continuato la sua progressione d’eccellenza diventando un esempio virtuoso di economia circolare non solo a livello nazionale. Solo nel 2018 sono state raccolte oltre 189mila tonnellate di lubrificante usato, ancora una volta in crescita   rispetto all’anno precedente. Numeri che, in questo ambito, collocano l’Italia ai massimi livelli europei e internazionali. In particolare, i risultati ottenuti nel campo della rigenerazione assegnano al nostro Paese la leadership del processo di ri-raffinazione di oli usati anche in virtù della presenza di alcune importanti realtà industriali tecnologicamente all’avanguardia nel settore. Tutti questi traguardi, sono stati raggiunti anche grazie a una continua e capillare attività di formazione e informazione svolta sul territorio. In 35 anni di attività, infatti, il Consorzio ha sempre investito energie e risorse nella formazione di tutti gli attori coinvolti con lo scopo di sensibilizzare e sostenere ogni anello della catena in grado di contribuire al successo della filiera. 

Nel 2050 in Russia ci saranno solo musulmani

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re
Moschee e minareti al posto di chiese e cupole? La Russia si avvia davvero verso una piena islamizzazione?
C’è preoccupazione ai vertici del Cremlino e nella Chiesa ortodossa dopo aver appreso i risultati di una ricerca secondo cui il 30% della popolazione russa sarà islamica entro i prossimi 15 anni. Lo sostiene il presidente del Consiglio dei muftì di tutta la Russia, Ravil Gainutdin, che cita le previsioni di esperti. I fedeli dell’islam aumenteranno molto per ragioni demografiche, economiche e migratorie. Le repubbliche del Caucaso e del Tatarstan sono quelle a maggioranza islamica e sono anche quelle che hanno i più alti tassi di natalità nella Federazione russa. Le stime più recenti indicano che i musulmani in Russia sono tra i 14 e i 20 milioni di persone, tra il 10 e il 14% dei residenti, che nel 2018 erano quasi 150 milioni. Il cambiamento demografico, prevedono i demografi, è già in atto e non sarà senza conseguenze. La crescita degli islamici porterà alla costruzione di decine di nuove moschee nelle maggiori città del Paese. Ma la guida spirituale dei musulmani sostiene anche che i russi cristiani sono destinati a scomparire entro il 2050. Non parla di dati esagerati neppure il presidente della Commissione patriarcale per la protezione della famiglia e dell’infanzia, il religioso ortodosso Dimitri Smirnov, secondo cui lo scenario sarà più o meno così: i musulmani metteranno al mondo più figli. I ceceni, per esempio, hanno otto figli per famiglia. E così facendo, dopo il 2050 ceceni, arabi, daghestani e ingusci vivranno in Russia al posto dei cristiani.
 

Il genocidio dei cristiani

FOCUS INTERNAZIONALE / STORIA    di Filippo Re
Siamo sicuri che il genocidio degli armeni sia avvenuto in Turchia solo tra il 1915 e il 1916? Quel biennio di atrocità è stato un evento isolato? No, rispondono due storici israeliani, la tragedia cominciò nell’Ottocento e proseguì fino agli anni Venti del nuovo secolo. Si trattò di un vero progetto di “decristianizzazione” per creare un nuovo Stato islamico senza cristiani, fu pianificato dal sultano Abdul Hamid II e in seguito dai Giovani Turchi e dallo stesso Ataturk, fondatore della nuova Turchia repubblicana che ancora oggi nega il genocidio. La storiografia esistente sul genocidio turco degli armeni si arricchisce di un nuovo studio che intende sottolineare che il piano di sterminio di armeni, assiri e greci nacque verso la fine dell’Ottocento per protrarsi fino ai primi anni della nuova Repubblica turca. Non fu pertanto un atto isolato tra il 1915 e il 1916 ma parte di un più ampio attacco ottomano e repubblicano contro i cristiani tra il 1894 e il 1924. E’ questa la tesi riportata nel libro “Il genocidio dei cristiani, la guerra dei turchi per creare uno Stato islamico puro” (Rizzoli), degli storici israeliani Benny Morris e Dror Ze’evi, dopo ricerche durate quasi dieci anni negli archivi turchi, tedeschi, inglesi, americani e francesi. Un’opera monumentale, 800 pagine, che documentano nei dettagli l’annientamento delle comunità cristiane dell’Impero, armeni in particolare, ma anche assiri e greci, deportati e uccisi con intere famiglie mentre chiese e scuole cristiane venivano date alle fiamme. Una follia omicida che andava attuata subito perchè, secondo i turchi, le minoranze cristiane erano in grado di mettere in pericolo l’unità dello Stato attraverso rivolte appoggiate e armate da nazioni straniere. Gli armeni erano in sostanza considerati una quinta colonna nell’Impero agonizzante, pronta ad aiutare i nemici dei turchi e pertanto da eliminare. Con questo pretesto gli Ottomani misero in atto un piano di pulizia etnica ideato dal sultano Abdul Hamid II nell’ultima decade dell’Ottocento, proseguito dal movimento dei Giovani Turchi e dal governo repubblicano di Ataturk. Tra il 1894 e il 1924 si contarono tra il milione e mezzo e i due milioni e mezzo di cristiani uccisi da turchi, curdi, ceceni e arabi in nome dell’islam e di una terribile pulizia etnica. I massacri compiuti contro i cristiani non si possono spiegare solo con la volontà del sultano di reprimere con violenza le rivolte delle minoranze o ritenere il genocidio armeno del 1915 un terribile crimine provocato dal contesto bellico e ancora considerare la pulizia etnica del 1919-1924, che ha provocato centinaia di migliaia di morti, come una conseguenza della sanguinosa guerra turca di liberazione nazionale. Gli autori del libro non attribuiscono le atrocità compiute a un’unica ideologia aberrante o a un singolo dittatore perchè, secondo la loro tesi, l’eccidio degli armeni avvenne sotto regimi diversi (un sultano, i Giovani Turchi e i nazionalisti di Ataturk) e fu unito da un orrendo filo rosso, annientarli comunque e sempre. Quei trent’anni segnarono l’inizio di un autentico progetto di sterminio per liberarsi definitivamente dei cristiani e fondare uno Stato puro e compatto dal punto di vista religioso. “L’indagine condotta, scrivono Benny Morris e Dror Ze’evi, ci ha mostrato in che modo i turchi, prima sotto Abdul Hamid II, poi sotto i Giovani Turchi e infine sotto Ataturk, siano arrivati a considerare i cristiani d’Anatolia un pericolo per la sopravvivenza dello Stato, perchè abbiano stabilito di sbarazzarsi di loro e come abbiano portato a termine il proprio proposito in un processo durato tre decenni”. Pertanto i tre periodi storici non devono essere isolati proprio perchè sono saldamenti legati dall’obiettivo unico di arrivare allo sterminio dei cristiani. “Dall’analisi delle fonti, aggiungono i due storici, risulta chiaro che distaccare questi tre eventi contribuisce soltanto a offuscare i contorni di quel progetto unitario elaborato dai turchi ed evolutosi nel tempo”. Gli autori non risparmiano pesanti accuse neanche a Mustafa Kemal Ataturk, fondatore della Turchia moderna e laica, che volle l’eliminazione degli ultimi armeni rimasti in vita e la cacciata dall’Anatolia di centinaia di migliaia di greci e di assiri. Sconcertanti ma assai significative risultano le numerose testimonianze di diplomatici occidentali e missionari secondo i quali Ataturk affermò più volte, davanti a loro, che sognava una Turchia senza cristiani. Gli autori del libro sono Benny Morris, noto storico israeliano che insegna all’Università Ben-Gurion del Negev di Beersheba ed è autore di molti libri sul Medio Oriente e sulla questione israelo-palestinese e Dror Ze’evi che insegna nella medesima Università dove ha fondato il dipartimento di studi sul Medio Oriente. Non solo Ankara continua a negare il genocidio ma un comitato di esperti dell’Istituto nazionale di storia turca è al lavoro per preparare 25 volumi al fine di confutare le terribili accuse rivolte alla Turchia.

Trentenne uccide la zia a coltellate

DALL’EMILIA ROMAGNA
E’ stato convalidato l’arresto del trentenne Mohammed El Fathi che  venerdì  a Finale Emilia avrebbe ucciso con numerose coltellate la propria zia, all’interno dell’abitazione della donna. La detenzione cautelare nel reparto ospedaliero di diagnosi e cura, per i problemi di natura psicologica dell’indagato, è stata disposta dal giudice. 

La Siria e il "disimpegno" Usa

FOCUS INTERNAZIONALE    di Filippo Re
É un ritiro per restare quello degli americani che difficilmente se ne andranno dal Levante, soprattutto ora che nella regione sono presenti gli eserciti più potenti del mondo. E comunque, in caso di ritiro totale dalla Siria, sposteranno la loro presenza militare nelle basi nel vicino Iraq da cui potranno tranquillamente monitorare la situazione in tutta l’area
Per il momento restano 200 soldati americani nel teatro siriano per far felici gli alti comandi militari, scossi e preoccupati dalla iniziale decisione di Trump di ritirare quanto prima i marines dalla Siria. Un annuncio ritenuto affrettato e prematuro perchè, nonostante i proclami del presidente americano che sostiene di aver sconfitto al 100% gli estremisti islamici, l’Isis e il resto della galassia islamista rimangono una significativa minaccia malgrado la totale sconfitta militare. Un rapporto degli osservatori dell’Onu ha subito smentito l’entusiasmo di Trump facendo notare che, secondo le loro stime, tra Siria e Iraq vi sono ancora circa 15.000 combattenti, di cui almeno 3000 sono stranieri, pronti a resistere e a reagire con attacchi armati e attentati. Gran parte dei miliziani si starebbero trasferendo nei deserti siriani e iracheni per unirsi ad altri gruppi estremisti sunniti con l’obiettivo di sopravvivere e risorgere per tornare a colpire con la guerriglia. Le cifre della ferocia del defunto Califfato, secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), sono impressionanti: oltre 6000 condanne a morte per impiccagione e decapitazione, bambini compresi, sono state eseguite dall’Isis in Siria in cinque anni. Le province coinvolte sono quelle di Deir ez Zor, Raqqa, Aleppo, Homs, Hama, Damasco e Hassakè. A Raqqa è stata rivenuta, un anno dopo la riconquista della città, la più grande fossa comune dell’Isis con oltre 3500 corpi sepolti. Ma non è l’unica, altre fosse comuni sono state individuate nei pressi dell’ex roccaforte siriana del Califfato. Secondo il Pentagono il movimento jihadista è stato tutt’altro che spazzato via e sarebbe in grado di far rinascere almeno in parte il Califfato nel giro di un anno. In una situazione così ingarbugliata l’Isis potrebbe riorganizzarsi. Un dossier presentato dal Mossad, i servizi segreti di Israele, sostiene che l’ex Stato islamico può ancora contare su 150-200.000 tra “combattenti, simpatizzanti e potenziali terroristi islamici” nel mondo. Non meno preoccupante per gli israeliani è la presenza militare delle forze iraniane in Siria che, stando a fonti militari di Gerusalemme, comprenderebbe tra 2000 e 5000 membri della Forza Quds e 90.000 miliziani siriani sottoposti al comando iraniano. Ma sul terreno i nodi da sciogliere sono ancora tanti. Dopo la caduta di Baghuz, l’ultima roccaforte delle bandiere nere dell’Isis, nella Siria sud-orientale, restano aperte le questioni della regione curdo-siriana e di Idlib, entrambe assai complicate e con possibili ripercussioni politiche internazionali. Nonostante siano stretti alleati russi e turchi sembrano non fidarsi troppo uno dell’altro. Il futuro della Siria è visto in modo diverso da Mosca e da Ankara dopo l’annunciato ritiro americano ma per il momento l’importante è non pestarsi troppo i piedi. Sia lo zar che il sultano hanno ambizioni imperiali nel Vicino Oriente e forti interessi geostrategici. Al recente vertice di Sochi sul Mar Nero i russi hanno soddisfatto solo in parte le richieste della Mezzaluna. Ankara pretende una zona di sicurezza anti-curda nel nord-est lungo la frontiera con la Siria. Putin, alleato di Assad, non è del tutto contrario ma ritiene necessario il consenso del rais di Damasco, restio però a concedere una fetta del proprio territorio al nemico turco e forte del sostegno dell’ayatollah Khamenei che pochi giorni fa ha incontrato Assad a Teheran. Non si esclude tuttavia che si arrivi a un compromesso barattando magari la striscia di sicurezza con qualche concessione turca a Idlib verso russi e siriani. Dal nord-est del Paese fino a Manbij e Idlib nel nord-ovest, la Siria sembra un grande cantiere avviato verso la spartizione tra grandi potenze e potenze regionali. Le città di Manbij e Idlib sono lo specchio della divisione del territorio in sfere di influenza. La tensione è palpabile a Manbij, tra Aleppo e la riva occidentale dell’Eufrate, nel nord del Paese, non lontano dal confine con la Turchia, dove sono presenti truppe americane, russe, turche e siriane a cui si aggiungono le milizie curde che amministrano il centro abitato. A metà gennaio un kamikaze dell’Isis si fece esplodere davanti a un ristorante uccidendo quattro militari americani e undici civili. La città di Manbij era stata occupata nel 2013 dai jihadisti dello Stato islamico e liberata tre anni fa dalle forze curde appoggiate da truppe speciali e raid aerei americani. I turchi minacciano di occupare Manbij e chiedono che i curdi si ritirino a est dell’Eufrate ma i russi frenano i piani di Erdogan. Le controffensive curde contro l’Isis hanno permesso ai combattenti peshmerga non solo di cacciare i soldati del Califfo ma anche di occupare un territorio ben più ampio della tradizionale regione curda. La preoccupazione maggiore di Erdogan è che l’allargamento del territorio curdo in Siria possa rafforzare l’obiettivo di puntare a una nazione curda a cavallo tra Turchia, Siria e Iraq. Ben presto i curdi dovranno vedersela con il regime di Damasco che intende riprendere il controllo delle zone orientali ricche di petrolio e gas e con le minacce di intervento militare provenienti dalla Turchia. Idlib è l’altra città, a nord-ovest della Siria, nelle mire di russi, turchi e iraniani. Ma qui bisogna fare i conti con le fazioni di al Qaeda che hanno costituito una sorta di emirato e controllano un’ampia fetta del governatorato di Idlib, fuori dal controllo dei governativi siriani e sotto l’influenza dei turchi e di gruppi loro alleati. L’improvvisa avanzata dei qaedisti sta mettendo a rischio centinaia di migliaia di civili sostenuti dagli aiuti di varie organizzazioni umanitarie. Ma non c’è pace neppure ad Aleppo, i cui quartieri occidentali vengono ancora raggiunti da missili provenienti dalla zona di Idlib mentre nella parte orientale di Aleppo, rasa al suolo dalla guerra, la ricostruzione stenta a decollare. Una situazione che continua preoccupare la minoranza cristiana sempre più intenzionata a lasciare la Siria in cui i cristiani oggi non sono più del 2-3% mentre prima della guerra erano circa il 10% della popolazione.

Dal settimanale “La Voce e il Tempo”

 
 
 
 

La "mezzaluna" del croissant e il "kapuziner" viennese

Correva l’anno 1683 quando Vienna – capitale dell’Impero d’Asburgo – venne circondata dalle truppe ottomane che, partite da Istanbul, serravano l’Europa in una morsa dalla  Spagna fino ai Balcani. La battaglia che ne conseguì  divenne il punto di svolta, a favore degli europei, nelle guerre austro-turche, segnando l’arresto della spinta espansionistica ottomana nel continente.

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E questa, come s’usa dire, è la storia.  L’evento fu accompagnato da tante leggende e alcune di queste sono davvero curiose. Le due parti in lotta basarono le sorti dello scontro anche sulla disponibilità delle scorte alimentari. L’assediato cercava di demoralizzare gli assedianti sfoggiando le provviste come se ne disponesse in abbondanza mentre gli assedianti,  a loro volta, per sfiancare l’avversario, cercavano di  tagliare  le vie di rifornimento ai generi alimentari di prima necessità. Si narra che i viennesi, per intaccare il morale dei turchi, s’ingozzavano platealmente con paste a base di burro e farina.  Erano i kipferl , gli antenati dei croissant, modellati a mezzaluna, molto simili al simbolo delle insegne arabe. Una scelta, quella della forma, voluta dai fornai viennesi per sbeffeggiare le insegne ottomane e festeggiare lo scampato pericolo e la croissant-2vittoria. Un’idea tanto semplice quanto straordinaria fino al punto di  condizionare abitudini e gusti culinari di mezza Europa. La ricetta e il nome del croissant ( “crescente”, come la luna)  per come è giunta a noi  trae origine dalla Francia dove, nel 1736,  un ufficiale austriaco –  August de Zong –  importò l’arte della pasticceria viennese, compresa la preparazione dei famosi kipferl, aprendo una Boulangerie Viennoiseal numero 92 della parigina rue de Richelieu. Un vero successo va comunque sudato e il croissant dovette attendere un bel po’ ( fino al 1891)  prima di essere menzionato in un libro di ricette e ancor oltre (nel 1938 ) per fare la sua comparsa ufficiale sul testo fondamentale della cucina francese: la croissant3Larousse gastronomique. Così, con tenacia e perseveranza, sbocconcellato o divorato in quattro e quattr’otto,  il croissant si è  fatto largo nella parte più dolce dell’arte culinaria. Le leggende legate alla battaglia di Vienna non si esauriscono nei panetti a mezzaluna ma ci raccontano anche di come i turchi , ormai in fuga, si lasciarono alle spalle le loro scorte di caffè. Un ufficiale polacco di origini ungheresi – Jerzy Franciszek Kulczycki –  apprezzando l’aroma dei chicchi che bruciavano negli incendi della  battaglia, decise di utilizzare  i sacchi di caffè abbandonati dall’esercito ottomano per aprire la prima caffetteria viennese, una rarità nell’Europa del tempo. Altra storia è quella che indica lo scontro consumatosi sul Monte Calvo come un’occasione in qualche modocroissant1 decisiva anche per l’invenzione del “cappuccino”, intestandola a Marco da Aviano, frate dell’ordine dei cappuccini, inviato dal Papa a Vienna con l’obiettivo di convincere le potenze europee ad una coalizione contro i Turchi che stavano assediando la città. Pare che durante il soggiorno viennese il religioso entrò nella già citata caffetteria e, gustando un caffè dall’aroma piuttosto deciso, chiese un po’ di latte per addolcirlo . Chi lo servì esclamò “Kapuziner!” , guardando lo strano intruglio bevuto dal frate. Vero o falso, storia o leggenda che sia, resta un fatto: prendere al mattino un cappuccino – o anche un caffè – con un croissant , equivale ad un ottimo avvio di giornata.

Marco Travaglini