Dall Italia e dal Mondo- Pagina 15

Carnaval es carnaval!

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Quando si pensa al Brasile le prime immagini che vengono in mente sono relative alla Città di Rio de Janeiro: le lunghe spiagge bianche di Copacabana e Ipanema, una partita di beach volley sulla spiaggia di Leblon con, sullo sfondo, la favela di Vidigal, a strapiombo sul mare e lievemente appoggiata sul fianco della Pedra dei dois irmão, l’immagine del Cristo Redentore, che guarda la città dall’alto e con le sue larghe braccia aperte è sempre pronto a stringerla a sè; il Pão de Açúcar che si affaccia sulla baia di Guanabara, magari la canzone “Sereia” di Lulu Santos ad accompagnare queste immagini e, per gli amanti del calcio, tornano alla mente le immagini televisive del caloroso tifoso della colorata torçida carioca sugli spalti del Maracanà, il luogo simbolo del calcio latino americano, intenta a ballare, cantare e tifare per una delle squadre della capitale carioca, Flamengo, Botafogo, Fluminense, Vasco da Gama, Bangu, solo per citarne alcune, se non per tifare direttamente la Seleçao, ovvero la nazionale verdeoro brasiliana.

La bellezza di tutto questo è che, in qualunque periodo dell’anno si vada a Rio, si ha la possibilitàdi riempirsi gli occhi ed il cuore di queste immagini.

La città di Rio de Janeiro è anche famosa per uno spettacolo che si può vivere solo per poco più di un mese l’anno e precisamente solo all’inizio dell’anno, ed è il Carnevale.

La tradizione del Carnevale è una forma di festeggiamento di massa instaurato dai Greci in onore del dio del vino. I Romani ne seguirono l’esempio con le festività in onore di Bacco ed i Saturnalia, giornate in cui gli uomini passavano giornate di baldoria onorando Bacco e seguendo la tradizione di scambiarsi i vestiti e quindi travestirsi. La Chiesa cattolica ne fece successivamente una festività che anticipa il Mercoledì delle Ceneri, ovvero il primo giorno di Quaresima per il calendario cristiano. Il termine Carnevale infatti deriva dal termine “carne vale” il cui significato rappresenta l’addio alla carne. Questo perchè anticipa il periodo dei quaranta giorni di privazione dal consumo di carne, alcolici e piaceri mondani. La tradizione narra che il Carnevale di Rio sia stato influenzato da Entrudo, un festival portoghese. Il primo ballo durante il Carnevale si tenne nel 1840 ed i balli caratteristici erano il valzer e la polka, la samba, invece, declinata al femminile perchè la samba è donna, ed è   un ballo tradizionale del Carnevale carioca introdotto ad inizio del ‘900.

I festeggiamenti di Carnevale sono più lunghi di quanto voi possiate immaginare in quanto iniziano immediatamente dopo l’Epifania. Bisogna però ben distinguere i festeggiamenti per l’attesa del Carnevale, che consistono in feste ed eventi organizzati negli hotel e locali in giro per la città nei fine settimana, alcuni direttamente nelle scuole di samba presenti in ogni quartiere o favela come, ad esempio Mangueira Portela o Villa Isabel, ed i festeggiamenti che raggiungono il culmine durante il fine settimana antecedente il mercoledì delle Ceneri, ovvero dal venerdì precedente al Martedì Grasso. In questo caso, innanzitutto, vengono chiusi per una settimana uffici, scuole, banche e, per quattro giorni, le attività commerciali, ad eccezione di quelle che si occupano di ristorazione come ristoranti e bar. Perchè Carnevale è Carnevale, e si parla di una settimana di festa cittadina per tutti.

La città si ritrova completamente paralizzata dal traffico, non che il traffico aumenti in quei giorni, il traffico è sempre lo stesso, ma hanno libera espressioni i “blocos da rua”, gruppi di persone principalmente di giovanissima e giovane età che raggiungono le migliaia, legate ad un particolare quartiere che sfilano, suonando, vestiti con i più svariati travestimenti per il quartiere o che raggiungono i più grandi punti di incontro, quali giardini piazze o incroci, per suonare, ascoltare musica, ballare sulle note delle canzoni delle scuole di samba e onorare Bacco dalla mattina fino a notte inoltrata. Tutto questo ha luogo in piena estate per il Brasile con temperature che, di giorno, raggiungono abitualmente i 40 gradi ed una umidità degna di un paese tropicale. Ogni giorno, durante il Carnevale, si contano fino a cento “blocos da rua” concentrati nella zona Centro e Lagoa. Questo comporta che numerose strade, viali e piazze vengano chiuse ed il traffico dirottato su percorsi alternativi, ma decisamente più lunghi, cosìda portare il tempo di percorrenza per un percorso di mezz’ora fino a due ore o mezza, ma Carnevale è Carnevale!

I festeggiamenti del fine settimana di Carnevale iniziano con il “baile do Sarongue” il giovedì sera in cui il requisito unico per entrare è essere travestiti e su questo l’organizzazione e lo staff sono intransigenti; venerdì sera le feste organizzate negli hotel e locali sono innumerevoli e c’è l’imbarazzo della scelta; il sabato sera, invece, ha luogo la massima espressione di festa mondana della capitale carioca: il “Baile do Copa” presso l’Hotel Copacabana, il cui architetto è lo stesso dell’Hotel Negresco di Nizza, festa nota in quanto non solo a tema diverso ogni anno (gli ultimi son stati Italia, Gipsy e Geisha), ma molto esclusiva per la partecipazione di attori e personaggi dello spettacolo e della moda internazionali, rappresentanze diplomatiche e rappresentanti della politica brasiliana ed estera. Fino allo scorso anno garantiva la sua presenza fissa Karl Lagerfeld, invece continua a presenziare da anni Vincent Cassel che, da pochi anni, è accompagnato dalla giovane moglie e modella Tina Kunakey.

Il Carnevale, lo spettacolo, quello vero, quello che trasmette emozione, passione, energia, musica e voglia di ballare, lo si può vivere però solo partecipando alla sfilata dei carri dentro il Sambodromo. La sfilata avviene storicamente lungo Viale Marquês de Sapucaí, viale abitualmente usato durante l’anno per la circolazione automobilistica, tuttavia la popolarità e la conseguente partecipazione al Carnevale portò alla costruzione di veri e propri spalti in cemento armato lungo il viale per una lunghezza di circa 800 mt..

La nuova struttura, progettata da Oscar Niemeyer, ha preso il nome di “Sambodromo” ed ospita la Parata di Samba dal 1984. Negli anni si è dovuto ricorrere alla costruzione di ulteriori spalti temporanei verso la zona finale del viale, così da poter soddisfare la sempre maggiore presenta di pubblico.

I fine settimana precedenti al Carnevale le scuole di Samba effettuano dentro il Sambodromo le prove a cui si può partecipare gratuitamente, e decidere quale serie o divisione vedere sfilare perchè, molti non lo sanno, ma qua il Carnevale è una cosa serie e le scuole sono suddivise per categoria. Sfilano tutte nelle notti di domenica e lunedi e rispettivamente le serie minori di giorno, invece le scuole che costituiscono la Coppa dei Campioni sfilano approssimativamente tra le dieci e mezza di sera e le sette di mattina. Le scuole che parteciparanno alla serie maggiore dell’edizione 2020 saranno: Mangueira, vincitrice dell’edizione 2019, Salgueiro, Portela, Grande Rio, Beija Flor, Unido da Tijuca, Vila Isabel, São Clemente, Estácio de Sá,Viradouro, P. do Tuiuti, Unida da Ilha, Mocidade.

Ogni scuola di samba decide ogni anno il tema della sfilata ma, soprattutto, ogni anno viene creata una canzone diversa, quello che calcisticamente parlando potrebbe essere definito l’inno della squadra, che tutti imparano e cantano e sulle note di questo ha luogo la sfilata, in cui ogni scuola ha a disposizione 1 ora e 15 minuti da quando il primo carro entra nel Sapucaì a quando l’ultimo passa sotto l’arco illuminato che rappresenta il fotofinish. Sempre più spesso la sfilata di Carnevale rappresenta per le singole scuole un modo per manifestare il dissenso popolare circa le tematiche politiche sociali ed economiche che colpiscono la società, cittadina o brasiliana, o per sottoporre all’attenzione del pubblico problematiche e realtàsociali scomode. Ogni scuola fa sfilare mediamente dagli otto ai dieci carri, e la costruzione di questi può richiedere fino ad un anno, motivo per cui finito il Carnevale si iniziano subito a preparare i carri ed i costumi per quello successivo. Ogni carro poi viene anticipato ognuno da un corpo di ballo che varia tra le trecento e quattrocento persone circa, tutte vestite con costumi che arrivano a pesare fino a 40 kg, a tema con il carro che precedono. Per questo motivo e a causa delle alte temperatura passano in continuazione squadre mediche che offrono da bere agli sfilanti per evitare svenimenti da disidratazione. Tutto questo sfilando in mezzo a due ale di persone che, sommate tra loro, raggiungono un totale di centomila persone, questa è la capienza approssimativa del Sambodromo durante le sfilate.

La spettacolarità dei colori, dell’atmosfera, dell’orgoglio che ogni persona trasmette nell’appartenere alla proprio scuola di samba, dei grandi sorrisi e della gioia che si prova nel momento in cui si sfila lungo l’avenida del Sapucaì, è molto difficile da trasmettere e spiegare, ed ancor più difficile è descrivere l’emozione che si prova ad essere applauditi da oltre centomila persone.

 

Il Sambodromo vi aspetta.

 

 

Emanuele Farina Sansone, dal Brasile

 

“Cara Italia, ti racconto come cambia lo sguardo”

INTERVISTA CON SUSANNA TRIPPA

Sulle orme di Oriana Fallaci: in libreria l’intensa scrittura tra cuore e mente dell’appassionata scrittrice bolognese, da anni in terra lombarda.

In un momento storico di continui cambiamenti, indecisioni e relativismi di ogni genere che fioriscono come funghi, val la pena fermarsi a riflettere. Per capire chi siamo, da dove proveniamo, e, soprattutto, dove stiamo andando. Quale direzione abbiamo intrapreso, e soprattutto quale approdo ci attende.

Per capire, per l’appunto, ‘Come cambia lo sguardo’ (Curcio Editore), alle volte, il più delle volte, occorre guardarsi indietro, alle spalle. E rivolgere l’occhio alla memoria dei ricordi: quelli più sottili, più fragili, forse anche più intimi e personali, ma che, spesso, sono anche i soli in grado di dare una giusta e corretta lettura al passato perché sia di piena utilità alla comprensione del presente.

Proprio come ha saputo fare Susanna Trippa, stimata scrittrice e intellettuale, che nel suo ultimo romanzo approfondisce, sul filo dell’autobiografia mai autoreferenziale né tantomeno celebrativa, i volti, i colori, gli umori, i pensieri, gli stili, le abitudini e gli atteggiamenti di un’epoca – il Sessantotto e i suoi lasciti – che, per certi aspetti, molto ricalca del momento attuale. Ecco che cos’ha raccontato ai nostri microfoni.

Susanna Trippa, dai racconti alla cronistoria autobiografica. ‘Come cambia lo sguardo’, in prospettiva narrativa?

I racconti di CasaLuet sono stati per me il riemergere della Scrittura che, anche se in sordina, era sempre rimasta al mio fianco fin da quando – bambina – m’immedesimavo nel personaggio di Jo in ‘Piccole Donne’. Devono il nome alla buffa casetta in collina dove sono andata a vivere, da quando scrivo. Tranne uno, I tre porcellini – ispirato a un episodio realmente accaduto a mio padre nel corso della seconda guerra mondiale – i racconti sono animati da personaggi che, come dice bene Stephen King, “s’inventano da soli”; e, aggiungo io, “cucendosi addosso ognuno la propria storia”. Come cambia lo sguardo è nato invece scandagliando dentro di me, lasciando con calma che i cassettini dei ricordi si aprissero e rilasciassero sulla sabbia i loro fumi del passato come fa la risacca.

Ognuno di noi lo può fare…

All’inizio pare di non ricordare, e invece la memoria fa riemergere episodi, sensazioni, persone che parevano del tutto dimenticati. Ricordare – dal latino Re-cor-da-re che significa “riportare al cuore” – perché, come scrisse Rudolf Steiner, “Dietro i ricordi sta il nostro Sé”. I miei si sono presentati, li ho trascritti in modo spontaneo, quasi in una sorta di scrittura “automatica”. Già lì mi accorsi che, in quel percorso di formazione – da bambina a donna, e soprattutto attraversando fasi storiche tanto diverse – lo sguardo cambiava, e tanto! Recentemente, una scrittura nascosta tra le righe mi ha chiamato con forza a verificare che lo sguardo era di nuovo cambiato: a quel punto sono nate le Riflessioni iniziali, in cui ho cercato di evidenziare i collegamenti – innegabili direi – tra quel passato, il Sessantotto in particolare, e il momento presente.

Che cos’è stato, per Lei, il Sessantotto?

Ragazza nella rossa Bologna, in quegli anni era quasi fisiologico essere affascinati dall’area del Movimento, farne parte: anche se costantemente da “cane sciolto”, come me. Rincorrevo un ideale di giustizia, e il Sol dell’Avvenir mi pareva incarnarlo. Molto guidava l’emozionalità. Il Sessantotto allora, anche se nato dalla contestazione globale e all’inizio quindi non politico, aveva poi finito per identificarsi con la Sinistra. Per me – e sicuramente non solo per me – significava anche rompere con tanti schemi vecchi che non convincevano più, fare conquiste personali, anche nel privato. A rivedere ora quei tempi… ha voluto dire anche illudersi di essere quasi onnipotenti, di non avere limiti… ha portato al disequilibrio, perché poi ti scontravi con la realtà, e i conti non tornavano. Io ne ero attratta e, allo stesso tempo, il mio sempiterno spirito critico mi faceva sorgere l’ennesimo dubbio. Calandosi poi in ambito strettamente politico, che belle le manifestazioni! Ma poi sentivo urlare “A piazzale Loreto c’è ancora posto!”, e non mi ci ritrovavo. E i compagni del servizio d’ordine mi parevano giocare alla guerra, come i bambini maschi che, nel cortile quando si era piccoli, con la cerbottana infilzavano lucertole.

 Come nasce l’idea di questo libro?

Il racconto autobiografico è nato con spontaneità. Mi sono accorta che mi piaceva molto ricordare, l’ho fatto e ho trascritto. L’idea delle Riflessioni iniziali è invece stata una scelta razionale. Scorgendo tanti e tali collegamenti tra quel passato e l’attualità, ho pensato che la mia testimonianza potesse essere utile. Il che mi fa pensare che non sono cambiata poi tanto: nonostante il mio occhio sia diventato molto critico nei confronti del Sessantotto, inseguo ancora ideali di giustizia.

 Quale, secondo Lei, un episodio cardine del Suo romanzo autobiografico?

Uno all’inizio, nei primi anni Cinquanta. Il ricordo principe della mia infanzia – quando, da piccolissima in un mattino di giugno, m’incantai dinanzi alle campanule screziate di rosa sulla rete del cortile, e mi parve l’Inizio, il primo mattino del mondo. Fu simbolico della meraviglia dell’infanzia – la mia in quel caso – di fronte alla vita. L’altro verso la fine del mio raccontare, quando, nel marzo del “77 mi ritrovai in una Bologna messa a ferro e fuoco dai “kompagni”, con ‘Radio Alice’ che guidava la guerriglia, e la polizia che caricava. Me ne andai, prendendo finalmente le distanze da tutto quel mondo, mentre pensavo: “Davvero ‘Radio Alice’ pensa si possa prendere Bologna? come il Palazzo d’inverno a San Pietroburgo? Ci hanno lasciati giocare, adesso dicono basta. Che ridicoli anche questi compagni!” Per me rappresentò la vera fine di un’illusione. E ancora una volta cambiò lo sguardo.

La ‘Città delle Due Torri’, oggi, secondo Lei, come appare rispetto a ieri?

Penso che Bologna, come molte altre città italiane, abbia un aspetto sempre più globalizzato. Quando ero ragazza io, la politicizzazione dei giovani era molto evidente, però accanto a questo fenomeno ancora resistevano le tradizioni. Penso a mio zio, che era il classico bolognese di una volta. Penso a certe mattine in cui, attraversando Piazza Maggiore, per andare all’Università, nell’aria nebbiosa scorgevo qualche vecchio ancora avvoltolato nella capparella nera che usavano nelle campagne, penso alle vecchie osterie – qualcuna ancora autentica – dove si andava la sera, a quella “Delle Dame” dove iniziò Francesco Guccini, alla vecchia trattoria del Mulino Bruciato. Ora a Bologna fanno politica sindacati, coop e partiti di pseudo sinistra, sostenendo a spada tratta la necessità dell’accoglienza più sfrenata di clandestini. Al posto della lotta di classe c’é il dogma dello ius soli e sempre più islam, ramadan, negozi etnici, burka etc. Succede così che molti ex compagni e operai e proletari si sentano messi da parte dai loro storici partiti di riferimento e votino Lega per esempio o FdI.

Un tempo Bologna, e oggi, invece, a quale o più città italiane attribuirebbe quel ruolo di focolaio o focolare della protesta?

Non mi pare che ci sia oggi un centro specifico, in Italia, per la protesta. Qua e là solo qualche manifestazione sporadica – colorata di vecchi schemi e temi – di centri sociali, Anpi et similia. Per paradosso – come insegna il filosofo inglese Roger Scruton – penso che i conservatori siano i veri rivoluzionari di oggi.

Destra e Sinistra: esistono ancora?

Sono categorie vetuste ormai. Lo scontro è tra l’Alto (grande finanza globalizzata) e il Basso (la gente, il popolo). In quest’ottica mi spiego l’enorme successo di Matteo Salvini presso la gente con la formula del “buon senso” che lui stesso sottolinea. La vera protesta oggi passa attraverso quelle persone – giovani e meno giovani – che non seguono più i vecchi schemi della politica. Persone che cercano di decodificare i pericoli di un’eccessiva globalizzazione, che vanno contro l’automatismo e la spersonalizzazione, che tentano di recuperare il legame con le proprie radici, il rapporto con la natura e i suoi ritmi, il che di conseguenza li aiuta anche a ritrovare in sé una dimensione più spirituale. Persone che cercano di ragionare con la propria testa, e s’inventano lavori nuovi in questa direzione. Sempre più consapevoli del grande danno dell’inquinamento, senza però cadere nella trappola/Greta che, come ho letto sull’Opinione delle Libertà, è un “movimento nato e studiato a tavolino, nel senso che è ingenuo ritenere che l’uomo unicamente sia responsabile di cambiamenti climatici, verosimilmente corrispondenti a fasi naturali nella vita del nostro pianeta”.

Anche da questo fenomeno però si può assimilare un elemento positivo…

Ogni cosa ha in sé un po’ di cattivo e un po’ di buono, ne sono convinta, anche perché altri ben più saggi di me l’hanno sempre sostenuto. E così può rappresentare uno stimolo a contrastare di più l’inquinamento – di cui non si può contestare l’esistenza – modificando abitudini personali oltre che collettive.

Come si inserisce, nel contesto culturale e storiografico generale attuale, il Suo romanzo?

Lo considero una testimonianza, che si unisce alle voci di quanti oggi (politici, giornalisti/scrittori e tanta gente “comune”, perspicace più di quanto si creda) vogliono riappropriarsi delle proprie vite contro i poteri forti che veicolano il pensiero unico.

Evidenzia nelle Riflessioni iniziali di come il Sessantotto abbia grandi responsabilità nelle dinamiche sociali e politiche attuali, in quanto, nel vuoto di principi fondanti, il Sessantotto ha finito a sua volta per rafforzare la posizione egemonica della Sinistra, che ormai sostiene solo le élite, pur camuffando il suo vero atteggiamento dietro la visione edulcorata di un mondo sempre più globalizzato, multiculturale e relativistico.

Evidenzia il pericolo dell’Islam in un mondo – il nostro – che è diventato estremamente – troppo – relativistico e appunto vuoto di principi. Tutto questo è avvenuto perché – liberi di crederci o no – esiste un piano contro l’autodeterminazione dei popoli.

Come per l’appunto aveva già compreso decisamente bene queste dinamiche Oriana Fallaci, da molti criticata.

Il mio romanzo – nella sua parte narrativa autobiografica – mostra anche, leggendo tra le righe degli accadimenti quotidiani, di come si abbia avuto troppa fretta di eliminare quanto era stato fatto negli anni Cinquanta e Sessanta in Italia, dalla ricostruzione in poi.

Ritiene che, anche oggi, vi sia un nuovo, possibile, Sessantotto?

Il Sessantotto di oggi sarà finalmente quella “contestazione globale” contro l’eccessivo consumismo, che doveva avvenire ma non avvenne, ingoiata come fu dalla politica. Però tale contestazione avrà finalmente compreso che non si può “uccidere il padre” perché occorre sempre avere un limen un confine, altrimenti il tutto si disequilibra. Avrà anzi compreso che deve rimettere Dio – il Sacro – all’interno del suo vivere.

Che cosa ne pensa di quanto accaduto a una Sua collega allo scorso ‘Salone del Libro di Torino’?

Sì, l’episodio di cui è stata protagonista la casa editrice ‘Altaforte’ e la scrittrice Chiara Giannini per il libro/intervista al ministro dell’interno Matteo Salvini, in cui è stata attaccata la libertà di espressione e di stampa, per cosa poi? per un’intervista innocente in cui Matteo Salvini dichiara di sentirsi lontano da tutti gli “ismi”.

Episodio che farebbe anche ridere perché l’esclusione di Altaforte dal Salone del Libro di quest’anno ha provocato un’enorme visibilità per il piccolo editore e il libro, in oggetto, è schizzato al primo posto nelle vendite. Oltretutto, questa esclusione si è rivelata ipocrita perché comunque in altri stand erano presenti, come sempre, libri fascisti e nazisti.

Mi trovavo anch’io al Salone del Libro – per fortuna il mio editore ‘Curcio’ dignitosamente non ha esposto quella dichiarazione strumentale di antifascismo con cui parecchi stand cercavano di cavalcare l’onda. Tutto questo sbandieramento di antifascismo contrastava invece ai miei occhi con l’enorme incombente stand – generosamente collocato all’ingresso nonostante le torture, le esecuzioni capitali e le discriminazioni – dello stato di Sharjah, uno dei sette emirati arabi, ospite d’onore al Salone quest’anno.

Una scelta che ha sollevato anche le critiche di Amnesty International.

Mi disgusta, devo essere sincera, questo eterno doppioppesismo, queste cause pseudo morali impugnate per motivi strumentali. In questo caso la dichiarazione “Io sono fascista” di Francesco Polacchi utilizzata – insieme ad altri numerosi strumenti tra cui attacchi della magistratura – contro la Lega durante la campagna elettorale prima del voto europeo. Ormai queste dinamiche sono talmente scoperte però, che la gente non se le beve più. Lo stesso vale per il fenomeno dell’accoglienza indiscriminata – con le scritte deliranti “Siamo tutti clandestini” in cui pezzo per pezzo anche questa trappola è stata smontata, scoprendo il business che sta dietro e, ancora più indietro, il piano per introdurre nuovi schiavi nel mondo del lavoro, con il doppio scopo di abbassare i salari, e poi sradicarci e frullarci insieme anche etnicamente per renderci sempre più automi che devono solo consumare. Il vero progetto che sta sotto a tutto è questo: il piano Kalergi dell’inizio Novecento. Non è fantascienza, basta guardarsi attorno per accorgersi che si sta attuando. Nelle mie Riflessioni iniziali ne parlo.

Chi sono per Lei, oggi, gli ‘antifascisti’?

Gli ‘antifascisti’ di oggi sono quelli che continuano a gridare: “Al lupo! Al lupo!” non accorgendosi – o rifiutando consciamente di accorgersi – che queste due ideologie Fascismo e Comunismo sono finite con il Novecento. Come ho già detto, il pericolo di oggi non è il fascismo ma la globalizzazione sfrenata in mano ad un capitale senza scrupoli che guarda alle persone solo come massa da sfruttare.

L’antifascismo è però ancora quel collante, ormai con poca presa però – già definito da Pasolini antifascismo “archeologico” – che tiene unito il popolo della ormai defunta Sinistra. A mio avviso, con questi comportamenti prevaricatori, gli antifascisti di oggi rischiano di essere i veri “fascisti”.

Media e antifascismo, presunto o reale. Ci spiega questo rapporto, per favore?

I media, tranne alcune eccezioni, rappresentano la cassa di risonanza del “pensiero unico”, del “politically correct” di cui l’antifascismo è uno dei cardini principali. Per sostenerlo utilizzano argomentazioni ormai fruste e rifruste, a cui forse non credono più neppure loro. Però devono obbedire agli ordini.

Si parte sempre dall’assunto che il fascismo sia per forza peggio del comunismo. Quindi per esempio, sì va beh… potremmo condannare anche le foibe o i gulag… ma vuoi mettere con i crimini fascisti e nazisti? Non c’è paragone.

E invece, se ci si documenta davvero storicamente, si vede che non è affatto così, proprio per niente. Negli ultimi anni sono stati anche aperti archivi storici, per cui esiste la possibilità di documentarsi maggiormente e rivedere delle posizioni. E invece no, stanno sempre tutti lì, non si staccano da luoghi comuni, che poi ultimamente abbiamo visto fare tanti danni. Con la scusa di esportare la democrazia siamo andati infatti in Iraq e in Libia a destabilizzare zone calde, anzi caldissime.

Con conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti…

A questo proposito mi ha molto colpito una riflessione del Dalai Lama, intervistato nel 1968 da Oriana Fallaci all’età di trentatré anni, già in esilio dopo l’invasione del Tibet da parte della Cina comunista: Il fatto è che oggi non si può più pensare in termini di comunismo e anticomunismo, capitalismo e anticapitalismo: bisogna pensare alla soluzione che beneficia di più un popolo in particolari circostanze economiche, storiche, culturali. Trovo che questo pensiero del Dalai Lama –

Controlli della Guardia costiera ai mezzi che trasportano rifiuti all’interno del porto di Genova

La Capitaneria di porto nel corso di regolari controlli in materia ambientale all’interno del porto di Genova ha sottoposto a verifica due furgoni appartenenti a ditte distinte – di cui l’una operante nel porto di Genova e l’altra avente sede ad Asti – intenti a conferire rifiuti ferrosi presso un intermediario avente sede all’interno dell’area delle “riparazioni navali”.

Nel corso dei controlli, finalizzati a verificare il corretto possesso dei requisiti previsti dalle norme in vigore per il trasporto dei rifiuti, è emerso che il conducente di uno dei due mezzi non era in grado di produrre alcuna documentazione autorizzativa. A seguito di verifiche, si accertava infatti che la stessa ditta proprietaria del mezzo non era iscritta all’albo nazionale dei gestori ambientali. Per quanto emerso, si procedeva quindi al deferimento all’autorità giudiziaria sia del conducente dell’autoveicolo, sia del legale rappresentante della ditta proprietaria del mezzo.

Il secondo veicolo, invece, risultava sprovvisto della prevista autorizzazione ambientale per il trasporto di rifiuti, ma in questo caso la ditta proprietaria risulta regolarmente iscritta. Il formulario al seguito dei rifiuti risultava, tuttavia, erroneamente compilato riportando i dati di un veicolo terzo.

Si procedeva quindi al deferimento presso l’Autorità Giudiziaria anche del conducente e del legale rappresentante della seconda ditta e, contestualmente si elevava una sanzione amministrativa per un totale di € 3.100.

In entrambi i casi si procedeva al sequestro dei mezzi e dei rifiuti che ammontavano ad un carico complessivo di circa 2200 Kg.

Bom dia !!!

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Il saluto consiste in un atto rappresentato da un gesto, accompagnato nella maggior parte delle volte da parole o frasi che si scambiano con una o più persone quando si incontrano o quando si prende commiato da loro, per fini personali o professionali, manifestando sentimenti di simpatia, affetto, rispetto, devozione o sottomissione.

Nell’antica Roma la “salutatio matutina” rappresentava il saluto che i clienti porgevano al proprio patrono accompagnato dalle parole “Ave Domine, Ave Rex”.

Ai nostri giorni il saluto rappresenta ormai una forma di cortesia, sebbene tuttavia l’origine rimanga sempre religiosa.

Del saluto in senso stretto bisogna distinguere quindi la forma ed il contenuto. La forma è spesso una formula, mentre il contenuto è spesso un augurio (vedasi il buongiorno che in greco significa “sii lieto”).  Altre tipologie di saluto riprendono le origini di carattere religioso come, per esempio, il francese “adieu”, l’inglese “good-bye” (contrazione dell’espressione piùestesa “God be with you”) o l’ancora più diretto spagnolo “vaya con Dios” che, al suo interno, comprende una moltitudine di auguri di buon auspicio, quali “vai con Dio, Dio sia con te, buona fortuna”.

I brasiliani sono noti per essere un popolo particolarmente socievole ed estroverso ed il momento del saluto ad una persona rappresenta una parte fondamentale della vita sociale a cui viene data molta importanza, prova ne è il fatto che vengano differenziate tre forme di saluto da usare in specifiche fasce orarie.

Il saluto in Brasile si distingue in tre formule: bom dia, boa tarde e boa noite. “Bom dia” rappresenta l’equivalente del nostro buongiorno e va usato fino alle ore 12; dalle 12 fino alle 18, invece, si usa il “boa tarde” ovvero il nostro buon pomeriggio, da noi poco usato, dopo le 18 libero uso dell’espressione “boa noite”, che noi utilizziamo solo per accommiatarci e come augurio prima di andare a letto, in Brasile invece si usa anche quando la sera si arriva e ci si incontra. L’espressione “boa noite” coincide, circa, con il calar della sera ed, essendo il Brasile un paese tropicale, l’alba compare molto presto, i bambini ed i ragazzi entrano a scuola alle 7.30 di mattina circa, mentre il buio della sera arriva approssimativamente alle 18 sia d’estate che d’inverno.

La bellezza ed il fascino del saluto “Bom Dia!”, però, lo si può capire solo se lo si vive. L’espressione, il sentimento ma, soprattutto, lo spirito con cui vengono dette queste due semplici parole, il sorriso che le accompagna, gli occhi che brillano e che sorridono, ma soprattutto lo scambio di battute successive che suonano così: Bom dia ! Tudo bem? tudo bem e você? tudo bem tudo bem….. – Buongiorno! tutto bene? tutto bene e tu? Tutto bene tutto bene……… rappresenta l’essenza dello spirito brasiliano. Per loro va sempre tutto bene, raramente sentirete qualcuno che vi risponderà che va male o che non va proprio, si potranno lamentare per qualcosa che non va molto bene ma poi vi diranno che grazie a Dio gli va ancora tutto bene. E queste sono le risposte che vi darà chiunque indipendentemente da sesso età o estrazione sociale. E stiamo parlando di un Paese che, secondo i dati 2016 del Fondo Monetario Internazionale ha un PIL pro capite di 9.821,41 USD, contro i 14.467 USD della vicina Argentina, i 31.984 USD dell’Italia o i 44.550 USD della trainante Germania. Alla luce di questi dati si può capire che i brasiliani avrebbero tutti i motivi del caso per lamentarsi.

L’espressione “Bom dia, tudo bem?” rappresenta non solo una reale forma di augurio ed interessamento su come stiano il proprio interlocutore, la sua famiglia, su come vada il lavoro, o un pretesto per fermarsi scambiare due chiacchiere e ringraziare Dio che le cose vadano ancora bene. Ma questa domanda viene rivolta a chiunque si incontri per strada, dal portinaio al giornalaio, dal tassista al netturbino, dal cameriere al venditore ambulante.

 

Nonostante il nostro animo sabato un po’ introverso non mi resta che augurarvi quindi buongiorno, scusate…Bom dia!

 

Emanuele Farina Sansonedal Brasile

 

Natura e storia al parco Sigurtà

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Viaggio in Italia

Valeggio sul Mincio è un comune della Provincia di Verona, posto al confine con quella di Mantova. Una sua frazione, Borghetto, con il mulino ad acqua ed il maestoso ponte sul Mincio, si può fregiare di essere uno dei ‘Borghi più belli d’Italia’, ma non è l’unica attrazione turistica di questo comune.

C’è anche il Parco Sigurtà che prende il nome dall’industriale farmaceutico Giuseppe Carlo Sigurtà il quale lo acquistò nella primavera del 1941, terreno dal passato glorioso ormai decaduto.

Il parco ha origine da ‘brolo cinto de muro’, luogo dove dimoravano le famiglie patrizie con il loro servitori.

Tra le proprietà di erano succedute  la famiglia patrizia Contarini, i Giarienti, i Maffi. E proprio nel 1792 vi soggiornò, ospite del marchese Antonio Maffei il poeta Ippolito Pindemonte. Una figlia del marchese, sposando il conte Filippo Nuvoloni lo portò in dote a questa famiglia. Tra gli ospiti nel diciannovesimo secolo ebbe anche due imperatori, Francesco Giuseppe Asburgo d’Austria e Napoleone III di Francia. Ma fu con il dottor Sigurtà che iniziò la sua riqualificazione, grazie – tra l’altro – ad una multa di 15 lire con cui scoprì un antico diritto di prelevare le acque dal fiume Mincio, che ea stato dimenticato dai precedenti proprietari. Grazie a tale captazione l’irrigazione ha portato ad una trasformazione radicale in un parco naturalistico di sessanta ettari, premiato come il secondo parco più bello d’Europa nel 2015 ed il più bello d’Italia nel 2015, oltre ad altri prestigiosi riconoscimenti a livello internazionale e nazionale.

Il parco giardino Sigurtà ospita innumerevoli attrazioni naturalistiche e storiche: nei mesi di marzo e aprile si possono ammirare un milione di tulipani, che rappresentano la fioritura più importante in Italia e la più ricca del Sud Europa; il viale delle rose, che da maggio a settembre accoglie 30.000 rose rifiorenti; uno straordinario labirinto, diciotto specchi d’acqua, dove tra giugno e luglio fioriscono le piante acquatiche, e immensi prati verdi.

Senza dimenticare il Castelletto, commissionato dal marchese Antonio Maffei, e in passato antica sala d’armi, oggi invece luogo dove sono conservate le memorie storiche, letterarie e scientifiche della famiglia Sigurtà: qui infatti sono ricordati gli scienziati e i premi Nobel, ospiti in passato del parco: Selman A. Waksman (Premio Nobel nel 1952 e scopritore della Streptomicina), Alexander Fleming (Premio Nobel nel 1945 e scopritore della penicillina), Gerhard Domagk (premio Nobel nel 1939 e scopritore dei sulfamidici), Konrad Lorenz (premio Nobel nel 1973 e fondatore dell’etologia) e Albert B. Sabin (scopritore del vaccino orale contro la poliomielite).

Altri incanti ricchi di storia e fascino sono l’Eremo (un tempietto in stile neogotico), la Meridiana Orizzontale (che sorge sul belvedere di Giulietta e Romeo), la Grande Quercia (l’albero più antico del parco con i suoi 4 secoli d’età), il monumento in bronzo dedicato a Carlo Sigurtà, la Pietra della giovinezza, il Cimitero dei cani ecc.

Il parco è stato scelto tra le location che rappresentano l’Italia durante Expo 2015 all’interno del Progetto Panorama in piazza Gae Aulenti (Milano).

I suoi cancelli vennero aperti per la prima volta al pubblico dal dottor Sigurtà, sempre molto attento alla sua riservatezza,  il 19 marzo del 1978

Oggi i figli di Enzo, Giuseppe e Magda, continuano con passione a preservare e a far conoscere il Parco, proseguendo il lavoro svolto dai predecessori.

Negli anni il Parco Sigurtà ha accolto così milioni di visitatori provenienti da ogni parte del mondo ed è diventato la meta ideale dove concedersi una giornata di relax e divertimento, grazie alla ricchezza botanica e floreale e al variegato calendario eventi per grandi e piccoli.

Pertanto, come è stato anticipato una visita al Parco offre moltissimi i punti di interesse da non perdere in questa oasi verde, che si estende su due colline: dal celebre Viale delle Rose al Labirinto, un percorso tra 1500 piante di tasso che si sviluppa su una superficie di 2500 metri quadrati, dal Grande Tappeto Erboso alla Fattoria Didattica, dimora di tanti simpatici animali, dal Castelletto, in passato luogo di incontro di scienziati e premi Nobel, alla Grande Quercia, senza dimenticare la Panchina degli Innamorati, novità della stagione 2018.

LA MAGIA DEGLI ALBERI AL PARCO

Il Parco Giardino Sigurtà ospita innumerevoli alberi, presenze silenziose che popolano boschi e prati, tra cui la Grande Quercia, che si erge maestosa nelle vicinanze del Labirinto: un esemplare che ha più di 4 secoli e che colpisce per la perfetta armonia tra il tronco (6 metri di circonferenza) e la chioma (120 metri di circonferenza).

E poi: la collezione di bossi più ricca al mondo, con 40.000 piante, migliaia di cipressi, 500 pini, 1.000 abeti, oltre 2.000 carpini, 500 vecchi pioppi, 50 faggi di differenti varietà, un centinaio di lecci, numerose piante di olivo, 20 magnolie, diversi bagolari spaccasassi (di cui un esemplare di oltre due secoli), centinaia di betulle, pfitzeriane e querce, 40 piante officinali nel Giardino a loro dedicato, centinaia di aceri giapponesi. Le zone boschive accolgono, invece, il sottobosco di felci, mughetti e differenti tipologie di edera, mentre le erbacee perenni si presentano in grandi masse.

 

LE FIORITURE STAGIONALI

Le straordinarie fioriture, che si susseguono nel corso delle stagioni del Parco Sigurtà, sono un imperdibile incontro di profumi e colori:

– si inizia con centinaia di crocus dalle tonalità azzurro, bianco, giallo, lilla e viola;

– a marzo ed aprile, invece, avviene Tulipanomania, la fioritura di oltre un milione di tulipani che con giacinti, muscari e narcisi colora per più di 60 giorni i manti erbosi del Parco; è la fioritura più importante in Italia e la seconda a livello europeo.

– a fine aprile migliaia di iris tinteggiano di arancione, giallo e viola il Viale delle Fontanelle e la Passeggiata Panoramica, che regala una vista mozzafiato sulla Valle del Mincio;

– maggio è il mese per eccellenza dedicato alla rosa e il Viale delle Rose fino a settembre accoglie 30.000 esemplari antichi in due varietà (Queen Elizabeth e Hybrid Polyanta & Floribunda);

– senza dimenticare le piante annuali, che sbocciano da maggio ad ottobre, lungo il Viale delle Aiuole Fiorite e in altri punti del Parco: 30 varietà di dalie e centinaia di begonie, canna indica (qui al Giardino sono presenti 9 varietà, in particolare quella tigrata), impatiens, sunpatiens, coleus, zinnia e tagete.

– protagonisti dell’estate sono gli hemerocallis, i girasoli e le centinaia ninfee rustiche (diurne) e tropicali (che possono essere notturne o diurne), i cui petali vanno dal rosa pallido, al rosa intenso, dal rosso al ciclamino, insieme al bianco e al giallo. Queste piante acquatiche con fior di loto, ibischi d’acqua, papiri e falsi papiri colorano ed impreziosiscono i 18 laghetti del Giardino.

– gli aster o settembrini a fine estate creano un magico contrasto con il verde del Grande Tappeto Erboso, la distesa più vasta di tutto il Parco, grazie alle loro tonalità che vanno dall’azzurro al viola.

 

UN RICCO CALENDARIO EVENTI PER IL PUBBLICO

Il Parco Giardino Sigurtà è un fantastico teatro naturale per tantissimi eventi gratuiti, di vario genere e per tutte le età.

Ad esempio, ci sarà una manifestazione dedicata al Magico Mondo del Cosplay domenica 1 settembre (la moda giapponese di travestirsi come i personaggi della fantasia e dei cartoni animati)

MODI DIFFERENTI PER LA VISITA

Esistono diverse modalità per non perdersi nemmeno uno dei tesori del Parco Sigurtà:

– a piedi, per un’immersione a 360 gradi nella natura.

in bicicletta: con la propria o noleggiandola al servizio renting interno al Parco (il parco sorge a 2 km dalla ciclabile Mantova – Peschiera d/G). Dal 2018 sono disponibili le biciclette elettriche (firmate Atala) destinate alle famiglie con bambini piccoli (sono dotate di seggiolini) e ai meno giovani: l’occasione per ammirare le bellezze del Parco in tutta comodità. Nelle vicinanze dell’entrata si trova un punto di ricarica gratuito per le biciclette elettriche.

– a bordo dello shuttle elettrico, per una visita guidata alla scoperta della storia e delle caratteristiche del Giardino.

–  con i golf-cart elettrici che permettono una comoda visita personalizzata.

– con il trenino panoramico, che segue l’Itinerario degli Incanti lungo 6 km e che consente di cogliere la vastità del Giardino.

– per una visita virtuale sono disponibili due applicazioni gratuite: una volta a far scoprire il Parco con tutte le informazioni, le news e gli eventi, mentre Yubi – The Game permette di mettersi alla prova in una coinvolgente caccia al tesoro nel Parco. Per info: http://www.sigurta.it/app-parco-giardino-sigurta

 

Il Parco Giardino Sigurtà nel 2019 è aperto dall’8 marzo sino al 10 novembre 2019, tutti i giorni, festivi inclusi, con orario continuato dalle 9.00 alle 19.00 (ultimo ingresso alle 18.00). Marzo, ottobre e novembre dalle 9.00 alle 18.00 (ultimo ingresso alle 17.00).

Per informazioni sul Parco Giardino Sigurtà: www.sigurta.it

Si ringrazia per questo articolo la cortese collaborazione dell’ufficio stampa nella persona di Roberta Gueli.

 

Massimo Iaretti

Un libro per l’estate

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Dalla Liguria

L’appuntamento di sabato 24 della rassegna ‘Un libro per l’estate’, organizzata dalla Libreria  Cento Fiori, che si tiene dalle ore 21.15, in piazzale Buraggi, sul lungo mare di Finale Ligure Marina, vede come protagonista il libro ‘Neofascismi’ di Claudio Vercelli, docente a contratto di storia dell’ebraismo all’Università Cattolica di Milano.

Il testo riscostruisce, dalla fine del fascismo ad oggi la parabola della destra estrema in Italia, compiendo un viaggio che va dalla Rsi a Casa Pound, passando per la fondazione del Msi, il 68 visto dall’estrema destra, gli anni del cosiddetto ‘terrorismo nero’, per giungere alla ‘Svolta di Fiuggi’ operata da Gianfranco Fini ed alla successiva esperienza di Alleanza Nazionale. E’ un saggio rigoroso e documentato ma con uno stile agile e scorrevole.

Massimo Iaretti

“Ferragosto Sicuro” con la Guardia costiera

Un servizio efficace anche per i tanti torinesi in vacanza

Presenza in mare e lungo i litorali rafforzata per garantire
la massima prontezza di intervento

DALLA LIGURIA

Genova, 15 agosto 2019 – Nel corso della giornata di Ferragosto 2019, in previsione del
consueto picco di presenze di bagnanti e diportisti lungo le coste, la Guardia costiera ha
disposto un assetto operativo rinforzato per garantire la massima capacità di intervento a
mare, nei porti e lungo tutto il litorale della Liguria.
Il programma di vigilanza e pattugliamento aeronavale – specificamente rivolto alla tutela
della sicurezza in mare, della corretta fruibilità degli arenili e dell’ambiente marino –
prevede una diffusa presenza di uomini e mezzi lungo gli oltre i 330 km di litorale della
Liguria e nel tratto di mare di 12.842 km2
prospiciente le sue coste. Oltre 40 mezzi schierati,
tra elicotteri, unità navali specializzate nella ricerca e soccorso (SAR) e mezzi nautici minori,
che saranno impiegati per pattugliare l’area di competenza, dal fiume Magra fino al confine
di Stato e sul Lago Maggiore.
Un impegno tangibile da parte della Guardia costiera che rappresenta l’apice
dell’operazione “Mare Sicuro” che, oramai da 28 anni, esprime la vocazione del Corpo a
garantire la sicurezza della navigazione e la salvaguardia di bagnanti, diportisti e subacquei.
Un impegno che quest’anno ha avuto avvio sin dal 1° giugno, anticipando il tradizionale
inizio nel primo giorno dell’estate, e terminerà il prossimo 15 settembre.
Lo stesso Comandante regionale, Ammiraglio Ispettore (CP) Nicola Carlone, rimarcando il
particolare impegno profuso dai propri militari nella giornata di ferragosto, culmine della
stagione balneare e momento di svago per molti, nel corso della giornata ha fatto visita alle
Capitanerie di porto della Spezia, Genova, Savona e Imperia che, assieme agli altri uffici
regionali e il presidio sul Lago Maggiore intendono garantire, grazie alla capillare
distribuzione sul territorio, vicinanza a turisti e operatori, nonché rapida risposta ad ogni
esigenza in mare. A coadiuvare i Comandanti degli uffici marittimi della Liguria ci saranno
oltre 150 donne e uomini della Guardia costiera, chiamati a monitorare in particolare il
corretto esercizio delle attività diportistiche e balneari.
In considerazione, della crescente affluenza nei siti balneari, la Guardia costiera fa appello
alla prudenza ed al buon senso di tutti coloro i quali decideranno di trascorre una giornata
di mare lungo i litorali di giurisdizione. Per ogni evenienza, infine, si ricorda che la Guardia
costiera della Liguria è contattabile telefonicamente tramite il Numero Unico d’Emergenza
112 ovvero al Numero Blu 1530.

L’addio a Nadia Toffa

A 40anni appena compiuti se ne è  andata Nadia Toffa. Non in punta di piedi per non fare rumore, ma con estrema dignità e da combattente perché il male del secolo deve essere combattuto e, speriamo, presto anche vinto.

Toffa lo ha combattuto  ed è stata come una mirabile partita di tennis, con diversi set, con fasi alterne  e quando un giocatore pensava di aver vinto, c’era l’altro (il male) che  rimontava mentre chi, in quel momento, stava soccombendo sembrava non aver più le forze per reagire, ma poi cercava il tifo perché  non si rassegnava alla sconfitta e s’illudeva di vincere.

C’era pure chi, squallidamente, prendeva questa voglia di esternare come un mezzo per farsi pubblicità e la criticava e sghignazzava.

Del resto, era successo anche a Oriana Fallaci di essere derisa perché pareva fingesse.

Invece no, non era voglia di claque, ma desiderio di combattere  e avere una platea alla partita di tennis in cui una pensa, alla fine, di risultare vittoriosa.

La partita è finita e Nadia Toffa ha perso e son ci sarà rivincita.

Nella rincorsa della morte che insegue la vita, ci sarà il solito biglietto che scandisce: nata il.. e morta…

Ma non è così, fra i due momenti ci sono tante battaglie, tanti momenti belli e Nadia Toffa ha combattuto a testa alta, sempre!

 

Tommaso Lo Russo

 

Perchè gli Usa sganciarono l’atomica?

Un lettore ci scrive

 

Caro direttore,

nell’articolo sulle bombe atomiche pubblicato sul “Torinese”, non sono citati i motivi che costrinsero gli USA a sganciare le atomiche, motivi che tutti tacciono.  Il 6 e 9 Agosto, tutti o quasi i TG ed i quotidiani, ricordano le atomiche su Hiroshima e Nagasaki, ma NESSUNO ricorda perchè gli USA vi furono costretti. Nell’Agosto del 1945 il Giappone non si arrendeva, nonostante i bombardamenti,  con bombe classiche, sul territorio giapponese. Gli strateghi USA ritennero che solo  l’invasione del Giappone avrebbe costretto i nipponici alla resa. Gli USA calcolarono che almeno 550.000 giovani soldati americani sarebbero caduti. Decisero, allora, di far ricorso alla atomica, e fecero bene. Almeno, questo è il mio ultimo pensiero positivo sulle strategie belliche degli USA. Ricordate, quindi, i motivi che spinsero gli USA ad usare le atomiche. Solo dopo la seconda atomica su Nagasaki, costrinse l’imperatore Hiro Hito  ad annunciare la resa delle forze armate. Un cordiale saluto.

 
dott. Tommaso Acchiardi 

Presidente OCTOPUS (Org. Confederata tra Onlus Pazienti Ustionati)
Presidente Onorario GAU (Gruppo Assistenza Ustionati)
10100 Torino 

Nagasaki, 9 agosto 1945: il sole cadde nuovamente sulla terra

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*** Accadde oggi ***

Nagasaki si estende al centro di una lunga baia, che rappresenta il miglior porto naturale dell’isola di Kyūshū, nel sud del Giappone. Il suo nome, letteralmente, significa  “lunga penisola”.


Il 9 agosto del 1945 diventò la seconda città su cui venne sganciata una bomba atomica. Il bombardiere B-29 Superfortress dell’aviazione americana (esemplare numero 44-27297, ribattezzato “Bockscar”) portava in pancia “Fat Man” (in italiano “ciccione“). Quel nomignolo era stato assegnato alla Model 1561 (Mk.2), la terza bomba atomica approntata nell’ambito del Progetto Manhattan, il secondo e ultimo ordigno nucleare mai adoperato in combattimento.In origine non era previsto che la città di Nagasaki finisse nel mirino dell’aereo pilotato dal  maggiore Charles W. Sweeney. Era, come si usa dire, “una seconda scelta”.L’obiettivo primario era la città di Kokura, non distante da Fukuoka, nella parte settentrionale dell’isola di Kyūshū, sede di un grande deposito di munizioni dell’esercito giapponese.  Ma il cielo era coperto di nubi e la visuale pessima. Così  si optò per l’alternativa e questa portava il nome di Nagasaki. Così la bomba finì  sulle acciaierie Mitsubishi situate poco fuori quella città.“Fat Man” esplose a un’altezza di mezzo chilometro sulla città e sviluppò una potenza di 25 chilotoni, quasi il doppio di “Little Boy”, l’ordigno sganciato dal bombardiere “Enola Gay” che esplose tre giorni prima su Hiroshima.Nagasaki era costruita su un terreno collinoso e il numero di morti fu inferiore a quelli prodotti dalla prima bomba. A Hiroshima morirono istantaneamente per l’esplosione nucleare tra le sessantaseimila e le settantottomila persone e altrettanti furono i feriti.Per due volte, in tre giorni, il sole cadde sulla terra.Un numero elevato di persone persero la vita nei mesi e negli anni successivi a causa delle radiazioni e molte donne incinte persero i loro figli o diedero alla luce bambini deformi. Il numero totale degli abitanti uccisi a Nagasaki venne valutato attorno alle ottanta mila persone, incluse quelle esposte alle radiazioni nei mesi seguenti. La sorte volle che tra le persone presenti a Nagasaki quel 9 agosto di settantaquattro anni fa  vi fossero anche un ristretto numero di sopravvissuti di Hiroshima. Entrambe città furono rase al suolo. Un disastro che costrinse, meno di una settimana dopo, il 15 agosto 1945, l’imperatore del Giappone Hirohito a presentare agli alleati la resa incondizionata.

Con la firma dell’armistizio, il 2 settembre del 1945, si concluse di fatto il secondo conflitto mondiale. Più di settant’anni dopo i bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki, due ospedali della Croce Rossa giapponese stanno curando migliaia di persone che continuano a patire le conseguenze di questi attacchi. Si calcola inoltre che diverse migliaia di queste persone continueranno ad avere necessità di cure nei prossimi anni per le problematiche legate alle radiazioni. In totale, tra i due centri sanitari sono stati ospedalizzati oltre due milioni e mezzo di persone per le conseguenze legate alle radiazioni. Il 63 % dei decessi registrati nell’ospedale di Hiroshima, in funzione dal 1956, sono stati causati da diversi tipi di cancro. Tra questi, il 20 % per cancro al polmone, il 18 % per cancro allo stomaco, il 14 % per neoplasie al fegato, il 7 % per cancro all’intestino e un altro 6 % dai linfomi maligni. Nell’ospedale di Nagasaki, che cominciò a funzionare nel 1969, i morti per cancro rappresentavano, fino a poco tempo fa, il 56% del totale. Secondo la Croce Rossa, l’incidenza di leucemia tra i sopravvissuti dei bombardamenti fu di quattro o cinque volte superiore rispetto alle persone non esposte alle radiazioni durante la prima decade, e diminuì successivamente. Una contabilità tremenda, eredità diretta di quello che fu l’inizio dell’era del terrore nucleare.Settantaquattro anni dopo, la memoria di ciò che è stato deve indurre a far sì che nessuno debba più scrivere, di fronte alle atrocità della guerra, quello che il copilota, capitano Robert A. Lewis , annotò sul diario di bordo del bombardiere “Enola Gay” dopo aver verificato con un binocolo gli effetti della bomba sganciata su Hiroshima: “My God what have we done?”, ““Dio mio, cosa abbiamo fatto?”.

Marco Travaglini