CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 90

San Giacomo di Stura, Abbazia dimenticata

Viandanti, mercanti, pellegrini e crociati affollavano le strade della penisola che portavano a Roma e ai porti d’imbarco per la Terra Santa.

Era l’epoca della II Crociata, a metà del Duecento: si andava a combattere in Anatolia, Palestina e in Egitto mentre tanti altri pellegrini stipavano le galee per raggiungere la Città Santa, appena riconquistata dai crociati, per pregare nei luoghi santi del cristianesimo. Si partiva da ogni città dell’Europa occidentale, dalla Francia, dalla Germania, dall’Italia, il cammino era lungo e faticoso e non privo di pericoli. Lungo strade e sentieri si incontravano locande e piccoli ospedali che offrivano assistenza, cibo e cure. Una meta sospirata dai pellegrini dopo aver percorso centinaia di chilometri. Uno di questi luoghi fu individuato in un monastero-ospedale costruito dai monaci vallombrosani di San Benedetto di Piacenza al di là del fiume Stura nel torinese. Nel 1146 il giurista Pietro Podisio, appartenente a un importante famiglia torinese, donò ai religiosi dei terreni per edificare un “hospitalem”, fuori le mura di Torino, allora piccolo borgo di poche migliaia di abitanti, al fine di prestare assistenza e alimenti a chi si fermava per riposarsi in attesa di riprendere il cammino. Si diedero un gran daffare i monaci che oltre ad aiutare senza risparmio poveri e ammalati gestirono anche il servizio di traghetto sulla Stura ed è da qui che deriva il nome del quartiere torinese “Barca”. Nacque così un convento-ospedale situato lungo i tragitti della via Francigena diretti a Roma e verso i porti pugliesi dove ci si imbarcava per il Levante. Il complesso religioso è diventato l’Abbadia vallombrosana di San Giacomo di Stura, uno dei più importanti monumenti storico-artistici del Medioevo torinese la cui storia è raccontata nel libro “San Giacomo di Stura, la storia dell’Abbadia vallombrosana alle porte di Torino, vestigia “dimenticate” del Medioevo subalpino”, Neos edizioni, dal poeta, traduttore e medievista Roberto Rossi Precerutti. Il periodo di massima fioritura non durò molto e già nel XIII secolo iniziò il declino del monastero che nel Quattrocento fu unito alla mensa vescovile di Torino e poi nel Settecento divenne una parrocchia intitolata a San Giacomo. Nel Novecento la chiesa fu circondata da cascinali e fabbricati industriali sorti lungo la strada che mette in comunicazione Torino e Settimo. Danneggiata dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale fu dichiarata inagibile nel ’54 e negli anni Sessanta fu sconsacrata e ceduta ai privati. Nel giugno 1972, inoltre, un incendio distrusse la galleria del coro e gli affreschi. Oggi l’Abbadia di San Giacomo è assai mal ridotta e versa in stato di abbandono dagli anni Cinquanta. Resta la chiesa con il sagrato e il perimetro del chiostro. La speranza è che i lavori di restauro della chiesa e dello spettacolare campanile, alto 24 metri, iniziati alcuni anni fa, possano presto restituire alla comunità questa preziosa testimonianza storica medioevale. Il libro di Roberto Rossi Precerutti è accompagnato da una serie di tavole di Emilia Mirisola che illustrano lo splendore del monastero nei secoli passati.
Filippo Re

Pietro Micca, nel bronzo la storia di un eroe popolare

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Nel 1863, dopo un primo e vano tentativo di fusione della statua, il fonditore francese Pietro Couturier portò a termine l’incarico assegnatogli; il Consiglio Comunale scelse quindi di innalzare la statua poco lontano dal luogo stesso dove un secolo e mezzo prima era successo il fatto, cioè di fronte al Mastio della Cittadella il quale, in onore dell’evento, venne opportunamente restaurato a carico del Ministero della Guerra

Il monumento è collocato all’angolo tra via Cernaia e corso Galileo Ferraris, nel giardino dedicato ad Andrea Guglielminetti. La statua ritrae Pietro Micca, posto sulla sommità di un alto basamento modanato, in posizione eretta con la divisa degli artiglieri presumibilmente nell’atto fiero e consapevole che precede lo scoppio delle polveri. Infatti, mentre nella mano destra tiene la miccia, la sinistra è serrata a pugno quasi a voler enfatizzare, unitamente alla tensione della leggera torsione, il momento decisivo che precede l’innesco delle polveri (in riferimento all’episodio eroico che lo rese celebre).

 

Pietro Micca nacque a Sagliano il 6 marzo 1677 da una famiglia dalle origini modeste. Arruolato come soldato-minatore nell’esercito del Ducato di Savoia, è storicamente ricordato per l’episodio di eroismo durante il quale perse la vita al fine di permettere alla città di Torino di resistere all’assedio del 1706, durante la guerra di successione spagnola.La tradizione narra che la notte tra il 29 ed il 30 agosto 1706 (e cioè durante il pieno assedio di Torino da pare dell’esercito francese) alcune forze nemiche entrarono in una delle gallerie sotterranee della Cittadella, uccidendo le sentinelle e cercando di sfondare una delle porte che conducevano all’interno. Pietro Micca, che era conosciuto con il soprannome di passepartout, decise (una volta capito che lui ed il suo commilitone non avrebbero resistito per molto) di far scoppiare della polvere da sparo allo scopo di provocare il crollo della galleria e non consentire il passaggio alle truppe nemiche. Non potendo utilizzare una miccia lunga perché avrebbe impiegato troppo tempo per far esplodere le polveri, Micca decise di impiegare una miccia corta, conscio del rischio che avrebbe corso. Fece allontanare il suo compagno con una frase che sarebbe diventata storica “Alzati, che sei più lungo d’una giornata senza pane” e senza esitare diede fuoco alle polveri.

Morì travolto dall’esplosione mentre cercava di mettersi in salvo correndo lungo la scala che portava al cunicolo sottostante; era il 30 agosto del 1706.Il gesto eroico del minatore-soldato sarà riconosciuto in seguito durante tutto il Risorgimento come autentico simbolo di patriottismo popolare, sino ad essere ricordato ai giorni nostri.L’idea di celebrare con un monumento l’eroe popolare, nacque già nel 1837 dal Re Carlo Alberto alla morte dell’ultimo discendente maschile del soldato ‘salvatore’ della Città. Modellato dallo scultore Giuseppe Bogliani, il busto di Pietro Micca (rigorosamente in bronzo) ritraeva l’eroe con il capo coronato di gramigna con accanto una Minerva-guerriera seduta con una corona di quercia. Il monumento però non sembrava rispondere completamente al concetto di popolare riconoscenza con cui si sarebbe voluto ricordare Pietro Micca e così venne per così dire abbandonato all’interno dell’ Arsenale di Torino. Dopo circa vent’anni, nel 1857, da parte di uno scultore dell’Accademia Albertina di Belle Arti, Giuseppe Cassano, venne ripresa l’idea di ritrarre Pietro Micca.

Il Consiglio comunale, in seduta del 29 maggio 1858, approvò l’iniziativa ed il Re Vittorio Emanuele II espresse il desiderio che la statua del Micca venisse realizzata in bronzo ed eseguita nelle fonderie dell’Arsenale. In momenti differenti il Parlamento stanziò per il monumento L. 15.000 con le quali vennero pagate le sole spese di fusione; unitamente la sottoscrizione pubblica stanziò L. 2.200 (appena utili al rimborso dello scultore Cassano), L. 7.700 a Pietro Giani per la realizzazione del piedistallo e L. 2.000 per la posa in opera, arrivando così ad un costo totale di L. 26.900.

Nel 1863, dopo un primo e vano tentativo di fusione della statua, il fonditore francese Pietro Couturier portò a termine l’incarico assegnatogli; il Consiglio Comunale scelse quindi di innalzare la statua poco lontano dal luogo stesso dove un secolo e mezzo prima era successo il fatto, cioè di fronte al Mastio della Cittadella il quale, in onore dell’evento, venne opportunamente restaurato a carico del Ministero della Guerra. La sera del 4 giugno 1864 venne finalmente inaugurato il monumento ad onorare il gesto eroico del soldato-minatore di Sagliano.L’importanza dell’impresa di Pietro Micca è celebrata anche nel Museo che porta il suo nome, luogo dove è esposto il monumento a Pietro Micca del Bogliani del 1836.

 

Ed anche per questa volta la nostra “passeggiata con il naso all’insù” termina qui. Ci rivediamo per il prossimo appuntamento con Torino e le sue meravigliose opere.

 

Simona Pili Stella

I libri più letti e commentati del mese

Eccoci al consueto appuntamento con i libri più letti e commentati dalla community  Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri nel mese di agosto   Come L’Arancio Amaro (Bompiani) di Milena Palminteri si conferma il libro dell’estate, letto e commentato con grande partecipazione, seguito da Domani, Domani (Nord) il nuovo romanzo di Francesca Giannone, che ribadisce la sua presa sui lettori italiani.

Infine: La correttricedi Emanuela Fontana (Mondadori) tratto da una storia vera, l’autrice si è basata su scambi di corrispondenza tra Emilia e Manzoni.

Incontri con gli autori

 

In agosto facciamo due chiacchiere con Cristina Guarducci, da poco tornata in libreria con Paul E Nina (Edizioni Creativa, 2024), una complessa storia d’amore dai risvolti tormentati, ambientata a Parigi, città dove la scrittrice ha vissuto molti anni.

Giulio Natali, scrittore marchigiano che, dopo essersi cimentato nel racconto, esordisce nella narrativa con il romanzo Sotto Il Diluvio (Castelvecchi, 2024), che descrive una lotta di potere nella quale tutto è ammesso.

 

 

 

Per questo mese è tutto. Vi invitiamo a seguire Il Passaparola dei libri sui nostri canali sociali e a venirci a trovare sul nostro sito ufficiale per rimanere sempre aggiornati sul mondo dei libri e della lettura! unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

La triste e sfortunata vita di Emilio Salgari

L’incontro con Emilio Salgari, il papà di Sandokan, Yanez, Tremal-Naik e del Corsaro Nero avvenne tanto tempo fa. E fu un amore improvviso, intenso. I primo due libri furono “I misteri della Jungla Nera” e “Le Tigri di Mompracem”, nelle edizioni che la torinese Viglongo pubblicò negli anni ’60.

 

Vennero letteralmente divorati. Toccò poi all’intero ciclo dei pirati della Malesia e a quelli dei pirati delle Antille, dei Corsari delle Bermude e delle avventure nel Far West. Mi recavo in corriera da Baveno a Intra, da una sponda all’altra del golfo Borromeo del lago Maggiore, dove – alla fornitissima libreria “Alberti” – era possibile acquistare i romanzi usciti dalla sua inesauribile e fantasiosa penna. Salgari, nato a Verona nell’agosto del 1862, esordì come scrittore di racconti d’appendice che uscivano su giornali  a episodi di poche pagine, pubblicati in genere la domenica ma, nonostante un certo successo,visse un’inquieta e tribolata esistenza. A sedici anni si iscrisse all’Istituto nautico di Venezia, senza però terminare gli studi.

 

Tornato a  Verona intraprese l’attività di giornalista, dimostrando una notevole capacità d’immaginazione. Infatti, più che viaggiare per mari e terre lontane, fece viaggiare al sua sconfinata fantasia, documentandosi puntigliosamente su paesi, usi e costumi. Scrisse moltissimo, più di 80 romanzi e circa 150 racconti, spesso pubblicati prima a puntate su riviste e poi in volume. I suoi personaggi sono diventati leggendari: Sandokan, Lady Marianna Guillon ovvero la Perla di Labuan, Yanez de Gomera, Tremal-Naik, il Corsaro Nero e sua figlia Jolanda, Testa di Pietra e molti altri. Nel 1900, dopo aver soggiornato alcuni anni nel Canavese ( tra Ivrea, Cuorgnè e Alpette) e poi a Genova, si trasferì definitivamente a Torino dove cambiò spesso alloggio, abitando nelle vie Morosini e  Superga, in piazza San Martino ( l’attuale piazza XVIII Dicembre, davanti a Porta Susa, nello stesso palazzo all’angolo nord dove De Amicis scrisse il libro “Cuore“), in via Guastalla e infine in Corso Casale dove, al civico 205 una targa commemorativa ricorda quella che è stata l’ultima dimora del più grande scrittore italiano di romanzi d’avventura. Schiacciato dai debiti contratti per pagare le cure della moglie, affetta da una terribile malattia mentale, con quattro figli a carico, si tolse la vita con un rasoio nei boschi della collina torinese.

 

Era il 25 aprile 1911. Ai suoi editori dell’epoca, che stentavano a pagargli i diritti, lasciò questo biglietto: “A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna“. Ai quattro figli scrisse: “Sono ormai un vinto. La malattia di vostra madre mi ha spezzato il cuore e tutte le energie. Io spero che i milioni di miei ammiratori che per tanti anni ho divertito e istruito provvederanno a voi. Non vi lascio che 150 lire, più un credito di lire 600… Mantenetevi buoni e onesti e pensate, appena potrete, ad aiutare vostra madre. Vi bacia tutti col cuore sanguinante il vostro disgraziato padre“. I suoi funerali passarono quasi inosservati perché in quei giorni Torino era impegnata con l’imminente festa del 50° Anniversario dell’Unità d’Italia. La sua salma fu successivamente traslata nel famedio del cimitero monumentale di Verona. Un tragico e amaro epilogo per l’uomo che, grazie alle sue avventure, fece sognare tante generazioni di ragazzi.

Marco Travaglini

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Audiatur et altera pars – Le case al mare in Liguria perdono valore e le vacanze sono care, provinciali  e mediocri – Lettere

Audiatur et altera pars
La locuzione latina ampiamente adottata nel linguaggio giuridico significa: sia ascoltata anche l’altra parte, cioè sia dato spazio nel dibattito non solo ad una parte. E’ una regola che andrebbe sempre applicata per garantire il confronto tra le diverse tesi.
Nel campo giuridico nessuno si sottrarrebbe ad esso per garantire il principio del contraddittorio. Se applichiamo la frase al campo storico il discorso diventa invece  difficile. Se essa venisse invocata da un anticomunista sotto attacco  credo che nessuno si sottrarrebbe. Se invece l’altera pars è il fascismo ci si chiude a riccio nell’antifascismo stupido ed  eterno di Scurati ed altri estremisti perché il fascismo va solo combattuto. Il discorso, diceva il focoso Pajetta ,con il fascismo lo abbiamo chiuso il 25 aprile 1945 . La sua era una battuta polemica da comizio umanamente compatibile con la sua storia personale in cui pago’ con dieci anni di carcere la sua lotta politica. Capirlo per poterlo giudicare con il necessario distacco  è un lusso che non è consentito perché c’è sempre l’evocazione macabra di piazzale Loreto e della plebe inferocita che non rispetta neanche i cadaveri. Ma questa non è storia. Lo dicevano già Delio Cantimori ed Armando Saitta storici di sinistra. Una storia schierata a senso unico non è storia, è quella che De Felice definiva come una “vulgata” fatta di generici slogan ideologici. Possibile che dopo 80 anni non si voglia comprendere la verità togliendo l’esclusiva ai faziosi che ritengono di essere gli unici a possederla? E confondono i tribunali della storia con le piazze dei cortei vivacizzate dalle sole bandiere rosse  e dalle pastasciutte antifasciste?
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Le case al mare in Liguria perdono valore e le vacanze sono care, provinciali  e mediocri
Non è solo la fine della bolla edilizia che ha fatto arricchire a dismisura impresari senza qualificazione professionale e senza scrupoli, ma anche le cattive amministrazioni comunali e anche la Regione che hanno impoverito il territorio di iniziative, a determinare la non attrattività delle cittadine liguri che in un passato molto lontano avevano un loro stile. Pensiamo ad Alassio con Mario  Berrino che fece esplodere l’estate. Oggi il modello medio è Borghetto Santo Spirito. Neppure Varigotti si è salvata dal casino provinciale. Mentre il Sud è progredito con una  clientela internazionale di qualità – pensiamo al Salento – la Liguria, se escludiamo le Cinque Terre, si è rivelata un gambero surgelato, neppure di qualità. Anche la ristorazione fa acqua da tutte le parti e non ha più locali adeguati pur mantenendo prezzi esosi e a volte senza ricevuta, l’associazionismo socioculturale  è  ridotto al mondo dei carugi  maleodoranti ed è formato da ridicoli personaggi quasi ottantenni  molto patetici e premiati dal Conune come a Carrù fanno con il bue grasso  che celebrano, a loro volta  uno dei preti più discussi, don Gallo di Genova, il prete di estrema sinistra, amico di De Andrè e di Giuliani  aggressore di un  carabiniere. Giornalistini creano incontri letterari con scrittorelli senza notorietà. Anche Toti, se escludiamo il ponte Morandi che era un  dovere minimo rifare in fretta, ha lavorato male, privando del pronto soccorso territori liguri che oggi non garantiscono più il diritto alla salute. La Liguria del presente, turisticamente, è tornata all’anno zero. Meglio andare al mare al Sud, magari a Capri (dove sono andato per anni con grande piacere) e lasciare ai liguri lo sfascio che loro stessi hanno creato. Toti va archiviato e processato almeno politicamente  non solo per eventuali illeciti , ma per il modo grigio, anzi opaco, di condurre la Regione da parte di  uno che riteneva, poverello, Novi Ligure in Liguria e non in Piemonte.
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LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com
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Scurati a Venezia
A Venezia verrà celebrato il film  televisivo in 7 puntate tratto dal romanzo di Antonio Scurati “M. Il figlio del secolo” seguito da altri due tomi. Non avevano altro di meglio  da portare a Venezia? Scurati non è uno storico, ma un attivista politico. Cosa ne pensa? Vittorio Fedeli
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Lei sfonda porte aperte, Scurati è stato beneficiato da Mussolini che gli ha dato la notorietà che mai avrebbe raggiunto. A lui Mussolini è servito. Sarà un malloppone inguardabile. E’ sconcio spendere soldi pubblici per queste cose.
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In difesa di Povia
E’ un cantante che non mi entusiasma, ma il divieto del sindaco di Nichelino  al concerto di Povia  è sconcertante.   Luisa Miale
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D’accordo con lei. La censura operata dal sindaco di Nichelino è una manifestazione di faziosità intollerabile. Agli antisemiti quel sindaco non avrebbe mai vietato nulla. Povia ha cantato a Sanremo, ma a Nichelino non gli è consentito. Si vergogni questo sindaco che ruba la libertà dei suoi cittadini, decidendo lui la musica consentita  nel suo Comune espressione della peggiore area metropolitana  torinese.

Al via la seconda parte della rassegna Estate Reale

 

 

Al via sabato 31 agosto  la seconda parte della rassegna di Estate Reale, manifestazione di musica, teatro e divertimento che era stata inaugurata lo scorso 14 giugno, organizzata dai Musei Reali, con  il sostegno della Direzione Generale Spettacolo del Ministero della Cultura. Quest’anno la rassegna include al sui interno il Festival itinerante “Teatro nelle corti”, diretto da Beppe Navello, che comprende cinque spettacoli concentrati in una sola serata negli spazi all’interno dei Musei Reali, il Giardino Ducale, il Teatro Romano e la Corte d’onore, fino alla piazzetta reale. Sono messi in scena da artisti provenienti da Italia, Belgio,  Francia ePortogallo.

Estate Reale, che ha lo scopo di creare una rete con le realtà culturali circostanti,  facendo dei MuseI Reali un ricco polo di aggregazione e un luogo sicuro nel cuore di Torino, ruota intorno tre filoni di iniziative che prendono vita al  calar della sera: Torinocrocevia ei sonorità,  Notti sonore, Echi di antichità, cui si aggiungono una ricca serie di manifestazioni diurne  capaci di condurre il pubblico dei Musei Reali lungo i tre secoli di storia del Museo di Antichità, con l’unione di archeologia, musica e teatro e danza.

Sabato 31 agosto la seconda parte della rassegna si aprirà con “L’aspide di Cleopatra” di Nicola Fano, nell’ambito del Teatro delle Corti. A partire dalle 19.45 verrà declamato un monologo di fronte alla Testa di Cleopatra riprodotta e conservata al Museo di Antichità.  Seguiranno le coreografie di “Le secret des oiseaux” di Richard Ourmandane e quelle di “Una parte de soi” di Jean Paul Santos. Concluderanno la serata il concerto vocale di BénédicteDawin e alle 22.30 le acrobazie di Paulin Barboux e GaelleEstève.

Il 6 settembre,  per il Read a Book a day, evento internazionale che incoraggia la lettura, i Musei Reali di Torino e l’Associazione Liberi Pensatori Paul Valery organizzeranno una giornata dedicata alla letteratura all’aria aperta tra presentazioni e reading. Dalle 19.30 alle 22.30 un gruppo di interpreti si esibirà nello spazio verde del Giardino Ducale nella declinazione di un nutrito programma di testi scelti direttamente dal pubblico grazie al menu poetico, mentre nel Boschetto un ensemble di musicisti accompagnerà  la serata con musica dal vivo.

Dopo il successo delle prime due edizioni,  il 7 settembre,  il Club del Silencio aprirà le porte dei Musei Italiani alla più grande festa della vendemmia realizzata in città, con degustazioni di grandi e piccole cantine nei giardini,  oltre a musica, performance di artisti del territorio,  attività di gioco e tema e l’osservatorio giovanile Youthlab. Potrà essere l’occasione per visitare di sera alcuni spazi poco noti dei musei Reali, quali l’appartamento di re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena.

Vi sarà inoltre un’apertura straordinaria serale anche domenica 15, in occasione della visita alla mostra “La scandalosa e la magnifica” e con la rappresentazione integrale dell’Antigone,  in programma al Teatro Romano alle 21.

Saranno protagonisti  del 21 settembre, equinozio d’autunno, gli artisti della Fondazione Cirko Vertigo, che rappresenterà “Cabaret Vertigo”. In quell’occasione si potrà attuare uno straordinario percorso di visita serale del Museo di Antichità.

Venerdì 27 e sabato 28 settembre è  in programma la Notte Europea dei ricercatori e delle ricercatrici,  manifestazione promossa in collaborazione con l’Università degli Studi di Torino, con Area Valorizzazione Impatto della Ricerca e Public Engagement, direzione Ricerca e il Politecnico di Torino. Sarà l’occasione di incontro per ricercatori e Ricercatrici e cittadini per diffondere la cultura scientifica e la conoscenza delle professioni della ricerca in un contesto stimolante e informale.

La notte europea dei Ricercatori e delle Ricercatrici fa parte di un’iniziativa internazionale promossa dalla Commissione Europea e coinvolge dal 2005 migliaia di ricercatori e istituzioni di ricerca.

L’evento finale di Notti sonore conclude l’Estate Reale e i festeggiamenti per i 300 anni del Museo di Antichità,  in programma giovedì 31 ottobre dalle 19 a mezzanotte.

Sarà una rievocazione, a cura dell’associazione Terra Taurina e Okelum, che permetterà di approfondire le analogie, latrasmissione di usi e la presenza di differenze tra la cultura dei Celti e le altre civiltà. Verrà data particolare attenzione al tema della danza collettiva, che culminerà nei giardini Reali nella danza di Sarmonios, una danza celtica che nell’Antichità celebrava lungo alpino la fine dell’anno appena trascorso e l’inizio di quello nuovo, quando il mondo dei vivi e quello dei defunti entravano in  comunicazione.

Mara   Martellotta

La “pattuglia” che affondò con la torpediniera nella tempesta sul lago Maggiore

STORIE PIEMONTESI / La narrazione è costruita attorno a questo tragico evento realmente accaduto nella parte alta del lago, quasi al confine tra le acque italiane e quelle svizzere, in una gelida notte d’inverno di fine Ottocento

“Pattuglia senza ritorno”, il racconto storico felicemente uscito dalla penna di Elio Motella, si legge tutto d’un fiato e propone – nel quadro di una ben congeniata storia d’amore tra la maestra elementare Assunta Pedroli e il fuochista di Marina Matteo Ferrari – uno dei misteri ancora insoluti del lago Maggiore: quello del naufragio della “Locusta”. La narrazione è costruita attorno a questo tragico evento realmente accaduto nella parte alta del lago Maggiore, quasi al confine tra le acque italiane e quelle svizzere, in una gelida notte d’inverno di fine Ottocento.  Mescolando realtà e finzione, l’autore tratteggia la vita sulla sponda occidentale del Verbano tra il 1893 al 1896, dove i protagonisti sono i marinai e i militari della Guardia di Finanza del locale distaccamento, addetti al controllo lacuale con le torpediniere, gli “sfrusitt” ( i contrabbandieri ) che sfidavano leggi e autorità dedicandosi – tra fatiche e pericoli – al contrabbando, considerato a quel tempo una delle poche risorse per la sopravvivenza degli abitanti del lago e poi la gente e i luoghi tra Cannobio e Pallanza. Le rare foto d’epoca, a corredo degli avvenimenti, rendono bene l’atmosfera di quei luoghi e di quegli anni, in una terra di frontiera.

Ma veniamo alla storia della “Locusta”, la torpediniera della “Regia Finanza” che  – affondò la notte tra l’8 ed il 9 gennaio 1896 dopo esser salpata dalla base di Cannobio per un normale servizio di pattugliamento sul Lago Maggiore. Quello della “Locusta” è stato uno dei più grandi punti interrogativi delle vicende che hanno interessato il lago. L’ unità, classificata come “torpediniera costiera di quarta classe” (lunga 19,20 metri, capace di una velocità di 17 nodi e dotata di un cannone a ripetizione “Nordenfeldt” )  era tra quelle acquistate dalla Regia Marina nei cantieri Thornycroft di Londra nel 1883, per essere imbarcata su navi da battaglia. All’atto pratico si dimostrò inadatta  all’impiego bellico e quindi ( insieme ad altre )  fu dislocata sul lago Maggiore ed affidata alla “finanza” per essere adibita alla vigilanza doganale sul confine con la Svizzera. Cosa accadde quella notte, è rimasto un mistero. Come se la torpediniera fosse sparita in una specie di “buco nero”. Dalle cronache dell’epoca si evince che era salpata da Cannobio in direzione di Maccagno, e il tempo risultava buono: “cielo sereno e lago calmo, con una fredda brezza spirante da nord dalla vicina Svizzera”. L’equipaggio era al completo. Erano in dodici, a bordo: otto marinai della Regia Marina e quattro guardie di finanza. Stando sempre alla cronaca, alla partenza, si trovavano a bordo anche il tenente dei “canarini”, comandante del reparto di confine, ed un elettricista,che però sbarcarono poco dopo sulla linea confinaria – al valico di Piaggio Valmara-  per effettuare una ispezione a terra. Durante la navigazione notturna sul lago, all’improvviso, il tempo volse al brutto: si alzò un vento impetuoso con raffiche di tramontana e, subito dopo la mezzanotte,si scatenò una furiosa tempesta.Le acque si agitarono, le correnti diventarono impetuose, i lampi squarciarono il cielo gonfio di nubi nere. La “Locusta”, sorpresa dall’improvvisa burrasca, dovette mutar rotta ,dirigendosi verso la vicina Punta Cavalla sulla riva lombarda del lago, per cercare riparo alla violenza della tramontana. Il riflettore della torpediniera venne avvistato da Cannobio per l’ultima volta poco dopo la mezzanotte del 9 gennaio 1896. Poi il buio e più nulla.Non ricevendo risposta ai ripetuti segnali di richiamo lanciati da terra, venne subito fatta uscire la torpediniera-gemella – la “21T Zanzara”- per le ricerche immediate ed il soccorso ai naufraghi, ma nonostante la lunga e minuziosa perlustrazione su tutto lo specchio d’acqua tra Cannobio e Cannero ( sulla sponda piemontese), Maccagno e Pino ( su quella lombarda), non venne trovata traccia alcuna di superstiti né di relitti. Il lago si eraletteralmente “inghiottito” l’unità navale con tutto l’equipaggio di bordo. I dodici militari risultarono così “dispersi in servizio, nell’adempimento del dovere”. Cosa accadde alla “Locusta”, quella notte, fu oggetto di molte ipotesi. Forse il natante venne  “rovesciato da una raffica impetuosa” e le acque si rinchiusero sull’equipaggio “rifugiatosi sotto coperta per ripararsi dalla burrasca, tranne il capo-timoniere comandante, bloccato anch’esso, ma nella cabina di governo”. Non si poteva neppure escludere che in quel momento fatale, furono i portelli aperti dell’osteriggio di macchina, a determinare l’allagamento dei locali di bordo”. E come non prendere in considerazione l’eventualità di “ una esplosione delle caldaie esterne, dovuta ad un’onda improvvisa”.

Supposizioni a parte, resta il fatto che tutte le ricerche ed anche l’inchiesta che venne aperta non diedero alcun risultato.Anche i vari tentativi intrapresi nel tempo, basati sulla ricostruzione della rotta e delle posizioni indicate dalle cronache dell’epoca, si sono conclusi senza troppa fortuna e nessuno con successo. Negli anni ’80 il relitto era stato ricercato in due occasioni: dapprima con il batiscafo dell’esploratore e ingegnere svizzero Jacques Piccard, poi con l’intervento di una unità della marina militare italiana, guidata da un ammiraglio, con l’intento di recuperare  almeno il natante per esporlo al museo nazionale di Ostia, in quanto unico esemplare rimasto della serie di torpediniere costruite all’epoca. Ma, come già detto, ambedue le immersioni diedero esito negativo poiché il fondale del lago è coperto da grandi depositi di terra e di melma. E anche gli ultimi tentativi non hanno sortito alcunché.  A memoria dei dodici dell’equipaggio della “Locusta” resta il monumento ( un timone sorretto da putrelle di ferro sopra un blocco di pietra con i nomi delle vittime), realizzato  sul Poggio delle Regie Torpediniere, nei pressi del porto militare della Guardia di Finanza a Cannobio. Elio Motella, con il suo “Pattuglia senza ritorno”, ha avuto il merito di riportare all’attenzione del pubblico questa vicenda. E di farlo con un libro davvero ben costruito e ancor meglio scritto.

 

Marco Travaglini

Il ritorno dei Templari dopo 700 anni

Sette secoli dopo la morte dell’ultimo Gran maestro dei Templari i “soldati di Cristo” sono tornati. Anche se con compiti e mansioni molti diversi rispetto al Medioevo. Ma oggi i Templari del terzo millennio sono pronti a risvegliare l’onore e la fierezza dei “Pauperes commilitones Christi”. Si chiamano i “Templari cattolici d’Italia” ed è in sostanza l’Ordine dei cavalieri templari ricostituito in Italia dopo la loro soppressione nel 1312 con la bolla papale di Clemente V.
L’Ordine non è ufficialmente riconosciuto dalla Santa Sede, al contrario dei Cavalieri di Malta, ma è riconosciuto come ordine di evangelizzazione ed è approvato da alcuni vescovi e cardinali. Gli uomini indossano il mantello bianco degli antichi Cavalieri del Tempio con una grande croce rossa sul petto mentre le donne portano un mantello nero con cappuccio e sciarpa bianca al collo. Li troviamo impegnati in molti luoghi in Italia, svolgono servizio di volontariato presso abbazie e cattedrali, monasteri e conventi, recuperano chiese abbandonate o devastate dalle intemperie, promuovono attività culturali come convegni, conferenze e mostre, aiutano i sacerdoti durante Messe, veglie, processioni e camminate silenziose per la fede. A Torino li abbiamo visti all’opera, in qualità di volontari, durante l’ostensione straordinaria della Sindone nella primavera del 2015. Si tratta di un’associazione di fedeli cattolici, laici e religiosi, regolata secondo il diritto canonico, devota al Papa, che segue una disciplina di tipo cavalleresco e che si propone di aumentare la vocazione cristiana e cattolica nel nostro Paese e nel resto del mondo. Almeno 1300 laici e 80 diaconi, uomini e donne, attivi in un centinaio di diocesi italiane, operano per risvegliare “i valori della cavalleria e della tradizione dei Poveri Cavalieri di Cristo detti Templari, secondo le indicazioni di San Bernardo attraverso la preghiera, i ritiri spirituali e la salvaguardia della fede cattolica”. Tra gli impegni dell’associazione spicca la riapertura al culto delle chiese abbandonate o profanate, in particolare delle antiche chiese templari chiuse da secoli di cui è costellata la penisola da nord a sud. I Templari d’Italia sono presenti anche in Val di Susa con la Commanderia ex Val Dora a San Giorio di Susa e fanno parte del Priorato Santa Sindone.
Un drappello di templari ha partecipato al Castello di San Giorio alla prima edizione della manifestazione “Medioevo in valle” tra esibizioni di combattimento, giullari e scrivani, armi e libri, una mostra fotografica itinerante sulla storia dei Templari, spettacoli, danze e musica medievale. Gran finale con l’assalto al castello, la Messa nella chiesa di San Giorio e l’investitura dei nuovi cavalieri templari.             Filippo Re

Al Sacro Monte di Ghiffa “Aspettando LetterAltura”

 

 

Sabato 31 agosto al Sacro Monte  di Ghiffa è  in programma “Aspettando LetterAltura”, una serie di appuntamenti del festival di letteratura di montagna, viaggi e avventure del lago Maggiore. Alle 16 è prevista la presenza di don Luigi Ciotti, che proporrà alcune riflessioni sul tema “La montagna resistente, dalla memoria al sogno”, alle 18 Stefano Ardito presenterà il suo libro edito da Solferino “K2. La montagna del mito”. Alle 21 è  in programma lo spettacolo musicale “Canti dalle montagne del mondo” con il duo Passamontagne formato da Massimo Lollo e Valentina Volontà, a ingresso gratuito, con possibilità di aperitivo  alle 19.30 al ristorante La Trinità.

Il Festival LetterAltura 2024, giunto alla sua diciottesima edizione, è  organizzato dall’associazione culturale LetterAltura e prevede numerosi appuntamenti  a Verbania tra il 26 e il 29 settembre. “Aspettando Letteraltura” rappresenta il programma di incontri e spettacoli che anticipa il festival, coinvolgendo il territorio del Verbano Cusio Ossola.

Il tema individuato quest’anno, in occasione dell’ottantesimo anniversario del rastrellamento nazifascista della Val Grande con gli eccidi di Fondotoce e Baveno e la creazione della libera Repubblica partigiana dell’Ossola (1944-2024) è  la “montagna resistente, dalla memoria al sogno”. Un tema che viene affrontato nella duplice valenza di attenzione rivolta alle vicende resistenziali, ma anche di approfondimento sul modo in cui la montagna resiste o si fa resiliente rispetto ai cambiamenti di cui è oggetto e al tempo stesso soggetto.

L’appuntamento del 31 agosto a Ghiffa ha ricevuto il patrocinio dell’Ente di Gestione dei Sacri Monti, per una migliore fruizione e valorizzazione del complesso, che comprenda anche l’organizzazione di eventi prestigiosi.

 

Mara Martellotta