CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 9

Nel ricordo di Anna Frank

ACCADDE OGGI

Era il 12 Giugno del 1942 e tra i regali di compleanno Anna Frank, che oggi compirebbe novantasei anni, ( 1929 – 1945 ) ricevette un diario con la copertina in tela a quadretti rossi, appunto quello che divenne il suo famosissimo diario letto da tutti, a tutte le età, tradotto in 60 lingue, venduto in tutto il mondo.

Proprio ciò che lei non avrebbe voluto che avvenisse. Nei suoi progetti doveva essere uno scrigno confidenziale e segreto come per ogni adolescente di questo mondo, ma per lei non fu così. Chi non conosce questa ragazzina divenuta simbolo della Shoah, giovane ebrea tedesca nata nel periodo più sbagliato per la sua vita di bimba, lei con la sua dote di scrittrice, sensibile, ottimista e profonda ? E così nei suoi scritti annotò ogni dettaglio della sua vita di rifugiata ad Amsterdam con la famiglia ( nella foto la casa – museo dove è custodito il manoscritto originale ) e dal 42 vita di clandestinità per sfuggire alle persecuzioni naziste. Scoperti nel 44 e arrestati nei campi di sterminio, questa storia di dolore e deportazione si concluderà per Anna con la sua morte avvenuta per tifo nel 45 nel campo di Bergen – Belsen. A lei oggi il nostro ricordo, il nostro affetto ed una rosa rossa sulle tante pagine bianche di un diario di vita mai scritto!

Patrizia Foresto

Horst Bredekamp per “Risonanze” alla Gam

Morfologia senza fine. Sull’intelligenza artistica di funghi, coralli e batteri.

 

Uno dei principali problemi del presente è una conseguenza della separazione cartesiana tra mente e materia. Leibniz ha offerto un’alternativa con la sua filosofia delle petites perceptions. La conferenza ne ripercorrerà la tradizione attraverso una revisione del Libro della Natura di Galileo, dell’Albero della vita di Darwin e della ricezione di questa alternativa da parte di due artisti contemporanei.

Horst Bredekamp, nato a Kiel nel 1947, ha studiato storia dell’arte, archeologia, filosofia e sociologia a Kiel, Monaco, Berlino e Marburgo, dove ha conseguito il dottorato in storia dell’arte nel 1974. Dopo aver lavorato in un museo presso la Liebieghaus di Francoforte sul Meno, ha insegnato come assistente all’Università di Amburgo dal 1976 e come professore di storia dell’arte dal 1982. Dal 1993 è professore di storia dell’arte e della visione presso la Humboldt-Universität zu Berlin e dal 2019 è Senior Speaker del Cluster of Excellence “Matters of Activity”. Dal 2015 al 2018 è stato uno dei tre direttori fondatori della Humboldt Forum di Berlino.  È membro di sei accademie e dell’Ordine Pour le Mérite. Nel 2025 è stato nominato Cavaliere della Repubblica Italiana.

Costo: 6€ comprensivo di prevendita  Acquista il biglietto

RISONANZE
Primo ciclo di conferenze tra arte e filosofia

a cura di Chiara Bertola e Federico Vercellone

 

da giugno a ottobre 2025

GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino

Sala incontri

IL PRIMO APPUNTAMENTO

 

GIOVEDI 12 GIUGNO ORE 18

Horst Bredekamp

Morfologia senza fine. Sull’intelligenza artistica di funghi, coralli e batteri.

Gina Lombroso: quando le donne fanno scienza

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Torino e le sue donne

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce. 

Con la locuzione “sesso debole” si indica il genere femminile. Una differenza di genere quella insita nell’espressione “sesso debole” che presuppone la condizione subalterna della donna bisognosa della protezione del cosiddetto “sesso forte”, uno stereotipo che ne ha sancito l’esclusione sociale e culturale per secoli. Ma le donne hanno saputo via via conquistare importanti diritti, e farsi spazio in una società da sempre prepotentemente maschilista. A questa “categoria” appartengono  figure di rilievo come Giovanna D’arco, Elisabetta I d’Inghilterra, Emmeline Pankhurst, colei  che ha combattuto la battaglia più dura in occidente per i diritti delle donne, Amelia Earhart, pioniera del volo e Valentina Tereskova, prima donna a viaggiare nello spazio. Anche Marie Curie, vincitrice del premio Nobel nel 1911 oltre che prima donna a insegnare alla Sorbona a Parigi, cade sotto tale definizione, così come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Rientrano nell’elenco anche Coco Chanel, l’orfana rivoluzionaria che ha stravolto il concetto di stile ed eleganza e Rosa Parks, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, o ancora Patty Smith, indimenticabile cantante rock. Il repertorio è decisamente lungo e fitto di nomi di quel “sesso debole” che “non si è addomesticato”, per dirla alla Alda Merini. Donne che non si sono mai arrese, proprio come hanno fatto alcune iconiche figure cinematografiche quali Sarah Connor o Ellen Ripley o, se pensiamo alle più piccole, Mulan. Coloro i quali sono soliti utilizzare tale perifrasi per intendere il “gentil sesso” sono invitati a cercare nel dizionario l’etimologia della parola “donna”: “domna”, forma sincopata dal latino “domina” = signora, padrona. Non c’è altro da aggiungere.  (ac)

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2. Gina Lombroso: quando le donne fanno scienza

Nell’articolo precedente ho voluto ripercorrere, per sommi capi, la storia delle “Venusiane”, (se vogliamo seguire la leggenda secondo cui le donne vengono dal pianeta “Venere” e gli uomini da “Marte”), e sottolineare le numerose battaglie e inauditi sforzi che esse hanno coraggiosamente affrontato in passato e che continuano a fronteggiare a testa alta nell’eterna sfida della vita quotidiana. Moltissime sono state le protagoniste femminili che hanno dato il loro contributo rivoluzionario per modificare il mondo negli ambiti più svariati, dalla politica alla cultura, dalla letteratura alla scienza.  Anche Torino ha avuto le sue paladine coraggiose, le quali hanno lasciato una forte impronta nel tempo, si pensi, ad esempio, a quanto hanno contribuito le Madame Reali per lo sviluppo delle arti e la magnificenza della città, promuovendo costruzioni di chiese, palazzi e residenze. In tempi più recenti le donne torinesi si sono messe in luce anche per il loro intelletto, infatti proprio di Torino era Maria Fernè Veledda, seconda donna laureata del Regno d’Italia in Medicina, nel 1878, e, sempre torinese, è stata la brillante Rita Levi Montalcini, nota per le scoperte nel campo delle neuroscienze, ma che ci ha lasciato anche pensieri profondi e illuminanti sulla condizione femminile, su cui, forse, dovremmo soffermarci a meditare ogni tanto. Un’ultima considerazione in chiave poetico-esoterica sulla nostra città, da sempre divisa in due, in cui alla sfera maschile rappresentata dal Po, ha sempre fatto da contraltare una lunare sfera femminile, silenziosa ma non meno importante, rappresentata dalla Dora. Non a caso a Torino è una delle poche città in cui sorge una chiesa specificatamente dedicata alla Grande Madre: ognuno ne tragga le proprie conclusioni. Le vicende sono molte e bisogna pur scegliere e da qualche parte iniziare. Con piacere mi accingo a raccontare la storia di alcune donne torinesi, con l’intento che le loro vicende possano ispirare la nascita di altre storie. 
Gina Lombroso nasce a Pavia nel 1872 da Nina De Benedetti e Cesare Lombroso. La famiglia appartiene ad una alta e colta borghesia legata alle tradizioni ebraiche, in cui è centrale la figura del padre, Cesare, celebre antropologo, sociologo e filosofo, padre della moderna Criminologia. Già da adolescente Gina partecipa al lavoro scientifico del padre in veste di segretaria e collaboratrice, seguendo la corrispondenza e affiancandolo nel lavoro redazionale della celebre rivista l’“Archivio di psichiatria”, fondata nel 1880. Fondamentale per la crescita di Gina è la figura di Anna Kuliscioff, ospite frequente del salotto di casa Lombroso. E’ grazie all’influenza di Anna che Gina si avvicina agli ideali socialisti, che si concretizzeranno poi in alcuni studi svolti insieme alla sorella Paola, su temi quali la condizione di vita degli operai, il problema dell’analfabetismo e gli scioperi. Sempre nello stesso periodo Gina collabora alle riviste “Critica sociale” e “Il socialismo”. Nel 1895 Gina si laurea in Lettere presso l’Università di Torino e, successivamente, si iscrive alla Facoltà di Medicina. Pubblica poi alcuni saggi, tra i quali “L’atavismo nel delitto” e “L’origine della specie”. Nel 1901 conclude gli studi di medicina a pieni voti discutendo una tesi intitolata “I vantaggi della degenerazione” davanti ad una commissione che includeva l’igienista Luigi Paliani e il Fisiologo Angelo Mosso. L’argomento della tesi si dimostra estremamente rilevante per il dibattito scientifico dell’epoca, tant’è che verrà approfondito in un volume dallo stesso titolo pubblicato nel 1904. La giovane Lombroso affronta il tema della degenerazione in modo nuovo, avvicinandosi all’ottica biologica con una prospettiva sociologica. I caratteri della degenerazione vengono letti non tanto come un progressivo deterioramento dell’umanità, quanto come la capacità di adattamento dell’uomo alla conseguenze dell’industrializzazione, con particolare attenzione alla relazione uomo-ambiente.

 

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Dopo la laurea prosegue la sua attività di ricerca con il ruolo di assistente volontaria nella clinica psichiatrica dell’Università di Torino, tale incarico verrà portato avanti fino a i primi anni del matrimonio avvenuto nel 1901 con Guglielmo Ferrero, collega di Cesare Lombroso, con cui egli aveva collaborato per scrivere nel 1893 la monografia “La donna delinquente, la prostituta, la donna normale”. Sempre in questo periodo Gina svolge studi clinici sulla pazzia morale, sull’epilessia e sulla criminalità, non tralasciando mai l’intensa collaborazione con la rivista del padre. Nel 1907 segue il marito in un viaggio in sud America, visitando carceri, scuole e manicomi. Le sue riflessioni su tale esperienza verranno stampate l’anno successivo in un volume intitolato “Nell’America meridionale (Brasile Uruguay Argentina)”. Gina, per non farsi mancare nulla, è anche studiosa di lingue straniere, e, grazie a tale competenza, rimane a stretto contatto con l’ambiente scientifico internazionale oltre che italiano. Alla morte del padre, nel 1909, Gina si dedica con affetto alla risistemazione e ripubblicazione delle opere paterne, nell’intento di mantenerne vivo il pensiero nella comunità accademica. Nel 1916 lascia Torino e si trasferisce con la famiglia a Firenze, qui la sua casa diviene sede di incontri e scambi con l’ambiente intellettuale cittadino. Tra i frequentatori più assidui i Salvemini e i Rosselli. In questi anni la Lombroso si dedica allo studio della condizione femminile, teorizzando l’“alterocentrismo” della donna, cioè un innato altruismo fondato biologicamente e legato alla “missione” della maternità. Nei numerosi scritti su tale argomento, Gina intende negare la convinzione imperante dell’inferiorità femminile, in nome di una forte differenziazione dei sessi, che dovevano essere concepiti non in un rapporto gerarchico ma in uno di “complementarietà”. Nel 1917 pubblica l’“Anima della donna”, testo che vede diverse traduzioni e ristampe in Italia e all’estero; nello stesso anno fonda con Amalia Rosselli e Olga Monsani la “Associazione divulgatrice donne italiane”(ADDI) con lo scopo “indurre la donna italiana a prendere parte allo sviluppo scientifico, sociale, politico, filosofico del paese”. A seguito delle persecuzioni politiche da parte del Regime, nel 1930 Gina e il marito Guglielmo sono obbligati a trasferirsi a Ginevra, rimanendo però in contatto con l’ambiente antifascista. Durante l’esilio, Gina approfondisce la problematica del rapporto uomo-macchina, affrontando gli sviluppi della nuova epoca industriale in una prospettiva sociologica. In “Le tragedie del progresso” e “Le retour à la prosperité”, di fronte alle profonde trasformazioni introdotte dalla industrializzazione, viene messa in discussione la fiducia positivista in un progresso indefinito. 
La storia di Gina non ha un lieto fine, l’amore per la scienza che dalla giovinezza l’accompagna non riesce a salvarla né a riportarla a casa. Gli anni dell’esilio vedono la morte del figlio Leo Ferrero, giovane poeta e intellettuale. Gina Lombroso morirà nel 1944 due anni dopo il marito, assistita dalla sorella Paola che l’aveva raggiunta nella città Svizzera. L’ignoranza violenta della guerra ogni tanto vince e l’oscurantismo allarga di un po’ la sua ombra, ma non dobbiamo dimenticarci che “senza cultura e la relativa libertà che ne deriva, la società, anche se fosse perfetta, sarebbe una giungla.” (Albert Camus). Gina ha contribuito a estirpare le erbacce, anche da lontano.

 

Alessia Cagnotto

Adelaide, la contessa delle Alpi Cozie

A  cura di piemonteitalia.eu

Sulla città di Susa svetta un castello intitolato alla contessa Adelaide, che si erge dall’alto della rocca. In quel maniero, nel 1046, la contessa Adelaide, figlia di Olderico Manfredi, conte di Torino e marchese di Susa e di Berta d’Este, accolse il suo sposo Oddone di Savoia, offrendogli in dote il marchesato di Susa e la contea di Torino.

Leggi l’articolo:

https://www.piemonteitalia.eu/it/curiosita/adelaide-la-contessa-delle-alpi-cozie

Primo concerto della Stagione 2025 dell’Orchestra Polledro, “Viaggio sinfonico nel ‘700 europeo”

Sul podio il direttore stabile dell’Orchestra Federico Bisio

La stagione 2025 ha inizio per l’Orchestra Polledro, diretta dal maestro Federico Bisio, con un concerto che si terrà al teatro Vittoria mercoledì 11 giugno prossimo alle 20.30.

Il concerto è intitolato “Viaggio sinfonico nel ‘700 europeo” e si riferisce ad un periodo di straordinaria trasformazione culturale e musicale. Il barocco lascia spazio a nuovi ideali estetici, nasce lo stile galante, si affermano i principi del classicismo e il genere sinfonico, che da semplice ouverture operistica diventa una forma indipendente, capace di raccontare emozioni e visioni attraverso l’orchestra.

Protagonisti del concerto “Viaggio sinfonico nel ‘700 europeo” sono figure celebri come Mozart, ancora adolescente, ma pienamente consapevole della struttura orchestrale, e Luigi Boccherini, raffinato innovatore capace di fondere grazia italiana e spirito iberico. Accanto a loro riscopriamo la voce solida ed energica di Michael Haydn, esponente autorevole della scuola salisburghese, e quella sorprendente ma purtroppo dimenticata di Giovanni Battista Miroglio, compositore piemontese oggi riproposto per la prima volta al pubblico moderno.

Ogni Sinfonia rappresenta  una tappa di questo viaggio, ognuna con un’identità distinta, dalla brillantezza classica alla cantabilità italiana, dalla chiarezza formale alla ricerca timbrica, il pubblico sarà  accompagnato in un’esperienza d’ascolto che unisce conoscenza, scoperta e bellezza.

Di Luigi Boccherini verrà eseguita la Sinfonia n. 16 in Mi bemolle maggiore Op. 35 n. 2. G 510

Composta intorno al 1782, questa Sinfonia è un esempio splendido  dello stile maturo di  Boccherini, compositore lucchese stabilitosi in Spagna. La Sinfonia G510 si distingue per la sua scrittura chiara e ben strutturata, con una particolare attenzione all’equilibrio tra le sezioni orchestrali. Boccherini, pur essendo noto per la sua musica da camera, dimostra in questa composizione una notevole capacità  di adattare il suo stile alla forma Sinfonica, mantenendo un linguaggio elegante e accessibile.

L’opera si articola in tre movimenti Allegro con spirito – Un movimento vivace e brillante, un tema principale energico e ritmicamente incisivo, che mostra la maestria di Boccherini nel trattare  le dinamiche e le sonorità  orchestrali – Andante, movimento più lirico e meditativo in cui la melodia si sviluppa in modo fluido e cantabile, evidenziando la sensibilità melodica del compositore – Allegro giusto, il tema deriva da uno utilizzato nell’Andante precedente e contribuisce  a sviluppare un finale energico e ritmicamente incisivo, che chiude la Sinfonia con un senso di coesione e completezza.

Il sesnndo brano del concerto sarà la Sinfonia in re maggiore P 42 di Michael Haydn, fratello minore del più celebre Joseph, figura centrale della musica sacra e sinfonica a Salisburgo. Questa sinfonia, vivace e incisiva, evidenzia un linguaggio orchestrale compatto e diretto. Concepita con chiarezza formale e un gusto per il contrasto tematico, l’opera riflette il classicismo nascente, ma conserva una certa espressività barocca, specie nei movimenti lenti. La brillantezza del tono, in re maggiore, e l’equilibrio tra i movimenti, fanno di questo movimento una gemma austrotedesca di fine secolo. La Sinfonia è conservata solo in parte in manoscritti dell’epoca della sua composizione, poiché le parti portano alla data del 1778, dobbiamo concludere che l’opera sia stata composta prima di quella data. La strumentazione prevede due oboi, due corni, primo e secondo violino, viola da basso. Inizia con una introduzione lenta affidata agli archi. L’introduzione sfocia in una Allegro molto con l’intera orchestra all’unisono, motivi brillanti di terzine e accordi enfatici di triadi, che segnano le misure di questo movimento. Come spesso accade in Haydn, ai fiati è assegnato un ruolo di supporto, senza che vi sia una sorta di indipendenza idiomatica. L’Adagio è ricco di sentimento, il Finale Presto mostra la mano di un compositore il cui campo principale era la musica sacra. Gli archi dominano il movimento e si abbandonano a fughe e imitazioni.

Di Giovanni Battista Miroglio (1725-1785), verrà eseguita la Sinfonia in Fa maggiore op.2, che rappresenta la prima esecuzione dei tempi moderni. Miroglio, piemontese, attivo nella seconda metà del XVIII secolo, realizzò questa bellissima Sinfonia, che era un brano quasi dimenticato. La partitura, ricostruita dal Maestro Federico Bisio, mostra un linguaggio elegante con tratti italiani nello stile cantabile dei temi. È una struttura tripartita tipica della prima fase sinfonica. La scrittura orchestrale è significativa e rivela un autore da scoprire. Tre delle sue prime quattro  opere pubblicate sono dedicate a parigini, che a quanto pare erano suoi mecenati o allievi. Nel 1765 iniziò un’impresa che sarebbe stata molto più importante delle sue composizioni e insegnamenti: insieme al pittore tedesco Johann Anton De Peters, fondò il il Bureau d’Abonnement de musique. Per due anni, la Chevardière e altri editori, combatterono il nuovo Bureau in tribunale, coinvolgendo un centinaio di musicisti da una parte e dall’altra. La decisione della Corte fu a favore del Bureau, che continuò a operare fino al 1789. Miroglio è citato come compositore e insegnante almeno fino al 1785. Le sue composizioni presentano caratteristiche francesi, italiane e Mannheim, tipiche della Parigi di quel periodo.

Ultimo brano del concerto è la Sinfonia n.11 in re maggiore K 84 di Mozart. Attribuita a Mozart, che l’avrebbe composta all’età  di circa quindici anni, questa Sinfonia rientra nella produzione giovanile del compositore, probabilmente scritta durante il soggiorno in Italia nel 1770. L’opera è breve e brillante, strutturata in tre movimenti, e riflette l’influenza dello stile italiano appreso durante i viaggi. Il primo movimento si apre con una vivacità dell’Opera Buffa, il secondo propone un Andante dal tono lirico e raccolto, mentre il finale è un Allegro di chiusura. Nonostante la giovane età del compositore, si percepiscono già il talento melodico e l’intelligenza formale che caratterizzano tutta la sua opera.

A dirigere l’Orchestra Polledro è il direttore Federico Bisio che, parallelamente agli studi umanistici, ha frequentato i corsi di Composizione Sperimentale presso il Conservatorio Verdi di Milano. Si è dedicato allo studio della direzione d’orchestra, e ha completato i suoi studi con il Maestro Gilberto Serembe. Dal novembre 2012 è direttore stabile dell’Orchestra Polledro.

Concerto a ingresso libero.

info@orchestrapolledro.eu

Mara Martellotta

La mostra “Natura e vita” di Daniele Fissore

Un tributo all’arte e alla memoria e le parole di Miresi, sua moglie

Dal 5 aprile al 22 giugno 2025, le città piemontesi di Busca e Cherasco ospitano la mostra antologica “Natura e vita del pittore saviglianese Daniele Fissore. Le opere esposte percorrono il periodo che va dal 1973 al 2017 e sono un omaggio al loro autore, mancato nel 2017, figura emblematica e di rilievo dell’arte contemporanea italiana. L’esposizione, curata da Cinzia Tesio, e’ organizzata su due sedi: Casa Francotto a Busca e Palazzo Salmatoris a Cherasco, dove sono esposte 140 opere che rattraversano l’intera carriera dell’artista piemontese. La moglie Miresi, insieme si suoi tre figli, si occupa e gestisce il patrimonio lasciato da Fissore, non solo inteso come beni artistici, ma anche come eredita’ intellettuale che racconta di un artista impegnato, legato al territorio, ma apprezzato anche all’estero; ci parla con entusiasmo del successo delle mostre in corso “Ho avuto i numeri delle presenze di Cherasco e di Busca e devo dire che sono molto soddisfatta. I dipinti rappresentano l’itinerario dei cicli pittorici di mio marito dall’iperealismo, al periodo londinese, con le opere sui pic nic ad olio, i green e molto altro. Sono emozionata perche’ questa mostra che ha un obiettivo molto importante che e’ quello di far conoscere in generale la pittura di Daniele che, invece, e’ famoso e riconosciuto per i Green e per le Marine. Ci sono altri lavori molto interessanti che lo rappresentano come Eroica, i Video Spenti e Opposizione a cui dare spazio e valore”.

La biografia di Daniele Fissore e’ molto ricca e intensa. Dopo gli studi classici, nel 1968 si e’ iscritto all’Accademia di Belle Arti di Torino, ma in un breve periodo ha maturato il desiderio di proseguire autonomamente la sua ricerca artistica dedicandosi all’approfondimento delle tecniche del disegno. Nel 1975 ha partecipato alla X Quadriennale di Roma e l’anno successivo alla Biennale del Disegno di Milano . Negli anni ’80 si e’ trasferito a Londra, dove ha ottenuto dal governo britannico uno studio e nel 1981 ha esposto alla House Gallery, un vero orgoglio, dunque, per l’arte e la cultura italiana.

“I suoi dipinti sono cosi’ reali da sembrare utopici” hanno scritto i critici, da essi emerge la tecnica applicata minuziosamente, ma anche la capacita’ di riflessione e profondita’. Aggiunge Miresi Fissore “vorrei che si conoscesse maggiormente la ricchezza creativa di mio marito Daniele. Mi sono resa conto che e’ necessario andare avanti con questo lavoro di diffusione , di fare un salto qualitativo per far avere a Daniele il giusto riconoscimento che merita per quanto e come si e’ dedicato all’arte. E’ necessario che l’interesse nei confronti di questo artista sia istituzionalizzato per esempio attraverso l’acquisizione delle sue opere nelle gallerie moderne piu’ famose e nei musei. E’ un pittore che merita maggiore riconoscimento”.

Daniele Fissore e’ una figura centrale dell’arte contemporanea italiana, capace di unire tecnica impeccabile e profondità emotiva, che ha lasciato un segno indelebile nel panorama artistico nazionale e internazionale; queste sue ultime esposizioni ci raccontano di un pittore per cui l’arte e la pittura hanno rappresentato la vita; non ha dipinto semplicemente ciò che vedeva, ma si interrogava sulla realtà, sulla memoria e sull’identità. Nei suoi quadri c’e’ tensione emotiva, introspezione, un silenzio carico di senso oltre che una grande attenzione ai dettagli.

Maria La Barbera

Una nuova opera  per Vivarium, Reality Fiction di Maurizio Taioli

Giovedì 12 giugno prossimo alle ore 18.30 verrà inaugurata una nuova opera per Vivarium, il parco dell’arte di Flashback Habitat in corso Giovanni Lanza 75. Vivarium, derivato dal latino vivo, rappresenta l’esposizione permanente all’aperto di Flashback Habitat, che trasforma l’ampia area verde di 9 mila metriquadri in un parco d’arte in continua evoluzione. Nata nel 2022, l’idea è di creare uno spazio dove le opere possano integrarsi e interagire con l’ambiente naturale, storico e umano. Le opere sono adottate da Flashback, che le accoglie e le lascia radicare nel suo ecosistema.

Da martedì  20 maggio è  presente una nuova opera di Maurizio Taioli, dal titolo “Reality Fiction”, che verrà inaugurata giovedì 12 giugno alle 18.30 alla presenza dell’artista. La peculiare forma espressiva usata dall’artista, le sagome scultoree da lui create, conduce lo spettatore a confrontarsi con una tematica attuale, la violenza umana analizzata sia dal punto di vista sociale sia ontologico.

L’oggetto di questa riflessione è  svelato dal titolo , “Reality Fiction”, che si riferisce allo scontro tra realtà e immaginazione, tematica di grande attualità nel mondo della globalizzazione in cui i confini tra il reale, le immagini e i modelli imposti dalla fiction, in particolar modo dalla filmografia americana, sono sempre più labili e non consentono di distinguere cosa può essere definito con certezza “reale” o “immaginario”.

Le immagini che ogni giorno vengono proposte dai mass media sono ambigue, e ciò che viene indicato come reale spesso non lo è,  o ne è  solo una versione parziale. Allo stesso modo la cinematografia narrativa a volte contiene elementi di grande veridicità storica. Lo spettatore si trova di fronte a una serie di sagome di grandi dimensioni che catturano totalmente la sua attenzione inducendolo a una riflessione critica sulle tematiche trattate. Sculture, sagome di materiale metallico, immagini violente sottolineate dall’effetto ottico del metallo e da ombre fredde, sono il simulacro di una realtà inquietante che si confonde con la fiction, anch’essa per sua natura ambigua. Le grandi dimensioni, lo spessore, il peso delle opere suscitano una sensazione di smarrimento che, insieme alla gravità del tema, si riflette sull’osservatore, lasciandolo sgomento e con un senso di sospensione emotiva e psicologica.

Quotidiani, materiale scaricato dal web, locandine di film, pellicole americane di grande fama quali Matrix o Terminator, riviste e fumetti rappresentano il materiale informativo dal quale trae ispirazione il lavoro di Maurizio Taioli. Attraverso una selezione delle immagini più significative, dà vita ad una serie di opere che perdono il legame con la realtà per divenire altro, sculture in metallo di grandi dimensioni, icone che entrano a far parte del repertorio collettivo.

Maurizio Taioli ( 1959) studia a Verona e Venezia, dove si diploma all’Accademia di Belle Arti nel corso di pittura con Emilio Vedova. A partire dagli anni Novanta sceglie di aprire uno studio a Milano e dal 2007 il gallerista Franz Paludetto diventa il suo punto di riferimento, facendolo esporre al Castello di Rivara e alla Galleria Franz Paludetto di Roma.

Mara Martellotta

Adelaide di Susa e Matilde di Canossa, una mostra a Susa

Cosa avevano in comune, mille anni fa, Adelaide di Susa e Matilde di Canossa, due donne di spicco nel contesto politico del Medioevo italiano? Lontane geograficamente, una vicina ai valichi alpini con la Francia, nel suo castello a Susa, e l’altra nel suo maniero sull’Appennino reggiano, il famoso castello di Canossa dove si recò Enrico IV, umiliato e pentito, ma così vicine per tante altre ragioni. Erano entrambe potenti signore che dominavano su vasti territori, Adelaide (1016-1091) era la contessa di Torino e signora di Susa, Matilde (1046-1115) una ricca feudataria con estesi possedimenti in diverse regioni italiane. Due storie intrecciate per motivi familiari e politici, due donne vissute nell’XI secolo, cugine tra loro, che hanno in comune la loro influenza politica e il loro ruolo nella storia della penisola, soprattutto durante il periodo della lotta per le investiture. Due importanti figure femminili che nove secoli fa svolsero un ruolo significativo influenzando la politica dell’epoca. Le “governanti illuminate” sono le protagoniste della mostra “Matilde di Canossa e Adelaide di Susa” al castello di Adelaide, che dall’alto di Susa domina il centro storico e l’area romana, promossa dal Comune di Susa, dall’Associazione Amici di Matilde di Canossa insieme alla Pro Loco di Susa e all’associazione Artemide. La rassegna, curata da Donatella Jager Bedogni e Stefano Paschero, analizza il ruolo che entrambe svolsero nella fase che precedette l’incontro a Canossa tra l’imperatore Enrico IV e papa Gregorio VII nel 1077.
Entrambe sapevano leggere e scrivere, furono mecenati, fondarono monasteri, scuole e centri religiosi. Non furono semplici mogli ma vere sovrane in grado di gestire potere e alleanze in scenari complessi e burrascosi. Rappresentarono la forza delle donne nel Medioevo in un’epoca in cui le donne ben difficilmente raggiungevano posizioni di potere. La storia di Susa è legata alla contessa Adelaide, la regina delle Alpi, altra donna di potere che seppe tenere testa a Papi e imperatori. Come Matilde, anche Adelaide governò per più di 50 anni una vasta area, dalle Alpi Cozie fino a Torino e oltre, arrivando alla ribelle Asti che occupò due volte con il suo esercito. Sposò Oddone di Savoia da cui nacque la dinastia che dominerà il regno d’Italia fino al Novecento. Ebbe cinque figli, tra cui Berta che sposerà Enrico IV. La contessa Matilde di Canossa visse in un’epoca di battaglie, intrighi e scomuniche, mostrò un’innata capacità di comando, potente feudataria, controllava vasti territori e difese il Papa in opposizione all’imperatore. É ritenuta una delle personalità più affascinanti dell’Italia medievale. Morì nel 1115, senza eredi. È sepolta a Roma nella basilica di San Pietro in un sepolcro del Bernini.
Perno dell’esposizione è la Collezione Giuliano Grasselli, una raccolta privata di oltre 1200 pezzi che rappresenta uno dei più vasti patrimoni iconografici dedicati a Matilde di Savoia. In vetrina, fino al 29 giugno, una ricca selezione di reperti storici, documenti e opere d’arte che appartennero ai due personaggi femminili, manoscritti, quadri, stampe rare, oggetti d’epoca e antiche incisioni. Matilde estese il suo dominio su gran parte dei territori italiani situati a nord dello Stato Pontificio, il suo regno si allungava dalla Lombardia all’alto Lazio, dalla Liguria alla Romagna. Il fulcro era Canossa nell’Appennino reggiano. Figura chiave nel conflitto tra Papato e Impero, Matilde fu una figura storica di grande importanza. È conosciuta soprattutto per l’incontro di Canossa il 28 gennaio 1077. Schierata con Papa Gregorio VII, Matilde fu mediatrice nella contesa tra il Pontefice e l’imperatore Enrico IV scomunicato dal Papa. La scomunica indusse Enrico IV, che rischiava di perdere il trono, a trovare un accordo con il Papa. Gregorio VII lo ricevette mentre era ospite di Matilde a Canossa. La mostra racconta magistralmente il lungo viaggio di Enrico IV attraverso le Alpi nel gelido inverno del 1076-77. Per ottenere la revoca della scomunica da parte pontificia l’imperatore dovette umiliarsi attendendo tre giorni e tre notti sotto una bufera di neve davanti al castello. Uno storico “faccia a faccia” nel celebre episodio di Canossa che si risolse con un compromesso, Gregorio VII cancellò la scomunica al pentito Enrico IV e alcuni anni più tardi Enrico tolse a Matilde gran parte dei beni posseduti. Il matrimonio di Adelaide di Susa e di Torino celebrato nel 1045 con Oddone di Savoia aprì le porte del Piemonte alla casata transalpina.
Sposando Oddone, figlio di Umberto Biancamano, Adelaide portò i conti di Savoia nella penisola mettendo insieme i due versanti del Cenisio. Come sottolinea lo storico Gianni Oliva, “tutta la fortuna della dinastia è legata al fatto di controllare il passo, il Cenisio, che collegava il nord e il sud dell’Europa, un passaggio percorso da eserciti, pellegrini e commercianti”. Adelaide è sepolta nella chiesa parrocchiale di Canischio, un piccolo paese nei pressi di Cuorgnè, dove si era ritirata negli ultimi anni della sua vita. La mostra è aperta al Castello di Adelaide a Susa fino al 29 giugno, venerdì, sabato e domenica dalle 14.00 alle 18.00. Arriva il grande caldo, se andrete nella vicina Val Susa nei prossimi weekend a respirare aria buona e fresca, fermatevi un’oretta a Susa, al castello di Adelaide, la contessa vi aspetta.. e la visita è breve. L’esposizione, piccola ma assai preziosa, è racchiusa in un’unica sala del castello.
Filippo Re
nelle foto, la locandina della mostra, i ritratti di Adelaide di Susa e di Matilde di Canossa, sala mostra con manichini delle due contesse

Evergreen Fest torna con un’edizione speciale, al Parco della Tesoriera

Atteso ritorno dell’Evergreen Fest al Parco della Tesoriera, fino al 20 luglio prossimo, con 46 serate di eventi gratuiti in una delle location più affascinanti di Torino. Nata con l’obiettivo di promuovere occasioni di aggregazione accessibili a tutta la cittadinanza, Evergreen Fest propone un ricco programma di attività per tutte le età e i gusti: laboratori artistici di wellness, tour guidati, letture e presentazioni di libri, interviste, incontri con associazioni, progetti socioculturali e stand informativi. Non mancheranno le serate di cinema, teatro, danza, concerti e silent disco accompagnati da punti ristoro in cui potersi rilassare e gustare ottimo cibo.

Quella del 2025 di Evergreen è un’edizione speciale, un traguardo importante per il festival, che si apre con uno sguardo di gratitudine verso il passato, celebra i legami costruiti nel corso degli anni e guarda con entusiasmo alle novità del presente e del futuro. Sarà questa l’occasione per accogliere nuovi talenti della scena locale nazionale e ritrovare gli artisti più amati delle edizioni passate. Quest’anno la manifestazione si inserisce nel programma “Torino che spettacolo – Che bella estate!”, e porta sul palco nomi come Big Mama, Ron, Meg, Tormento, Grido, Andrea Cerrato, Il Muro del Canto, Vladimir Luxuria, Roberto Mercadini, Casadilego, Cettina Donato, Davide D’Urso, Federico Sirianni, Federico Sacchi, Giorgia Goldini, The Spell of Ducks, Distilleria Manouche e molti altri ancora.

L’inaugurazione è prevista il 5 giugno alle 21.30, con Ippolita Baldini nello spettacolo “Io, Roberta, Ippolita, Lucia”, in cui l’attrice di “Benvenuti al Nord” e della serie TV “Camera Cafè”, analizzerà con ironia le molteplici e diverse personalità che mostriamo quotidianamente. Sono previsti anche performance coreutiche, come quella del 9 giugno intitolata “Danza quanto basta”, fino a “Piacere, Charlie”, una serata dedicata a Charlie Chaplin in programma il 22 giugno prossimo. Un appuntamento particolare sarà quello con Roberto Mercadini, intitolato “La bellezza delle parole” il 25 giugno, artista che esplora la meraviglia della narrazione fra storie sacre, profane, mitiche, indiane e maya.

L’Evergreen Fest è ideato e organizzato da Tedacà Compagnia Scuola d’Arte Performativa e realtà culturale nata nel 2002, impegnata nella diffusione delle arti e nello sviluppo sociale attraverso la cultura.

Il Festival si inserisce nell’ambito del programma “Torino che spettacolo – Che bella estate!” promosso dalla Città di Torino, in collaborazione con la Fondazione per la Cultura Torino, con il main sponsor Iren, il sostegno della Circoscrizione 4 e la media partnership di Radio Energy. Tutti gli appuntamenti, salvo diversa indicazione, sono a ingresso libero e gratuito fino a esaurimento posti.

Per il programma è possibile visitare il sito di Evergreen Fest.

Mara Martellotta