CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 9

Note di Classica: Anastasia Kobekina, il Quartetto di Cremona e Sergey Khachatryan le “stelle” di gennaio

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Giovedì 9 alle 20.30 e venerdì 10 alle 20 all’ Auditorium Toscanini, l’ Orchestra Rai diretta da

Andrea Battistoni e con Anastasia Kobekina al violoncello, eseguirà musiche di Sinigaglia,

Cajkovskij e Saint-Saens. Sempre venerdì 10 per LingottoMusica, all’Auditorium Agnelli, l’Orchestra

dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da Myung-Whun Chung e con Sergey Khachatryan

al violino, eseguirà musiche di Brahms e Beethoven. Lunedì 13 alle 20 al teatro Vittoria per la stagione dell’Unione Musicale, il Delirium Amoris con Benedetta Mazzetto contralto, eseguirà un programma interamente dedicato a Vivaldi. Sempre per l’Unione Musicale mercoledì 15 alle 20.30 al Conservatorio G. Verdi, Andrea Lucchesini al pianoforte, eseguirà musiche di Berio, Liszt, Chopin.

Giovedì 16 alle 20.30 e venerdì 17 alle 20 all’Auditorium Toscanini, l’Orchestra Rai diretta da John Axelrod e con il coro femminile del teatro Regio diretto da Ulisse Trabacchin, eseguirà musiche di Berio e Holst. Mercoledì 22 alle 20.30 al Conservatorio, Alessia Tondo canto e tamburo, Avi Avital mandolino, Giovanni Sollima violoncello, Luca Tarantino chitarra barocca e romantica, eseguiranno musiche tradizionali salentine, macedoni, sefardite e di Scarlatti, Sollima, Castello, Frescobaldi. Sabato 25 alle 18 al teatro Vittoria per l’Unione Musicale, Antonio Valentino pianoforte e relatore, presenta “Lo Swing E’ Iniziato con Beethoven?” il ritmo sincopato con musiche di Beethoven, Gershwin, Joplin, Piazzolla, Chopin. Martedì 28 alle 20 al teatro Vittoria, Olivia Manescalchi attrice e Achille Lampo pianoforte, eseguirà musiche di Gounod, Debussy, Massenet, Chabrier, Satie, Faurè.(il concerto sarà preceduto alle 19.30 dall’aperitivo.) Sempre martedì 28 alle 20 al teatro Regio, debutto de “L’Elisir D’Amore”di Doninzetti. Melodramma giocoso in 2 atti. L’Orchestra del teatro Regio sarà diretta da Fabrizio Maria Carminati. Repliche fino a mercoledì 5 febbraio. Mercoledì 29 alle 20.30 al Conservatorio per l’Unione Musicale, il Quartetto di Cremona eseguirà musiche di Wolf Ravel Beethoven. Giovedì 30 alle 20.30 e venerdì 31 alle 20 all’Auditorium Toscanini, l’Orchestra Rai diretta da Patrick Hahn e con Truls Mork al violoncello, eseguirà musiche di Sostakovic e Stravinskij.

Pier Luigi Fuggetta

Oggi al cinema. Le trame dei film nelle sale di Torino

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A cura di Elio Rabbione

Anora – Drammatico. Regia di Sean Baker, con Mickey Madison, Yuriy Borisov, Ivy Wolk e Lindsey Normington. Anora detta Ani è una ballerina erotica americana di origine russa esperta in lap dance che porta i clienti nei privé offrendo loro servizi extra a pagamento. Un giorno nel locale dove lavora arriva Ivan, un ragazzo russo che pare entusiasta di lei e dei suoi molti talenti. Il giorno dopo Ivan la invita a casa sua e Ani scopre che il ragazzo vive in una megavilla ed è figlio unica di un oligarca multimiliardario. Le cose fra i due ragazzi vanno così bene che Ivan porta Ani a Las Vegas e là le chiede di sposarlo. Ma i genitori di lui non sono affatto d’accordo e mandano una piccola”squadra di intervento” a recuperare il figlio dissennato. Quella che seguirà è una rocambolesca avventura ricca di sorprese, che tuttavia non dimentica di avere un cuotre e un occhio alla realtà anche all’interno dell’esagerazione comica. Palmarès per il miglior film a Cannes. Film segnalato dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani: “L’abilità di Sean Baker nel mettere al centro il corpo e il sesso per parlare (anche) di altro trova qui la sua espressione più compiuta. Raccontando un percorso di consapevolezza femminile incalzante e frenetico che si scontra con le diseguaglianze economiche e sociali della nostra epoca, il regista firma un lavoro, psichedelico ma sotteso dall’oscurità, di regia, montaggio, scrittura e recitazione, di grande intrattenimento, senza esser privo di un graffio autoriale coraggioso e indipendente.” Durata 139 minuti. (Greenwich Village sala 3)

Better Man – Biografico, Drammatico. Regia di Michael Gracey, con Robbie Williams. La storia vera dell’ascesa fulminante, della drammatica caduta e della straordinaria rinascita della superstar del pop britannico Robbie Williams, uno dei più grandi cantanti di tutti i tempi. Il film è raccontato in modo unico dal punto di vista di Williams, facendo trasparire la sua caratteristica ironia e il suo stile inimitabile. Ripercorre le tappe del successo di Robbie, dall’infanzia al ruolo di più giovane componente dei Take That, la boyband che ha sbancato le classifiche, fino agli ineguagliabili successi da solista fuori da ogni record, affrontando allo stesso tempo le sfide che fama e successo stratosferici possono portare con sé. Durata 134 minuti. (Ideal, Nazionale sala 3 anche V.O., Uci Lingotto, Uci Moncalieri)

Conclave – Drammatico. Regia di Edward Berger, con Ralph Fiennes, Stanley Tucci, Isabella Rossellini e Sergio Castellitto. Il film ci porta nel cuore di uno degli eventi più misteriosi e segreti del mondo: la elezione di un nuovo Papa. Dopo la morte improvvisa dell’amato e compianto pontefice, il cardinale Lawrence è incaricato di dirigere questo delicato processo. Una volta che i leader più potenti della chiesa cattolica si riuniscono nelle segrete sale del Vaticano, il prelato si ritrova intrappolato in una rete di intrighi, tradimenti e giochi di potere. Un oscuro segreto viene alla luce, minacciando di scuotere le fondamenta stesse della Chiesa. Durata 90 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 2, Reposi sala 4, Romano sala 1, The Space Torino, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Cortina Express – Commedia. Regia di Eros Puglielli, con Christian De Sica, Lillo e Isabella Ferrari. Tentando di ridar fiato alle tante “Vacanze a…”, natalizie e no, che si sono incrociate nel cinema italiano di questi ultimi decenni, Puglielli ambienta le vacanze di De Sica&Co tra le montagne delle Dolomiti, puntando lo sguardo (e le possibili risate) su un viveur non più di primo pelo che tenta di salvare il nipote da un disastroso matrimonio, un cantante che forse ha fatto il suo tempo ma è deciso a non arrendersi e una discografica sull’orlo della bancarotta. Questi e altri personaggi con piccoli drammi e speranze e momenti di allegria, per un generale lieto fine. Durata 102 minuti. (Massaua, Reposi sala 5, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Diamanti – Commedia drammatica. Regia di Ferzan Özpetek, con Luisa Ranieri, Jasmine Trinca, Lunetta Savino, Elena Sofia Ricci, Vanessa Scalera, Mara Venier e Stefano Accorsi. Un regista convoca le sue attrici preferite, quelle con cui ha lavorato e quelle che ha amato. Vuole fare un film sulle donne ma non svela molto: le osserva, prende spunto, si fa ispirare finché il suo immaginario non le catapulta in un’altra epoca, in un passato dove il rumore delle macchine da cucire riempie il luogo di lavoro gestito e popolato da donne, dove gli uomini hanno piccoli luoghi marginali e il cinema può essere raccontato da un altro punto di vista: quello del costume. Tra solitudini, passioni, ansie, mancanze strazianti e legami indissolubili, realtà e finzione si compenetrano, così come la vita delle attrici con quella dei personaggi, la competizione con la sorellanza, il visibile con l’invisibile. Durata 135 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Nirvana, Eliseo, Fratelli Marx sala Groucho, Ideal, Lux sala 1, Massimo sala Cabiria, Reposi sala 1, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Il giorno dell’incontro – Drammatico. Regia di Jack Houston, con Michael Pitt, Ron Perlman e Joe Pesci. Mickey, un pugile uscito di prigione dopo un lungo periodo di detenzione, soffre da molto tempo di una malattia che ha tenuta nascosta a tutti. Prima del carcere, è stato un pugile di grande successo, vincendo molti incontri, e in onore di quei tempi gloriosi decide di tornare sul ring. Va a trovare le persone che sono state importanti nella sua vita e soprattutto nella sua carriera e il giorno stesso affronta il suo primo combattimento da uomo libero. Ol match si tiene al Madison Square Garden e si rivela un evento catartico nella sua vita. Mickey infatti vive questo momento come la grande occasione di redenzione. La boxe è soltanto un mezzo per fare pace con se stesso e con le persone che ama. Durata 108 minuti. (Classico)

Giurato numero 2 – Drammatico. Regia di Clint Eastwood, con Nicholas Hoult, Toni Collette e Kiefer Sutherland. Justin Kemp, giovane papà in attesa di un figlio, un ormai dimenticato precedente di dipendenza dall’alcool, è chiamato a far parte di una giuria, a Savannah in Georgia. Si deve giudicare il giovane James, precedenti di spaccio e carattere irascibile, accusato di aver ucciso la compagna, una sera, fuori di un bar, a seguito di un alterco. Della colpevolezza è convita l’avvocata d’accura che aspira all’ufficio di procuratrice. Dagli interrogatori e dalle testimonianze, Justin è sempre più convinto di essere stato lui, quella sera, ad aver travolto la ragazza alla guida della sua macchina e d’averla uccisa. È sconvolto dalla scoperta ma allo stesso tempo non è intenzionato a dire la verità sull’accaduto, mettendo i suoi compagni di giudizio di fronte a mille dubbi: coinvolgendo lo spettatore a ogni momento della sceneggiatura ottimamente scritta da Jonathan Abrams e della regia di un solido uomo di cinema che alla splendida età di 94 anni continua a non sbagliare un colpo. Durata 114 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, Greenwich Village sala 2)

Io e te dobbiamo parlare – Commedia. Regia di Alessandro Siani, con Leonardo Pieraccioni, Francesca Chillemi e Alessandro Siani. Matilde è l’ex moglie di Antonio e l’attuale compagna di Pieraldo, Maria è la figlia di Antonio e vive con la madre e con Pieraldo, i due uomini si dividono lo stesso lavoro in commissariato: un po’ di disordine familiare è inevitabile. Al tutto s’aggiungerà Sara, affascinante poliziotta, che verrà affiancata per risolvere un caso decisamente ingarbugliato. Durata 100 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space Torino, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Maria – Drammatico. Regia di Pablo Larraìn, con Angelina Jolie, Pierfrancesco Fsavino e Alba Rohrwacher. Il 16 settembre 1977 muore a 53 anni nel suo appartamento di Parigi, dove viveva sola con l’unica compagnia dei fidatissimi Ferruccio, autista e maggiordomo, e Bruna, la domestica. Nella settimana precedente alla morte, e a più di quattro anni dall’ultima performance, la straordinaria soprano greco-statunitense fa i conti con il peso della sua fama, con il ricordo ancora forte del compagno Aristotele Onassis e, forse, con un ultimo tentativo di tornare a calcare i palcoscenici dell’opera, pur indebolita e con una voce in cui lei per prima non riconosce più il timbro de “la Callas” e delle sue indimenticabili interpretazioni. Durata 123 minuti. (Eliseo Grande, Ideal, Nazionale sala 1, Reposi sala 3, Uci Moncalieri)

Mufasa – Avventura, animazione. Regia di Barry Jenkins. Rafiki narra la leggenda di Mufasa alla giovane leoncina Kiara, figlia di Simba e Nala, con Timon e Pumbaa che offrono il loro caratteristico spettacolo. Raccontata attraverso fleshback, la storia presenta Mufasa, un cucciolo orfano, perso e solo fino a quando incontra un leone compassionevole di nome Taka, erede di una stirpe reale. L’incontro casuale dà il via al viaggio di uno straordinario gruppo di sventurati alla ricerca del proprio destino: i loro legami saranno messi alla prova mentre lavorano insieme per sfuggire a un nemico minaccioso e letale. Durata 90 minuti. (Massaua, Eliseo, Fratelli Marx sala Harpo, Ideal, Lux, Reposi sala 2, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Napoli New York – Drammatico. Regia di Gabriele Salvatores, con Pierfrancesco Favino, Dea Lazzaro e Antonio Guerra. Nell’immediato dopoguerra, tra le materie di una Napoli piegata dalle macerie e dalla miseria, i piccoli Carmine e Celestina tentano di sopravvivere come possono, aiutandosi a vicenda. Una notte s’imbarcano come clandestini su una nave diretta a New York per andare a vivere con la sorella di Celestina emigrata anni prima. I due bambini si unoiscono ai tanti emigranti italiani in cerca di fortuna in America e sbarcano in una metropoli sconosciuta, che dopo numerose peripezie impareranno a chiamare casa. Durata 90 minuti. (Romano sala 2)

Le occasioni dell’amore – Drammatico. Regia di Stéphane Brizé, con Guillaume Canet e Alba Rohrwacher. In concorso a Venezia lo scorso anno, con il titolo “Hors saison”, arriva oggi sugli schermi una storia d’amore che ricorda da vicino il mondo e le atmosfere sentimentali di Lelouch. Narra di Mathieu, attore in piena crisi personale e professionale, ha appena abbandonato le prove di un testo che dovrebbe debuttare di lì a poco, è fuggito per rifugiarsi in una località di mare nell’ovest della Francia. Mentre tutti lo cercano e lo invitano a tornare, Mathieu incontra Alice, una donna più giovane di lui con cui aveva avuto una relazione: giornate belle fatte di ricordi ma anche di tempo presente, l’occasione per riscoprire vecchi sentimenti, comprendere se si tratti soltanto un fuoco passeggero o se quell’incontro voglia significare qualcosa di più duraturo. Durata 115 minuti. (Cantrale anche V.O., Fratelli Marx sala Chico)

L’orchestra stonata – Commedia. Regia di Emmanuel Courcol, con Benjamin Lavernhe e Pierre Lottin. La vita di Thibaut, un famoso direttore d’orchestra, cambia radicalmente quando scopre di avere una grave forma di leucemia. L’unico modo per salvarsi è il trapianto del midollo osseo ma trovare un donatore compatibile non è facile. Proprio a causa della scoperta della malattia, Thibaut viene a scoprire di essere adottato. Un donatore perfettamente compatibile sembra essere suo fratello biologico che non ha mai conosciuto. Si tratta di un modesto impiegato che vive in una piccola cittadina della Francia del Nord e suona il trombone nella fanfara comunale. La banda rischia di sciogliersi e la fabbrica della città sta per essere chiusa. Thibaut parte per andare a cercare suo fratello e il loro incontro si rivela un’incredibile avventura che cambia la vita di entrambi per sempre. Durata 103 minuti. (Greenwich Village sala 1)

Piccole cose come queste – Drammatico. Regia di Tim Mielants, con Cillian Murphy e Emily Watson. Irlanda, 1985. Bill Furlog è un uomo silenzioso, dall’animo semplice ma anche un attento osservatore, che ha dedicato la vita al lavoro, alla moglie Eileen e alle loro cinque figlie. In un freddo giorno d’inverno, l’uomo trasporta e distribuisce la legna e il carbone per gli abitanti del villaggio. Siamo nei giorni che precedono il Natale, quando Bill entra nel cortile del convento locale diretto da Suor Mary, e fa un incontro che riporta a galla ricordi sepolti nella sua memoria. Non può ignorarli anche perché lo portano a scoprire segreti e verità che lo sconvolgeranno. Sarà il momento per Bill di decidere se voltarsi dall’altra parte o ascoltare il proprio cuore e sfidare il silenzio di una intera comunità. Durata 98 minuti. (Greenwich Village sala 3)

La stanza accanto – Commedia drammatica. Regia di Pedro Almodòvar, con Tilda Swinton, Julianna Moore e John Turturro. Ingrid e Marta sono amiche da anni e non si sono mai dette mezze verità. Ingrid è una scrittrice di successo il cui ultimo libro racconta la sua incapacità di comprendere e accettare la morte. Martha è stata una corrispondente di guerra e ora è affetta da un tumore che potrebbe essere curabile con una terapia sperimentale, ma intanto si è preparata all’idea di morire e ha già scelto, nel caso, come farlo: con una pillola acquistata sul dark web. Ciò che vorrebbe però è non morire sola, e poiché il suo rapporto con la figlia le appare come irrimediabilmente compromesso chiede a Ingrid di soggiornare nella stanza accanto alla sua nel momento in cui dovesse decidere di “abbandonare il party”. Durata 107 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, Eliseo, Massimo, Nazionale)

Tofu in Japan – La ricetta segreta del signor Takano – Drammatico. Regia di Mihara Mitsuhiro. Tatsuo e sua figlia Haru gestiscono il Takano Tofu Store a Onomichi. Quando Tatsuo scopre di essere malato, teme che sua figlia venga lasciata sola e, all’insaputa della ragazza, si propone di trovare un partner per lei. Durata 119 minuti. (Romano sala 3)

Una notte a New York – Drammatico. Regia di Christy Hall, con Dakota Johnson e Sean Penn. Una donna prende un taxi all’aeroporto JFK di New York e si ritrova coinvolta in una profonda conversazione insieme all’autista, raccontandosi a vicenda le storie delle relazioni più importanti che hanno avuto nelle loro vite. Durata 100 minuti. (Nazionale sala 4 anche V.O.)

I libri più letti e commentati del mese

Finisce l’anno ma non finiscono i libri da leggere e consigliare. Nel nostro gruppo FB Un Libro Tira L’Altro Ovvero Il Passaparola Dei Libri i titoli più discussi del mese di dicembre sono stati: Il Canto Dei Cuori Ribelli di Thrity Umrigar che racconta la condizione femminile  in India; I Miei Giorni Alla Libreria Morisaki di Satoshi Yagisawa, un libro  che parla di libri e di librerie, sempre molto amato dai nostri lettori; Figlia Del temporale di Valentina D’Urbano, saga familiare di ambientazione albanese.

Incontri con gli autori

Sul nostro sito potete leggere le interviste a Domenico Barone, autore esordiente de  La Vita Ritrovata (Edizioni Clandestine, 2024) un giallo sullo sfondo della Roma degli anni Ottanta con molte sfumature introspettive.

 

Allegra Bonaccorsi anche lei esordiente autrice di  Pac-Man Non Puoi Scappare, un  romanzo sul nostro rapporto con il caso e le opportunità che ci offre.

Per questo mese è tutto: vi ricordiamo che se volete partecipare ai nostri confronti, potete venire a trovarci su FB e se volete rimanere aggiornati sulle novità in libreria e gli eventi legati al mondo dei libri e della lettura, visitate il nostro sito ufficiale all’indirizzo www.unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

 

Malammore, “Una chimera tra i vicoli di Napoli”

Ogni lunedì “in albis” i femminielli napoletani, vanno in processione al Santuario della Madonna dell’Arco. Questo rito pagano affiancato a quello religioso dell’ “ermafrodita sacro”, dell’ uomo che è anche donna, è considerato porta fortuna e viene celebrato in diverse pubbliche manifestazioni con finalità apotropaiche.
Uno di questi femminielli che ho descritto in senso etnologico, trasmigra letterariamente nelle belle pagine del romanzo giallo di Anna Vera Viva ( Malammore, “Una chimera tra i vicoli di Napoli”, Garzanti 2024, pagg.268, €.18 ).


Anna è una scrittrice che risiede da dieci anni a Napoli, ci abita da quaranta, ma è nata in Salento a Galatina. Nel testo che avvince fin dalle prime pagine, l’autrice vuole superare la barriera della narrazione monodimensionale all’inglese ( vedi Christie ) per dare profondità, corpo e maggiore introspezione psicologica e collocazione sociale ai personaggi. Il testo è ambientato nel rione napoletano della Sanità. Un basso fatto a imbuto, con una sola entrata e un fondaco cieco (antico lazzaretto risalente alla peste partenopea del 1656) che la scrittrice ha conosciuto dopo vent’anni su quaranta dal suo trasferirsi a Napoli, in occasione di una sua visita casuale, dovuta a motivi personali. Si è innamorata di questo quartiere, dove le guide turistiche non vi portano e vi consigliano di entrarvi, portando dietro poco denaro contante e ne ha fatto il fulcro geografico del suo racconto, che ruota attorno alla figura un po’ chestertoniana, un po’ dickensiana e un po’ manzoniana, di padre Raffaele. Prete detective. Ormai giunto al suo terzo caso. Un sacerdote con un forte senso di giustizia, col fratello camorrista. Entrambi nativi del basso.

Con una storia triste di solitudine ed emarginazione alle spalle. Indimenticabile la figura della perpetua Assuntina (unico personaggio di ispirazione reale come mi ha dichiarato Anna). Grande lettrice e soprattutto pettegola imbattibile, che fa da costante informatore, su ciò che succede nel basso, al prete investigatore. Ne viene fuori una narrazione limpida e ben scandita, dove la descrizione ambientale del quartiere, si intreccia con le vicende legate a due efferati omicidi, con i dialoghi a fare da ponte alla descrizione dei ceti sociali, colti nel loro tran tran quotidiano e professionale. Il lettore è spinto e risospinto, dall’ambivalenza morale e dal degrado umano delle situazioni, ma ne è coinvolto fino alla chiusa finale del ristabilimento della giustizia terrena, da parte di don Raffaele. Sempre lontano come uomo, da quella divina, troppo ardua per tutti. Per chi non è napoletano un occasione per essere introdotti al suo ambiente, al suo ritmo di vita, alla mentalità della sua gente. Per chi è napoletano forse per conoscersi meglio, per sapere di più sulla propria città e la sua magia.


« Sapete don Raffae’, che qua è come stare su un isola. La Sanità, pure se sta al centro della città, e’ come se c’avesse il mare intorno. Che dalla Sanità non ci passi, non ci capiti. Ci devi venire apposta. Quel ponte che ci hanno fatto passare da sopra sapete che significa? Significa che non ci volevano parte della città, significa. Significa che ci hanno detto: “Voi siete il cuore di Napoli? E noi vi passiamo da sopra e voi diventate un isola”.» Così si esprime un personaggio del romanzo, con il sacerdote detective. Così nascono i ghetti etnici, mentali, culturali, purtroppo.
Grazie quindi Anna Vera Viva, di averci “abbattuto” quel ponte per conto di noi lettori e recensori, un velo di ignoranza che andava sollevato, per coscienza civile, amore per la gente partenopea e soprattutto per la fiducia che ci hai trasmesso, nelle formidabili capacità rigeneratrici del genere umano.

Aldo Colonna

I giochi di parole da Gianni Rodari a Ersilia Zamponi

E’ passato più di mezzo secolo da quando, nel 1973, veniva pubblicata la Grammatica della fantasia di Gianni Rodari.

Un libro che rappresentava, come veniva precisato nel sottotitolo, una “introduzione all’arte di inventare storie“. È l’unico volume del più noto scrittore per l’infanzia, nato sul lago d’Orta a Omegna nel 1920, non dedicato alle storie, agli indovinelli e alle poesie, proponendo un contenuto teorico, dovuto alla paziente trascrizione a macchina da parte di una stagista di Reggio Emilia di appunti rimasti a lungo dimenticati. Le note in questione, scritte nelle seconda metà degli anni ’40, facevano parte della raccolta il Quaderno della fantasia. La Grammatica della fantasia è  una sorta di manuale utile a stimolare la creatività, dove Rodari offre spunti, suggerimenti e strumenti per chi crede in questa pedagogia , attribuendo il giusto valore educativo e didattico all’immaginazione. Partendo dalle parole o dalle lettere che le compongono, Gianni Rodari suggerisce 42 giochi attraverso immagini, nonsense, indovinelli e favole. Ogni gioco ha un forte valore simbolico che offre una infinità di possibilità creative, sia per il bambino che per l’insegnante, semplicemente mettendo in moto la propria fantasia. Attraverso questa Grammatica si apprende che le fiabe non sono intoccabili, che si può giocare con esse, smontandole e ricreandole, coinvolgendo i bambini  in prima persona nel loro processo formativo. La prova migliore della possibilità di imparare l’italiano in un modo divertente e creativo attraverso i giochi di parole, in piena continuità con il lavoro rodariano, è offerta da un altro libro molto bello, diventato ormai un classico: i Draghi locopei di Ersilia Zamponi, anch’essa omegnese. Pubblicato la prima volta nel 1986 da Einaudi, il libro dell’allora docente di lettere presso la Scuola media Gianni Rodari di Crusinallo esplicita bene l’uso intelligente fantasioso dei giochi di parole ( già il titolo dell’opera è l’anagramma dell’espressione “giochi di parole”).Il piacere dell’invenzione linguistica, l’emozione dell’intuire e dell’indovinare, la trasgressione del nonsense, l’intelligenza dell’ironia vengono stimolate magistralmente. Scriveva la Zamponi: “Giocando con le parole, i ragazzi arricchiscono il lessico; imparano ad apprezzare il vocabolario, che diventa potente alleato di gioco; colgono il valore della regola, la quale offre il principio di organizzazione e suggerisce la forma, in cui poi essi trovano la soddisfazione del risultato“. Un modo strepitoso di raccogliere l’eredità di Rodari, facendola vivere e respirare, rendendola più attuale che mai.

Marco Travaglini

Linea Cadorna, la Maginot italiana

Il sistema di fortificazioni che si  estende dall’Ossola alla Valtellina. Un enorme reticolo di trincee, postazioni di artiglieria, luoghi d’avvistamento, ospedaletti, strutture logistiche e centri di comando, collegate da centinaia di chilometri di strade e mulattiere, realizzato durante il periodo della prima guerra mondiale

Linea Cadorna” è il nome con cui è conosciuto  il sistema di fortificazioni che si  estende dall’Ossola alla Valtellina. Un enorme reticolo di trincee, postazioni di artiglieria, luoghi d’avvistamento, ospedaletti, strutture logistiche e centri di comando, collegate da centinaia di chilometri di strade e mulattiere, realizzato durante il periodo della prima guerra mondiale. Un’opera fortemente voluta dal generale Luigi Cadorna, capo di Stato Maggiore dell’Esercito (originario di Pallanza, sul lago Maggiore), con lo scopo di contrastare una eventuale invasione austro-tedesca proveniente dalla Svizzera.

Lo scoppio della guerra – il 23 luglio del 1914 –  e gli avvenimenti successivi tra cui l’invasione del Belgio neutrale e i cambi di alleanze tra le varie potenze europee, accentuarono i dubbi sulla volontà del governo elvetico di far rispettare la neutralità del proprio territorio. Così, una volta che l’Italia entrò in guerra  contro l’Austria  – il 24 maggio 1915 – , il generale Cadorna, per non incorrere in amare sorprese, ordinò di avviare i lavori difensivi, rendendo esecutivo il progetto di difesa già predisposto. Da quasi mezzo secolo erano stati redatti studi, progettazioni, ricognizioni, indagini geomorfologiche, pianificazioni strategiche, ricerche tecnologiche. E non si era stati con le mani in mano: a partire dal 1911 erano state erette le fortificazioni sul Montorfano, a difesa degli accessi dalla Val d’Ossola e dal Lago Maggiore,  e gli appostamenti per artiglieria sui monti Piambello, Scerré, Martica, Campo dei Fiori, Gino e Sighignola, tra le prealpi varesine e la comasca Val d’Intelvi. Anche la Svizzera, dal canto suo,  intensificò i lavori di fortificazione al confine con l’Italia, realizzando opere di sbarramento a Gordola, Magadino, Monte Ceneri e sui monti di Medaglia, nel canton Ticino. In realtà,tornando alla Linea Cadorna,quest’opera, nella terminologia militare dell’epoca, era definita come ” Frontiera Nord” o, per esteso, “sistema difensivo italiano alla Frontiera Nordverso la Svizzera”. E, ad onor del vero, più che una fortificazione collocata a ridosso della frontiera si tratta di una linea difensiva costruita in località più arretrate rispetto al confine, con lo scopo di presidiare  i punti nevralgici. Un’impresa mastodontica.

 

Basta scorrere, in sintesi,  la consistenza dei lavori eseguiti e delle spese sostenute per la loro realizzazione: “Sistemazione difensiva – Si svolge dalla Val d’Ossola alla Cresta orobica, attraverso le alture a sud del Lago di Lugano e con elementi in Val d’Aosta. Comprende 72 km di trinceramenti, 88 appostamenti per batterie, di cui 11 in caverna, mq 25000 di baraccamenti, 296 km di camionabile e 398 di carrarecce o mulattiere. La spesa complessiva sostenuta, tenuto conto dei 15-20000 operai ( con punte fino a trentamila, nel 1916, Ndr) che in media vi furono adibiti, può calcolarsi in circa 104 milioni”. Le ristrettezze finanziarie indussero ad un utilizzo oculato delle materie prime,recuperate sul territorio. Si aprirono cave di sabbia, venne drenata la ghiaia negli alvei di fiumi e torrenti; si produsse calce rimettendo in funzione vecchie fornaci e furono adottati ingegnosi sistemi di canalizzazione delle acque. Gli scalpellini ricavarono il  pietrame, boscaioli e falegnami il legname da opera, e così via. I requisiti per poter essere arruolati come manodopera, in quegli anni di fame e miseria, consistevano nel possedere la cittadinanza italiana, il passaporto per l’interno e i necessari certificati sanitari. L’età non doveva essere inferiore ai 17 anni e non superiore ai sessanta e, in più, occorreva che i lavoratori fossero muniti di indumenti ed oggetti personali. A dire il vero, in ragione della ridotta disponibilità di manodopera maschile, per i frequenti richiami alle armi, vennero assunti anche ragazzi con meno di 15 anni, addetti a mansioni di manovalanza, di guardiani dei macchinari in dotazione nei cantieri o di addetti alle pulizie delle baracche.  La manodopera femminile, definita con apposito contratto, veniva reclutata nei paesi vicini per consentire alle donne, mentre erano impegnate in un lavoro salariato, di poter badare alla propria famiglia e di occuparsi dei lavori agricoli. Il contratto era diverso a seconda dell’ente reclutante: l’amministrazione militare o le imprese private.

 

Quello militare garantiva l’alloggiamento gratuito, il vitto ( il rancio)  uguale a quello delle truppe, l’assistenza sanitaria gratuita, l’assicurazione contro gli infortuni, un salario stabilito in relazione alla durata del lavoro da compiere, alle condizioni di pericolo e commisurato alla professionalità e al rendimento individuale. Il salario minimo era fissato, in centesimi, da 10 a 20 l’ora per donne e ragazzi; da 30 a 40 l’ora per sterratori, manovali e braccianti; da 40 a 50 per muratori, carpentieri, falegnami, fabbri e minatori; da 60 ad una lira per i capisquadra. L’orario di lavoro era impegnativo e  prevedeva dalle 6 alle 12 ore giornaliere, diurne o notturne, per tutti i giorni della settimana. Delle paventate truppe d’invasione che, come orde fameliche, valicando le Alpi, sarebbero dilagate nella pianura padana, non si vide neppure l’ombra. Così, senza il nemico e senza la necessità di sparare un colpo, con la fine della guerra,  le fortificazioni vennero dismesse. Quelle strutture, negli anni del primo dopoguerra, furono in parte riutilizzate per le esercitazioni militari e , negli anni trenta, inserite in blocco e d’ufficio nell’ambizioso  progetto del “Vallo Alpino”, la linea difensiva che avrebbe dovuto – come una sorta di “grande muraglia” –  rendere inviolabili gli oltre 1800 chilometri di confine dello Stato italiano. Un’impresa titanica, da far tremare le vene ai polsi che, forse proprio perché troppo ardita, in realtà, non giunse mai a compimento. Anche nella seconda guerra mondiale, la Linea Cadorna non conobbe operazioni  belliche, se si escludono i due tratti del Monte San Martino (nel varesotto, tra la Valcuvia e il lago Maggiore) e lungo la Val d’Ossola dove, per brevi periodi , durante la Resistenza, furono utilizzati dalle formazioni partigiane. Infine, come tutte le fortificazioni italiane non smantellate dal Trattato di pace siglato a Parigi nel febbraio 1947, a partire dai primi d’aprile del 1949, anche la “linea di difesa alla frontiera nord” entrò a far parte del Patto Atlantico istituito per fronteggiare il blocco sovietico ai tempi della “guerra fredda”. Volendo stabilire una data in cui ritenere conclusa la storia della Linea Cadorna, almeno dal punto di vista militare, quest’ultima può essere fissata con la caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989.

 

Da allora in poi, le trincee, le fortificazioni e le mulattiere sono state interessate da interventi di restauro conservativo realizzati dagli enti pubblici che hanno permesso di recuperarne gran parte  alla fruizione turistica, lungo gli itinerari segnalati. La “Cadorna” si offre oggi ai visitatori come una  vera e propria “Maginot italiana”,  un gigante inviolato, in grado di presentarsi senza aloni drammatici, come un sito archeologico dove è possibile vedere e studiare reperti che hanno subito l’ingiuria degli uomini e del tempo ma non quella dirompente della guerra. Tralasciando la parte lombarda che si estende fino alla Valtellina e restando in territorio piemontese, sono visitabili diversi percorsi, dal forte di Bara  – sopra Migiandone, nel punto più stretto del fondovalle ossolano –  alle trincee del Montorfano, dalle postazioni in caverna del Monte Morissolo al fitto reticolo di trincee e postazioni di tiro dello Spalavera  ( la sua vetta è uno splendido belvedere sul Lago Maggiore e le grandi Alpi), dalle trincee circolari con i camminamenti e la grande postazione per obici e mortai del Monte Bavarione fino alle linee difensive del Vadà e del monte Carza, per terminare con quelle  della “regina del Verbano”, un monte la cui vetta oltre i duemila metri, viene ostentatamente declinata al femminile dagli alpigiani: “la Zeda”.

Marco Travaglini

Quando i “lusciàt” si trovavano in piazza a Capodanno

La zona collinare situata nelle province del Verbano Cusio Ossola e di Novara, comprende i comuni in costa alla sponda orientale del lago Maggiore,  da Arona a Baveno, e una piccola parte di comuni che si trovano salendo sulle pendici del massiccio del Mottarone. Rimanevano mesi e mesi lontani da casa, risparmiando il risparmiabile per sostenere le famiglie,  ricorrendo il più delle volte – per il cibo e l’alloggio – a soluzioni di fortuna

I “lusciàt”, cioè gli ombrellai ambulanti, hanno sempre fatto un mestiere duro, macinando chilometri su chilometri su strade polverose o in mezzo al fango, lontano da casa, arrangiando il loro magro guadagno riparando ombrelli e parasole. La maggior parte proveniva dal Vergante, la zona collinare situata nelle province del Verbano Cusio Ossola e di Novara, comprende i comuni in costa alla sponda orientale del lago Maggiore,  da Arona a Baveno, e una piccola parte di comuni che si trovano salendo sulle pendici del massiccio del Mottarone. Rimanevano mesi e mesi lontani da casa, risparmiando il risparmiabile per sostenere le famiglie,  ricorrendo il più delle volte – per il cibo e l’alloggio – a soluzioni di fortuna. Spesso non riuscivano a mettere insieme il pranzo con la cena e dormivano dove capitava, appisolandosi, stanchi morti, sotto un cielo stellato nella buona stagione o in qualche fienile, quando tirava vento o scrosciava la pioggia. La loro vita era così, prendere o lasciare. Già da piccoli s’apprendeva  il mestiere, girovagando al seguito degli ombrellai adulti per le pianure piemontesi e lombarde, cercando di sfuggire alla miseria. Giravano come dei nomadi gridando a gran voce “donne, donne.. à ghè l’ ombrelè!”, portando a tracolla la  “barsèla”, la cassetta nella quale erano riposti  tutti i “sápitt” , i ferri del mestiere del lusciàt: dai “ragozz”,le stecche degli ombrelli, a lusùra, flignànza, tacugnànza e tacòn, ramé, cioè forbici,  rocchetti di refe, pezze varie, bastoni di legno. Con quell’armamentario erano in grado di cucire, limare, intagliare il legno, incollare, sagomare stoffe. Se c’era da riparare un ombrello lo accomodavano, racimolando qualche soldo; se invece si trattava di confezionarne uno nuovo, era festa grande. Girovagavano per le vie guardando porte e finestre, in attesa del cenno di chi era disposto ad affidar loro un parapioggia tartassato dai troppi acquazzoni, contorto dal vento o vittima della voracità delle tarme. Ogni lavoro era buono e non si rifiutava mai, mettendosi subito alacremente al lavoro, e in silenzio. Per arrotondare il magro guadagno, spesso accompagnavano il mestiere con la costruzione e la vendita di altri manufatti in legno e in fil di ferro , come gabbie, trappole per topi, insalatiere, setacci. Come da tradizione il giorno di Capodanno, sulla piazza di Carpugnino, si trovavano a parlar d’affari e preparare la nuova annata degli ombrellai. In quell’occasione, le famiglie più povere affidavano i loro figli piccoli agli artigiani ambulanti, nella speranza  che avrebbero imparato un mestiere, sconfiggendo la povertà e l’indigenza. “Al prumm dal lungon a Carpignin, a truà l’ Casér senza an bergnin“, che tradotto equivale a “il primo dell’anno a Carpugnino, a cercar padrone, senza un soldino” , come recita un’epigrafe che fa mostra di sé ancor oggi  nella piazza di Carpugnino. Reclutata così la manodopera  gli ombrellai si mettevano in cammino alla ricerca di quei guadagni che potessero garantir loro un futuro migliore. Bisogna dire che l’apprendista entrava quasi a pieno titolo nella  famiglia dell’ombrellaio che provvedeva a lui in tutto e per tutto. Così, lontano da casa e dai propri cari, si accompagnavano nei lunghi tragitti con i loro canti in quella particolare lingua che si parlava tra lusciàt: il “tarùsc”. Sì, perché tra di loro, per tradizione e abitudine,  comunicavano in quel gergo difficile, quasi del tutto incomprensibile, dalla pronuncia piuttosto secca e dura. Secondo alcune ricerche etimologiche, più che  plausibili, basate sulla presenza di termini derivati dal tedesco nel tarùsc, e pensando a parole come  tarnen (maschera) e tarnung (mascheramento), è intuibile la volontà di crearsi una lingua tutta loro, adatta a  camuffare i loro discorsi. Facilitati dalla stessa provenienza territoriale, cioè dai paesi dell’alto Vergante, gli ombrellai potevano così comunicare con  rapidità e segretezza , scambiandosi notizie e commenti nella certezza di non essere capiti. L’idioma era un misto di dialetto e parole di altre lingue, dallo spagnolo al francese al tedesco, rielaborate con arguzia e duttilità. Così, tanto per fare due esempi, l’avvocato era un “denciòn” ed il cuoco un “brusapignat“. “Al lusciàt caravaita a gria i lusc”, dicevano, riferendosi al fatto che  “L’ombrellaio ambulante ripara gli ombrelli”.  Pensando alla vita comoda, scuotevano la testa sentenziando “la repenta ha biò l’elban in su la frisa” (la gallina ha fatto l’uovo sulla paglia). Era una critica, e guai a contraddirli, perché la “ghéna”, la fame, era tanta e ci si poteva considerare “brisòld” (ricchi) solo quando si riusciva a metter su la prima bottega con un banchetto e l’insegna di due cupole d’ombrello a spicchi bianchi e rossi e la scritta “luscia, el lusciat piòla” che, più o meno, si può tradurre così: piove, l’ombrellaio si prende una sbornia. Infatti, quando il cielo diventava scuro, la terra cambiava odore e l’acqua iniziava a scrosciare , fosse temporale estivo o pioggia autunnale, si brindava alla fortuna perché con la pioggia si lavorava di più. Quando veniva chiesta all’ombrellaio quale fosse la ragione di quel nome così strano, veniva raccontata anche la leggenda che individuava nel Tarùsc uno gnomo scontroso e permaloso che viveva  alle pendici del Mottarone e sulla Motta Rossa.  Poco incline a tollerare i forestieri ,si teneva ben nascosto nei boschi. Era lui che, in un tempo remoto, aveva insegnato agli uomini come costruire gli ombrelli, oltre a  trasmetter loro la sua lingua. Alto circa mezzo metro, dal pelo rosso ( come la sue scarpe), con un copricapo a forma di tricorno, era sempre vestito di verde. Combinare piccoli dispetti era uno dei suoi passatempi. Ma c’era un rimedio infallibile, qualora si era presi di mira da un Tarùsc: rovesciare sul pavimento alla sera un sacchetto di riso o di segale. Essendo lo gnomo un tipo  ordinato e pignolo, era costretto a passare l’intera nottata  a raccogliere granello per granello quanto versato. Ai Tarùsc  piacevano i rospi ma non è dato a sapere il perché. Oltre alle storie e alle leggende, quando tornavano a casa, raccontavano le avventure della loro vita randagia. E manifestavano un certo orgoglio  per quel lavoro dove la fatica e i sacrifici erano ricompensati dalla passione per un mestiere che richiedeva non solo molta abilità ma anche una buona dose di creatività. Soprattutto quando l’ombrello andava costruito nuovo di zecca e s’usavano le sagome per tagliare le stoffe. Qui la differenza di censo balzava all’occhio immediatamente: i benestanti e i nobili  sceglievano la seta, per gli altri tutt’al più c’era il cotone.  Molti di questi ombrelli fanno mostra di se nel museo a loro dedicati, a Gignese. Questo museo è l’unico al mondo dedicato al tema dell’ombrello e del parasole e vi sono conservati oltre mille pezzi fra ombrelli, parasole e impugnature di varie fogge e materiali. Nelle sale espositive sono ospitati pezzi curiosi e di notevole valore storico-culturale: dall’ombrello della regina Margherita di Savoia a quello appartenuto a Giuseppe Mazzini, tra i tanti. Gli esemplari nelle vetrine sono di rara fattura e squisitamente lavorati. Nel settore dedicato alla vita degli ombrellai si possono vedere le foto dei “pionieri” di quest’attività, i loro rudimentali attrezzi recuperati dalle antiche botteghe e quelli che li accompagnavano per le strade d’Italia e del mondo. Un itinerario storico, ricco di immagini e di testimonianze di un lavoro antico che gli ombrellai nati nel Vergante hanno saputo far conoscere e apprezzare un po’ ovunque. Non molto distante, a Massino Visconti, nel centro del paese, si può ammirare il monumento dedicato agli ombrellai. Realizzato nel 1972 dallo scultore Luigi Canuto, è stato eretto a ricordo dei molti “lusciàt” che, dalla fine del Settecento fino al primo Novecento, praticarono questo mestiere.

Marco Travaglini

 

La “Baracca”… arte “resiliente” in Aurora

Nel torinese “Cortile del Maglio”, l’Associazione “Club Silencio” presenta l’opera site-specific realizzata da Roberto Alfano con i giovani del Quartiere

Fino a martedì 7 gennaio

Un’opera collettiva. Che racconta un pezzo di storia quotidiana di uno dei Quartieri più vivi e “vivaci”, spesso additato fra i più “annaspanti” e “imbrigliati” in gravose quotidiane difficoltà, non sempre ascoltate con la giusta attenzione, della nostra Città. Parliamo del Quartiere o Borgo “Aurora” sviluppatosi intorno al mercato alimentare di Porta Palazzo e del suo Balon – confinante con il centro storico torinese – e dell’installazione site-specific “Baracca (n. 4) /Narrazioni al margine” realizzata dall’artista lodigiano Roberto Alfano con il coinvolgimento di giovani “Aurorini” under 30 e cuore pulsante del progetto partecipativo “Aurora Sogna”, percorso creativo promosso dall’Associazione Culturale “Club Silencio” (impegnata sempre più negli anni in progetti esperienziali che stimolino la partecipazione attiva dei giovani alla vita socio-culturale del proprio territorio) con “Innesto APS”spin-off sociale di “Club Silencio”, nato due anni fa con l’obiettivo di fornire ai giovani risorse, strumenti e spazi necessari per metterli in grado di creare significativi output artistici .

Inaugurata giovedì 19 dicembre all’“Hub della Creatività” (ex arsenale) del “Cortile del Maglio”, al civico 18 di via Andreis, l’opera, costruita utilizzando materiali di recupero raccolti girovagando un po’ qui e un po’ là (nei primi giorni dello scorso dicembre) per le strade del quartiere e visitabile fino a martedì 7 gennaio“dà forma alle identità e alle memorie locali, raccontando storie di fragilità e resilienza”. Racconta lo stesso Alfano, ideatore del metodo “arte contemporanea generativa”“‘Baracca (n.4”) affronta il tema dell’abitare gli spazi informali, dando voce a vissuti marginali che trovano nell’arte un mezzo per emergere. L’opera celebra la capacità dell’individuo e della comunità di trasformare le difficoltà in opportunità, raccontando la ricchezza umana e creativa nascosta nel Quartiere ‘Aurora’”. Le tecniche di autocostruzione e le narrazioni raccolte sono state guidate dallo stesso Alfano, che ha vissuto per dieci giorni il quartiere, immergendosi nelle sue dinamiche, nel suo vissuto e nei suoi racconti.

Accanto all’installazione, il fotografo torinese Filippo Bortolotti (Filtenso) presenta una mostra che documenta ogni fase del progetto. Protagoniste assolute dei suoi scatti, intensi e spontanei, sono le “mani”“simbolo di costruzione, trasformazione e speranza”. Quelle “mani” che tutto possono: raccogliere, costruire, inventare, fare lunghi esaltanti passi o inciampare in pericolosi sentieri, creare spazi nuovi attraverso i resti di un passato più o meno remoto. Più o meno amico. E dare, altresì, nuova forma a sogni, speranze, visionarietà (più o meno utopiche) di quanti vivono ogni giorno “Aurora”, giovani, anziani, pensionati, commercianti, immigrati, gente per bene e gente che fatica a mantenere i giusti sentieri della legalità e della convivenza. Quella “Baracca” può essere allora una “stanza” o, più in grande, un enorme specchio teso a riflettere positività e negatività, di fronte a cui immaginare un futuro di alternative e spazi “rinnovati”, possibilmente migliori, da lasciare in dono, a torto e spesso inatteso, alle nuove generazioni.

Partiti nell’ottobre scorso i lavori di “Aurora Sogna” hanno trasformato il Quartiere in una vera e propria fucina creativa, attraverso laboratori,workshop ed eventi molteplici, dando sempre particolare spazio ai più giovani chiamati “a raccolta” per esprimere le proprie voci e i propri desideri.

“‘Baracca (n.4)’ rappresenta – sottolineano i responsabili – il risultato simbolico di questo processo, un’opera che non solo narra storie, ma invita la comunità a guardare il quartiere con occhi nuovi e a riscoprire il valore del processo partecipativo e il significato profondo delle storie raccolte. Attraverso l’arte, il Quartiere Aurora diventa un luogo di scambio, dialogo e speranza”. Un luogo dove i tanti “sogni”, linfa vitale di “Aurora Sogna”, possano davvero, almeno in parte, trasformarsi in atti e in forme di concreta e benefica “realtà”.

Gianni Milani

“Baracca (n.4) /Narrazioni al margine”

Hub della Creatività “Cortile del Maglio”, via Andreis 18, Torino.

Per info: www.clubsilencio.it

Fino a martedì 7 gennaio

 

Nelle foto di Filippo Bortolotti (Filtenso): “Baracca (n.4)” immagini dell’allestimento e dell’inaugurazione

Sull’orlo del “Precipizio”: politica e amore in tempo di guerra

Ultimo libro letto: Precipizio di Robert Harris (Mondadori)

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Siamo alla vigilia della Prima Guerra Mondiale e a Londra il Primo Ministro Asquith intrattiene un fitto carteggio e una relazione clandestina con Venetia Stanley, un affascinante giovane donna dell’alta società. La storia d’amore verrà piano piano alla luce quando la polizia inizierà a indagare su documenti riservati ritrovati per strada che rischiano di minare la sicurezza nazionale dell’Inghilterra. Romanzo ricco di descrizioni della alta società del tempo e dei retroscena politici ad altissimo livello in una Europa in fermento attraversata dai brividi di una guerra mondiale incombente.
Asquith e Venetia sono realmente esistiti. Altri personaggi come il poliziotto Deemer sono frutto della fantasia dello scrittore ma i fatti sono veri e letti oggi ci interrogano sulla natura umana e sui limiti della passione amorosa nelle grandi vicende della Storia. Non la prima volta  e neppure l’ultima come ci mostrano le cronache più recenti anche italiane.
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Franco Maria Botta

Dal cuore di Torino al Polo Nord: i sogni in volo di Chiara Sandri

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Torino tra le righe

In questo periodo di festa, nella magica atmosfera natalizia, voglio portarvi alla scoperta di Juliet Stork: Missione Polo Nord. Questo delizioso libro per bambini è opera di Chiara Sandri, autrice nata a Torino nel 1981.
Chiara è cresciuta in una casa piena di libri e immersa nella natura, dove fin dalla tenera età si è appassionata alla lettura. La sua predisposizione per la narrazione è emersa presto, alimentata da felici ricordi d’infanzia trascorsi nel cortile della casa di famiglia, insieme ai suoi fratelli e al loro cane. A questa passione per le storie si è unita quella per il disegno: Chiara amava creare illustrazioni di principesse e ballerine, prendendosi cura con attenzione delle sue matite colorate.
Le sue prime esperienze di scrittura risalgono agli anni delle scuole medie e superiori, quando partecipò a concorsi letterari locali. Un momento significativo del suo percorso fu all’età di 16 anni, quando scrisse un racconto dedicato alla città di Torino per il concorso “Racconta la tua città”. Questo lavoro venne pubblicato su La Stampa, regalando a Chiara una prima emozione come autrice.
Dopo aver conseguito la laurea in Farmacia all’Università di Torino nel 2005, Chiara ha inizialmente accantonato la scrittura per dedicarsi alla carriera. Tuttavia, durante la sua prima gravidanza, costretta al riposo per motivi di salute, ha deciso di trasformare quel tempo in un’opportunità per riscoprire la sua passione. Da questa esperienza è nata l’idea di Juliet Stork, una cicogna speciale protagonista di un racconto illustrato per bambini. La sua innata passione per il disegno, coltivata fin dall’infanzia, ha trovato espressione proprio nelle illustrazioni del racconto, creando un legame indissolubile tra immagini e parole.
La sua prima vera pubblicazione arrivò anni dopo, nel 2017, in seguito al trasferimento negli Stati Uniti, con Edward the little magic star and Claire (disponibile anche in edizione italiana, Edward la piccola magica stella e Claire).   Questo libro, scritto e illustrato da Chiara, narra la storia di una bambina e del suo speciale amico, una stellina magica, trasmettendo un messaggio semplice ma profondo perché come dice la stessa autrice “è così che i bambini comunicano con noi adulti: ci raccontano le loro semplici storie, usando le loro semplici parole e i loro disegni. Ma i messaggi e le emozioni che sono in grado di comunicare sono così grandi e profondi.”
Nel 2024, Chiara ha pubblicato due nuovi libri per bambini: Chef Quiche’s ABC, un libro-alfabeto per i più piccoli, e Juliet Stork: Missione Polo Nord (Juliet Stork: Mission North Pole, edizione inglese) un progetto che riprende la storia e gli schizzi ideati durante la sua prima gravidanza.
Juliet Stork: Missione Polo Nord è una storia piena di magia e tenerezza. Juliet è una cicogna-infermiera che effettua consegne speciali per la World Baby Animal Nursery. Questa volta, la sua missione la porterà al Polo Nord, dove due genitori aspettano con trepidazione il loro adorato cucciolo. Durante il viaggio, Juliet incontrerà vecchi amici, come Audrey Snow Fox, e nuovi, come Bryan Harp Seal. Tra giochi e avventure, riuscirà a portare a termine la sua gioiosa missione, ricordandoci l’importanza di dedicare tempo di qualità alle persone che amiamo.
Questa favola illustrata è un piccolo gioiello di narrativa per bambini. Le illustrazioni sono semplicemente meravigliose, ricche di colori e dettagli che catturano l’attenzione e stimolano la fantasia. La storia, dolce e coinvolgente, trasmette messaggi importanti come l’amicizia e il valore della gentilezza. Un libro perfetto per leggere insieme ai più piccoli, creando momenti di condivisione e riflessione. Lo consiglio vivamente a chi cerca un regalo speciale o un’aggiunta preziosa alla libreria di famiglia.
Chiara Sandri non si ferma qui: nei suoi sogni c’è il desiderio di scrivere e illustrare molti altri libri per bambini. Nuove pubblicazioni sono già in programma per il 2025, quindi rimanete sintonizzati. Buona lettura a tutti, grandi e piccini insieme!
Marzia Estini
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