CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 9

Verso nuovi orizzonti: Torino e l’élite urbana del Duecento

Breve storia di Torino


1 Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum
2 Torino tra i barbari
3 Verso nuovi orizzonti: Torino postcarolingia
4 Verso nuovi orizzonti: Torino e l’élite urbana del Duecento
5 Breve storia dei Savoia, signori torinesi
6 Torino Capitale
7 La Torino di Napoleone
8 Torino al tempo del Risorgimento
9 Le guerre, il Fascismo, la crisi di una ex capitale
10 Torino oggi? Riflessioni su una capitale industriale tra successo e crisi

 

4 Verso nuovi orizzonti: Torino e l’élite urbana del Duecento

 

Si è parlato finora dei Taurini, dei Romani, di Carlo Magno e dei Barbari, e ancora si sono citati Arduino e la contessa Adelaide, oggi invece ci occupiamo della Torino del Duecento, a cavallo delle lotte tra Imperatore, Papato e comuni e limminente arrivo dei Savoia, famiglia a cui lurbe si lega indissolubilmente.
I fatti risultano nuovamente intricati, sullo sfondo nuovi assetti scombussolano il territorio europeo e la nostra bella città si trova a galleggiare tra guerre e poteri che la vedono comunque coinvolta, anche se non proprio in prima linea.
È il 1155, Federico I di Hohenstaufen, meglio noto con lappellativo Barbarossa, viene eletto imperatore. Egli è convinto di poter risollevare le sorti del potere imperiale del Regno Italico, così nel 1158 indice unassemblea durante la quale presenta il suo puntiglioso programma, sostenendo di voler governare direttamente i territori italiani, di voler nominare personalmente i funzionari amministrativi, e infine di essere deciso a ripristinare limposizione fiscale.
Il piano tuttavia è tuttaltro che apprezzato, soprattutto dal papa e da molte città del nord, in primis Milano.
Tale malcontento porterà poi alla costituzione della Lega Lombarda (1167), voluta dal papa Alessandro III e dalla maggior parte dei comuni nordici, ormai abituati ad una indipendenza de facto.
Allinizio la Fortuna appoggia Barbarossa, tant’è che egli, dopo aver clamorosamente messo a ferro e fuoco Milano, entra trionfale a Torino il giorno di Ferragosto, insieme alla moglie, e qui, proprio nella cattedrale piemontese, viene incoronato.
Ma la Dea è cieca e volubile, e finisce per voltare le spalle allImperatore, che nel 1168 è costretto alla fuga attraverso Susa.

Negli anni seguenti accadono altri scontri tra il Barbarossa, che tenta una riconquista dei territori, e la Lega lombarda: le vicende non sostengono lImperatore, che, infine, nel 1183, dopo la sconfitta di Legnano (1174), sigla un trattato di pace con cui riconosce lautonomia alla città del nord Italia.
È bene ricordare tuttavia che Torino rimane sempre fedele allImperatore, non aderisce alla Lega e si ritrova ad essere nelle mani dei vescovi di turno o degli effimeri alleati del Barbarossa: dapprima infatti è il vescovo Carlo ad essere figura di riferimento per la cittadinanza, in seguito tale incarico è affidato a Milone e poi a Umberto III di Savoia. Federico I resta interessato a governare su Torino, a causa della strategica posizione geografica: a testimonianza  di ciò si sa che egli aveva una residenza, allinterno delle mura cittadine, in un vero e proprio palazzo imperiale. Nel tentativo di controllare lurbe e non solo- il Barbarossa istituisce dei nuovi funzionari: i podestà. Si tratta di amministratori e giudici che dovevano mantenere la pace e riscuotere pedaggi e tasse per conto dellImpero; queste figure rendono il sistema governativo più efficace e sottile, inoltre vantano una formazione legale nonché una schiera di collaboratori personali e possiedono una scorta armata. I podestàesercitano un incarico itinerante, dopo circa sei mesi essi devono spostarsi altrove, aspetto che li rende più imparziali nel giudizio, a confronto dei pubblici ufficiali o dei consoli locali.
Alla fine del XII secolo il comune di Torino si presenta tutto sommato tranquillo ed ordinato: consoli e podestà si susseguono ordinatamente, lassemblea cittadina si riunisce periodicamente e le decisioni che vengono prese durante tali incontri sono trascritte in un corpus che si affianca alle indicazioni designate affinchè si attui un buon governo.

 

Tuttavia la Storia ci insegna che gli eventi sono in continuo mutamento, è infatti proprio durante questo tempo tranquillo che alcune famiglie particolarmente agiate si apprestano ad assumere il controllo della città. Spiccano tra l’élite urbana alcuni protagonisti, tra cui Pietro Porcello, i cui interessi si espandono dalla città al contado. Egli è funzionario amministrativo e vassallo del vescovo, per conto del quale gestisce addirittura un castello, inoltre è menzionato come console assai conosciuto e membro di alto rango nell’élite cittadina.
I cittadini più abbienti erano soliti autodefinirsi nobiles e facevano riferimento alle proprie famiglie come dinastie patrilineari, copiando le abitudini della nobiltà fondiaria.
Alla fine del XII secolo tali gruppi sono quasi una quindicina, tra questi è bene annoverare i Della Rovere, i Borgesio, i Calcagno, i Beccuti e gli Zucca, questi ultimi particolarmente legati alla realtàtorinese.
I nobiles fanno ovviamente coalizione compatta tra loro, grazie a legami matrimoniali intenti a mantenere questo status privilegiato. È possibile avere unidea di come tali famiglie vivessero e accumulassero terre e averi grazie ad uno specifico documento, il testamento di Enrico Maltraverso, redatto intorno al 1214.
Egli dispone che, dopo la sua dipartita, la ricchezza posseduta venga suddivisa tra le quattro figlie e alcune istituzioni ecclesiastiche; la fortuna della famiglia deriva dai possedimenti fondiari, costituiti da molti territori circoscritti a Torino e dintorni: ville, giardini, una macelleria, un vigneto e diversi appezzamenti di terreni agricoli. Tale Maltraverso, come altri elitari, possiede inoltre diversi beni sparsi tra città e campagna e ha il diritto di riscossione dei pedaggi a Rivoli.
Altri dettagli che si possono leggere nel testamento sono prima di tutto che una cospicua parte delleredità spetta alla figlia badessa del convento di San Pietro, ma poi che la parte più ingente di tutto il lascito è devoluta al monastero di San Solutore, dove lo stesso Maltraverso fa edificare una cappella in suo onore. Non è difficile comprendere il motivo di tale attenzione nei confronti della Santissima Chiesa: il pio Enrico tenta di placare linevitabile castigo divino che lo attende per aver praticato lusura durante buona parte della sua vita; il tentativo fa sorridere, ancora di più perché nemmeno dopo la morte Maltraverso mostra carità nei confronti dei creditori, al punto che incarica il collega usuraio Giovanni Cane di riscuotere i crediti precedenti.
Abbiamo alcune informazioni anche su questultimo losco figuro, il Signor Cane diventa presto uno degli uomini più facoltosi della città, ma anchegli pare avesse la coda di paglia: nel suo testamento, redatto nel 1244,  si legge di ingenti donazioni rivolte alla chiesa di San Francesco, con specifiche di ammenda per i propri peccati legati alla vita terrena.
Attraverso tali personaggi si evince che le ricchezze di certa élite torinese è spesso derivata da denaro ottenuto per mezzo di scambi, pagamenti di pedaggi o prestiti e non da attività commerciali o di qualsivoglia produzione. È poi chiaro il legame tra questi nobilesusurai e la Chiesa, che non disdegna di ricevere donazioni per finanziare enti ecclesiastici, ospedali o altre istituzioni religiose; nésono da dimenticare i rapporti più interpersonali tra le due categorie, come dimostrano i canonicati delle cattedrali o le posizioni allinterno dei monasteri più prestigiosi, affidate proprio a figli o figlie di questi ricchi nobiluomini, in modo da assicurare alle varie famiglie un avanzamento sociale e una stabile rete di appoggio costituita da politici e finanziatori: favori che garantiscono a questa esecrabile élite dominante una salda posizione di rilievo allinterno della gerarchia amministrativa comunale o ecclesiastica. É per via di questi spregiudicati che pian piano la figura del vescovo viene surclassata, fino al definitivo colpo di grazia dovuto allinsorgere delle insidie dei signori vicino a Torino, altri aspiranti al potere che si fanno forti della situazione problematica causata dalla contesa tra i comuni della Lega, lImperatore e il Papa.
Il vento sta cambiando ancora, questa volta sussurra il nome dei Savoia.

ALESSIA CAGNOTTO

Estate in giallo con Bardonoir

Torna anche quest’anno a Bardonecchia il Festival Bardonoir, giunto alla terza edizione. Attesi autori nazionali ed anche, per la prima volta da oltralpe. Tra loro Gabriella Genisi, creatrice di Lolita Lobosco e la francese Michele Pedinielli, tradotta di recente in Italia

Il Premio Agatha 2025, organizzato dalla rivista Agatha in collaborazione con Golem Edizioni, sarà assegnato alle autrici dei tre migliori racconti noir, ambientati in terre di montagna o di frontiera.

 

Bardonoir arriva alla sua terza edizione e si può dire che il Festival noir di Bardonecchia sia ormai una rassegna consolidata. Nato come evento locale, sta assumendo rilevanza al di fuori della Val Susa e del Piemonte, anche grazie al coinvolgimento di scrittori di livello nazionale.

Quest’anno Bardonoir, diretto come sempre da Giorgio Ballario, nell’ambito della rassegna Scena 1312, organizzata dal Comune di Bardonecchia, si svolgerà da venerdì 22 a domenica 24 agosto e sarà ospitato al Palazzo delle Feste.

Il programma è particolarmente fitto e offrirà a cittadini e villeggianti un panorama coinvolgente della narrativa gialla e poliziesca italiana, anche se il debutto, venerdì alle ore 18, vedrà salire sul palco una scrittrice d’Oltralpe, la francese Michèle Pedinielli, noirista di Nizza che di recente è stata tradotta anche nel nostro Paese. Dopo di lei, alle 19, sarà la volta di Orso Tosco, autore ligure con le Langhe nel cuore che lo scorso anno si è aggiudicato niente meno che il Premio Scerbanenco, il più importante riconoscimento italiano.

 

Sabato 23 alle ore 12 si partirà con un aperitivo in compagnia di Massimo Tallone, autore torinese che a Bardonecchia è di casa, che presenterà la sua ultima opera inserita nella nuova collana noir nazionale di Capricorno Edizioni. Alle 15 un’importante novità per Bardonoir: il festival è stato infatti scelto per ospitare la cerimonia del Premio Agatha 2025, il primo concorso organizzato dall’omonima rivista e da Golem Edizioni dedicato a racconti noir scritti da donne, con ambientazione di montagna o nelle terre di frontiera. A seguire l’incontro con Giulio Leoni, uno dei migliori autori italiani di giallo storico. Infine, due nomi di assoluto rilievo sulla scena nazionale: alle 17 Gabriella Genisi, creatrice della serie di Lolita Lobosco, diventata celebre anche in televisione; e alle 18,30 un omaggio alla Roma in giallo di François Morlupi. Seguiranno in serata le tradizionali letture teatrali ad alta tensione nel Borgo Vecchio a cura dell’Accademia dei Folli.

 

Domenica 24 alle 11,30 aperitivo in biblioteca con il gruppo Torinoir, che ritorna dopo alcuni anni di silenzio con un’antologia noir sul Teatro Regio di Torino; alle 15 tavola rotonda sul noir al femminile con autrici ed editrici (Luisa Ferrero, Francesca Mogavero, Valentina Castellan e Mara Barbara Rosso). Infine, alle 16, a chiudere il festival sarà un’altra autrice molto nota e apprezzata dal pubblico, Alice Basso, che parlerà della sua nuova serie di “cosy crime”.

 

“Morsi”: una favola nera tra neve, infanzia e orrore

Torino tra le righe

Per questo appuntamento di Torino tra le righe voglio portarvi nel cuore gelido di una storia che sorprende, inquieta e si insinua lentamente nella mente del lettore. Morsi è la seconda prova narrativa di Marco Peano, autore torinese classe 1979, che dopo l’acclamato esordio con L’invenzione della madre (Minimum Fax, 2015), ha scelto di percorrere una strada nuova, più oscura e spiazzante, ma non per questo meno intensa.
Con Morsi – edito da Bompiani nel 2022 – Peano si cimenta con un romanzo che si muove tra il thriller psicologico, il racconto di formazione e la favola gotica. Il risultato è un’opera disturbante e coraggiosa, che rompe gli schemi del realismo italiano per affacciarsi su territori narrativi poco frequentati nel nostro panorama letterario. Una scelta rischiosa, che ho trovato profondamente affascinante: anche io, come molti lettori, mi sono sentita spiazzata dopo pochi capitoli, ma proprio questo spiazzamento è diventato parte integrante dell’esperienza.
Peano, oltre a essere scrittore, è editor per Einaudi e docente allo IED di Torino. Collabora con Tuttolibri de La Stampa, e la sua scrittura, anche in questo romanzo, riflette una profonda consapevolezza letteraria. Nonostante il cambio di registro rispetto al suo primo romanzo, l’attenzione per i dettagli psicologici, per i non detti e per i legami familiari rimane una costante.
La storia si apre con un’immagine apparentemente innocente: una ragazzina che gioca nella neve. È Sonia, ha undici anni, e quel Natale del 1996 lo passerà, controvoglia, a casa della nonna, nel paesino montano di Lanzo Torinese. La grande nevicata di quell’anno isola il borgo dal resto del mondo, creando una cornice ovattata e sospesa, perfetta per ciò che sta per accadere.
La casa in cui Sonia viene accolta è un luogo carico di silenzi e di segreti. La nonna Ada è una donna severa e schiva, conosciuta nella valle come guaritrice. Alcuni la chiamano masca, termine dialettale che evoca antichi saperi, riti dimenticati e superstizioni che resistono al tempo. La bambina osserva tutto con un misto di diffidenza e attrazione, trascorrendo le giornate tra stanze polverose e visite misteriose nello stanzino dove la nonna riceve pazienti e bisbiglia parole inascoltabili tra impacchi, erbe e gesti arcani.
Intorno, il paese si svuota per le vacanze, ma un’altra ombra grava sugli abitanti: la scuola è stata chiusa in anticipo per via di un evento sconvolgente, “l’incidente”. La professoressa Cardone, l’insegnante di italiano, durante una lezione ha fatto qualcosa di così agghiacciante che nessuno riesce nemmeno a raccontarlo. Un trauma collettivo che avvolge Lanzo in un silenzio ancora più inquietante del freddo e della neve.
Sonia trova un compagno di avventura in Teo, un coetaneo cresciuto in una famiglia contadina, abituato alla durezza della vita e a soddisfare i propri istinti con una fame quasi primitiva. Tra i due nasce un legame necessario, fatto di sfide, coraggio e incoscienza. Insieme si avventurano nel mistero, attraversano il gelo e l’oscurità con lo sguardo puro di chi non ha ancora appreso del tutto la paura.
Quello che sembra partire come un romanzo di formazione si trasforma gradualmente in un horror psicologico, dalle tinte gotiche, quasi splatter. Le atmosfere ricordano certi racconti di Stephen King, ma filtrati attraverso la lente della cultura piemontese: la neve che copre tutto, il silenzio dei paesi di montagna, il dialetto che ritorna come memoria e identità.
Morsi racconta, in fondo, la fine dell’infanzia. Lo fa esasperandone le conseguenze, ma toccando una verità universale: crescere significa quasi sempre passare attraverso una frattura, un trauma, qualcosa che ci costringe a lasciarci alle spalle l’ingenuità e la sicurezza dell’essere bambini. A volte, crescere è davvero un orrore.
La scrittura di Peano è densa, ipnotica, spesso poetica anche nelle descrizioni più cupe. L’autore dosa con abilità tensione narrativa e introspezione, creando un equilibrio sottile tra realtà e incubo, tra memoria e visione. Le immagini restano nella mente, così come i personaggi, pieni di ombre e ambiguità. La figura di Sonia, in particolare, è toccante nella sua fragilità combattiva, nella sua sete di comprensione e nella volontà di resistere.
Morsi è un romanzo che rompe con la tradizione, che osa, che lascia spaesati e affascinati. Un libro che va letto senza aspettative, lasciandosi trascinare nella sua atmosfera sospesa e allucinata. Marco Peano ci porta per mano sulla soglia dell’orrore, e lo fa con delicatezza, con grazia, con crudeltà.
E quando si arriva all’ultima pagina, ci si accorge che qualcosa, dentro, è cambiato.
MARZIA ESTINI
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Vittorio Sereni e il “respiro” del lago

E’ stato un autore parco, componendo solo quattro raccolte di versi distanziate nel tempo. Tra la prima e l’ultima passarono quarant’anni: dall’esordio nel ’41 con Frontiera, a Diario d’Algeria del 1947, a Gli strumenti umani del 1965 fino a Stella variabile del 1981, due anni prima della morte

La “sua” Luino , qualche anno fa, ne ha celebrato il centenario con una originalissima regata velica sul lago al tramonto. Sulla vita e l’opera poetica di Vittorio Sereni, si sono susseguiti iniziative, dibattiti, convegni. Il suo, dopo quello di Piero Chiara, è il secondo centenario che si è celebrato nella capitale della sponda magra del lago Maggiore. Grande poeta e intellettuale di rango, tra i fondatori della rivista “Corrente” nel 1938, espressione dei giovani ermetici milanesi, traduttore e critico acuto, prima capo ufficio stampa alla Pirelli e poi direttore letterario alla Mondadori ( per la quale, e per primo, diresse la collana “I Meridiani”), Vittorio Sereni  è stato un autore parco, componendo solo quattro raccolte di versi distanziate nel tempo.

Tra la prima e l’ultima passarono quarant’anni: dall’esordio nel ’41 con Frontiera, a Diario d’Algeria del 1947, a Gli strumenti umani del 1965 fino a Stella variabile del 1981,due anni prima della morte. La poesia di Sereni offre un respiro largo, profondo ma, agli inizi, risente del “richiamo” del lago a Luino. E’ lì che nasce, nel 1919,  da padre campano ( funzionario di dogana)  e da madre luinese. Lì frequentò la scuola elementare e lì tornò spessissimo da adulto per incontrare i vecchi amici e per trascorrervi le vacanze. La vicinanza  della Svizzera, la vita della comunità che s’articolava tra il lago e il tracciato di una delle più antiche strade ferrate del nord-ovest dell’Italia unita com’era la Novara – Pino, prossima in quel punto a varcareil confine, hanno influenzato la prima raccolta poetica di Sereni, Frontiera, del 1941.

Già nel titolo si coglie la sintesi di avventura e d’inquietudine, tipica di una città di confine che è ponte tra genti e lingue, paesi e culture. Basta leggere alcuni versi di “Terrazza” per rendersene conto: “Improvvisa ci coglie la sera/ Più non sai dove il lago finisca/ un murmure soltanto sfiora la nostra vita/ sotto una pensile terrazza/  Siamo tutti sospesi a un tacito evento questa sera/  entro quel raggio di torpediniera/ che ci scruta poi gira se ne va”. E’ il lago  che, verso nord, si stringe, s’inabissa tra pareti di roccia alta e grigia, richiamando alla memoria i sentieri  di montagna e i valichi , i viandanti e i contrabbandieri. Quel lago che Vittorio Sereni e Piero Chiara , così simili e così diversi, ci hanno insegnato ad amare.

 

Marco Travaglini

 

Torino, capitale italiana del Liberty

Oltre Torino: storie miti e leggende del torinese dimenticato

È luomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nellarte.

Lespressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo luomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché  sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare. Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo.  Non furono da meno gli  autori delle Avanguardie del Novecento  che, con i propri lavori disperati, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto Secolo BreveNegli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di ricreare la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i ghirigori del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa ledera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di unarte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che larte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)

Torino Liberty

1.  Il Liberty: la linea che invase l  Europa
2.  Torino, capitale italiana del Liberty
3.  Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
4.  Liberty misterioso: Villa Scott
5.  Inseguendo il Liberty: consigli   di viaggio ”  per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
6.  Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la citt à
7.  Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicit à
8.  La Venaria Reale ospita il Liberty: Mucha e Grasset
9.  La linea che veglia su chi  è  stato: Il Liberty al Cimitero Monumentale
10.  Quando il Liberty va in vacanza: Villa Grock
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Articolo 2. Torino, capitale italiana del Liberty

In seguito allEsposizione Internazionale delle Arti Decorative del 1902 a Torino, gli artisti e i professionisti presenti ebbero lopportunità di conoscere e visionare i più rappresentativi esempi di Art Nouveau, firmati proprio dai migliori esponenti della corrente artistica di tutto il mondo. Successivamente a tale avvenimento e grazie alla presenza sul territorio di abilissimi architetti e assai preparati ingegneri,  che potevano contare su una ricca classe borghese e imprenditoriale, la città sabauda si trasformò in un immenso cantiere di sperimentazione stilistica, che in circa trentanni portò alla realizzazione di un gran numero di edifici appartenenti alle più svariate tipologie, sia industriale che residenziale, dai palazzi destinati allistruzione o al culto, fino ad alcuni esempi di arte funeraria. Gli artisti torinesi interpretarono il Liberty con originalità e maestria, rivisitando le scuole dellArt Nouveau, da quella franco-belga a quella austro-tedesca,  con occhio personale e mai scontato. Torino, ancora oggi nota per le grandi architetture barocche dei palazzi nobiliari e delle celebri residenze sabaude, vede affermarsi dunque, tra la fine dellOttocento e linizio del Novecento, una nuova corrente artistica, meglio conosciuta come Liberty. Di questo stile, Torino presenta numerose testimonianze di pregio, al punto da essere considerata la capitale del Liberty italiano.

Sul piano prettamente estetico il Liberty affronta leterno problema del bello, ovvero lideale di un socialismo della bellezza inteso come diffusione e messa a disposizione di prodotti artistici presso una sempre più vasta porzione di cittadinanza, nelle più disparate applicazioni, verso ununica adesione ad unestetica condivisa, che ha nella natura il suo inizio e la sua fine. Grazie allo sviluppo industriale e agli interventi urbanistici in varie zone della città, il Liberty si impose elegantemente nelle linee architettoniche di interi quartieri, dalla Crocetta alla Gran Madre, da Cit Turin a San Donato. In ogni spazio edificato allinizio del secolo scorso su impulso della nuova borghesia industriale, vi è la chiara impronta delloriginale stile artistico europeo, di cui ancora oggi  possiamo ammirare lelegante armonia architettonica.Passeggiando per Torino, con lo sguardo attento ai palazzi più rappresentativi, che si stagliano netti ed eleganti per le vie della città, non si può fare a meno di rimanere estasiati e ammirati di fronte alla raffinatezza espressiva di alcuni edifici, dalle linee flessuose e curve, dai tratti morbidi” delle facciate, che ancora ci sorprendono per la loro piacevole bellezza architettonica. Osserviamo tetti insolitamente ricchi,  vetrate che catturano la luce riflessa in colori pastello,  tettoie con strutture in ferro-vetro, dettagli di balconi dalla ringhiera incurvata, dove lalternanza vuoto-pieno sottolinea vitalità e dinamismo. E poi portoni, mancorrenti, finestre con finezze di particolari, festoni e fregi che richiamano la grazia della natura mediante la riproduzione di piante, foglie, tralci, fiori, tutta una leggiadria di forme che sembrano quasi nascondere e tacitare il peso del litocemento.  E poi ancora la riproduzione di rampicanti che, sviluppandosi in altezza, sanno dare un tocco di levità ai palazzi, arricchiti anche da conchiglie, sirene, animali araldici, curiosi ghirigori.  Ogni edificio mantiene una propria impronta particolare, ma, nel richiamarsi alla nuova linea floreale, la sa esaltare in strutture di spettacolare bellezza, come il flessuoso e morbido bovindo, bow-window, che nellinglese antico significa finestra ad arco, ed è, nelledificio, la parte di un ambiente aggettante verso lesterno, come un balcone chiuso da vetrate.

Lingegnere Pietro Fenoglio, il più grande architetto torinese di questo stile, ne ha realizzati numerosissimi in città, e in forme assai diverse, rettangolari, ovali, quadrate, circolari, cilindriche. A mezza altezza tra la strada e il tetto, il bovindo, anche solo di un metro quadrato o poco piùè una magnificenza costruita sulla facciata, dove la fantasia creativa ben si accompagna al tratto fluido e morbido, alla varietà e allinventiva. E così, nella  malinconica Torino gozzaniana  che mi piace ricordare (Come una stampa antica bavarese/vedo al tramonto il cielo subalpino/Da Palazzo Madama al Valentino/ ardono lAlpi tra le nubi accese/ E’ questa lora antica torinese,/ è questa lora vera di Torino), trovano spazio architetture quasi gioiose, dove il rosso del mattone ben si accorda al grigio chiaro del litocemento. In una perfetta costruzione armonica, ogni più piccolo particolare è studiato con cura, e i ferri battuti delle ringhiere dei balconi a volte differiscono volutamente per qualche minimo dettaglio, che solo una disamina attenta riesce a cogliere, e anche gli androni, le scale, i mancorrenti sono originali e costruiti ad arte. Nello stile floreale gli ornamenti fanno parte della costruzione complessiva, non sono elementi puramente accessori, quasi in aggiunta, al contrario prendono, per così dire, vita dalla bellezza dellinsieme.   Improntati allo stile Liberty, Torino presenta non solo un gran numero di case e villini, ma anche stabilimenti industriali, uffici pubblici e scuole, disseminati nei vari quartieri della città, la CrocettaSan Donato, il CentroSan Salvario, la Gran MadreCit Turin.

Di certo è stata troppo breve lingenua e ottimistica stagione Liberty, ben presto labilità tecnica si concretizzò negli orrori della guerra e la realtà drammatica che si andò delineando portò a una diffusa sfiducia nei confronti dellarte come materia salvifica. La bellezza dunque non è più né ricercata né indagata, la funzione” prevale sulla forma” e la violenta modernità si manifesta con canoni antitetici rispetto agli ideali dellArt Nouveau. Il tempo della natura e dei suoi mirabolanti ghirigori viene schiacciato dal suono devastante delle bombe e delle grida del primo conflitto mondiale.

 

Alessia Cagnotto

Musei a Ferragosto, a Torino vince la cultura

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Sono stati 15.741 i visitatori del Museo Egizio a cavallo delle festività di Ferragosto, da giovedì 14 a domenica 17 agosto 2025. Un dato leggermente superiore rispetto a quello registrato lo scorso anno: nel 2024 in 4 giorni di ponte si erano registrati 14.929 visitatori.

Le giornate che hanno avuto maggiore affluenza di pubblico quest’anno sono state venerdì 15 agosto con 4.728 ingressi sabato 16 agosto con 3.887 visitatori.

Ai Musei Reali di Torino, grande successo di pubblico durante il weekend di Ferragosto. Tra venerdì 15 e domenica 17 agosto 2025, sono stati emessi 5.653 biglietti. In particolare, 4.757 hanno consentito la visita alle collezioni permanenti, allo Spazio Leonardo e all’installazione multimediale Oculus Spei di Annalaura di Luggo, mentre sono stati 896 i biglietti staccati per ammirare l’esposizione Da Botticelli a Mucha. Bellezza, natura, seduzione, prorogata fino al 28 settembre 2025 nelle Sale Chiablese.

Ottima è stata anche l’affluenza libera, rilevata grazie a un applicativo digitale, nei Giardini Reali (5.343), l’area verde di straordinario valore monumentale e ambientale che ospita, fino al 16 settembre, la mostra personale dell’artista contemporaneo Giuseppe Maraniello.

A questi dati si aggiunge il grande successo dell’apertura straordinaria di mercoledì 13 agosto, giornata di chiusura infrasettimanale, in cui i Musei Reali hanno registrato oltre 1.300 ingressi.

Ecco invece i dati dei visitatori nei 3 giorni del ponte di Ferragosto (venerdì 15 – domenica 17 agosto 2025) alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, al MAO Museo d’Arte Orientale e a Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica di Torino.

GAM: 2.075 ingressi
MAO: 2.385 ingressi
Palazzo Madama: 5.056 ingressi

Totale FTM: nelle tre giornate sono stati 9.516 i biglietti staccati (6.508 nella sola giornata di Ferragosto).

Nel 2024 nei 4 giorni del ponte di Ferragosto (giovedì/domenica) i visitatori erano stati 9.130.

“La rosa s’aperse”: al Polo Museale di Druogno

Ampia selezione di opere grafiche e pittoriche raccolte in una suggestiva retrospettiva dedicata ad Elisabetta Viarengo Miniotti

Fino al 28 settembre

Druogno (VB)

Fin dal titolo – “La rosa s’aperse” – il messaggio è da subito ben chiaro. Il “viaggio” sarà tutto “ viaggio di poesia”. Poesia, di quella alta, che non ti lascia il tempo di tirare il fiato e ti porta inesorabilmente in quell’universo silenzioso e appartato fatto di armonia e bellezza dov’è giocoforza arrenderti allo smarrimento e alla pura contemplazione. Tant’è. Questo capita aggirandosi fra le sale espositive del “Polo Museale UniversiCà” di Druogno, storica località turistica della splendida Val Vigezzo (Verbano-Cusio-Ossola), che, fino a domenica 28 settembre, ospita, a cinque anni dalla scomparsa, un’ampia selezione di opere grafiche e pittoriche  dell’artista torinese Elisabetta Viarengo Miniotti, pittrice (allieva di Filippo Scroppo e di Giacomo Soffiantino all’“Accademia Albertina” di Torino) e straordinaria maestra di “incisione”, tecnica approfondita a Venezia al “Corso Internazionale di Incisione Sperimentale” sotto la guida di Riccardo Licata. Questo capita. E al sottoscritto, fidatevi!, è più volte capitato (“experientia docet”) trovandosi, più d’una volta, “vis à vis” con le opere dell’artista (Torino, 1937 – 2020). Realizzata dalla “Fondazione Elisabetta Viarengo Miniotti E.T.S.” (aperta a Torino, in via Villarbasse 30, dov’era lo studio della stessa pittrice), con il patrocinio di “Regione Piemonte”, “Provincia del Verbano-Cusio-Ossola”, del “Comune di Druogno”, dell’“Unione Montana Valli dell’Ossola” e della “Comunità Montana Val Vigezzo”, la rassegna è curata e presentata con fine maestria da Gianfranco Schialvino.

Che proprio a quella “rosa s’aperse” (poetico titolo della mostra e contenuto narrativo della “preziosa” acquaforte esposta in rassegna “Il giardino di re Mida” del 2015) s’appiglia per ricordarne la similare immediata affinità letteraria con il dannunziano “fiore s’aperse” dell’“Oleandro”dall’“Alcyone” del “Vate” pescarese (1903), pur propendendo per un miglior approccio alla “rosa fresca aulentissima”, celebre “contrasto” in “volgare” siciliano (XIII secolo) di Cielo d’Alcamo (giullare o poeta di corte?) poiché  “come la pagina miniata – annota Schialvino – di un ‘incunabulo di nostra gente’ l’avventura artistica di Elisabetta Viarengo Miniotti offre e richiede due metodi di lettura: quello dell’ammirazione per la sua perizia tecnica, che le consentiva di passare con disinvoltura dai pennelli agli acidi, dalle tele alla carta, dal bistro ai colori; e quello per i rischi che un artista ama ogni volta affrontare nella ricerca di soggetti nuovi, mai crogiolandosi su quel che ha già raggiunto in perfezione bensì gettandosi a capofitto in sempre diverse avventure”. E ogni pennellata, per Elisabetta, era davvero un “rischio”, una magnifica “avventura”. Rischio linguistico calcolato, rapido, corposo, inventivo, ma sempre in grado di bloccarsi all’istante, laddove l’impulso creativo rischiava di estromettere dai binari dell’“armonia” racconti di uomini e cose- di inquietanti “Arlecchini” nascosti dietro i tronchi biancastri delle betulle – di oggetti, figure e immagini di natura o di animali (poesia pura quella farfalla con la “polvere di giaggiolo” sulle ali!) che nelle sue opere diventavano “corpo unico” (esemplare in tal senso il corpo del nuotatore che diventa massa confusa fra acque ingorde e voraci) nel vigoroso abbraccio del colore o in una gestualità (per la quale si sono trovate importanti numerose assonanze e influenze con alcuni “grandi” dell’arte internazionale) ma che mai riuscì a sfiorarne il benché minimo tentativo di abbandonare la strada di una mai barattabile “singolarità”.

Nel campo soprattutto di “un’astrazione – scrive la critica d’arte e sua sincera amica Donatella Tavernache era piuttosto indefinitezza, poiché il finito, il netto, il fotografico era secondo lei limitante e in un certo senso ottundente”. Parole chiare di chi ben ne conosceva l’indole, l’onestà e l’afflato artistico. “Elisabetta non ha mai cercato clamore – aggiungono ancora i famigliari dell’artista cui si deve la nascita della ‘Fondazione’ a lei dedicata – eppure chiunque l’abbia conosciuta sa bene quanto fosse intensa la sua dedizione all’arte”. Alla visione di un mondo “di cui come famiglia e come ‘Fondazione’ ci sentiamo custodi, desiderosi di condividerla, di farla sbocciare ancora … come una rosa che continua ad aprirsi”.

Gianni Milani

“La rosa s’aperse”

Polo Museale UniversiCà, via Colonia 2, Druogno (VB); tel. 393/2611963 o www.universica.it  .

Fino al 28 settembre

Orari: luglio festivi; agosto, dall’1 al 17, tutti i giorni; dal 18 al 31, festivi; settembre su prenotazione

Nelle foto: Elisabetta Viarengo Miniotti “Giardino di re Mida”, acquaforte, 2015; “Nascondino (Arlecchino)”, olio su tela, 2011; “In vasca 2”, olio su tela, 2003; “Visitazione”, acquaforte a ceramolle, 20

Il TorinoFilmLab al Locarno Film Festival 2025

 

Il 78esimo Locarno Film Festival si è appena concluso con la vittoria di un film targato TorinoFilmLab. Il premio speciale della giuria del concorso internazionale  è stato assegnato, infatti, a White Snail di Elsa Kremser, (Austria), e Levin Peter ( Germania).

White Snail è il primo lungo di finzione del duo, che insieme ha già diretto altri titoli e che, nel 2021, ha partecipato al FeatureLab. Per i due registi il film racconta un punto di svolta nella vita di due giovani bielorussi, un atto di sfida verso lo stigma e l’esclusione, una fragile storia d’amore tra due outsider che mettono in crisi l’uno il mondo dell’altra, scoprendo così di non essere soli.
Per la competizione Cineasti del presente, il nuovo film dell’alumnus Minh Quy Truong, dal titolo “Hair, Paper, Water…” e diretto insieme a Nicolas Graux , è stato premiato con il Pardo d’Oro concorso Cineasti del Presente. Il film ha ricevuto anche la menzione per il Premio Pardo Verde, riservato alle opere  che meglio riflettono temi come l’ecologia e la sostenibilità.

Nel 2022 il TorinoFilmLab ha scelto Minh Quy Truong del Vietnam con il suo film ‘Viet and Nam’ come vincitore del TFL Co Production Fund di 50 mila euro, che ha poi esordito al Festival di Cannes 2024, nella sezione Un Certain Regard.

Mara Martellotta

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Aldo Cazzullo ad Alassio – Alaska -Lettere

Aldo Cazzullo ad Alassio
Cazzullo riceve il premio per l’informazione culturale ad Alassio . Con tutti i libri pubblicati sui temi più disparati, gli editoriali e le interviste (non settarie) che pubblica, credo sarebbe diventato difficile non conferirgli il premio alassino 2025. Anche la sua presenza televisiva sulla  7  è stata massiccia. Nessun giornalista, neppure Mieli, ha oggi la notorietà di Cazzullo che da giovane andava in vacanza a Loano, ma avrebbe aspirato ad Alassio. Poi la famiglia comprò una casa ad Andora e il sindaco Mauro  Demichelis  gli diede qualche anno fa le chiavi della città con notevole  preveggenza. Conosco Cazzullo da molti anni e anch’io in tempi lontani l’ho premiato nel suggestivo studio del pittore Enrico Paulucci a Torino. Ci affacciammo insieme sul balcone da cui si vede piazza Vittorio, il Po, il monte dei Cappuccini all’imbrunire: una suggestione indimenticabile.
Cazzullo ha le sue idee, ma sa anche rispettare quelle degli altri. Un fanatico   di un paesino ligure  ha suggerito ad un pronipote di Mussolini di chiedere a Cazzullo un contraddittorio  sui temi del fascismo allo scopo di creare un po’ di confusione. Da storico ho una visione del fascismo e di Mussolini diversa da quella di Cazzullo, ma quella del pronipote del duce mi appare priva totalmente di cultura storica e di attendibilità. Un libro scritto o fatto scrivere da altri che non merita di essere letto e neppure considerato. Approfittare del premio a Cazzullo per qualche minuto di visibilità mi  appare molto meschino.
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Alaska
Ogni passo verso la pace in un mondo in guerra che rischia un conflitto nucleare devastante da cui il mondo intero non si salverebbe, è sempre importante. Trump ha tentato senza successo di smuovere le cose, avviando un dialogo. Non credo che il vertice abbia dato risultati, ma va neppure considerato a priori un fallimento.
La storia è sempre imprevedibile e non bisogna cessare di sperare in altri passi successivi.  Parlarsi fa sempre bene. Certo il dignitario russo alla corte dello Zar con la maglietta dell’URSS appare un elemento che ha dell’ incredibile e forse è stata una provocazione per farsi notar e Ma sotto tanti punti di vista la Russia è tornata sovietica o è nostalgica dell’impero sovietico. Quell’impero dopo Yalta e la divisione delle sfere di influenza ha contribuito,  magari forzatamente e non certo per amore della pace, un equilibrio che ha evitato una terza guerra mondiale. E’ un ricordo lontano che ci indica come non sempre sono stati i pacifisti ad evitare le guerre. Proviamo a crederci anche noi. Non perdiamo nulla e troviamo una via magari illusoria per evitare a noi  le  troppe ansie ed alleviare  ai tanti attivisti in inutile e e mobilitazione  la fatica delle loro continue esibizioni in piazza.
LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com
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Erba in piazza San Carlo
Sono stata  a fare una passeggiata in piazza San Carlo anche per vedere i cantieri della nuova via Roma che sembrano quasi quelli del Ventennio che rifece l’ intera via.
Vi mando due fotografie dalle quali, malgrado la siccità, appare come l’erba cresca  abbondantemente tra il porfido di piazza San Carlo. Torino città più verde d’Italia o incuria  anche nel salotto di Torino? Forse occorrerebbero due capre per brucare l’erba. Io vengo da Saluzzo, ma  la manutenzione della  mia città è ben diversa.
 Giorgina Bocca
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Io mi limito a transitare sotto i portici e non cammino mai nella piazza. Passo sotto i portici per vedere le vetrine e magari prendere un aperitivo da Stratta.  Gli artisti di strada mi infastidiscono come i vecchietti sulle panchine in piazza mi intristiscono. Non mi ero quindi  mai accorto dell’erba. Un fatto marginale perché l’incuria, da quando è stato istituito un apposito  assessorato alla cura della città ,è un  problema del centro e della  periferia . Sono lontani i tempi quando bastava un sms al sindaco Fassino per ottenere un intervento veloce. Oggi Torino – al di là dell’impegno del sindaco che apprezzo – ha alcuni assessori che andrebbero mandati a casa , ma gli equilibri politici precari impongono di non toccare nulla.
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La storia non si può attualizzare  
Ho assistito ad una recente presentazione ligure del suo libro su Pannunzio. Mi ha stupito  il tentativo di una presentatrice di “attualizzare Pannunzio“. Lei ha dissentito, ma è stato generoso, forse troppo generoso. È  stato  perfino troppo cavaliere. Lo dico da donna. Con un uomo avrebbe reagito diversamente. Buon Ferragosto!   Maria  Aicardi
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E ‘ stata una serata non positiva. Ometto il nome della signora in questione, ma preciso che  non è stata  ovviamente la presentazione della prof. Jaqueline Visconti che si è rivelata ancora una volta intellettualmente straordinaria .La storia è storia e attualizzarla è  un errore. Semmai essa va contestualizzata. Prevedere da che parte starebbe oggi  Pannunzio o chiunque altro  è una sciocchezza in cui cadono anche le persone acculturate. Se poi si vuole portarlo dalla propria parte per avvalorare le proprie ragioni politiche, è  operazione intellettualmente scorretta. Sono vecchi discorsi che chi è ideologizzato non può capire.

Addio a Pippo Baudo: due momenti memorabili al Salone del Libro di Torino

Questa sera, 16 agosto 2025, Giuseppe Raimondo Vittorio “Pippo” Baudo si è spento a Roma all’età di 89 anni, lasciando un segno indelebile nel panorama televisivo italiano.  Nato a Militello in Val di Catania il 7 giugno 1936, era un volto familiare delle famiglie italiane sin dai primi anni Sessanta. Laureato in Giurisprudenza, iniziò la sua carriera come cantante e pianista, debuttando in TV nel 1959. Conduce tredici edizioni del Festival di Sanremo, stabilendo un record. È l’ultimo dei grandi presentatori con Mike Bongiorno, Corrado, Enzo Tortora e Raimondo Vianello. Nel 2016 lo ricordiamo a Torino sul palco del Salone del Libro quando Baudo interviene insieme a Chiara Gamberale per presentare l’ultimo romanzo di Walter Veltroni, intitolato Ciao, nel quale l’autore ripercorre il rapporto con il padre Vittorio, storico radiocronista Rai. Baudo scherza sull’impatto emotivo e culturale del libro, invitando Veltroni a presentarlo più volte, perché non è solo un racconto intimo ma anche un affresco del nostro Paese. Tre anni dopo, Baudo torna al Salone per presentare la sua autobiografia Ecco a voi. Una storia italiana, scritta con Paolo Conti. In un incontro alla Sala Rossa del Lingotto dialoga con Valeria Parrella e ripercorre i retroscena di oltre cinquant’anni di carriera, tra aneddoti e memoria storica dello spettacolo e della tv italiana.