CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 82

‘Old Fools’ di scena a Settimo

‘Old Fools’ con Marianna de Pinto e Marco Grossi è una produzione della Compagnia Malalingua e Festival trame contemporanee, per la regia di Silvio Peroni. Andrà in scena sabato 13 aprile.

È stato scritto dall’autore britannico Tristan Bernays e racconta di Tom e Viv, del loro amore della vita che hanno condiviso insieme, della prima scintilla che si affievolisce fino all’ultimo momento trascorso insieme.

Ma non necessariamente una storia deve essere raccontata in questo ordine. L’unicità del testo è nella sua struttura. Una narrazione che, senza soluzione di continuità, mescola e confonde il tempo, può passare dal primo incontro e proiettarsi, un istante dopo, nella senilità dei protagonisti per poi ritrovarli sposati o al secondo appuntamento, o alle prese con la nascita di un figlio o vederli impegnati nello sforzo di tenere unita la loro relazione.

Questa asimmetria temporale pare che abbia qualcosa a che fare con la nostra costante ricerca di significato e ordine nella vita e di come riusciamo a trovarlo solo in brevi istante, ma alla fine ci sfugge e un ordine non esiste.

Per Tom e Viv il mondo crolla e il tempo collassa quando si scoprirà che uno dei due soffre di Alzheimer e di fronte ad una malattia così debilitante trovare un significato diventa difficile e ancora di più trovare un ordine.

Quest’opera ordinariamente empatica si coniuga con il lavoro del regista Silvio Peroni che da anni conduce una ricerca sull’attore e il desiderio di raccontare sul palcoscenico delle vite senza spettacolarizzazione.

 

MARA MARTELLOTTA

 

Contatti 3494037423

info.malalingua@gmail.com

Al Baretti: “A little gossip never killed nobody”

venerdì 12 aprile 2024, ore 20

Il Teatro Baretti è onorato di ospitare la compagnia under35 Le Ore Piccole, con il debutto del loro spettacolo la cui anteprima ridotta è stata vista ad Asti Teatro 2023 nell’ambito del bando Scintille.

regine, parlatrici
Klara, Agnes e Martha si ritrovano tutte le sere per bere una birra insieme dopo l’estenuante lavoro in fabbrica. La vita nel paese dove vivono è logorante, non succede mai nulla di nuovo e niente sembra in grado di cambiare in meglio. Un giorno, però, qualcosa finalmente succede: Martha ha un rapporto sessuale con il loro capo, di cui si è invaghita, che presto si trasforma in una vera e propria relazione. Da quel giorno tutto cambia irrimediabilmente e, mentre loro ottengono piccoli miglioramenti sul lavoro grazie al rapporto privilegiato di Martha col capo, le conversazioni quotidiane delle tre donne diventano sempre meno innocue e sempre più inquietanti.

A little gossip never killed nobody è una favola oscura sul potere della parola, così potente che può cambiare la realtà, crearne una nuova, spingerti a immaginare, desiderare, manipolare, obbedire.

“il titolo della stagione contiene la parola regine in minuscolo, a simboleggiare uno status personale di consapevolezza, una regalità che proviene dalla coscienza di sé e non concessa da altri, la virgola e lo spazio vuoto suggeriscono poi un elenco potenzialmente infinito di declinazioni, ruoli, condizioni possibili del genere femminile. Esplorare, sfidare e celebrare il femminino in tutte le sue molteplici sfaccettature: ecco il cuore di questa nuova stagione teatrale, che mi vede nell’inedita veste di direttore artistico.” Sax Nicosia

Una stagione speciale resa possibile grazie alla collaborazione con PiemonteDalVivo nell’ambito del bando CortoCircuito, e con il sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo.

Per avere altre informazioni sulla stagione è sufficiente cliccare qui

A LITTLE GOSSIP NEVER KILLED NOBODY

di Chiara Arrigoni

regia Francesca Caprioli

con Chiara Arrigoni, Giulia Gallone, Ottavia Orticello

costumi Paola Arcuria

in collaborazione con PiemonteDalVivo nell’ambito del bando CortoCircuito
PAV- Fabulamundi Playwriting Europe e LE ORE PICCOLE

BIGLIETTERIA:
INTERO 12€
RIDOTTO 10€ (studenti/over65/anpi)
ABBONAMENTO 5 SPETTACOLI 45€
BIGLIETTERIA ONLINE:
È consigliato l’acquisto dei biglietti online su anyticket.it | L’acquisto prevede il diritto di prevendita di 0,70€. | Non sono possibili prenotazioni telefoniche o via mail.
PREVENDITA IN CASSA:
Qualora fossero ancora disponibili dei posti in sala è possibile acquistare i biglietti degli spettacoli teatrali prima dell’inizio dell’evento.

“La permanenza del segno”: Vincenzo Gatti alla Fondazione Amendola

Le sale espositive della Fondazione Giorgio Amendola, in via Tollegno 52, a Torino, ospitano la mostra di Vincenzo Gatti dal titolo “La permanenza del segno”, a cura di Armando Audoli. La mostra sarà visitabile fino al 5 maggio. Vincenzo Gatti presenta una vasta scelta di opere alla Fondazione Amendola, circa 40, che coprono un lungo periodo, dai primi anni Settanta fino a oggi, testimone della sua ricerca costante e appassionata legata alla grafica. Fin dagli inizi il vero protagonista delle opere è il segno, declinato in ogni forma, brulicante e atmosferico nelle incisioni, allargato e quasi snervante nella tensione dei disegni e delle recenti opere di grande formato, che trovano nuovi sviluppi espressivi con l’uso del pastello grasso su carte patinate.

Vincenzo Gatti, nato a Torino nel 1948, per vent’anni titolare della cattedra di Tecniche dell’incisione all’Accademia Albertina di Torino, sembra voler mettersi continuamente alla prova, dimenticando il consumato mestiere per sperimentare altre procedure, e entrando in territori grafici anche eterodossi, con una sorta di superamento critico dei risultati raggiunti. I temi trattati sono legati a varie esperienze, dalle seduzioni gestuali o pop degli inizi, alle visioni d’interni, tra luci e ombre, delle acque forti, agli scenari del mito della natura che favoriscono le metamorfosi della figura umana. Questo argomento ricorrente nell’immaginario dell’artista è riscontrabile anche in alcune terracotte presenti in mostra, e fa riferimento alla cultura visionaria e inquieta che ha percorso l’Europa tra Ottocento e Novecento.

Fondazione Amendola, via Tollegno 52, Torino

Apertura lunedì-venerdì 9:30/12:00 – sabato ore 10:00-12:00

 

Mara Martellotta

Nomi celebri e belle scoperte, dal Figurativo all’Informale

Il “Novecento” alla Galleria Aversa, sino all’11 maggio

La Galleria Aversa allarga i propri spazi e con gli spazi i propri confini. Con la mostra “Il Novecento, dal Figurativo all’Informale” (nei locali posti nel cortile aulico del Palazzo Luserna di Rorà di via Cavour 13, sino al 11 maggio prossimo) non rinuncia certo a quell’Ottocento cui da sempre ci ha abituato ma amplia i suoi interessi al secolo successivo, un lungo quanto prolifico periodo dell’arte italiana giù giù quasi sino ai giorni nostri, un terreno fertile di proposte e di esperienze pittoriche, un percorso che ha visto l’affermazione di varie correnti, dal Liberty al Divisionismo sino all’Informale. Un’esposizione che deve gran parte della sua ricchezza al lascito della collezione dello storico e critico d’arte Marco Rosci, collaboratore per venticinque anni de La Stampa, curatore di mostre d’arte moderna e contemporanea, autore di importanti testi e professore universitario, scomparso pressoché novantenne a Novara nel 2017.

 

Roberto e Jacopo Aversa hanno raccolto oltre trenta artisti, con grande ricchezza di tecniche e di formati, di volti e di paesaggi, di classicità e di sperimentazioni, da Nino Aimone a Bruno Cassinari, da Felice Casorati a Salvatore Fiume a Dario Fo, da Pinot Gallizio a Nedda Guidi a Ugo Nespolo, da Alessandro Lupo a Francesco Messina a Enrico Paulucci, da Carol Rama a Piero Ruggeri a Luigi Spazzapan, da Andrea Tavernier a Felice Vellan a Cesare Maggi. In un itinerario che potrebbe partire dalla “Preghiera” di Cesare Ferro, posta nella prima sala, un abito scuro, la espressività raccolta e indagatrice quasi di due occhi in un viso di donna, due mani giunti che dimostrazione la leggerezza ma altresì la solennità del momento di raccoglimento. Ma non vanno dimenticati “I fiori della mamma”, un pastello su tela di Giovanni Battista Carpanetto, il messicano Rufino Tamayo, che fondeva le tradizioni del proprio paese con le correnti che si sviluppavano in Europa, le proposte dello svedese Bengt Lindström, con la sua pittura ispirata ai miti e alle leggende della Lapponia, nato in un piccolo villaggio del Norrland e, attraverso gli studi e la passione per la pittura, approdato a Stoccolma e quindi a Copenhagen e Chicago e Parigi, affascinato dagli affreschi di Cimabue e Giotto ad Assisi, varie mostre in giro per il mondo, da Barcellona a Tokio, da Seul a Colonia a Milano.

Come Franco Costa, uno dei più importanti autori di manifesti del secondo Novecento, formatosi tra Zurigo e Parigi e il Sud America, collaboratore dei maggiori stilisti, da Valentino a Lancetti a Dior, legato a nomi quali Fellini, Stanley Kubrick, Matisse e Picasso, nel 1980 divenuto artista ufficiale della America’s Cup; come le opere di Mirko Basaldella e di Nedda Guidi, all’interno di questo panorama novecentesco che in questa Torino di primavera sta interessando gallerie e fondazioni di prestigio.

e. rb.

Nelle immagini: con la “Preghiera” di Cesare Ferro, in esposizione alla galleria Aversa, tra gli altri, anche opere di Pinot Gallizio e Nedda Guidi.

Selezionati gli artisti e le artiste di Futures 2024

Gli artisti e le artiste selezionate nel 2024 nell’edizione di Futures sono Anna Adamo, Giorgio di Noto, Giulia Vanelli, Ivo Sekulovski e Lucrezia Zanardi. Si tratta del programma europeo indirizzato alla promozione della fotografia contemporanea del quale Camera è l’unico rappresentante in Italia.

Attraverso un percorso di rafforzamento della propria ricerca artistica e attività di accompagnamento di natura espositiva, educativa, promozionale e relazionale, pensate su scala nazionale e Internazionale, il programma permetterà loro di entrare in contatto con oltre cento artisti provenienti da venti nazioni diverse e con gli staff curatoriali dei 21 musei e fondazioni per la fotografia che fanno parte della piattaforma.

Le artiste e gli artisti che parteciperanno alla settima annualità di Futures sono stati individuati da Walter Guadagnini, direttore artistico di Camera, e da Giangavino Pazzola, curatore associato del centro e coordinatore del programma.

Al fine di compiere una mappatura esaustiva e individuare le esperienze più significative e innovative nel contesto italiano, Camera ha deciso, per la prima volta nella storia di coinvolgere nell’individuazione delle candidature altri tre esperti del settore: la curatrice e fondatrice di Leporello.photobooks et al., Chiara Capodici, l’editore Tommaso Parrillo, fondatore di Witty Books e Giulia Pollicita, ricercatrice e curatrice della Fondazione Morra Greco.

 

Mara Martellotta

Gino Mazzoli, la mostra al Museo di Moncalvo

Il museo civico di Moncalvo con la mostra di Gino Mazzoli (Casale 1900-1974) vuole riportare in vita uno dei più importanti pittori del secolo scorso nati in Monferrato, famoso in vita poi pressoché dimenticato ingiustamente con il passare delle mode.

Figlio di Rodolfo, abile scalpellino di marmo e pietra e di Adele Pallavicini discendente dei marchesi di Ghemme, disobbendo al padre che, iscrittolo all’Accademia Albertina di Torino, sognava per lui un avvenire di scultore che seguisse le orme di Leonardo Bistolfi, anch’egli casalese e figlio di un artigiano del legno, Gino preferì seguire il corso di pittura tenuto da Giacomo Grosso.

Gli inizi del percorso artistico di Mazzoli sono segnati dall’influsso del grande maestro, ai tempi osannato per la straordinaria perfezione tecnica e il virtuosismo accademico, attenuato da lui a favore di un pacato intimismo e da emozioni scapigliate.

Costantemente fedele al figurativo mai si avvicinò all’arte aniconica, convinto, allo stesso modo di Casorati, che l’annullamento della forma avviasse ad un nichilismo privo di valori. In mostra sono presenti splendidi disegni e dipinti che trattano varie tematiche, dall’autoritratto referenziale di pittore severo e professionale ai ritratti della moglie Tilde, quasi sacrale simbolo dell’eterno femminino, dipinta con la proverbiale “tavolozza francescana” di parco colore; dai paesaggi verdeggianti del Monferrato e dell’Alto Adige alle nature morte con semplici oggetti, frutta, verdura, fiori colti sotto l’orto di casa secondo la poetica del quotidiano.

Giuliana Romano Bussola

“Felice Casorati. Pittura che nasce dall’interno”

In mostra al Museo Archeologico Regionale di Aosta

 

Il Museo archeologico regionale di Aosta dedica un’importante retrospettiva a Felice Casorati e alle generazioni di artisti e artiste che egli ha formato.

Il titolo della bella mostra ospitata dal Museo Archeologico Regionale di Aosta si intitola “Felice Casorati. Pittura che nasce dall’interno” e comprende oltre cento opere di uno degli artisti italiani più affascinanti della prima parte del Novecento.

Felice Casorati è stato uno degli artisti più importanti del Novecento in Italia e uno dei più longevi della sua epoca, avendo attraversato il periodo delle avanguardie, il ritorno all’ordine, il periodo del fascismo fino ad approdare al dopoguerra. Felice Casorati nacque a Novara nel 1883 da un ufficiale in servizio permanente, Francesco, e da Caterina Borgarelli. A causa del mestiere del padre, la famiglia si trasferisce frequentemente e Felice si trova a vivere a Padova, dove compie gli studi laureandosi in legge. Tuttavia, mentre sembra essere avviato ad una carriera nel settore giuridico, maturò una profonda passione per le arti, per la musica in particolare, dilettandosi come pittore. Nel 1907 provò a inviare alcune opere alla VII Biennale di Venezia, tra cui il Ritratto della signora Elvira, oggi in collezione privata, che fu accettato.

La critica era convinta di trovarsi di fronte a un giovane molto puomettente, che aveva solo 24 anni. Tra il 1908 e il 1911 si trasferisce a Napoli, spostandosi poi a Verona, dove fondava la rivista La via lattea, per la quale eseguiva anche degli schizzi e illustrazioni in stile art nouveau. Nel1912 partecipa all’IX biennale di Venezia ed espone 41 opere alla mostra di Ca’ Pesaro, che diventerà per lui più importante tanto da indurlo a rifiutare un invito alla Biennale nel 1920.

Casorati dapprima si avvicinò al simbolismo, con uno sguardo aperto sugli scenari internazionali e fu, in particolare, affascinato dalla secessione viennese dei vari Gustav Klimt, Oskar Kokoschka e colleghi, ma guardò anche a Cézanne e fu molto vicino ai principali critici e collezionisti del suo tempo, da Piero Gobetti a Lionello Venturi, da Antonio Casella a Riccardo Gualino. In particolare Casorati strinse una profonda amicizia con Riccardo Gualino, che gli commissionò opere, tra cui la decorazione del suo teatrino privato e fece sviluppare in lui l’interesse per le arti applicate. Nel capoluogo piemontese è stato il maestro più influente dell’Accademia di Belle Arti, ma ha anche avuto una sua scuola privata in cui sono cresciute interessanti figure, tra le quali la moglie Dafne Maugham e parecchie altre artiste, in controtendenza con un’Italia profondamente maschilista, come la scrittrice Lalla Romano, Marisa Mori e Nella Marchesini. Alla fine del percorso della mostra è proposta una piccola scelta di opere di sue adepte.

Le opere in mostra illustrano cronologicamente tutto il cammino dell’artista e arrivano da collezioni pubbliche e private, come “Le Sorelle” o “Le ereditiere”, provenienti dal Mart di Rovereto del 1908, in cui emerge la bravura del pittore nell’utilizzo del nero. Nell’opera intitolata “Le due sorelle” è possibile cogliere il legame profondo dell’artista con la pittura di Piero della Francesca, in particolare, che Roberto Longhi aveva riletto nel suo primo saggio a lui dedicato sette anni prima. Accanto ai ritratti, molto interessanti in quanto appartenenti a collezioni private, si ricordano le opere di paesaggio degli anni Dieci, come “La bianca e nera città turrita”, una tempera su cartone che proviene da una collezione privata. Sono anche parecchie le sculture in mostra come “Maschera rossa” e “Maschera nera” del 1914, altre meno note come “L’attesa” o il “Viso di donna”, rispettivamente terra cotta e terra cruda, realizzate una prima volta alla fine degli anni Dieci.

Di interesse anche i bozzetti che Casorati realizzò per il teatro alla Scala, che ci presentano un artista più gioioso.

 

Mara Martellotta

Di scena al teatro Astra lo spettacolo di Aurélien Bory “Gli invisibili”

Dall’11 al 14 aprile prossimi andrà in scena al teatro Astra la pièce “Gli invisibili”, per la regia di Aurélien Bory, coreografo e regista francese di fama internazionale, da sempre affascinato dalle contaminazioni linguistiche e culturali, che realizza uno spettacolo che nasce dalla sua infatuazione per la città di Palermo.

“Invisibili” è il risultato di diversi sopralluoghi del regista nel capoluogo palermitano, d’incontri con cittadini e artisti, di riflessioni sulle bellezze e contraddizioni di Palermo.

Si tratta di uno spettacolo multidisciplinare, capace di affiancare il teatro alla musica e alla danza che, a partire dal “Trionfo della morte” di palazzo Abatellis e da altre suggestioni legate alla città di Palermo, riesce a sviluppare un percorso poetico di relazioni, analisi sociali, identità e complessità.

Ho immaginato – afferma Aurélien Bory- l’affresco nel contesto attuale che esprime i flagelli della nostra epoca, quali le morti dei migranti, la guerra, le catastrofi naturali . Sulla tela sono rappresentati artisti, danzatrici e musicisti. Gianni Gebbia, sassofonista di fama internazionale, Chris Obehi, cantante nigeriano che ha iniziato la sua nuova vita a Palermo arricchendo il suo repertorio con canzoni in lingua siciliana e, infine, le danzatrici Valeria Zampardi, Bianca Lo Verde, Maria Stella Pitarresi e Arabella Scalisi.Con loro l’affresco al centro della scena si anima, e, attraverso la loro danza, assume un’altra dimensione”.

Lo spettacolo resta in scena fino a domenica 14 aprile.

Giovedì ore 20, venerdì ore 21, sabato ore 19, domenica ore 17

Produzione Teatro Biondo di Palermo. Compagnie 111 Aurélien Brody

Marcore’ sotto la Mole debutta da regista

Nella più grande sala cinematografica della regione,nella centralissima sala 1 del multisala Ideal, Film Commission con la presenza del regista Nero Marcore’ e l’ attore protagonista Alberto Paradossi ha presentato il film girato nel 2023 in Piemonte “Zamora”.
Ispirato al racconto di Roberto Perrone il debutto di Marcore’ dietro la macchina da presa è stato accolto favorevolmente dal pubblico che si è fermato per un simpatico dibattito al termine della proiezione
Ambientato in Lombardia, descrive perfettamente ambienti lavorativi, rapporti familiari, di vicinato e il rapporto con il calcio, racconta di una vita che non c’è più, una storia che affrontando molti temi di umanità sempre attuali, incontri casuali e ricercati,incontri che forgiano la  vita  è trattato anche il tema romantico in modo non sdolcinato, ma insegna a non arrendersi, a guardare avanti senza rimpianti. Importanti anche le figure femminili, mamma, sorella, amori.
Brava Marta Gastini, ruoli femminili tutti positivi, mentre i ruoli maschili disastrosi, fallimenti personali, padri assenti, colleghi invidiosi,uno spaccato anni 60, dove l’ appuntamento più importante della settimana era il sabato sera  riunirsi tra vicini di casa davanti ai primi televisori  per assistere ai quiz di Mike Bongiorno.
Un film piacevole dove ognuno potrà immedesimarsi e ritrovarsi.
Consigliatissimo.

GABRIELLA DAGHERO

La passione dei libri per Torino

Capitale della cultura, luogo privilegiato dove storia, letteratura e arte si incontrano, Torino è un punto di riferimento intellettuale, un magico scenario che ha ispirato penne illustri dando vita a opere meravigliose e famose, scritture dove vite celebri e comuni si incrociano

La città ha ispirato autori celebri come Primo Levi, Erasmo da Rotterdam, Torquato Tasso, Jean-Jacques Rousseau, Emilio Salgari, Natalia Ginzburg, Italo Calvino, Cesare Pavese, ha incantato personaggi come Nietzsche: “E l’aria: secca, energizzante, allegra… il primo luogo in cui sono possibile!”, letterati come Italo Calvino: “Torino è una città che invita al rigore, alla linearità, allo stile. Invita alla logica, e attraverso la logica apre alla follia”.  L’eleganza della città, le sue piazze signorili e imponenti, i caffè raffinati, il fermento garbato, il Liberty, il Barocco, la magia, il mistero, tutto a Torino ispira, crea suggestioni positive, slanci creativi che inevitabilmente portano alla produzione di grandi opere. “Profonda” diceva De Chirico, “seconda a nessun’altra per magnificenza” secondo Gogol, uno dei più grandi autori della letteratura russa. Questo fervore ha dato vita a numerosi testi che vedono Torino come sfondo, come scenografia di storie che ci hanno appassionato, emozionato e fatto guardare la città con occhi diversi.

 

Il Libro Cuore di Edmondo De Amicis, il suo capolavoro, un libro per ragazzi ma apprezzato da tutti, in una Italia appena unita il diario di un bambino racconta l’amore per la patria, il rispetto per i genitori, lo spirito di sacrificio, la carità, l’obbedienza.

La solitudine dei numeri primi è il libro di debutto di Paolo Giordano, giovane autore torinese e vincitore del Premio Strega e Campiello. Un romanzo che racconta la storia di due giovani le cui vite sono state segnate da dolorose vicende della loro infanzia. Torino non è menzionata, ma tanti sono i luoghi citati come la Gran Madre o la Basilica di Superga. Al libro è ispirato l’omonimo film.

Il cimitero di Praga. Ambientato tra Torino, Parigi e Palermo è il sesto romanzo di Umberto Eco. Il capitano Simone Simonini, il protagonista di fantasia dell’opera e trait-d’union con gli altri personaggi, è un falsario cinico del XIX secolo, gli altri attori sono invece figure storiche del Risorgimento realmente esistite. Un libro che racconta di insurrezioni, rivolte, congiure.

La Casa in Collina Ambientato a Torino e nelle zone circostanti è uno dei più bei romanzi di Cesare Pavese. Una storia che affronta il problema della solitudine durante Seconda Guerra Mondiale, ma anche l’impegno civile, la pace interiore, la fuga, i sensi di colpa di Corrado il protagonista. Può essere considerato l’espressione del momento più maturo professionalmente dello scrittore piemontese.

Lessico Famigliare Gesti, comportamenti, episodi e soprattutto frasi della vita quotidiana dei Levi una famiglia ebrea e antifascista che vive nella Torino degli anni ’30. I ricordi, la lontananza, il disperdersi della famiglia a causa della guerra raccontati dall’interno da Natalia Ginzburg. Un libro-testimonianza che si è aggiudicato il Premio Strega nel 1963.

La giornata d’uno scrutatore. Italo Calvino narra la storia di Amerigo Ormea, intellettuale comunista, il cui scopo è quello di impedire che le persone incapaci di intendere e di volere vengano influenzate da religiosi a votare per la DC, si svolge tutto in un giorno in una sede unica: il Cottolengo di Torino. E’ un libro autobiografico il cui protagonista è l’alter ego dell’autore. Calvino ha impiegato molto tempo per scrivere questo libro, dal ’53 al ’63, non per una ricerca della perfezione, ma per l’impossibilità di scrivere sull’argomento in piena libertà.

Torino è casa mia. “Torino è Torino. Non è una città come un’altra” dice l’autore Giuseppe Culicchia e “aprire questo libro è un po’ come entrare in casa nostra. Mia. Vostra”.

Lo scrittore paragona Torino alla sua casa con “un ingresso, la stazione di Porta Nuova, una cucina, il mercato di Porta Palazzo, un bagno, il Po, e poi naturalmente il salotto di Piazza San Carlo, e quel terrazzo che è il Parco del Valentino, e il ripostiglio del Balon, e una quantità di altre cose e di altre storie”.

Oltre a questi opere, sicuramente tra le più note, ce ne sono molte altre che vedono la Città della Mole come meravigliosa protagonista:

Il Fantasma di Piazza Statuto, di Massimo Tallone, La Donna della domenica e A che punto è la notte di Fruttero – Lucentini, Torino Parallela di Baricco – Sterling, La Fratellanza della Sacra Sindone di Julia Navarro, La Commedia Torinese: Vicende di una eredità letteraria di  Michael Krüger e davvero tanti altri.

 

Maria La Barbera