CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 81

Vertigo Summer Festival a Cocconato

Arte e spettacolo a Cocconato con Vertigo Summer Festival 2025 dal 3 al 6 luglio

Sarà il funambolo torinese Andrea Loreni, il funambolo dei record, ad aprire giovedì 3 luglio alle 21 la prima edizione del Vertigo Summer Festival, la kermesse di arte varia organizzata dal Centro nazionale di produzione blucinQue Nice, in collaborazione con la Fondazione Cirrko Vertigo, che invaderà il centro di Cocconato, nell’Astigiano.

In programma dal 3 al 6 luglio prossimi, il Vertigo Summer Festival è realizzato con il sostegno di Combriccola Marchetti, patron della kermesse, di Mic e della Compagnia di Sanpaolo, il patrocinio della Regione Piemonte, della Provincia di Asti e del comune di Cocconato d’Asti, con il sostegno di Cocchi/Bava Molecola, Baladin, San Bernardo,  Locato, BBBell, Azienda Agricola Varesio, Autolinee Giachino.

Saranno quattro giorni intensi di spettacoli che invaderanno le strade del centro della cittadina, con la presenza di Circo contemporaneo, teatro di strada, musica dal vivo, teatro di figura e teatro fisico, che saranno le discipline che animeranno ogni angolo dell’antico borgo.

L’appuntamento più atteso è quello con il funambolo Andrea Lorenzi, uno dei pochi al mondo specializzato in traversate a grandi altezze. Si esibirà il 3 luglio alle 21 in una camminata su di un sottile cavo d’acciaio lungo 80 metri posto ad un‘altezza di circa 20 metri dal suolo. “Tracing the sky” è  il nome della sua prova. A seguire una parata di musiche balcaniche e Klezmer con i Bandaradan.

Venerdì 4 e domenica 5 giugno lo spettacolo Tiramisù con la compagnia ArteMakia. Sabato e domenica presso il Cortile di Casa Fenoglio  si esibirà il mago The Chairming Jayido, mentre il giocoliere Davide Partinico di Accademia Cirko Vertigo sarà in via Roma.

Nel cortile Ferrero il 6 luglio è il turno della Compagnia Milo e Oliva; in piazza Giordano sperimentazioni della scuola del Circo Chapitombolo Academy.

Sabato e domenica  è previsto  un Vertigo Galà nel cortile del Collegio con uno spettacolo condotto da Ivan Ieri con Alexandre Duarte, Vladimir Jezic, Jonnathan lemos, Michelangelo Merlati, Elisa Mutto e Carlos Rodrigo Parra Zavala.

Domenica 6 luglio spazio alle sperimentazioni delle principali discipline del circo contemporaneo con gli istruttori e gli artisti professionisti della Scuola del Circo.

Patron della manifestazione Alberto Marchetti che afferma “portare qui, nel paese della mia infanzia, una kermesse di questa importanza è stata una scommessa davvero funambolica”.

“Cocconato è un borgo che ha sempre fatto dell’accoglienza, della cultura e della bellezza le sue parole chiave”- afferma il sindaco di Cocconato Monica Marello.

Mara   Martellotta

La Festa della musica a Chieri, con undici concerti in tutta la città

A Chieri sabato 21  giugno prossimo si celebra la ‘Festa della Musica 2025’, con un programma di nove concerti e due eventi collaterali ospitati in diversi punti della città, tutti a ingresso libero.

Dal 1982 il World Music Day rappresenta la giornata dedicata a promuovere la musica dal vivo, aprendo le porte a tutti i musicisti che si vogliano esibire, professionisti e non, in un caleidoscopio di generi musicali. La Festa della Musica è organizzata in più di 46 nazioni e promossa dal Ministero della Cultura in collaborazione con la SIAE, Società Italiana degli Autori e Editori.

“ Dal 2017 la Città di Chieri organizza questa manifestazione,  riscontrando la soddisfazione de pubblico e degli artisti – dichiara l’Assessora alla Cultura del Comune di Chieri Antonella Giordano – Anche quest’anno proponiamo un ricco programma di eventi diffusi sul territorio cittadino aperti a tutta la cittadinanza, con l’obiettivo di promuovere la pratica dell’arte musicale, a qualsiasi livello, in qualsiasi forma di espressione, stile, genere e tradizione.

Anche quest’anno sono protagoniste le scuole di musica e le band del territorio. Tra le novità il festival Open Street a cura dei giovani del servizio di educativa di strada.

Quest’anno i punti musicali sono il Cortile del Palazzo Municipale, l’Auditorium Leo Chiosso, la biblioteca Civica, piazza Trento, via Vittorio Emanuele  II angolo piazza Umberto I, piazzetta della Meridiana, piazza Cavour, la chiesa di San Giorgio e la chiesa dei Santi Bernardino e Rocco, il parco Pa.T.Ch.

Sabato 21 giugno  in programma dalle ore 15 alle ore 23  “Infinite Art”, con esibizione degli allievi della scuola di musica presso la Biblioteca Civica “Nicolò e Paola Francone”, in via Vittorio Emanuele II 1. Si terrà poi l’Open Street Festival al Parco Patch, un evento musicale “dalla strada per la strada”, pensato per valorizzare il protagonismo giovanile.

Partecipano i giovani del servizio Bro Out, insieme ad associazioni e realtà giovanili chieresi. L’iniziativa vuole celebrare la musica e promuovere la collaborazione tra le associazioni locali e la cittadinanza attiva.

Dalle 16.30 alle 18 saggio degli allievi della scuola di musica della Filarmonica Chierese APS E.T.S in piazzetta della Meridiana.  Nel Cortile del Palazzo Comunale, dalle 16.30 alle 23, sarà  la volta dell’Officina Musicale con, prima l’esibizione degli allievi più piccoli, e alle 21 il concerto della band degli allievi, che spazia dal pop al rock, al jazz.

Tra gli altri appuntamenti si annoverano quelli ospitati nelle chiese, alle 21 nella chiesa di San Giorgio si esibirà la Corale Pinese, composta da circa venti elementi, che proporrà brani a cappella di polifonia sacra e profana, dal Cinquecento a oggi, provenienti da tutto il mondo. Si tratta di un viaggio nella tradizione vocale, con brani anche in lingua originale e armonizzazioni originali.  Dalle 18.30 alle 21, in piazza Cavour, nella chiesa dei SS Bernardino e Rocco si terrà un concerto dell’associazione artistico musicale NonSoloGospel, che proporrà un programma eclettico  sul tema del rapporto tra l’uomo e Dio, inteso come lode, amore, attesa e speranza.

Mara  Martellotta

L’arte di Marina Monzeglio, dai vetri artistici agli acquerelli

Mostra ad Avigliana, sino al 20 luglio

Oltre cinquanta opere, tra vetri artistici e acquerelli, dell’artista Marina Monzeglio ospitate sino al 20 luglio nella mostra “Percorsi”, organizzata da Luigi Castagna e Giuliana Cusino, della Associazione Culturale “Arte per Voi”, nell’ex chiesa di Santa Croce, nel suggestivo scenario medievale della piazza Conte Rosso ad Avigliana. Il desiderio di sperimentare, la curiosità a percorrere strade nuove, il mettersi a confronto con materiali inusitati, il disegno e il colore che rafforzino un’idea: questo e altro ancora sono gli “affetti” non soltanto umani che sorreggono l’attività di un’autentica “artista”, reclamando appieno quell’antica radice che è in “artifex”, il portatore di un’ars capace di raccogliere in sé l’eccellenza di un mestiere e di una tecnica innegabile, strettamente legata a un’azione e a un sentimento di valore intellettuale sempre costanti e immersi in quella stessa curiosità. Questa è Marina Monzeglio, questo è il sentimento che di lei continuiamo a conservare, da quando l’abbiamo conosciuta. Curiosa e instancabile. Capace di mettere da parte, all’occorrenza, dietro una spinta inavvertita o in tempo diverso meditata, certi terreni in precedenza attraversati e coltivati. Disposta a guardare sempre verso altri mondi. Verso un “altrove” che è la parte più intima di quei “percorsi”. “Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo io non lo so, ma dobbiamo andare”, scriveva Kerouac in “Sulla strada”, un sentire e uno stile di vita, una religione laica per Monzeglio. Una incessante ripartenza, d’obbligo, quotidiana e temporale, di occasione in occasione.

Tre sono essenzialmente quei percorsi, che guardano all’interpretazione di elementi quali il segno, il colore e la forma. Laddove il primo è simile a un viaggio che tenda a ricollegare l’individuo verso l’infinito, dove coabitano oscurità e squarci di colore, la memoria e la poesia, “valore simbolico ed estetico della civiltà del tempo”. Il secondo è il voler ricavare un nuovo aspetto della materia, una dinamicità che nasca prepotente nell’immaginazione e che rintracci la propria corposità nello spazio, documento non secondario della presenza umana. Nella brochure che è presentazione alla mostra, ci soccorre Alessandro Baricco: “Bisogna cercare di capire lavorando di fantasia, dimenticando quel che si sa, in modo che l’immaginazione possa vagabondare libera correndo lontana dentro le cose fino a vedere come l’anima non è sempre diamante ma, alle volte, velo di seta trasparente.” L’ultimo percorso segna l’indagine “sul significato del segno come la forma di identificazione più antica”, avendo nella mente quello stesso segno come il mezzo più abituale e preciso per collegarsi e confrontarsi, per allargare gli ambienti della nostra comunicazione, nel mondo antico come in quello più prossimo a noi, il segno che si fa appartenenza e civiltà, un mosaico variopinto “di piccoli elementi staccati dall’insieme, piccole visioni e micromondi”, frammenti d’oggetti pronti a ricomporsi.

Possiede un fervente laboratorio, un personalissimo Studio d’arte, “una stanza tutta per sé”, a Nichelino, Marina Monzeglio (le sue mostre più recenti: “Viaggio nell’universo femminile”, galleria Venti, Torino, 2017; “Compagni di viaggio” (2017), “Lo sguardo degli altri” (2018) e “Allegri, gente…” (2022) presso il palazzo Lomellini a Carmagnola; “L’altra metà degli angeli” (2017) e “Frammenti” (2018) presso Arte per Voi ad Avigliana; “Emozioni d’Artista” (2022) presso la galleria La Conchiglia e “Leggerezze” (2023) al MIIT di Torino; ancora al MIIT “Fabbricatori di favole” e “Fabbricatori di favole 2”, entrambe nel 2024) – diplomata in scenografia presso l’Accademia di Belle Arti torinese -, per dare vita ai suoi universi, immaginifici e geometrici (il proseguire e lo spezzarsi delle linee, l’intrigo di certi profili, le linee ondulate che sfuggono e vengono in seguito ricomposte) al tempo stesso, la vitalità e i cromatismi più tenui e belli. Una discrezione, un passo dopo l’altro senza alcun disturbo, un farsi avanti senza troppo apparire. Ma anche un’irruenza che ti convince appieno nell’arditezza della forma. Mentre t’incantano quei toni sommessi. Una dicotomia poi, l’area laboriosa e faticosa del vetro, inteso come scultura, intessuta di morbidezze e di sinuosità, tra i margini e le intelaiature di stagno che fanno da legatura e sono lì, ad esempio, ad accompagnare verso l’alto (il ricordo è lo splendido “Sinuosità, in un’altezza di 120 cm) una foglia o un lembo di spazio socchiuso, con le sue suddivisioni e i tanti piccoli quasi impercettibili pezzi vitrei che la compongono.

Una raffinatezza, un liberty elegante e antico. Il susseguirsi, con l’avanzare della superficie, di colori che sono bruni e un variegare composito di azzurri e di blu più o meno intensi, e di verdi variamente intesi, e di forme ancora, che s’esprimono in circolarità e in corni sfuggenti, in porzioni appena carezzate dal colore e in altre nelle quali quello s’insinua con forza. Forze che non perdono certo tutto il loro status ma che si stemperano – dicevamo, un altro “altrove”, le superfici senza delimitazioni dei cieli e degli astri, gli incanti di Orione, frammenti sognati e reinventati, miti e suggestioni, realtà lontanissime posizionate sul foglio di carta, l’abbandono di nature morte e di paesaggi e di volti: ancora una volta, il sempre identico desiderio a spingersi oltre, a inventare giorno dopo giorno un linguaggio nuovo – in acquerelli filosoficamente astratti, grumi di colore che riprendono e riassumono all’interno di leggi tutte proprie le composizioni precedenti.

Elio Rabbione

Nelle immagini, vetri artistici (“Tabit”, diametro cm 50, 2007, vetro dipinto grisaglie e smalti cottura gran fuoco e legatura stagno) e acquerelli di Marina Monzeglio in mostra nell’ex chiesa di Santa Croce ad Avigliana.

The essence of water

È in corso a Casale Monferrato la bella mostra, curata dall’associazione ArtMoleto, incentrata sul rapporto inscindibile tra arte e natura, attraverso affascinanti opere di artisti che si confrontano, ognuno con il proprio stile, su questa importante tematica.

GRB

“La maledizione di Joshua” un noir intenso che intreccia memoria, vendetta e mistero

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TORINO TRA LE RIGHE

Per gli amanti del noir e delle atmosfere torbide, oggi vi porto nel cuore del nuovo romanzo di Patrizia Valpiani, La maledizione di Joshua (Edizioni Pedrini): una storia avvincente che mescola passato e presente, colpi di scena e riflessioni profonde sull’animo umano.
Originaria di Pietrasanta, ma ormai torinese d’adozione, Valpiani ha saputo fare della nostra città non solo lo sfondo, ma il respiro stesso della sua narrativa. Alternando poesia e romanzo noir, ha affinato negli anni una scrittura attenta all’introspezione psicologica e alla costruzione di atmosfere dense e inquietanti. Il suo noir non urla, sussurra. Non ostenta la violenza, la lascia emergere lentamente, dalle crepe dell’anima.
Protagonista ricorrente delle sue opere è Pietro Jackson, pittore e musicista dalla sensibilità straordinaria, capace di cogliere le vibrazioni più oscure della realtà. Nato con Ascoltando Coltrane (Neos Edizioni, 2009), Jackson si muove in una Torino meticolosamente descritta nei suoi dettagli urbani, sociali e culturali: una città che, nei romanzi di Valpiani, è presenza viva e pulsante.
Dopo una pausa narrativa, l’autrice è tornata a raccontare le vicende di Jackson in collaborazione con il medico legale Gianfranco Brini, sotto lo pseudonimo di Tosca Brizio. Da questa sinergia sono nati Chiaroscuro (2017) e L’ombra cupa degli ippocastani (2019), pubblicati da Golem Edizioni. Alla scomparsa di Brini, Valpiani ha continuato da sola il cammino del suo protagonista, portandolo avanti fino al recente Pietro J (2022).
Con La maledizione di Joshua, ci troviamo di fronte a un nuovo capitolo, denso di tensione e mistero. La storia prende avvio a Santa Fé, in Argentina, dove incontriamo Joshua, un uomo di origini ebraiche la cui vita è stata devastata dall’antisemitismo degli anni Quaranta. Ormai anziano e gravemente malato, Joshua decide di tornare in Italia per chiudere i conti con il passato e reclamare giustizia. O forse vendetta.
Il romanzo si sposta poi a Torino, dove le ombre di Joshua si intrecciano con quelle di Pietro e Matteo, un giornalista deciso a far luce su una serie di eventi oscuri che coinvolgono una famiglia italiana. In questo mosaico di personaggi e destini, Valpiani intreccia con maestria la memoria storica e la tensione narrativa, regalando al lettore un noir che è anche un viaggio nell’inconscio.
La maledizione di Joshua conferma la capacità dell’autrice di tenere il lettore con il fiato sospeso fino all’ultima pagina, dimostrando che il noir può essere non solo intrattenimento, ma anche strumento di riflessione.
Un romanzo da non perdere, perché dietro ogni pagina si cela una verità inattesa. E, come sempre nei libri di Patrizia Valpiani, niente è mai come sembra.
MARZIA ESTINI

Clelia Castellano: “Il canto dell’ebreo errante è una lezione di speranza per tutti i popoli”

A ridosso del 7 ottobre, a un anno dal pogrom del 2023, esce per Guerini e Associati, con prefazione del Rettore Lucio d’Alessandro, un libro importante e necessario, della sociologa Clelia Castellano: La società fra memoria e speranza. Sottotitolo Hatikvah. Per un Umanesimo possibile. “Hatikvah” significa, in ebraico, “la speranza”, ma è anche il titolo dell’inno nazionale ebraico, costruito attorno ad una melodia antica che è emozionante ascoltare, oggi, mentre c’è chi nega ad Israele il diritto di esistere sulle carte geografiche.

«Il sottotitolo del mio libro, HaTikvah, non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza, un’istigazione pungolante come il tafano di socratica memoria a cercare la luce al di là delle cose. Questa parola ebraica vuol dire “speranza” ed allude, in un canto meraviglioso che oggi è l’inno nazionale, al ritorno alla terra promessa, dopo schiavitù e sofferenze, per vivere in pace. Il canto dell’ebreo errante è una lezione di speranza per tutti i popoli, accoglierlo non significa odiare i palestinesi, ma ricordare una verità semplice: ogni popolo, come ogni uomo, è in cerca di una terra, di un orizzonte, di un luogo da poter chiamare casa e a nessun uomo, come a nessun popolo, dovrebbe essere negato questo diritto». Infatti questo libro, scritto con eleganza e profondità semantica, è dedicato dall’autrice “A tutti coloro che sono sulla via del ritorno”, perché non vuole semplicemente essere un segno di speranza e una presa di posizione nei confronti dell’antisemitismo vergognosamente dilagante, ancora una volta, nel mondo. È anche una celebrazione della memoria intesa come patrimonio dei popoli tutti, in una stagione di crisi dell’Occidente nella quale il recupero della cultura della memoria può essere la risposta all’urgenza di un nichilismo esistenziale che sta privando le nuove generazioni di consapevolezza storica e civile, al di là di spettacolari protagonismi “politici” sui social, talvolta frutto di pregiudizi e disinformazione. Nel dilagare dell’ideologia e della mercificazione di corpi e identità, la memoria è in grado di ridare vigore alla meraviglia della differenza, intesa non come inciampo conflittuale e presupposto di sopraffazione dell’altro, bensì in quanto ideale postura esistenziale per accostarsi all’alterità rispettosamente, proprio perché in dialogo consapevole con le proprie radici. Scrive l’autrice : «La contingenza storica degli avvenimenti recenti […] è stata il motore che ha avviato la riflessione, ma questa è stata sostenuta e temperata dalla volontà di cercare equilibrio e pace. Per lungo tempo si è rinfacciato al popolo ebraico l’ergersi a unico attore della sofferenza nella storia, come se il lavoro sul ricordo degli eventi della Shoah, la cui portata educativa è immensa, fosse colpevole di mettere in ombra altre storie di sofferenza: nulla di più ingiusto, sia perché l’unicità della Shoah come fenomeno storico è innegabile, sia per la vicinanza di una parte del mondo culturale ebraico, nonostante le posizioni della politica ufficiale, ad altre tragedie, come quella armena. Gli ebrei non hanno chiesto di essere deportati, torturati, odiati, dispersi: sulla loro pelle, hanno imparato la lezione della memoria e della resilienza, e queste sono lezioni di umanesimo alle quali tutte le culture debbono attingere».

Il libro della Castellano è un auspicio a considerare la memoria come categoria umana foriera di pace e civiltà, quando il suo uso non è indiscriminato, rimettendo in gioco le categorie che il dilagare del pensiero unico relega ai margini della riflessione collettiva. « L’umile sforzo di questo piccolo libro, che, ripeto, vuole essere un punto di domanda e di partenza, è ribadire l’imprescindibile necessità della memoria per restare umani. Ed è un libro che condanna l’antisemitismo non per tutelare una minoranza etnica o culturale[…], ma per tutelare, attraverso un popolo che è stato reso dalle sferzate della storia Maestro di memoria nell’erranza e nella sofferenza, l’umanità tutta, ed ogni memoria. Dire no all’antisemitismo significa dire sì alla vita, alla tolleranza, al rispetto di ogni essere umano e di ogni popolo. Dire no all’antisemitismo è il primo mattone per costruire un umanesimo globale, cominciando dall’Occidente, che dopo il tramonto preconizzato da Spengler cerca la promessa di una nuova alba. Lungo la strada della memoria si incontrano dittatori, criminali, assassini, bugiardi: ma i popoli meritano che la loro memoria venga accolta! Cercando la verità storica nella consapevolezza della parzialità dei nostri sguardi, della finitudine dei nostri metodi, ma sempre servendo la vittoria della vita sull’omicidio, del rispetto sull’insulto, dell’empatia sull’indifferenza, dell’umiltà sulla certezza del pregiudizio, della pazienza del tempo sulla violenza dell’istante che cristallizza arbitri e ingiustizie – storture che invece la consapevolezza del fluire storico rivela nella loro parzialità. Al servizio del bisogno di poesia e di consolazione dell’umano e contro ogni forma di schiavitù fisica e mentale, cercando la Sapienza con perseveranza e con amore. Ripensare il desiderio di Sapienza, Memoria, Storia, significa rivivificare l’identità offuscata dalla confusione del mondo e bandita dai discorsi politicamente corretti per la sua portata polemica e conflittuale. Identità e nazione sembrano le erbacce da estirpare dall’aiuola del multiculturalismo tollerante, indistinto, fluido. La memoria svela che radici identitarie salde sono invece ciò che permette di accogliere l’altro: perché conosciamo noi stessi ed amiamo le nostre case, i nostri cari, i nostri luoghi possiamo comprendere l’altrui bisogno d’amore e non prevaricare l’altro, ma cercare un punto di equilibrio. C’è sete di memoria, in una stagione in cui si accetta di piangere l’ebreo storico, sbiadito ottant’anni fa nei campi di concentramento, e si esulta per lo sterminio dell’ebreo di oggi: un assurdo generato dall’amnesia generale di una società schiacciata nell’istante e plagiata da oblio e menzogne.»

Ripartendo dalla memoria del popolo ebraico in quanto emblematica, il libro, come scrive l’autrice, si pone come una “istigazione alla lettura e alla riflessione” e lascia spazio, in un lungo capitolo, alla memoria, berbera, armena, curda, palestinese, augurandosi di essere solo il primo tassello di una catena di riflessioni ulteriori, al servizio di tutti i popoli. «Tutte le memorie umane hanno pari dignità, quindi il filo conduttore del libro saldamente rimane, pur nel grande spazio dato legittimamente a Israele, quello della memoria del genere umano. Questo non vuole essere un testo di politica, né una puntuale ricostruzione storica: vuole essere invece un invito, rivolto soprattutto ai giovani studenti, a ripensare il valore della memoria […]Dalla storia, e dalla storia sociale ancor di più, impariamo gli scontri fra campi di forza e gruppi, esigenze materialistiche e aneliti individuali; ma possiamo anche imparare, educandoci reciprocamente alla ricchezza della memoria, che l’altro da sé ha il diritto di essere nella storia non meno di noi, e le nostre libertà e volontà devono contemperarsi. Inutile schierarsi come ad una partita di calcio, com’è avvenuto nelle nostre piazze e persino nelle aule delle nostre università. Fare memoria, condannare l’antisemitismo, criticare decisamente, ma civilmente, le politiche che non riusciamo a condividere, e soprattutto non lasciare che l’odio possa attecchire, fare spazio al sapere storico, invitare gli studenti alla riflessione e allo studio fornendo indicazioni bibliografiche e suggerimenti di approfondimento: questi gli umili obiettivi che questo piccolo libro cerca di realizzare. Soprattutto, e in ciò ha forse davvero qualcosa di ebraico, questo libro spera di scatenare letture ulteriori. Amos Oz scrisse una volta che essere ebrei non era questione di sangue, di cromosomi, di tribù e che per addentrarsi nel continuum ebraico bastava essere dei lettori. Per amor di sapienza, almeno nei luoghi di studio, potrebbe diventare questo il filo che unisce tutti i popoli, con la loro fantasia, le loro aspirazioni, le loro diversità; una matassa intricata, un gomitolo lontano, pochissimi operai disposti a sedersi all’arcolaio… ma vale la pena comunque cominciare ad intessere il filo della memoria».

Un libro scritto come umile atto di Umanesimo, le cui pagine scorrono come una lunga lezione sulla gentilezza e su come l’umano si faccia strada, attraverso gli orrori della Storia: « Mi perplime la tendenza a considerare sempre gli agguati dell’odio che si fa strada nella storia, dimenticando che anche l’amore percorre il mondo, come una forza invisibile, caparbia, spesso silente e non documentata, ma presente nelle traiettorie delle società e degli individui. Una forza che le violenze sembrano voler negare, ma che puntualmente si riaffaccia sull’orlo del baratro. Umanesimo, oggi, vuol dire credere in questa forza positiva, lavorare per essa, forse cercare di scriverne, per quanto ingenuo possa sembrare, proprio quando il baratro sembra più vicino e ineluttabile. Umanesimo significa, oltre i sangui versati e le devastazioni del male, dire no a un presente che opprime, cercare in esso spiragli di luce. E quand’anche fosse il buio, ad avere la meglio, continuare a cercare, e porsi al servizio della storia seguente».

Clelia Castellano, dice « La fiducia nel futuro non è semplice da coltivare, in questo tempo di odio, ma non sono certa che fare a meno di tentare sia la postura più auspicabile per il nostro spirito…Alla nausea sartriana dinanzi alle celebri radici incastrate nel suolo, preferisco i rami protesi verso il cielo, spogli dopo il gelo dell’inverno, ma pronti per le prossime gemme; alla radice esistenzialista, foriera di spaesamento e di nausea, preferisco l’epica radica tolkieniana, tanto profondamente incarnata nella terra da non gelare mai. Alla rassegnazione perplessa, alla constatazione intellettuale dotta, preferisco la saggezza dell’innocenza che vuole credere in un mondo salvato dagli alberi e dai bambini, e si rifiuta di reggere la falce agli orchi con la propria rassegnazione».

R Estate al Parco Porporati, ogni sera a tempo di musica

A Grugliasco dal 17 giugno al 9 agosto prossimo riprenderà il via una nuova edizione, la terza di “R Estate al Parco Porporati”, cui torneranno musica, live relax e divertimento.

L’estate 2025 si rivelerà  in una veste rinnovata di luci e colori e prevede una programmazione  che si estende fino alla seconda settimana di agosto per accompagnare i grugliaschesi, e non solo, nelle calde serate cittadine.

Il Parco,  già cuore pulsante cittadino riconosciuto come luogo dove trascorrere il tempo libero, ritorna ad essere per 54 giorni no stop la cornice ideale per chi resta, dove vivere day and night le calde giornate estive.

Il progetto, ideato e realizzato da Bis Eventi in collaborazione con la Città di Grugliasco e Società Le Serre, prevede, infatti,  dal 17 giugno fino al 9 agosto, un  ricco calendario di eventi e momenti di intrattenimento a ingresso gratuito, con apertura alle  11 del mattino fino a chiusura.

L’ambientazione naturale del parco resta la protagonista assoluta, l’allestimento del Garden of Lights con sedute e tavoli in legno renderà accogliente l’atmosfera, riscaldata da filari di luce a creare un bosco incantato, che si illuminerà al calar del sole, “ accendendo il parco”, per vivere una serata di musica, food e divertimento.

Durante il giorno sarà possibile concedersi attimi di relax al Solarium, lo spazio allestito con sedie sdraio utilizzabili sempre gratuitamente dalle 11 alle 18. Confermata anche l’area picnic in cui gustare un pranzo, una merenda o leggere uno dei libri della piccola biblioteca allestita nel parco.

Uno spazio book che vuole avvicinarsi di più al target kids, mettendo a disposizione una serie di letture  e storie tra le più amate di tutti i tempi, oltre che un’offerta di giochi da tavolo tradizionali,  gli intramontabili giochi in scatola Evergreen, per stimolare i più piccoli in sfide familiari.

La musica serale sarà affidata al djset resident di Dj Lil’Cut aka Taglierino, con selezioni di Black Music, un sound di sottofondo per tutti coloro che decideranno  di trascorrere al parco l’orario dell’aperitivo e un dopo cena in un’atmosfera di convivialità e socialità.

Il palco, integrato nel contesto del parco, si accenderà ogni sera con un sound differente. Il programma musicale di R Estate al Parco, curato in collaborazione  con SOULFOOD MUSIC FACTORY, promette un’esperienza di alta qualità,  spaziando dal rock al pop, dai cantautori italiani al sound, all’RnB internazionale, valorizzando artisti del panorama internazionale e non solo.

Tra gli artisti di punta spicca l’organista torinese Alberto Marsico, che vanta un’attività concertistica che si estende a tutti e cinque i continenti,  con esibizioni a Los Angeles, Shangai, Tokyo, Berlino e Mosca e uno dei massimi specialisti europei dell’organo Hammond.

Il palco accoglierà anche Sergio ‘Moses’ Moschetto, un artista di assoluto pregio nel panorama musicale italiano,  noto per il suo secondo posto al Festival di Sanremo  nel 2001 e per il Premio per la Critica. La sua straordinaria voce lo ha portato a interpretare il ruolo di Mosè nel celebre musical “I dieci comandamenti”, con esibizioni in Italia, a Parigi,  in Giappone, in Corea e a duettare con icone internazionali come Quincy Jones e Lenny Kravitz.

Tra le formazioni più  innovative  I KoriShanti, cofondati dal cantautore torinese Cico Moreno, che offriranno  un originale caleidoscopio di suoni, unendo le sonorità etno folk di Oriente e Occidente con blues, rock e psichedelia, frutto di una costante ricerca di contaminazione.

Il valore artistico è ulteriormente arricchito dalla presenza di Borgatta’s Factory, un collettivo di creazioni multimediali  composto da Alberto e Luca Borgatta e accompagnato dall’arrangiatore Silvano Borgatta.

La rassegna include anche la Ciposugar Band,  che propone un tributo fedelissimo a Zucchero Fornaciari.

I lunedì sera sono programmati appuntamenti con il Music Flow, che non racconta la musica, ma fa parlare i dischi, i venerdì sera sono previsti dei ‘Music party’, con intrattenimento  in stile radiofonico con Toradio Park.

I chioschi del parco saranno aperti dalle 11 con un’offerta “dolce e salata” per tutti, grandi e piccoli fruitori del parco, mentre dalle 18.30 sarà attivo il Dehor del Garden, per trascorrere la serata gustando l’aperitivo al tagliere, le ricche e variegate proposte food, sorseggiando un fresco drink.

Mara   Martellotta

L’isola del libro

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RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Chiara Marchelli “La figlia di lui” -Feltrinelli- euro 18,00

Bella, brava, scrittrice e saggista di notevole caratura. Davvero complimenti a Chiara Marchelli, valdostana, trapiantata da anni nella Grande Mela, dove è docente alla New York University.

La figlia di lui” è il suo ultimo romanzo, scritto magnificamente, senza sbavature, puntando dritta all’essenziale e con il pregio di non indulgere in inutili orpelli. La trama cerca di rispondere a una domanda che credo non sia ancora mai stata sollevata e sviscerata così bene in un libro.

Come comportarsi se ci si innamora di un uomo che, purtroppo, ha una pecca di un certo rilievo?

Una figlia insopportabile e urticante all’inverosimile!

E’ quello che accade a Livia, 40enne italiana che vive a New York da anni, donna indipendente grazie al suo lavoro di editor e traduttrice.

Pienamente realizzata, non ha nessuna particolare propensione per i bambini, tantomeno è presa dal ticchettio dell’orologio biologico connesso al desiderio di maternità.

Poi conosce -e si innamora- dell’americano Arno, analista informatico di successo …e fin qui tutto bene. Ma lui si porta appresso un bagaglio di quelli che pesano parecchio; Emma, insopportabile figlia di 5 anni, che fin dal primo incontro entra in rotta di collisione con Livia. Una bimba maleducata e capricciosa in modo esasperante.

Arno ha mantenuto un ottimo rapporto con la ex moglie, si spartiscono il tempo di Emma armoniosamente, ma entrambi sembrano mancare di polso nell’educarla. Loro non lo vedono, ma Livia si, e mal sopporta l’accondiscendenza di Arno verso la figlia. Inutile dire che quando Emma sta con loro la convivenza del trio è una complicazione dopo l’altra.

Crescendo l’atteggiamento pestilenziale della piccola non farà che peggiorare; scavallando infanzia, preadolescenza e adolescenza, fino a traghettarla in una giovane di 21 anni.

Nel frattempo, preparatevi a scenette al limite del tollerabile, in cui persino voi avrete l’impulso di prendere a sberle la ragazzina infingarda e insolente che si rigira il padre come vuole; con continui tentativi di scavare fossati che per Livia siano sempre più difficilie da saltare per raggiungere il compagno.

Per fortuna la protagonista è una donna equilibrata e intelligente che cerca di tenere tutto insieme. Arriva a mettere in discussione se stessa nella faticosa ricerca di un ruolo nuovo e complesso, tutto ancora da delineare, che non aveva previsto.

Ma niente sarà scontato, tantomeno facile, perché vanno mantenuti in equilibrio tre sensibilità, esigenze e caratteri diversi tra loro.

L’autrice segue la storia adottando il punto di vista di Livia e la segue per 15 anni nel corso dell’evoluzione del legame con Arno; tra New York e la casa di famiglia nell’astigiano che lei ha ristrutturato e nella quale è andata a vivere per stare anche più vicina agli anziani genitori.

E’ lì che Arno la raggiunge appassionandosi all’orticoltura; mentre Emma trova la sua strada in America ed instaura un grande feeling con il secondo marito della madre.

Uno dei tanti pregi di questo romanzo è raccontare la realtà oggi sempre più diffusa della famiglia allargata, rappresentando più possibile le posizioni dei protagonisti.

Chiara Marchelli riesce a dare voce a tutti, cogliendone le sfumature con sensibilità. Arno ha le sue ragioni, Livia pure e sa esprimere la rabbia e mettere uno stop quando è in tempo per salvare un legame.

Anche Emma, diventata giovane donna, affronterà Livia: «Ero una bambina…ma tu niente….sempre lì con la bacchetta da maestrina..».

Il finale è a sorpresa e direi aperto a più interpretazioni

 

 

Chiara Marchelli “Le notti blu” -Giulio Perrone Editore- euro 15,00

Dopo aver letto l’ultimo romanzo di questa scrittrice ho pensato di approfondire, ed ecco un’altra sua opera che è stata tra i candidati al premio Strega 2017. Una storia decisamente tosta, narrata con delicatezza.

Affronta due temi impegnativi. Primo: la morte di un figlio.

Secondo: la verità che può celarsi dietro l’apparenza, dunque l’impossibilità di conoscere davvero fino in fondo le persone che ci stanno vicino.

Michele e Larissa sono una coppia di quasi 70enni, stanno insieme da 30 anni, da molto tempo si sono trasferiti negli Stati Uniti e vivono a New York. Hanno avuto un solo figlio, Mirko, che dopo gli studi ha percorso l’itinerario a ritroso ed ha eletto l’Italia come luogo in cui vivere.

A Genova ha conosciuto Caterina, se n’è innamorato e l’ha sposata, nonostante i genitori non avessero fatto salti di gioia. Poi, un giorno, Mirko ha ingoiato una dose massiccia di farmaci e si è lasciato morire. Nessuno ha mai capito perché.

Marchelli affronta il dolore più grande che possa esser inflitto ad un essere umano, la perdita di un figlio, per la quale è impossibile trovare consolazione e pace. In queste pagine scorrono le reazioni dei personaggi, vissute in modi diversi, se non addirittura opposti. Forse l’unico tratto comune è l’essere scivolati in una sorta di dolorosa “vita-non vita”.

A 5 anni dalla scomparsa di Mirko, arriva la telefonata della nuora Caterina che ha trovato la lettera di un avvocato per conto di una donna che chiedeva a Mirko il riconoscimento della paternità di suo figlio.

E’ una bomba che deflagra su tre anime già spezzate dal dolore. Ora non sanno neanche più bene chi fosse realmente quel ragazzo che tanto avevano amato.

Anche di fronte a questo rebus divergono le reazioni dei personaggi che, attoniti, si interrogano sulla reale possibilità che Mirko avesse nascosto a tutti loro una relazione extraconiugale dalla quale era nato un bambino. Inoltre, questo potrebbe essere in qualche modo il motivo del suicidio?

Larissa elabora dolore e dubbi non riuscendo a credere che il figlio potesse averle tenuto nascosto un segreto di tali proporzioni. Rifiuta del tutto l’idea e abbraccia l’ipotesi che sia stata solo un’invenzione di quella donna, che chissà cosa voleva da Mirko.

Michele, invece, pensa che se quel bambino esiste -ed è davvero suo nipote- allora è un’opportunità da cogliere. Vorrebbe dire che qualche preziosissima oncia di Mirko scorre nelle vene di quella creatura ed è la sua vita che continua oltre la sua morte.

 

Paul Murray “Il giorno dell’ape” -Einaudi- euro 22,00

E’ uno dei romanzi tanto osannati dalla critica e in cima alle classifiche di vendite. Forse un tantino sopravvalutato, comunque parte di quel fenomeno per cui se alcune testate o nomi prestigiosi ne parlano bene, praticamente il gioco è fatto e gli altri vanno al seguito. Sicuramente, una sforbiciata alla lunghezza delle circa 600 pagine male non avrebbe fatto.

E’ il quarto romanzo dello scrittore irlandese ed è la storia di una famiglia tradizionale che vive in una bella casa ai margini di un bosco, in un paese a due ore da Dublino. Sono i Barnes e, attraverso le loro vicende, Murray racconta quelle che in linea di massima sono le oscillazioni della vita in generale, fatta di successi e cadute, splendori e miserie.

I Barnes sono tra i più in vista e benestanti della zona, proprietari di una concessionaria d’auto tra le più quotate del circondario, ereditata dal padre. Proprietario è Dickie, sposato con la bellissima Imelda, accumulatrice di beni di lusso e griffati.

Il quadro è completato da due rampolli.

La primogenita Cass: appassionata di letteratura e della quale, scopriremo, strada leggendo, altre predilezioni consone alla fase adolescenziale.

Il fratello minore, Pj: geniale, nerd, ossessivo, alquanto rompiscatole, grande osservatore, dotato di abbondante spirito critico.

Poi la crisi e il crollo dei mercati assestano il colpo di grazia al declino che era già iniziato per l’attività di Dickie. La caduta dei Barnes risaliva a molto tempo prima, come scoprirete –nel fatidico giorno dell’ape che ha segnato la famiglia-. Poi lo scivolone sociale era stato inarrestabile e la rovina economica precipitosa.

Tutto improvvisamente cambia.

I Barnes, dal piedistallo, finiscono sul fondo. Nella contea, ora, tutti li guardano con occhi diversi; peggio, vengono stravolti completamente anche i rapporti tra i 4 membri della famiglia. Fino al baratro finale per cui non si rivolgeranno neanche più la parola.

In mezzo c’è il particolareggiato affresco corale della vulnerabilità degli individui, dei rapporti che intessono. L’approfondimento psicologico delle loro personalità e anche uno sguardo allarmato sulla fragilità dell’ecosistema che regge il mondo. E non anticipo altro….

 

Martta Kaukonen “Butterfly” -Longanesi-

Euro 18,60

E’ il romanzo di esordio della scrittrice e giornalista finlandese 49enne che è anche un importante critico cinematografico, e il suo aspetto sorridente e rassicurante non farebbe pensare a una fantasia tanto diabolica.

Il suo thriller arriva direttamente dai ghiacci finlandesi e in patria è diventato subito bestseller.

Al centro una serial killer che uccide a sangue freddo uomini malvagi. Si chiama Ira, e già il nome sembra implicare la sua natura più profonda; lei organizza accuratamente la tessitura della ragnatela nella quale cattura le sue prede, ovvero maschi spregevoli.

Quello di Ira è un disturbo ossessivo compulsivo che arriva da lontano e risale a quando era bambina ed era stata rapita e abusata sessualmente da un uomo. Un marchio di sofferenza abissale che vorrebbe curare con l’aiuto di un valido specialista.

Sceglie di affidarsi alla terapeuta Clarissa Virtaten, 50enne grondante fascino e fama, sempre in prima fila in tv e sui giornali. E anche lei con qualche scheletruccio rintanato e occultato nell’armadio, lì dove è meglio che continui a rimanere.

Aspettatevi continui colpi di scena, intrighi e azione; tutto condito da ironia e condotto spesso come sofisticato gioco.

 

 

Al Museo MIIT di Guido Folco Akshita Lad e Fadilja Kajosevic

Al  Museo MIIT di corso Cairoli 4 si tiene una doppia mostra dal 12 giugno al 4 luglio prossimo, la prima dal titolo “Akshida  Lad- Soft Impressions”, la seconda dedicata all’artista Fadilja Kajosevic.

“La mostra personale di Akshita  Lad al museo MIIT di Torino- afferma il curatore e direttore del MIIT, Guido Folco – prosegue il percorso internazionale dell’artista che l’ha vista protagonista in Italia e all’estero in numerosi eventi prestigiosi  svoltisi in questi  ultimi anni all’insegna della sua arte e del suo pensiero. Le opere di Akshita Lad si inseriscono, infatti, perfettamente in una visione virtuosa della natura, del mondo, dello spirito dell’uomo. Il suo è un invito rivolto a tutti a rallentare la frenesia dell’esistenza moderna per mettersi in contatto con se stessi e il pianeta. È come se si trattasse di una pittura meditativa, quasi una autoanalisi incentrata sulla propria energia vitale, sul senso ultimo della vita, su quanto sia importante connettersi con la natura per recepire la bellezza e la purezza. Si tratta di una rinascita che l’artista intende proporci attraverso la sua pittura soffusa, che vive di trasparenze e intimità espressiva, sospesa in un universo onirico e metafisico, ma al contempo molto reale, tangibile, perché comunque sempre ispirato al reale.

Akshita Lad lavora sui toni, sui colori, sulle trasparenze cromatiche, sulle velature dei pigmenti che sulla tela siano impalpabili, leggeri, lievi, effimeri come lo scorrere del tempo,

Spazio e tempo sono, in effetti, elementi fondamentali della sua arte, di cui il primo viene declinato attraverso forme solo suggerite, abbozzate, immaginate, mentre il secondo scandisce i giorni, le stagioni, le diverse atmosfere del sentire intimo dell’artista.

Questo tempo immaginifico di luoghi inventati diventa metafora dello spirito in cui immergersi per ritrovare un’osmosi profonda con la natura e con il creato”.

Akshita Lad vive  e lavora a Dubai. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali.

“La mia arte – afferma Akshita Lad – è un riflesso della bellezza e della ricchezza emotiva intessute nei momenti di quiete della vita.

Attraverso pennellate morbide, sfumature di colore trasparenti e composizioni senza tempo, cerco di evocare serenità, gioia e un senso di interconnessione. Il mutare delle stagioni, l’effimera danza della luce e la forza silenziosa della natura mi ispirano continuamente. Ogni dipinto invita l’osservatore a fermarsi, respirare e riconnettersi con l’energia silenziosa che ci circonda e vive dentro di noi. L’arte, per me, è una dolce preghiera, una celebrazione delle silenziose meraviglie della vita”.

La mostra personale di Fadilja Kajosevic al Museo MIIT di Torino narra l’avventura di una donna artista internazionale che, nel mondo femminile, ha trovato l’ispirazione per la sua ricerca e sperimentazione.  Ella interpreta l’essere e il Creato come un tutt’uno perfettamente in simbiosi, simbolicamente fuse in un unico afflato verso la purezza e la sacralità.  Angeli, Lune, Soli, presenze silenti abitano i suoi dipinti accesi da vibranti cromatismi e bagliori di luce, sempre equilibrati nella composizione e nella dinamica del percorso esistenziale e interiore. Una pittura intimista, universale, in cui il tema dell’armonia domina ogni scena, quasi si trattasse di scenografie teatrali dai mille personaggi. L’artista incarna un’originale presenza contemporanea nel mondo della creatività.

Mara Martellotta

Musica nel Parco del Gran Paradiso

Nel salone ducale del municipio della città di Aosta, si è tenuta la conferenza stampa del primo festival congiunto nelle due regioni territoriali del gran paradiso”Musica nel Parco del Gran Paradiso”
Un programma di musica che si svolgerà dal 21 giugno al 7 settembre su il territorio del parco coinvolgendo due regioni Piemonte e Valle d Aosta, n.15 comuni e oltre  30 artisti.
Il programma che allieterà l’ estate a chi sceglierà le valli alpine per trascorrere del tempo al fresco a contatto con la natura e all’ insegna di buona musica.
Con il patrocinio del Ministero all’ Ambiente, delle regioni Valle d Aosta e Piemonte,  voluto dalla presidenza del Parco del Gran Paradiso un vero festival di musica dal vivo che coinvolgerà gli amanti di molti generi abbracciando più linguaggi musicali, il Parco del Gran Paradiso, primo parco nazionale sarà anche il primo ad avere un suo inno, musicato dal M.o Fulvio Creux respirando il cielo- Gran Paradiso è stato presentato in anteprima nel concerto del 2 giugno al teatro Spendor di Aosta. La direzione artistica è affidata ad Alessandro Valoti, in locandina il calendario dei momenti musicali e le località.
Tutti gli spettacoli sono ad ingresso libero senza necessità di prenotazione.
Segnatevi le date in agenda ed organizzatevi giornate alla scoperta della biodiversità nel Parco del Gran Paradiso,un importante polmone di verde a pochi kilometri dalla città.

GABRIELLA DAGHERO