CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 673

Grande Festa in onore del drammaturgo siciliano Pirandello

L’XI edizione del Festival Nazionale Luigi Pirandello celebra i 150 anni dalla nascita del drammaturgo siciliano con una ricca kermesse e una mostra virtuale dall’8 giugno al 13 luglio

Si è aperto ieri al Circolo dei lettori il Festival Nazionale Luigi Pirandello. Alla sua XI edizione festeggia i 150 anni dalla nascita del grande drammaturgo siciliano con spettacoli di prosa, incontri e una mostra multimediale creata ad hoc per celebrare questo speciale compleanno e il legame tra Pirandello e il Piemonte. La kermesse, diretta dal regista torinese Giulio Graglia, prende il là da un curioso aneddoto che forse non tutti conoscono. Nel 1901 il premio Nobel per la letteratura trascorse un soggiorno estivo a Coazze, in Val Sangone, presso la sorella Lina. Di quella villeggiatura che precede la sua fama rimane un taccuino di appunti dove Pirandello annotò una serie di spunti e personaggi utilizzati nelle sue opere e il motto che campeggia sul campanile della cattedrale di Coazze “Ognuno a suo modo” che sarebbe stato poi ripreso per il titolo dell’opera “Ciascuno a suo modo”. Torino e Coazze sono i luoghi eletti ad ospitare spettacoli teatrali, incontri, dibattiti. Il Circolo dei lettori ospita il primo incontro dal titolo “Carteggio Pirandello/De Filippo” con Alessandra Comazzi e Sergio Martin. Grande attesa per gli spettacoli “Il fu Mattia Pascal” allestito da Giulio Graglia, per l’adattamento di Bruno Quaranta e interpretato da Giovanni Mongiano, e per “Uno, nessuno, centomila” con Enrico Lo Verso, che si terranno rispettivamente il 27 e il 30 giugno al Gobetti. Altro appuntamento interessante, a cura di Rai Teche e Linguadoc, lunedì 26 alle 18 alla Mediateca Rai di via Verdi 31 dove si potrà assistere al documentario “Per mosse d’anima, frammenti di Pirandello” diretto e interpretato da Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Quest’anno la rassegna è supportata da una collaborazione d’eccezione, il Teatro Stabile di Torino, che per l’occasione ha ideato e curato una mostra virtuale, una story map, sul sito www.150pirandelloinpiemonte.it , che ripercorre quei luoghi e quegli eventi che hanno legato Pirandello al territorio piemontese. Grazie alle risorse fornite dal Centro Studi del Teatro Stabile e di alcuni enti partner quali RAI, Ecomuseo della Resistenza di Coazze, Polo bibliotecario di Scienze Umanistiche, è possibile tramite una mappa interattiva esplorare nel dettaglio aneddoti e informazioni curiose. Ad esempio è possibile scoprire che proprio a Torino si tennero le prime di spettacoli come “Il piacere dell’onestà” al Carignano e “Questa sera si recita a soggetto” al Teatro di Torino. L’intenzione del direttore artistico è quella di cercare di fare arrivare le tematiche di Pirandello, che sono ancora molto attuali ai giorni nostri, in modo non tradizionale, svecchiandole. A tale scopo, per attirare anche il pubblico più giovane, sul sito della mostra è possibile pubblicare su Instagram tutti gli scatti con hashtag #pirandello. Supportato da istituzioni pubbliche, da Fondazioni bancarie e in parte dai privati, il festival non dimentica la terra natìa di Pirandello ed è infatti sostenuto da attive collaborazioni con la città di Agrigento e di Porto Empedocle. Le dieci edizioni precedenti hanno consolidato sul territorio piemontese questa manifestazione culturale grazie anche alla presenza di compagnie teatrali ed ospiti eccellenti come Corrado Tedeschi, Leo Gullotta, Sebastiano Lo Monaco, Gipo Farassino, Mario Brusa, Diego Mingolla, Vetrano e Randisi, Riccardo Forte, Giovanni Moretti, Giovanni Mongiano e Mariella Lo Giudice, Carlo Simoni, Il Teatro delle Dieci.

Giuliana Prestipino

Un’azienda a cento all’ora. La storia della torinese Chiribiri

L’inventore dal 1912 al 1913, al tramonto della Belle Époque, di monoplani ne costruì ben quindici per poi dedicarsi,definitivamente alle autovetture. Nel 1914, quando ormai i bagliori del conflitto erano alle porte, il conte Gustavo Brunetta d’Usseaux, desideroso di entrare nella nascente industria automobilistica, propose a Chiribiri una società per realizzare la Siva, un’automobile economica da produrre in cento esemplari, ribattezzandola con il nome della divinità indiana

Prova d’ingegno e di coraggio, accompagnata da una capacità di guardare al futuro quasi visionaria. Così si potrebbe definire la storia della Chiribiri. Fondata nel quartiere operaio di Borgo San Paolo a Torino verso la fine di settembre del 1911 dall’ingegnoso veneziano Antonio Chiribiri insieme al pilota collaudatore Maurizio Ramassotto ed all’ingegnere Gaudenzio Verga, la Fabbrica Torinese Velivoli Chiribiri & C., s’impegnò da principio nella produzione di pezzi di ricambio per l’industria aeronautica. Un esordio positivo, al punto da raggiungere in breve tempo una notevole espansione grazie all’affidabilità ed alle prestazioni dei propulsori che era in grado di produrre su licenza della società francese “Gnome et Rhône” che, negli anni della Grande guerra, le valsero importanti commesse militari per la manutenzione dei motori aeronautici. Ma, negli anni precedenti l’attentato di Sarajevo, la Chiribiri aveva mostrato una notevole intraprendenza, ideando e costruendo un prototipo d’aereo monoplano. Non una cosa qualunque, ma una vera e propria “prova d’ardimento”, visto che si trattava del primo aeroplano interamente costruito in Italia e per di più da una sola azienda. Fu lo stesso Antonio Chiribiri, che in precedenza mai aveva pilotato un aereo, a voler collaudare il monoplano che, però, si schiantò al suolo al suo primo decollo.

Testardo e per nulla incline alla resa, il temerario inventore veneziano rimase incolume e, qualche mese più tardi, decise di realizzare un aereo a decollo verticale che,doppiando l’insuccesso , subì la medesima sorte dell’altro prototipo. Altri avrebbero gettato la spugna ma non Chiribiri che, dal 1912 al 1913, al tramonto della Belle Époque, di monoplani ne costruì ben quindici per poi dedicarsi,definitivamente alle autovetture. Nel 1914, quando ormai i bagliori del conflitto erano alle porte, il conte Gustavo Brunetta d’Usseaux, desideroso di entrare nella nascente industria automobilistica, propose a Chiribiri una società per realizzare la Siva, un’automobile economica da produrre in cento esemplari, ribattezzandola con il nome della divinità indiana. Non fu una scelta fortunata poiché, quando stavano per essere ultimati i lavori del prototipo Siva 8-10 HP, il conte torinese venne travolto dai debiti di gioco e si ritirò dall’impresa. Chiribiri strinse i denti e per non dissipare l’enorme lavoro svolto, decise di rilevare la società e proseguire da solo nello sviluppo dell’automobile, investendo nella nuova attività tutti i profitti ottenuti dalle commesse belliche. Sulla base di quel prototipo, ne fu approntato un secondo, il “Tipo II”, prodotto e venduto per tutta la durata del conflitto, in pochi esemplari continuamente evoluti. Servivano altre risorse, però, che puntualmente vennero introitate grazie con la vendita all’ingegnere Alfredo Gallanzi dei diritti per produrre su licenza quest’auto.

Dall’ accordo nacque la casa automobilistica milanese Ardita. Al Salone di Parigi del 1919, venne in seguito presentata la vetturetta “12 HP” che riscosse un buon successo e rimase in produzione fino al 1922. Gli anni venti, per Chiribiri, furono il tempo della costruzione di vetture sportive e delle gare. Con la “Roma 5000” e la “Monza Tipo Spinto”, la casa automobilistica torinese conseguì importanti risultati, stabilendo vari record di velocità e strappando prestigiose vittorie in competizioni come la Cuneo – Colle della Maddalena, la Aosta – Gran San Bernardo, il “Gran Premio Vetturette” che si svolse al nuovo Autodromo di Monza e la Susa – Moncenisio del 1922, dove le quattro vetture schierate dalla Chiribiri conquistano le prime quattro posizioni, dominando la corsa. La squadra corse era piuttosto “casalinga”, essendo composta dal collaudatore Ramassotto e da Ada e Deo Chiribiri, figli del fondatore. Gelosa dei propri segreti tecnici, laChiribiri era piuttosto restìa ad ingaggiare piloti estranei all’azienda, con la sola eccezione di un giovane pilota destinato a diventare il più grande di tutti i tempi, Tazio Nuvolari, il mitico “ Nivola” che gareggiò per la casa torinese nelle stagioni 1923 e 1924.

Ci furono anche episodi entrati a buon diritto nella leggenda, come la sofferta conquista del prestigioso record di velocità sul chilometro lanciato. La prova per battere il primato per la categoria fino a 1.500 cm³ venne fissata a Milano , sul lungo rettilineo in direzione di Monza, con lo scopo di dimostrare le prestazioni del nuovo modello d’auto. Era l’8 febbraio del 1923 e Deo Chiribiri, ottimo pilota, si presentò alla guida della “Tipo Ada”, così denominata per sfruttare la fama che la sorella si era conquistata sulla stampa sportiva. Le condizioni atmosferiche erano ottimali e la vettura in perfetto assetto, così da far sperare al giovane Chiribiri di ottenere, davanti ai cronometristi ufficiali, l’agognato record. Le cose andarono diversamente, smorzando gli entusiasmi: i cronometri misurarono velocità poco sotto i 150 km orari, di gran lunga inferiori alle aspettative. Così, dopo ripetuti tentativi, la prova venne conclusa con un insuccesso. Antonio Chiribiri, piuttosto incredulo e alquanto scettico, rimase a lungo sul luogo della prova e, a notte inoltrata, decise di misurare il tratto cronometrato, scoprendo che i testimoni erano stati erroneamente posti ad una distanza di 1100 metri. Così, denunciato l’inghippo, richiamati i cronometristi, il giorno seguente il record venne omologato alla strabiliante velocità di 162,963 km orari. Per avere un riferimento, circa l’eccezionalità del risultato, occorre dire che negli stessi giorni anche le Alfa Romeo e Diatto, rispettivamente pilotate da Alberto Ascari e Alfieri Maserati, avevano tentato di battere il record sul chilometro lanciato, per la categoria fino a 3.000 cm³, ottenendo però velocità inferiori ai 157 km all’ora. L’eccezionalità del risultato e l’enorme eco che ebbe sulla stampa, fece decidere Antonio Chiribiri di mutare la denominazione del nuovo modello “Tipo Ada” in “Tipo Monza”.

A metà degli anni ’20, guadagnatosi il prestigio sul campo, l’azienda allargò la produzione a modelli non solo sportivi che potessero interessare una clientela più vasta e meno esigente. Nacque il modello “Milano” e nel 1925, nacque la Società Anonima Autocostruzioni Chiribiri. Innovazione, coraggio e grinta nelle corse davano prestigio ma questo non bastò a “tenere il mercato”, dove le quote minime di produzione, determinanti per la sopravvivenza, erano decise dalla capacità di industrializzazione, dal prezzo e dall’adeguata promozione pubblicitaria del prodotto. Così, a poco a poco, le armi migliori della Chiribiri (le originali e costose innovazioni tecnologiche delle sue automobili) non furono sufficienti per competere. La Milano non riscosse il successo sperato ed i forti investimenti per ampliare gli opifici e assumere nuove maestranze, gravarono pesantemente sul bilancio della piccola azienda. Nonostante ripetuti e generosi tentativi, la crisi industriale del 1927, che precedette di un biennio la grande depressione innescata dal giovedì nero di Wall Street, diedero il colpo di grazia alla Chiribiri. L’azienda torinese che nell’anno precedente produceva a pieno ritmo, dando lavoro a più di duecento persone, si vide costretta a chiudere i battenti. Era il 3 settembre 1928.

Gli stabilimenti furono poi rilevati dalla Lancia e l’archivio tecnico della Chiribiri fu preso in custodia dall’ultimo socio,Gaudenzio Verga. Meno di tre mesi dopo la morte di Antonio Chiribiri, avvenuta il 19 aprile 1943, nella notte tra il 12 e il 13 luglio, Torino subì un terribile bombardamento. La città venne colpita da una delle più violente incursioni aeree portate avanti dall’aviazione inglese. Sulla Torino caddero 763 tonnellate di bombe, che provocarono la morte di quasi ottocento persone e ingenti danni a edifici, infrastrutture e stabilimenti industriali. Quel bombardamento rase al suolo anche la residenza di Verga, distruggendo completamente l’archivio aziendale della Chiribiri. La memoria di una delle più brillanti storie dell’industria piemontese finì distrutta e sepolta sotto quelle bombe.

Marco Travaglini

Elio in “Pierino e il lupo”

Mercoledì 14 giugno 2017 ore 21.30 

 

Favola sinfonica di Sergej Prokof’ev per voce recitante e orchestra

Accompagnato dalla Filarmonica Arturo Toscanini

diretta dal M° Alessandro Nidi

esclusiva regionale   

  

La stagione 2016/17 del Teatro Superga si conclude, come da tradizione delle ultime due stagioni, con un evento in esclusiva regionale nel Cortile d’Onore della Palazzina di Caccia di Stupinigi, organizzato da Reverse Agency, Città di Nichelino, Sistema Cultura Nichelino in collaborazione con la Fondazione Ordine Mauriziano e con il sostegno di Fondazione CRT. Così lo racconta Diego Sarno, Assessore alla Cultura della Città di Nichelino: «Il 14 giugno in esclusiva regionale ci sarà l’evento di chiusura della stagione 2016/2017 del Teatro Superga, una stagione che abbiamo lanciato con lo slogan “Benvenuti nel Sogno”. Il sogno di questa stagione si conclude nel Cortile d’Onore della Palazzina di Caccia di Stupinigi con un evento straordinario: la Filarmonica Arturo Toscanini con la presenza di Elio. Questo è il modo con il quale abbiamo continuato a scoprire le bellezze e la cultura del nostro territorio perché abbiamo bisogno di un sistema culturale che faccia crescere la nostra città.» Dopo il successo del concerto “Piano Solo” di Stefano Bollani a maggio 2016 davanti a un pubblico di 1.200 persone, la nuova sfida del Teatro Superga è rappresentata dalla straordinaria presenza di Elio in “Pierino e il lupo”, la favola sinfonica di Sergej Prokof’ev eseguita dalla Filarmonica Arturo Toscanini diretta dal M° Alessandro Nidi e anticipata da due celebri Ouverture di Rossini, “Il Barbiere di Siviglia” e “L’Italiana in Algeri”. Mercoledì 14 giugno alle ore 21.30 per la prima volta in assoluto Elio, nell’inconsueto ruolo dell’istrionico narratore del capolavoro per grandi e piccini reso ancor più celebre dal cartone animato di Walt Disney, coniugherà la sua tipica ironia con la musica classica di qualità in una serata da sogno, tra favola e risate. Nel Cortile d’Onore della Palazzina di Caccia di Stupinigi, una cornice incantevole per un maestoso concerto, l’opera più conosciuta di Sergej Prokof’ev, scritta nel 1935 per raccontare in maniera divertente gli strumenti musicali che compongono un’orchestra, sarà eseguita dalla Filarmonica Arturo Toscanini di Parma, diretta dal M° Alessandro Nidi. Dopo due celeberrime Ouverture di Rossini, Elio racconterà, in maniera del tutto personale, originale e unica, la vicenda di Pierino nel catturare il lupo, aiutato dall’uccellino, dall’anatra e dal gatto, in compagnia del nonno e dei cacciatori: sette personaggi rappresentati da altrettanti strumenti dell’orchestra. Un concerto da sogno, unica occasione del 2017 per vedere Elio e la Filarmonica Arturo Toscanini di fronte alla Palazzina di Caccia di Stupinigi nell’interpretazione di una favola sinfonica per grandi e piccoli.

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Poltronissima Juvarra (I settore) intero € 49 – ridotto € 45 – pacchetto famiglia x3 € 90 | Poltronissima Prunotto (II settore) intero € 43 – ridotto € 39 – pacchetto famiglia x3 € 75 | Poltrona Alfieri (III settore) intero € 36 – ridotto € 33 – pacchetto famiglia x3 € 60 | Poltrona Bo (IV settore) intero € 25 – ridotto € 22,50 – pacchetto famiglia x3 € 45 | under 12 € 15 in ogni settore

 

Informazioni e prevendite biglietti: Teatro Superga, Via Superga 44 – Nichelino (To)

Orario di biglietteria: dal lunedì al venerdì dalle ore 15 alle ore 19

Acquisto biglietti ridotti e pacchetti famiglia tramite bonifico bancario con prenotazione a biglietteria@teatrosuperga.it | 011.6279789

Acquisto online su www.teatrosuperga.it e prevendite abituali del Circuito Ticketone

Il Macbeth, un noir ante litteram

Approda al teatro Regio di Torino, per la regia di Emma Dante, la prima opera shakespeariana di Verdi

Gianandrea Noseda sarà sul podio dell’ Orchestra e del Coro del teatro Regio per dirigere, mercoledì 21 giugno alle 20, Macbeth, la prima opera di Giuseppe Verdi tratta da Shakespeare, nonché la sua unica di ambientazione soprannaturale e fantastica. Il nuovo allestimento viene affidato alla regia di Emma Dante, attrice, regista e drammaturga siciliana, tra le voci più innovative e rivoluzionarie del panorama teatrale internazionale. Il cast è di eccezione; grandi solisti daranno vita a una partitura di notevole intensità musicale: Dalibor Jenis interpreterà Macbeth, Anna Pirozzi Lady Macbeth, Vitalij Kowaliow indosserà i panni di Banco e Piero Pretti quelli di Macduff. L’opera Macbeth sarà anche presentaa al Festival internazionale di Edimburgo dal 18 al 20 agosto prossimi, assieme alla Boheme di Puccini e alla Messa da Requiem di Verdi, nell’ambito di un’importante tournée che vedrà la direzione di Gianandrea Noseda, sul podio dell’ Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino.” Macbeth – spiega Noseda – rappresenta un’opera visionaria, un noir ante litteram e, dal punto di vista drammaturgico, costituisce un decisivo progresso rispetto a quanto scritto da Verdi fino ad allora. Macbeth è un vero e proprio laboratorio, in cui il compositore sperimenta un nuovo modo di intendere il teatro. La scrittura vocale, qui, è in funzione delle parole, i cantabili sono quasi incidentali e inseriti in un contesto assolutamente innovativo. Emerge nell’opera verdiana una tinta scura, inquietante, che avvolge lo spettatore dall’inizio alla fine, raggiunta soltanto in un’altra opera, il Wozzeck di Berg”.

“Ho realizzato – spiega la regista Emma Dante – un Macbeth ricco di stregoneria, dove satiri con falli ingravidano in continuazione le streghe che, così, perpetuano la loro specie. Le pance delle streghe diventano contenitori di profezie, ventr magici che producono e predicono il futuro, qualcosa che ha a che fare con il sesso e la morte”. La scenografia è molto semplice; la scena del banchetto, per esempio, presenta troni dorati, il più alto dei quali misura due metri e mezzo di altezza. Rappresentano il desiderio di Macbeth di raggiungere il potere che, una volta raggiunto, scomparirà e lo renderà terribilmente solo. Lady Macbeth sarà protagonista della scena del sonnambulismo, invasa da letti di ospedale, che rappresentano la sua condizione patologica. Per il finale la foresta di Birnam, formata da pale di fichi d’India, costituirà un luogo simbolico in cui la potenza della natura prenderà il sopravvento sulla creatura umana.

Forse nessuna opera ha procurato a Verdi tanti tormenti, ripensamenti, speranze e altrettante delusioni come il Macbeth, e non poteva essere altrimenti, perché esso costituisce il primo approccio del compositore a Shakespeare, un approccio basato interamente sulla propria visione del poeta inglese, a differenza di Otello e Falstaff, mediati dal librettista Arrigo Boito, che mise a disposizione del maestro la sua profonda conoscenza e la sua prospettiva di Shakespeare. La prima parigina di Macbeth, nel 1865, portò all’accusa rivolta a Verdi di non conoscere il grande poeta inglese. Nel 1846, quando Verdi accettò di scrivere un’opera destinata al teatro La Pergola di Firenze, aveva in mente tre soggetti, L’ Avola, i Masnadieri e Macbeth, e poi scelse quest’ultimo che definì “una delle più grandi creazioni umane.

 

Mara Martellotta

“Laicità e Spiritualità”, il “Pannunzio” a Roma

A Roma si terrà un convegno sul tema “Laicità e Spiritualità”, promosso dal Centro “Pannunzio” e dal “Cortile dei Gentili”, iniziativa del Pontificio Consiglio della Cultura guidata da S.E. il Cardinale Gianfranco Ravasi e sostenuta dalla Fondazione Cortile dei Gentili presieduta dalla Prof.ssa Consuelo Corradi. S.E. il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura introdurrà l’evento del 12 giugno. A seguire, converseranno i Prof. Pier Franco Quaglieni, Direttore del Centro Pannunzio, la Prof.ssa Luisella Battaglia dell’Università di Genova, il Prof. Eugenio Mazzarella dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e il Prof. Silvano Petrosino dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il dialogo dei relatori sarà moderato dal Prof. Giuliano Amato, Presidente della Consulta Scientifica del “Cortile dei Gentili”. Il convegno riguarderà tre temi: • la nozione di laicità, che alcuni considerano in primo luogo un metodo di pensiero. È, secondo chi la pensa così, il metodo della sottoposizione dei propri argomenti alla prova della razionalità critica, della discussione da parte degli altri. È il metodo che richiede non di rinunciare alle proprie verità, ma di non pretendere di imporle. • Il terreno comune su cui questo metodo laico deve portare credenti e non credenti, è il terreno della spiritualità che è per tutti quello della ricerca del senso, dell’etica condivisa, al di là del relativismo di scelte sempre e solo individuali, che si autogiustificano solo perché non pretendono di valere per altri. • L’umiltà, cioè la predisposizione mentale essenziale per il rispetto della laicità. Oggi essa riguarda la fede, che in alcuni revival religiosi del nostro tempo tende spesso a manifestarsi con un’intransigenza del tutto intollerante verso le diversità. Gli interventi verranno ripresi e inseriti in una futura pubblicazione.

Ciao, Piemonte: la biblioteca Dionisotti finisce a Lugano

Di Pier Franco Quaglieni

Carlo Dionisotti  ( 1908 – 1998) è stato uno dei maggiori storici della Letteratura italiana del secolo scorso. C’è chi lo considera il Francesco de Sanctis del ‘900 e certamente i suoi libri sono dei  pilastri della storiografia letteraria,oltre che opera di raffinatissima erudizione filologica . È stato un piemontese di Romagnano Sesia  che è anche vissuto ed ha insegnato a Torino. Fu forse la vittima più illustre dei giochi accademici che non gli riconobbero i titoli per una cattedra in una università italiana. A Torino e a Roma aveva insegnato nelle scuole superiori, come capitò a Sapegno e a Momigliano che poi ebbero la cattedra universitaria. La mediocrità di Pastonchi non permetteva a studiosi come Carlo di emergere.

Dovette emigrare a Londra dove insegno’ per tanti anni al Bedford College.Fu una grande ingiustizia. In parte motivata da ragioni politiche che lo portarono ad essere un isolato in Italia. Gobettiano fin da giovanissimo , seppe vedere i limiti di Gobetti e l’evidente ossimoro della “Rivoluzione liberale “: i rivoluzionari sono quasi sempre illiberali ,mentre i liberali non sono per loro natura rivoluzionari ,ma riformisti. Antifascista per profonda convinzione, discepolo ideale di Benedetto Croce e della sua “Religione della libertà ” , milito’ nella Resistenza e nel partito d’azione di cui però vide e denuncio’ tutti gli errori e i limiti. Il giacobinismo non poteva trovare in lui consenso e tanto meno Carlo  poteva seguire molti  suoi amici  nella loro fuga  interessata verso il partito comunista.

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Dionisotti non poteva seguire Luigi Russo o Natalino Sapegno nel loro tentativo di coniugare insieme Croce e Gramsci. Lascio’ la casa editrice Einaudi  per dissensi con i marxisti Salinari e Muscetta . Dionisotti si allontanò da Croce per aprire nuove strade alla storiografia letteraria ,ancorandola alla geografia, come indica il suo titolo più importante: “Geografia e storia nella letteratura italiana “.  In tempi più recenti ,negli anni della contestazione, fu fermissimo nel condannare l’estremismo di sinistra che sfociò nel terrorismo, denunciando i cedimenti di uomini come Guido Quazza che vollero vedere nei contestatori i continuatori di una Resistenza tradita. Pur vivendo a Londra,fu consapevole di quanto accadeva in Italia e stette dalla stessa parte di Franco Venturi e di Aldo Garosci nell’ evidenziare costantemente  i pericoli antidemocratici  e illiberali insiti  nel ’68. Furono quegli uomini e maestri a far capire a me ,giovane universitario ,da che parte stare. Ogni anno durante le vacanze tornava nella vecchia casa di Romagnano Sesia ,a Torino e a Varigotti nella villa della famiglia della moglie, Marisa Pinna Pintor. La mia amica Jole Pinna Pintor ,donna intelligente e bizzarra, sua cognata, fece  spesso da tramite nel nostro rapporto .Ricordo le grandi cene di pesce alla” Muraglia “di Varigotti in cui il taciturno maestro si animava e parlava di tante storie italiane senza  filtri.

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La sua intransigenza morale  e il livello altissimo della sua cultura gli consentivano di parlare liberamente  di uomini e avvenimenti spesso  meschini che hanno purtroppo  costituito parte della storia intellettuale italiana . Mario Soldati che fu suo compagno di scuola, era uno dei  pochi con cui  Carlo era rimasto in contatto e partecipai ad alcuni incontri a Tellaro  nella villa di Mario  che restano davvero indimenticabili. Si vedeva cosa significasse lo sfavillio dell’intelligenza  supportata dalla cultura e dall’amore vero  per la libertà. Tra i professori, solo Bianca Montale e Raimondo Luraghi  si sono rivelati così lontani dalle convenienze accademiche come lo fu Dionisotti  .Invitato a Torino da Loris M. Marchetti, tenne anche una lectio  magistralis al centro “Pannunzio”  su Benedetto Croce. Lui la definì una “conferenzina” ,ma era molto di più. Il sindaco Zanone, su mia proposta ,gli conferì il Sigillo civico di benemerito della Città. Fu l’unico riconoscimento italiano che il grande studioso ebbe in Italia. Era davvero un isolato che metteva in imbarazzo i nuovi baronetti rossi che avevano conquistato una cattedra per meriti  più politici che scientifici. La  famiglia, alla  morte dì Dionisotti decise di donare la sua biblioteca (diecimila volumi) all’università del Piemonte  orientale  di Vercelli , un’istituzione che non mi ha mai  molto convinto anche per alcuni suoi docenti che  altrove, forse ,non avrebbero mai avuto una cattedra.

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Ovviamente Vercelli non è un’anomalia perché tante  città di provincia hanno avuto una sede universitaria per pressione degli enti locali, degli industriali, della politica e dello stesso mondo accademico e gli immeritevoli e i mediocri in cattedra ci sono purtroppo in ogni ateneo italiano e  non italiano . Sarebbe un discorso lungo che ci porterebbe ad analizzare il decadimento dell’istituzione universitaria, divenuta sempre più simile ad un liceo. Ebbene ,l’università di Vercelli non ha accolto, malgrado gli impegni precedentemente assunti, la donazione della famiglia Dionisotti perché avrebbe voluto spezzettare la biblioteca del maestro: una vera assurdità. Non ci risulta che la Regione Piemonte  abbia fatto un passo per difendere il  patrimonio librario  di un grande piemontese che pago’ in vita il non allineamento alle vulgate. Così  la biblioteca è finita a Lugano nella locale Università  accolta con tutti gli onori. Un’ultima offesa  da parte italiana e piemontese,  per l’esule Dionisotti che aveva seguito a Londra un altro illustre piemontese, controcorrente e dimenticato  , Giuseppe Baretti .  Anche la sua biblioteca ha trovato ospitalità all’estero. Come già era accaduto a due altri” irregolari” come Prezzolini e Flaiano. A Lugano trovavano rifugio in passato gli anarchici, oggi trovano  accoglienza  i lasciti di grandi italiani ,non riconosciuti in patria. Che tristezza !

Notte Blu

Le poesie di Alessia Savoini
Divino insegnante di realtà alterate
Uno tra altri, tanti
Hai respirato sulla mia pelle
In quelle notti che non volevano finire
Tra le macerie dei tuoi viaggi
Souvenir da tutto il mondo
Appesi
Sospesi
Spettatori di quella scritta sul muro che diceva “notte blu”.
Chi la scrisse forse t’amò come anch’io feci
Colmando l’esigenza di un istante
Al cui termine
Morimmo in un’affascinante bugia.

Come vediamo i colori? Ce lo dicono le neuroscienze

Come le neuroscienze possono aiutarci a capire l’esperienza delle opere d’arte Che cosa significa ‘guardare’ un dipinto o una sua riproduzione in formato digitale? Come l’esperienza digitale cambia la nostra percezione del mondo?

 

Progetto di Ricerca: L’arte del colore nell’era digitale

A cura di Vittorio Gallese, Martina Ardizzi e Maria Alessandra Umiltà

6-11 giugno 2017, ore 9.30-18.30

Castello di Rivoli, Terzo piano

In collaborazione con il Dipartimento Educazione del Museo

Per iscrizioni educa@castellodirivoli.org tel. 011.9565213

 

Nell’ambito della mostra L’emozione dei COLORI nell’arte in corso al Castello di Rivoli e alla GAM – Torino, il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea propone il progetto sperimentale L’arte del colore nell’era digitale a cura di tre ricercatori dell’Università di Parma, Vittorio Gallese e Martina Ardizzi del Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Unità di Neuroscienze e Maria Alessandra Umiltà del Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco, in collaborazione con il Dipartimento Educazione del Museo.

 

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Lo spazio museale ospiterà per la prima volta una stanza-laboratorio dedicata a indagare l’esperienza del pubblico davanti alle opere d’arte. Il progetto è finalizzato alla realizzazione di un innovativo dialogo tra arte, neuroscienze e ricerca attraverso lo studio dell’esperienza estetica in un suo contesto abituale, il museo. Sarà così possibile comprendere come la modalità di fruizione di opere d’arte, principalmente della componente cromatica, possa riflettersi in differenti risposte fisiologiche e giudizi soggettivi. In particolare, sarà analizzata la differenza fra le reazioni di fronte ad opere pittoriche nella loro realtà materiale e alla loro riproduzione digitale. Il laboratorio mostrerà come l’esperienza del colore possa essere influenzata dalla digitalizzazione delle immagini artistiche. Negli ultimi anni le neuroscienze hanno manifestato un crescente interesse nei confronti dell’arte non solo per studiare il funzionamento del cervello, ma soprattutto indagando il sistema cervello-corpo per comprendere in cosa consista l’esperienza degli ‘oggetti artistici’ frutto dell’espressione creativa umana. I temi dell’arte e dell’estetica si possono studiare da una prospettiva nuova, quella di un’estetica sperimentale che studi le risposte del cervello e del corpo per mettere in luce le componenti ‘invisibili’ indotte dal visibile artistico. Il progetto di ricerca proposto al Castello di Rivoli sarà caratterizzato dalla utilizzazione cross-disciplinare delle metodologie dell’estetica sperimentale e della curatela museale, consentendo di approfondire le conoscenze sull’esperienza dei visitatori focalizzandosi su un aspetto fondamentale della odierna ricezione artistica: l’effetto della digitalizzazione di opere d’arte astratte a prevalente contenuto cromatico. Accanto ad un’esperienza più classica di natura museale, di recente rilievo è l’uso di supporti digitali sfruttati per godere della visione di opere artistiche. La percezione visiva del colore è mutata in profondità da quando siamo immersi nel mondo virtuale.

Non conosciamo come la differente fruizione (nel contesto museale o in formato digitale) possa influenzare la percezione del colore, parte integrante dell’opera d’arte. Il laboratorio allestito all’interno degli spazi museali al Castello di Rivoli permetterà di approcciare queste questioni in via sperimentale, a partire dallo svelamento di alcune opere monocromatiche allestite nell’ambito della mostra e appositamente selezionate, a confronto con le rispettive riproduzioni”, affermano i Professori Gallese, Ardizzi e Umiltà.

Vittorio Gallese, che insieme ai colleghi del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma ha scoperto i neuroni specchio, nel novembre scorso ha partecipato al ciclo di incontri Colors and Mind promosso dalla Fondazione De Fornaris in collaborazione con la GAM – Torino in relazione alla mostra L’emozione dei COLORI nell’arte. Ai visitatori che vorranno arricchire la loro visita museale partecipando al laboratorio verrà chiesto semplicemente di osservare le opere d’arte presentate. Durante l’esperimento verranno registrate le risposte fisiologiche spontanee dei partecipanti mediante procedure non invasive quali elettrocardiogramma e risposte elettrodermiche. Verranno inoltre raccolti alcuni giudizi relativi all’esperienza estetica, sensoriale ed emotiva provata. Il laboratorio, della durata di un’ora, è aperto a 60 partecipanti di età compresa tra 18 e 55 anni, equamente divisi tra uomini e donne.

La partecipazione è gratuita, indispensabile l’iscrizione contattando il Dipartimento Educazione all’indirizzo educa@castellodirivoli.org, tel. 011.9565213.

Per maggiori informazioni circa requisiti e modalità di partecipazione: martina.ardizzi@unipr.it mariaalessandra.umilta@unipr.it

Ai partecipanti sarà riconosciuto l’ingresso ridotto alla mostra L’emozione dei COLORI nell’arte al Castello di Rivoli.

“Mare in collina”, vincono due artisti torinesi

Si è concluso il concorso di pittura murale “Il mare sulla collina” che, il 14 maggio scorso, aveva visto cimentarsi a Pecetto di Valenza sette pittori nella rappresentazione del mare che un tempo ricopriva la pianura padana.

L’evento, inserito nella rassegna “Artisti per la Natura” cofinanziata dalla Fondazione Crt è stato uno degli appuntamenti in calendario di Riso&Rose. Il concorso ha visto primeggiare due artisti di Torino. Infatti il primo classificato è stato il torinese Alessandro Di Chio, con l’opera “Luci dagli abissi”, secondo classificato il pittore pavese Adriano Fondrini con “Come in un teatro”, terza l’artista torinese Venere Rizzo, con “L’alba della vita. Difficile il giudizio della giuria, che ha dovuto scegliere tra opere di grande valore artistico e molto differenti tra loro per soggetto e tecnica pittorica: si è spaziato dall’olio, all’acrilico fino all’utilizzo, più strettamente legato alla street art, delle bombolette spray utilizzate con grande maestria dal vincitore. I premi in denaro – 400 euro al primo, 250 al secondo e 150 al terzo – sono stati messi a disposizione dall’Associazione culturale “La Guarnera” e dalla Pro loco di Pecetto. Un ruolo fondamentale è stato poi quello della ditta Bonzano (già IBL) di Coniolo, che ha fornito gratuitamente i pannelli in legno su cui i pittori si sono cimentati. L’evento artistico e il suo inserimento nell’affermata rassegna Riso&Rose, consente di valorizzare realtà di solito un po’ isolate, quali il geosito di Pecetto di Valenza, e quindi poco conosciute ma certamente importanti per le emergenze culturali, naturalistiche e, perché no, per il buon cibo e il buon vino.

Massimo Iaretti

I Savoia in Valle Gesso

Per circa un secolo, tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, la Valle Gesso ospitò nel periodo estivo e, a volte, anche in autunno la famiglia reale. Il testo offre, per la prima volta, una ricostruzione cronologica precisa e dettagliata dei soggiorni sabaudi nelle Alpi Marittime. Perché i Savoia scelsero la Valle Gesso per i loro soggiorni? Oltre al Re quali altri componenti la famiglia reale, la corte e l’entourage nazionale ed internazionale furono presenti a Sant’Anna di Valdieri e in Valle Gesso? Quando e come si svolgeva il soggiorno reale? Quali erano le attività quotidiane? Qual era il rapporto con la popolazione? Quale il contesto ambientale naturale e antropico locale? Quali benefici e ricadute ha rappresentato per il territorio la presenza dei Savoia? Come si chiuse la vicenda della riserva reale, da cui nacque il Parco Naturale Alpi Marittime? Quale memoria è rimasta oggi? Walter Cesana, attraverso una vasta pluralità di fonti scritte, orali, fotografiche e, soprattutto, attingendo ad inediti documenti d’archivio, dà una risposta a tutte queste domande. Dalla sua ricerca emerge un quadro circostanziato che, a distanza di oltre settant’anni dalla conclusione dei soggiorni reali, intende fare chiarezza circa eventi fino a oggi poco indagati, salvare la memoria e restituire nuova luce a una vicenda che per un secolo ha visto, con la presenza dei Savoia, passare nella Valle Gesso la storia d’Italia e d’Europa.  

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Presentazione del libro di Walter Cesana

I Savoia in Valle Gesso

Diario dei soggiorni reali e cronistoria del distretto delle Alpi Marittime dal 1855 al 1955

Edizioni Primalpe, con il patrocinio del Centro Studi Piemontesi

Presentazione di Paolo Salsotto, presidente Aree Protette Alpi Marittime, Prefazione di S. A. R. il principe Serge di Jugoslavia, Introduzione di Gustavo Mola di Nomaglio