CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 668

Un americano a Torino. "Seeming Confines"

Nel torinese “Spazio Don Chisciotte”, le astratte forme colorate di David Ruff
Forme armoniosamente informi, dal vibrante e intenso tratto coloristico. Giocate, in ampie campiture, su stupendi bagliori di luce e sull’astrazione di un segno che, all’apparenza, “fatica” a prendere corpo. Compiuto e intellegibile. Forme che generano forme, che si frappongono e sovrappongono, che s’inciampano, s’indispettiscono, si spezzano e si ricompongono. Come i sogni alle prime luci del giorno. O le immagini di una natura tanto amata (“una foglia dorata, un ciottolo, una crepa in un muro, una lumaca, la forma dei campi…”) da esaurirsi nel gioco imprevedibile e suggestivo e bastevole di poetiche intime sensazioni. Sospese fra subconscio e realtà. Senza confini di mezzo. Terra libera, dove “parte della mia anima diventa un dipinto con una propria anima, e sono io che la devo nutrire. Ogni dipinto dà vita al successivo. Nasce qualcosa di nuovo, qualcosa che è sempre esistito. Poi non resta che una finitura cosciente. E’ il mio nome, la data e forse un titolo”. Così, meglio d’ogni altro, raccontava –in una personale del ’75 alla “Bergamini” di Milano – la genesi dei suoi dipinti David Ruff (New York, 1925 – Torino, 2007), cui la Fondazione Bottari Lattes dedica oggi nelle sale torinesi del suo “Spazio Don Chisciotte” di via Della Rocca, una coinvolgente retrospettiva comprendente nove lavori su carta (inchiostri e gouache) e venti dipinti, realizzati prevalentemente negli anni Settanta, accanto a diari, appunti scritti a mano e ritratti fotografici, utili a meglio comprendere il contesto storico-culturale presente nella ricerca dell’artista. Curata da Valentina Roselli e dal “David Ruff Archive” (fondato a Torino nel 2017 dalla moglie Susan Finnel), la rassegna s’incentra con saggio acume sugli oltre trent’anni trascorsi in Europa da Ruff, che artisticamente cresciuto fra New York e San Francisco (dove fonda e dirige, fra l’altro, un atelier grafico, producendo opere destinate a diventare testi fondativi della poesia d’avanguardia americana, sotto l’egida e l’amicizia di nomi sacri come Kenneth Patchen o Harold Chumbly o Ferlinghetti) nel ’69, con la moglie e la figlioletta Aleyda, si trasferisce prima ad Amsterdam e, nel ’71, in Piemonte, vivendo per oltre trentacinque anni fra Baldissero, Bagnolo e Torino. Pittore, grafico, poeta e intellettuale nel senso più lato del termine Ruff – che negli States fu anche attivista impegnato nelle grandi campagne politiche per i diritti civili, in Alabama, Mississipi, Upstate New York e Washington D.C. – “porta con sé una ricerca – scrive Valentina Roselli – alimentata dal grande fermento artistico degli Stati Uniti a partire dagli anni Quaranta, studiando dal vivo giganti come de Kooning, Pollock, De Stael, Gorky, Baziotes e Rothko”. La lezione è quella dirompente dell’informale prima e dell’espressionismo astratto poi, cui spesso l’artista viene negli anni associato, pur se il suo percorso di ricerca naviga da sempre per mari assolutamente originali, inconfondibili nella trattazione di cifre stilistiche particolarmente attente ai miracoli del colore e che negli anni europei lo avvicinano fortemente allo studio del Rinascimento italiano, così come alla pittura tonale veneta (dei Giorgione e dei Tiziano) e soprattutto ai modi di certo grande post-impressionismo, che riporta agli intensi gialli mediterranei e ai blu ineguagliabili di un Bonnard. Il tutto arricchito da una sensibilità pittorica e da un modo d’intendere il “mestiere” d’artista assolutamente singolare, come “viaggio dai confini non demarcati, senza l’urgenza di una definizione”. Di qui anche il titolo della mostra “Seeming Confines” (“Confini apparenti”) che coincide con il titolo di un olio su tela di Ruff del ’73, ispirato all’opera “Endymion (IV, 513)” di John Keats, poeta molto amato dall’artista. Un pittore che “ha saputo trasformare in immagini – ancora Roselli – l’avventura esistenziale, scardinando categorie e stereotipi con prontezza e raffinata ironia”. Con colta gioiosità e la pura fantasia di un curioso poeta fanciullo che all’amata natura guarda ogni volta con infinito stupore e un desiderio profondo nel cuore: “Ogni volta che guardo un ciottolo, una conchiglia o le stelle –scriveva Ruff – c’è qualcosa di nuovo da vedere… Spero che i miei quadri stiano nel cosmo come le piante, le stelle, le conchiglie, le persone”.

Gianni Milani

“Seeming Confines”
Spazio Don Chisciotte – Fondazione Bottari Lattes, via Della Rocca 37B, Torino; tel. 011/1977.1755 o www.fondazionebottarilattes.it
Fino al 18 aprile
Orari: dal mart. al sab. 10,30/12,30 e 15/19
***
Nelle foto

– David Ruff
– “Seeming Confines”, olio su tela, 1973
– “Untitled”, gouache su carta, 1969
– “The Second Sound”, olio su tela, 1975
– “Come gli uccelli in autunno”, olio su tela, 1974

 

Slavika, la quinta edizione del festival delle culture slave

 Torna il festival Slavika a Torino, giunto alla V edizione. Il Festival è organizzato dal circolo culturale Polski Kot, con il sostegno del Consolato Generale della Repubblica di Polonia in Milano, l’Istituto Polacco di Roma, Klec Blazna e Sovietniko

 Contribuiscono all’ideazione del Festival: l’associazione culturale “Most”, la casa editrice Miraggi, Sottodiciotto Film Festival, libreria Trebisonda, “East Journal”, Unione Culturale Franco Antonicelli, associazione “To je to”, associazione “RetròScena”. I “luoghi” del Festival saranno molti: dal Polski Kot di via Massena allo Jazz Club, Circolo dei Lettori, CineTeatro Baretti,Polo del ‘900 e Unione Cuturale. Concerti, spettacoli teatrali, proiezioni cinematografiche, presentazioni di libri, incontri con gli autori, mostre di fotografia e un premio di traduzione letteraria animeranno il fitto calendario della rassegna dedicata all’Europa centro-orientale. Dal concerto di Damir Imamovic, principe della musica “sevdah” di Sarajevo, venerdì 15 marzo, fino al concerto di Babbutzi Orkestar al Jazz Club a chiudere lunedì 25 marzo, passando per una lunga serie di appuntamenti imperdibili: la presentazione del libro Proletkult del collettivo Wu Ming, gli incontri con gli autori polacchi Anna Frajlich, Mariusz Wilk e la celebre Olga Tokarczuk, le proiezioni del documentario Naked Island sull’isola di Goli Otok, e del film polacco Carte blanche alla presenza del regista Jacek Lusinski. Uno spazio di rilievo quest’anno sarà garantito alla fotografia, con ben due mostre in anteprima: quella del fotoreporter di guerra polacco Krzysztof Miller, morto suicida nel 2016 dopo aver coperto tra i più importanti conflitti negli ultimi 25 anni, e dell’artista russa Aleksandr Petrosjan. Per il teatro, il collettivo Patom Theatre inscenerà lo spettacolo I ran and got tired ispirato all’opera di Daniil Charms. Ci sarà una giornata interamente dedicata all’architettura nei Balcani: l’associazione “To je to” affronterà la tematica degli spomenik(monumenti commemorativi per i caduti della Seconda Guerra Mondiale voluti tra gli anni ’60 e ’70 da Tito), mentre Antonio Cunazza e Gianni Galleri parleranno di estetica degli stadi di calcio in quelle zone. Anche quest’anno verrà riproposto il laboratorio di traduzione con i docenti universitari Olja Arsic (letteratura serbo-croata) e Massimo Maurizio (letteratura russa).

IL PROGRAMMA DEL FESTIVAL: 14-25 MARZO 2019

– giovedì 14/3 ore 18.30 Spazio Eventa, via dei Mille, 42 – Torino. Inaugurazione del Festival.Mostra fotografica: “Krzysztof Miller – Fotografie che non hanno cambiato il mondo. Storia di un fotoreporter polacco”. Ingresso libero.

Krzysztof Miller è stato uno dei fotoreporter polacchi più importanti, prematuramente scomparso a 54 anni nel 2016. Nei suoi scatti i momenti storici legati alla “Tavola rotonda” polacca, la rivoluzione in Romania, le guerre di Bosnia e Cecenia. Prima esposizione in Italia dei suoi lavori. A cura di Tiziana Bonomo (Artphoto). Con il sostegno del Consolato Generale della Repubblica di Polonia in Milano;

– venerdì 15/3 ore 18. Polo del ‘900, via del Carmine, 14 – Torino. Foto, racconti e video: “Borders – Sul confine. Un viaggio nell’Ucraina di oggi”. Ingresso libero, aperitivo a seguire

Quattro anni dopo le proteste in piazza Maidan, un gruppo di giovani italiani viaggia al confine dell’Unione Europea per incontrare associazioni locali di giovani impegnati a rispondere come società civile alle tensioni e ai conflitti nel paese. La serata di inaugurazione prevede la proiezione del documentario, lettura di estratti del racconto di viaggio a cura di “Nouvelle Plague” e buffet. Nei giorni seguenti la mostra sarà visitabile (fino al 24 marzo)presso la Galleria delle Immagini del Polo del ‘900 (via del Carmine, 13). Un progetto di RetròScena realizzato con Fondazione Nocentini e Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini. Con il sostegno del Polo del ‘900;

– venerdì 15/3 ore 21. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino.Concerto: Damir Imamovic (Bosnia-Erzegovina). Aperitivo e concerto: 12 euro, prima consumazione: 5 euro. Prenotazione obbligatoria per l’aperitivo.

Damir Imamović (nato nel 1978) è un musicista, cantante e compositore della musica tradizionale della Bosnia ed Erzegovina, “sevdah” o “sevdalinka”.

Damir Imamović è nato a Sarajevo, in Bosnia ed Erzegovina, in una famiglia di musicisti. Suo padre Nedžad Imamović (1948), è un bassista, produttore, cantante e autore, mentre suo nonno paterno Zaim Imamović (1920-1994), è stato un musicista leggendario e cantante folk bosniaco tradizionale, famoso negli anni ’40 e ’60. Damir trascorse i suoi anni di formazione (1992-1995) vivendo nella città assediata di Sarajevo. Ha iniziato a suonare la chitarra quando aveva 15 anni;

sabato 16/3 ore 18. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino.Presentazione libro di Maksim Gor’kij: “Lenin, un uomo” (Sellerio). Con il curatore Marco Caratozzolo (docente di Lingua e Letteratura russa all’Università di Bari) dialoga Massimo Maurizio (ricercatore di Lingua e Letteratura russa all’Università di Torino). Ingresso libero. Libri in libera vendita.

Ricordi, pieni di affetto e di ammirazione, per un personaggio mitizzato o vituperato nella storia per la propria azione politica. Ma in questo ritratto non è la politica al centro del mirino: è l’uomo Lenin che Gor’kij vuole, riuscendoci meravigliosamente, scolpire nella memoria. E sorprendere;

– sabato 16/3 ore 19.30. Klec Blazna, via sant’Ottavio, 37 – Torino. Festa d’inaugurazione.Musica e cucina.

“East Journal”, “Kiosk” (programma radiofonico di Radio Beckwith) e “Most” associazione presentano la festa d’inaugurazione della V edizione di “Slavika” con tanta buona musica d’oltrecortina e menù tipico balcanico: zuppa Jota (zuppa di fagioli, verza e patate), cevapcici, baklava e mezzo litro di birra a 22 euro. Prenotazione obbligatoria per chi vuole cenare. In collaborazione con: “East Journal”, “Kiosk”, “Most” associazione e Radio Beckwith;

– domenica 17/3 ore 18. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Architettura ed ex Yugoslavia: “L’eredità degli Spomenik”. Con Diego Acampora, Eric Gobetti e Chiara Bosco (associazione “to je to”). Ingresso libero, aperitivo a seguire.

Spomenik è una parola serbo-croata, letteralmente significa “monumento”. Riferita al contesto balcanico tuttavia essa si riferisce ad una particolarissima tipologia di opera. Gli Spomenik sono infatti tutti quei manufatti costruiti durante la dittatura socialista di Josip Broz Tito. Sono solitamente memoriali di guerra, enormi totem eretti nei luoghi dove si sono tenute battaglie importanti e ideati per ricreare, in un nuovo stile architettonico a tratti futuristico e spesso indecifrabile, un’identità jugoslava trasversale. Per cui andare alla loro riscoperta equivale alla ricerca di una cultura a volte volutamente dimenticata, dei monumenti religiosi di un culto laico ormai scomparso… Fino a un certo punto. In collaborazione con associazione “to je to”;

– domenica 17/3 ore 21. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Architettura ed estetica degli stadi slavi: “In viaggio da Nova Gorica a Istanbul, tra calcio e architettura”. Con Antonio Cunazza(Archistadia) e Gianni Galleri (Curva Est). Ingresso libero, aperitivo alla fine dell’evento precedente.

Due esperti massimi di architettura (Antonio Cunazza, curatore della pagina FB Archistadia e Gianni Galleri, autore del libro: “curva Est” e curatore della pagina Fb omonima) ci parlano di estetica e meraviglia degli stadi balcanici e di episodi a sfondo sportivo-coreografico che vi sono accaduti;

– lunedì 18/3 ore 18. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Incontro con l’autore. Con Anna Frajlich dialoga Giulia Randone (slavista e dottore di ricerca dell’Università di Torino). Ingresso libero, aperitivo a seguire. Libri n libera vendita.

Anna Frajlich è una poetessa polacca di origini ebraiche che da anni vive negli Stati Uniti, dove ha insegnato lingua e letteratura polacca alla Columbia University di New York. È nata nel 1942 a Katta-Taldyk, nella Reppubblica Socialista Sovietica Kirghiza, dove era fuggita sua madre in seguito all’invasione tedesca di Leopoli nel 1941. Dopo la guerra è tornata in Polonia, abitando prima a Stettino e poi a Varsavia, dove si è laureata in lingua e letteratura polacca. Sull’onda della campagna antisemita fomentata dalle autorità comuniste nel 1968 la poetessa ha lasciato la Polonia l’anno successivo, soggiornando per qualche mese in Italia per poi, nel 1970, trasferirsi in pianta stabile a New York. Anna Frajlich è autrice di dodici raccolte di poesia. La Parlesia Editore ha pubblicato quest’anno il suo primo libro in italiano: “Un oceano tra di noi”, che sarà possibile acquistare durante la serata. Con il sostegno dell’Istituto di Cultura Polacca di Roma;

lunedì 18/3 ore 21. Cinema Baretti, via Baretti, 4 – Torino. Docufilm: “Goli Otok/Naked island”. Ingresso: intero 4 euro, ridotto 3 euro (per le riduzioni consultare il sito: www.cineteatrobaretti.it)

Isola Nuda per gli slavi, Isola Calva per gli italiani d’Istria. In croato si chiama Goli Otok, in italiano più raramente isola Golli. È stato il luogo in cui il regime titino, dal 1949 al 1956, ha cercato di rieducare i filosovietici (cominformisti) al socialismo jugoslavo. E per farlo ha utilizzato, oltre all’indottrinamento politico, anche il lavoro forzato e violenze fisiche e psicologiche di ogni tipo. Il documentario di Tiha K. Gudac, (Croazia 2014, col., 75′, v.o. sott. ita./eng)
è un’indagine che la regista svolge sulla sua famiglia. Tiha K. Gudac cerca di capire il segreto del nonno, che sparito per alcuni anni era poi tornato coperto di cicatrici. Un racconto delicato che porta alla luce un segreto familiare e nazionale sulla ex-Jugoslavia: quello di Goli Otok, l’”Isola Calva”, il campo per gli oppositori politici del regime di Tito. Miglior documentario al Sarajevo Film Festival e premio CEI al Trieste International Film Festival;

– martedì 19/3 ore 18. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Incontro con l’autore. Con Dunja Badnjevic dialoga Ljiljana Banjanin (professoressa di Lingua e Letteratura Slava all’Università di Torino). Ingresso libero, aperitivo a seguire.

Dunja Badnjević, nata a Belgrado, vive da più di quarant’anni in Italia. Ha lavorato come redattrice e attualmente si occupa di traduzione e promozione della letteratura serba, bosniaca e croata in Italia. Ha tradotto per Adelphi, Editori Riuniti, Guanda, Ponte alle Grazie, Newton Compton, Jaca book e altre case editrici. Per la collana Meridiani della Mondadori ha curato: “Ivo Andrić,Romanzi e racconti”. È vicepresidente dell’associazione interculturale «Lipa». Per Bollati Boringhieri ha pubblicato: “L’isola nuda”, romanzo che mette al centro proprio la realtà di Goli Otok. Lì vi fu rinchiuso per alcuni anni il padre dell’autrice, convinto internazionalista «epurato» da Tito dopo lo strappo con l’Urss nel 1948. Affascinanti le pagine finali sull’apolitudine, su quel senso di perdita e di assenza che molti di coloro che hanno vissuto la Jugoslavia e il suo disfacimento ancora soffrono; – martedì 19/3 ore 21. Circolo dei Lettori, via Bogino, 9 – Torino. Incontro con l’autore. Con Olga Tokarczuk dialoga Andrea Bajani (scrittore). Ingresso libero fino ad esaurimento posti. Libri in libera vendita.

Olga Tokarczuk (Sulechów, 29 gennaio 1962) è una scrittrice polacca. È una degli scrittori polacchi della sua generazione più acclamati e di grande successo commerciale. Ha studiato psicologia presso l’Università di Varsavia. Ha pubblicato raccolte di poesie, vari romanzi, così come di altri libri con opere più brevi. Il suo libro “Bieguni” (“I vagabondi”, in uscita in questi giorni per Bompiani nella traduzione della “nostra” Barbara Delfino) ha vinto nel 2008 il premio Nike, tra i premi più importanti della letteratura in Polonia, e nel 2018 il Man Booker International Prize (l’edizione in inglese aveva il titolo: “Flights”). Olga Tokarczuk vanta numerose altre traduzioni in italiano. In collaborazione con Bompiani Editore;

– mercoledì 20/3 ore 18. Unione culturale Franco Antonicelli, via Cesare Battisti, 4 – Torino. Presentazione del libro: “Proletkult” (Einaudi). Con gli autori (Wu Ming) dialoga Daniela Steila (professoressa di Storia della Filosofia all’Università di Torino e presidente dell’Unione Cuturale). Ingresso libero, aperitivo a seguire (a cura di Sovietniko). Libri in libera vendita.

Mosca, 1927. Che le proprie storie si mescolino alla realtà fino al punto di prendere vita: non è questo il sogno segreto di ogni narratore? È ciò che accade ad Aleksandr Bogdanov, scrittore di fantascienza, ma anche rivoluzionario, scienziato e filosofo. Mentre fervono i preparativi per celebrare il decennale della Rivoluzione d’Ottobre e si avvicina la resa dei conti tra Stalin e i suoi oppositori, l’autore del celebre Stella Rossa riceve la visita di un personaggio che sembra uscito direttamente dalle pagine del suo romanzo. È l’occasione per ripercorrere le tappe di un’esistenza vissuta sull’orlo del baratro, tra insurrezioni, esilio e guerre, inseguendo lo spettro di un vecchio compagno perduto lungo la strada. Una ricerca che scuoterà a fondo le convinzioni di una vita;

– mercoledì 20/3 ore 21. Unione culturale Franco Antonicelli, via Cesare Battisti, 4 – Torino. Conferenza. Mark Steinberg, professore di storia all’Università dell’Illinois (Urbana-Champaign), parla di: “Ha ancora senso, oggi, studiare la rivoluzione russa? E, se ha un senso, dove lo si trova?” Ingresso libero.

Ha ancora senso, oggi, studiare la rivoluzione russa? E, se ha un senso, dove lo si trova? Ne parliamo con Mark Steinberg, autore del volume The Russian Revolution. 1905-1921 (Oxford U. P., 2017). Dal 2017 Steinberg è intervenuto in giro per il mondo (in Russia, Canada, UK, nelle maggiori università americane…) in occasione del centenario della rivoluzione, proponendo un approccio innovativo incentrato sulle passioni e gli entusiasmi che animavano i protagonisti, anche oscuri, di quella vicenda. Con noi discuterà del senso che può avere per noi quella storia, nei tempi bui che stiamo attraversando, dall’esperienza di insegnamento in luoghi “insoliti” come un carcere americano, alla riflessione sul significato rivoluzionario della ricerca queer (Steinberg è il padre della famosa drag queen Sasha Velour). L’intervento sarà in lingua inglese, con traduzione consecutiva (se richiesto).

– mercoledì 20/3 ore 21. Cinema Baretti, via Baretti, 4 – Torino. Film: “Carte blanche”. Ingresso: intero 4 euro, ridotto 3 euro (per le riduzioni consultare il sito: www.cineteatrobaretti.it). Alla proiezione parteciperà il regista, Jacek Lusinski.

“Carte blanche” (di J. Lusinski, Polonia 2015, 106′). Un professore di liceo molto amato dai suoi allievi, per non perdere il suo posto e preparare bene i suoi studenti alla maturità, nasconde il fatto che sta perdendo la vista. La diagnosi medica non lascia alcuna speranza: il professore è minacciato da una cecità permanente e totale. Ma le sue reazioni avranno un’evoluzione: spaventato all’inizio, non cade nella disperazione. Al contrario, adempie alla sua missione educativa, allaccia un’amicizia vera e aiuta un’allieva ribelle. Ispirato a fatti reali, il racconto del film potrebbe avere un impatto sociale perché testimonia la situazione complicata delle persone handicappate e la loro lotta per vivere nella società. Alla proezione sarà presente il regista, Jacek Lusinski, che aveva esordito nel 2009 come regista e sceneggiatore del film: “Pixels”. Con il sostegno del Consolato Generale della Repubblica di Polonia in Milano;

– giovedì 21/3 ore 18. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Presentazione del libro: “Quando c’era l’URSS. 70 anni di storia culturale sovietica” (Raffaello Cortina Editore) di Gian Piero Piretto. Con l’autore dialoga Elisa Baglioni (dottore di ricerca in Lingua e Letteratura Russa, collettivo Spara Jurji). Ingresso libero, aperitivo a seguire. Libri in libera vendita.

L’universo sovietico ha suscitato per circa settant’anni entusiasmi e avversioni. Attraverso una periodizzazione non scandita dalla banalità dei decenni, in questo libro si analizzano eventi storici, imprese, campagne promozionali e dissuasorie subite dai cittadini del paese dei Soviet, con uno speciale accento sulla percezione dei fatti nella quotidianità della gente comune. Propaganda, retorica, passioni sono prese in esame sulla base della cartellonisti-ca, delle riviste, del cinema, dell’architettura, delle arti, della cronaca. Dai trascinanti investimenti dei primi anni al binomio euforia-terrore che ha segnato l’era staliniana, dalle sottoculture giovanili degli anni Cinquanta e Sessanta ai primi passi del rock nei Settanta, si giungerà alla fatidica notte di Natale del 1991, quando venne ammainata la bandiera rossa sul Cremlino. Tutto documentato da un ricco apparato iconografico tratto dalla straordinaria produzione di grafici e artisti del tempo;

– giovedì 21/3 ore 21. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Spettacolo teatrale: “I ran and got tired” ispirato a Daniil Charms. Di Patom Theatre. Aperitivo e spettacolo: 10 euro, prima consumazione: 5 euro. Prenotazione obbligatoria per l’aperitivo.

Due personaggi sconcertanti e surreali abitano e colmano il palco: sono il Poeta e la Donna, forse sua musa, sua ombra, sua donna, suo amore, figure che impersonano l’Assurdità dell’esistenza, la tragedia di una condizione che vede uno scontro perenne contro la censura e il potere, senza possibilità di resa. La condizione dell’autore cui la pièce “I ran and got tired” fa riferimento è, infatti, quella del surrealista, drammaturgo e poeta russo Daniil Charms (1905-1942), uno degli ultimi rappresentanti dell’avanguardia russa. E lo spettacolo si rivela, dunque, come una rappresentazione multi-linguistica che porta alla luce la lotta di un artista e l’assoluta e ineludibile necessità di combattere per le proprie convinzioni. Durante la sua attività, infatti, Charms poté vedere pubblicati solo i suoi racconti per bambini. Fu arrestato due volte, nel 1931 e nel 1941, mentre le sue opere per adulti furono rilasciate solo nel 1978;

– venerdì 22/3 ore 18. Circolo dei Lettori, via Bogino, 9 – Torino. Incontro con l’autore. Con Mariusz Wilk dialoga Carlo Grande (scrittore sceneggiatore e giornalista). Ingresso libero. Libri in libera vendita.

Mariusz Wilk (1955, Breslavia) è uno scrittore giornalista, saggista, viaggiatore polacco. Dal 1978 attivista dell’opposizione democratica. Co-fondatore delle letture di opposizione “underground”: “Biuletyn Dolnośląski”, “Podaj dalej”, “Tematy”. Dopo la legge marziale rimase nascosto, in qualità di direttore della rivista „Solidarność. Pisma Zarządu Regionu”, fino all’arresto nel dicembre 1982. Fu rilasciato nel 1983 e nuovamente arrestato nel 1986. Negli anni ’90 del XX soggiorna all’estero, negli Stati Uniti e infine in Russia, sulle isole Soloveckie. Durante questo periodo è stato corrispondente russo di “Kultura”, fino all’ultimo numero della rivista nel 2000. Nel 2006, il Presidente della Repubblica di Polonia, Lech Kaczyński, ha premiato lo scrittore con la Croce degli ufficiali dell’Ordine della Rinascita della Polonia. Il 4 giugno 2015, Mariusz Wilk è stato privato del diritto di vivere in Russia per cinque anni. Per la prima volta in Italia viene tradotto e pubblicato un libro di Wilk, “Uomini renna” (La Parlesia editore), grazie al lavoro di Barbara Delfino e Giulia Randone. Con il sostegno del Consolato Generale della Repubblica di Polonia in Milano;

– venerdì 22/3 ore 20.30. FIAF, via Pietro Santarosa, 7 – Torino.Mostra fotografica di Aleksandr Petrosjan, “Racconti di Pietroburgo”. Ingresso libero.

Aleksandr Petrosjan è considerato il più grande fotografo contemporaneo di tutta la Russia. Nato in Ucraina nel 1965, vive a San Pietroburgo da oltre 40 anni ed i suoi scatti hanno vinto numerosissimi premi in tutto il mondo. Inizia per caso a cimentarsi con la fotografia, immortalando semplicemente il suo quartiere ed i passanti; solo nel 2000 decide di affrontare la sua passione in maniera professionale. Lavora così per giornali come “Newsweek”, “National Geographic”, “GEO”, “Russian Reporter”, “Kommersant”, “Komsomolskaya Pravda”, and “Business Petersburg”. Ha vinto per due anni consecutivi, nel 2006 e nel 2007, il premio come “Fotografo dell’anno” ai St. Petersburg Awards. La mostra sarà visitabile fino al 5 aprile.

Sito di riferimento: http://aleksandrpetrosyan.com/en/;

– sabato 23/3 ore 10. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Seminario di traduzione letteraria (russo, serbo-croato) con Olja Arsic Perisic (professore a contratto di Lingua serbo-croata all’Università di Torino) e Massimo Maurizio (ricercatore di Lingua e Letteratura russa all’Università di Torino). Ingresso libero.

Anche quest’anno una giornata del festival sarà dedicata alla traduzione letteraria. Ci si ritroverà alle 10 del mattino per formare i due gruppi che lavoreranno fino al primo pomeriggio con i due esperti. Il pranzo sarà offerto da Polski Kot. La partecipazione è gratuita, ma occorre segnalare la propria partecipazione entro e non oltre lunedì 18 marzo, così da poter ricevere per tempo il materiale su cui verterà l’incontro;

– sabato 23/3 ore 17. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Assegnazione del premio Polski Kot alla miglior combinazione traduttore-editore riguardante un’opera slava letteraria edita nel 2018 in lingua italiana. Ingresso libero.

Il premio Polski Kot, giunto alla V edizione, vanta quest’anno una long-list di altissima qualità:

1. “Non esistono buone intenzioni” di Katarzyna Bonda. Editore: Piemme, Traduttore: Walter Da Soller e Laura Rescio
2. “Viljevo” di Luka Bekavac, Editore: Mimesis, Traduttrice: Ljiljana Avirović
3. “Toximia” di Margo Rejmer. Editore: La Parlesia, Traduttore: Francesco Annichiarico
4. “La Rivolta” di W.S.Reymont. Editore: Edizioni della sera, Traduttrice: Laura Pillon
5. “L’esercizio della vita. Cronisteria di Nedjeljko Fabrio”. Editore: Oltre, Traduttore: Silvio Ferrari
6. “Nel primo cerchio” di Aleksandr Solzenicyn. Editore: Voland, Traduttrice: Denise Silvestri
7. “La corsa indiana” di Tereza Bouckova. Editore: Miraggi, Traduttrice: Laura Angeloni
8. “Le donne di Lazar’” di Marina Stepnova. Editore: Voland, Traduttore: Corrado Piazzetta
9. “Più silenzioso dell’acqua” di Berislav Blagojević. Editore: Stilo, Traduttore: Danilo Capasso
10. “E dal cielo caddero tre mele” di Narine Abgarjan. Editore: Francesco Brioschi, Traduttrice: Claudia Zonghetti;

– sabato 23/3 ore 18.30. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Presentazione del libro: “Il bruciacadaveri” (Miraggi Editore) di Ladislav Fuks. Intervengono Alessandro De Vito (Miraggi, traduttore e curatore) e Luca Ragagnin (scrittore). Ingresso libero, aperitivo a seguire. Libri in libera vendita.

In una Praga di cattivo umore, il signor Karel Kopfrkingl, creatura pemurosa e ammanierata, impiegato al Crematorio, mette in atto, con soave candore, il suo perfido disegno: l’eutanasia. Campione attardato del Biedermeier praghese sciropposo e idillico, manipolatore di zuccherosi aggettivi che indirizza alla propria moglie, prima, durante e dopo averla fatta fuori, il signor Karel nutre una profonda comprensione per gli infermi e per i derelitti, si rammarica che le bestie soffrano, crede nella reincarnazione e le sue letture preferite sono un libro sul Tibet e un corpus di leggi che regoano le cremazioni. Necroforo attento e puntiglioso, Kopfrkingl offre a chi gli vive intorno una visione della vita seminata di bare e catafalchi, musiche per organo, fuochi purificatori e innumerevoli dolcezze dell’aldilà. Premuroso e untuoso accarezza i suoi cadaveri e li brucia. Aperitivo a seguire;

– sabato 23/3 ore 21.30. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Concerto: AcCello Duo (Polonia). Aperitivo e concerto: 10 euro, prima consumazione: 5 euro.

AcCello Duo è una coppia di strumentisti creata nel 2011 da un fisarmonicista, Konrad Merta, e un violoncellista, Piotr Gach. I musicisti realizzano varie idee artistiche ispirandosi ad accattivanti spettacoli di musica etnica e musica popolare, modificando le proprie composizioni in solenni progetti musicali realizzati con un uso classico senza età. Konrad Merta – nato nel 1989 – fisarmonicista, arrangiatore, compositore. Ha completato i suoi studi di dottorato presso il Dipartimento di Fisarmonica presso l’Accademia di Musica di Katowice. Piotr Gach (violoncello), nato nel 1986 a Słupsk, dove ha iniziato a suonare il violoncello all’età di 6 anni. Durante la scuola elementare e la scuola media, è stato vincitore del I Premio nelle gare di Malbork e Koszalin. Nel 2002 ha iniziato a sviluppare le proprie abilità nella Scuola secondaria di musica a Danzica. Con il sostegno del Consolato Generale della Repubblica di Polonia in Milano.

– domenica 24/3 ore 18. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Incontro con il collettivoVolna Mare“Suto Orizari – L’unico comune in Europa a guida rom”. Ingresso libero.

Volna mare è un giovane collettivo costituito da Simone Benazzo, Marco Carlone e Martina Napolitano, tutti con interessi inerenti la fotografia, la storia e le bellezze del mondo dell’Europa centro-orientale. Hanno all’attivo la pubblicazione di un libro: “Il futuro dopo Lenin. Viaggio in Transnistria” (DOTS edizioni) e molti articoli sui giornali e le riviste più prestigiose d’Italia e oltre. La storia recente di Šuto Orizari inizia nel 1963, quando un terremoto ridisegnò gli equilibri demografici di Skopje. La comunità rom si trovò allora costretta ad abbandonare il proprio feudo tradizionale, il quartiere di Topaana, reso inagibile dal sisma. Il progetto di ricostruzione prevedeva inizialmente l’assimilazione della componente rom, per cui si preventivava di costruire condomini ad hoc in quartieri abitati principalmente dalle comunità maggioritarie della piccola repubblica (al tempo) jugoslava, ovvero albanesi e slavi macedoni. I rom rifiutano. Le autorità decisero allora di assegnare ai rom un intero quartiere, Šuto Orizari, quasi interamente evacuato dalla popolazione originaria e ridotto a un rione fantasma di case pericolanti e fatiscenti. Nel 1996 è stato riconosciuto come uno dei dieci distretti di Skopje, diventando così la prima municipalità al mondo dove il romanì, la lingua dei rom, è lingua ufficiale assieme al macedone. Il censimento del 2002 sancisce che più dell’80% degli abitanti è di nazionalità rom. Aperitivo a seguire;

domenica 24/3 ore 21. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Proiezione del film: “Tito ed io”. Aperitivo e film: 10 euro, prima consumazione 5 euro.

1954, Belgrado. Zoran è un bambino di dieci anni. Cresce in una famiglia borghese che disapprova il sistema comunista. Il bambino racconta la sua vita quotidiana: la scuola, gli amici e il primo amore. Prende parte al concorso che premia il miglior tema in madrelingua “Vuoi bene al compagno Tito e perché?”. Colui che vincerà il concorso avrà l’occasione di partire per la marcia verso Kumrovec, la terra natia del Compagno Tito. Zoran rivela, nella sua poesia, di amare Tito “più che la mamma e il papà…” Il film (di G. Markovic, 1992, 104′, v.o. con sottotitoli IT) tratta le vicissitudini di un bambino che tramite i propri occhi offre uno scorcio sulla Jugoslavia degli anni ’60. I sottotitoli in italiano sono stati curati da Mia Vujovic.

– lunedì 25/3 ore 21.30. Jazz Club, via San Francesco da Paola ang. Via Giolitti – Torino. Concerto : Babbutzi Orkestar. Ingresso con offerta libera.

La BABBUTZI ORKESTAR nasce nel 2007 e ha solcato importanti palchi quali Hidrellez Festival ad Istanbul, I am Art Festival in Umbria, MEI a Faenza, Guca Na krasu a Trieste, Auditorium La Flog a Firenze, Bloom a Mezzago, BalkanbeatsLondon a Londra, Laborbar a Zurigo, Tipi Festival a Bolzano, Balkan Caravan, Magnolia a Milano, End Summer Fest a Varese, e molti altri oltre a tutte le più importanti piazze d’Italia. Ha suonato sugli stessi palchi di Shantel, Modena City Ramblers, Dubioza Collectiv, Boban & Marko Marcovic, Goran Bregovic, Magnifico, Figli di Madre Ignota, Brooklin Funk Essential, Baba Zula, Can Bonomo, Fanfare en Petard, Robert Soko, Kocani Orkestar, Mad Sound System, Ghiaccioli e Branzini, Motel Connection e molti altri. Un appuntamento imperdibile per chi ama la balkan music! Tra ballate melodiche, polke e infuocati ritmi surf, psychobilly, punk, hip-hop, funky, soul, pop e a volte anche balkan, “Vodka, Polka & Vina”, il loro ultimo album, trascinerà il pubblico in una dimensione delirante e folle da cui sarà difficile uscire.

E' tempo di "Sanremo the Story" al parco commerciale Dora

Dal 2 al 24 Marzo a Torino la grande mostra che racconta il Festival della Canzone Italiana dal 1951 a oggi in un’avvincente e inedita raccolta di documenti, cimeli, strumenti, dischi e giornali dell’epoca

 

Dopo il successo della mostra dedicata all’animazione dei quadri di Claude Monet in 3D, la cultura torna protagonista al Centro Commerciale ‘Parco Dora’, a Torino in Via Livorno angolo via Treviso.

Questa volta, a calamitare l’attenzione del pubblico, è la volta di ‘Sanremo The Story’, una straordinaria e ricca mostra itinerante interamente dedicata al Festival della Canzone Italiana, che ripercorre la storia del Festival di Sanremo sin dalla prima edizione del 1951 fino ai nostri giorni, attraverso l’esposizione di oggetti e video documentari che fissano e narrano con grande emozione i momenti più belli ed entusiasmanti dell’evento più importante del nostro Paese. Un percorso di visita affascinante, visitabile dal 2 al 24 marzo 2019, frutto di un’iniziativa unica nel suo genere capace di trovare un connubio ideale tra modernità, arte e tecnologia. Più di una semplice retrospettiva sulla kermesse canora, rappresenta una visione più ampia di queste 68 edizioni, capace di mostrare anche i diversi aspetti sociali legati all’Italia dell’epoca“, afferma l’Architetto Emanuele Manca, General Manager del Parco Commerciale Dora nonché professionista attento ai fenomeni culturali e del cambiamento in atto. Il percorso emozionale che caratterizza ‘Sanremo The Story’ vanta la presenza di cimeli originali (dischi in vinile, documenti, abiti di scena) del Festival di Sanremo, accompagnati da monitor che proiettano video documentari, su di un’area di 80 metri quadrati che prevedono all’interno, 7 monitor touch ciascuno, predisposto all’ascolto di brani con l’utilizzo di cuffie, un’ampia varietà di teche con 45 e 33 giri originali del Festival di Sanremo e altre con esposti con strumenti musicali originali dell’epoca impiegati durante la kermesse. E ancora, 30 quadri con locandine storiche delle edizioni del Festival, 70 bacheche con all’interno le copertine di ‘Tv Sorrisi e Canzoni’ dedicate alla kermesse, impreziosite altresì da un’insegna luminosa con il popolare logo del noto settimanale di musica e spettacolo. Completano l’offerta culturale 1 monitor touch con viaggio 3d della mostra, e un altro con una selezione accurata di immagini in loop tratte dai momenti migliori della storia degli anni del Festival.’Sanremo The Story’ nasce da un’idea di Pepi Morgia, scomparso nel settembre 2011, direttore del ‘Museo della canzone’ e noto per le sua capacità di regista e light designer. Il logo, così come il nome ‘Sanremo The Story’, è stato ideato da Silvano Guidone, socio dello storico pubblicitario torinese ‘Armando Testa’. La mostra è visitabile dal lunedì al venerdì dalle 09.30 alle 12.30, e dalle 16.30 alle 19.30. Sabato e domenica dalle 11.00 alle 20.00. Ingresso libero con offerta minima pari a 1 Euro che verrà interamente devoluta per sostenere il progetto ‘Alternanza Scuola Lavoro’ del Liceo Classico Musicale ‘Camillo Benso Conte di Cavour’ di Torino, i cui allievi forniranno il servizio di guida durante gli orari di apertura della mostra.

Tutte le informazioni sul sito www.parcocommercialedora.it e sulla relativa pagina FB del Centro Commerciale ‘Parco Dora’.

 

A Torino per le donne (in nero) la Madonna delle Ciliegie

Nella precedente uscita abbiamo visto un pezzo della Galleria Sabauda della collezione Gualini, la tempera su tavola del pittore originario di Siena Duccio di Buoninsegna, una Madonna con manto nero; oggi vediamo la Madonna delle Ciliegie, ancora una volta aTorino e sempre nella Galleria Sabauda dei Musei Reali. Lo spunto per la serie donne (in nero) viene da una manifestazione contro la guerra che si svolge a Torino ogni ultimo venerdì del mese. La manifestazione è portata avanti dal movimento contro la guerra “Donne in Nero”, nato in Israele nel 1988 e che si impegna in alcune riflessioni, ad esempio il ripensamento del ruolo di passività tradizionalmente attribuito alla donna nei confronti delle guerre oppure la volontà di portare avanti il ricordo delle guerre presenti e passate affinché le prospettive di pace non siano dimenticate. 
Oggi vediamo la Madonna con il Bambino del 1470  attribuita a Gherardo di Andrea Fiorini da Vicenza o più genericamente al Maestro dell’Agosto del Palazzo di Schifanoia, madonna nota con il nome di Madonna delle Ciliegie per i due rami di ciliegie carichi che si accostano ai lati del capo. Scendono da sinistra e da destra e nella simbologia richiamano -con il colore rosso- la passione di Cristo, mentre per il semplice fatto di essere “ciliegie” possono ricordare la battaglia di Kerasus del 71 a.C. svoltasi tra i Romani e Mitridate. Battaglia di cui ci ricordiamo “con gusto” non di certo per il conflitto armato, ma per il fatto che il generale Lucullo -di ritorno da Kerasus- importò il frutto della ciliegia, unendo così l’utile al dilettevole.Nella Madonna delle Ciliegie, la forza dell’ineluttabilità è il sentimento che accomuna la madre -coperta da un ampio mantello nero– e il figlio, il bambin Gesù, nudo e ritratto con doppia aureola di beatitudine allo stesso modo della madre Maria.L’opera non è un dipinto su tela come si potrebbe immaginare ad un primo sguardo, piuttosto è realizzata a tempera su tavola di legno, cosa che fa riflettere sulla fragilità della pittura. La tempera infatti richiede una particolare attenzione di conservazione, perché rispetto ai dipinti a olio rischia di rovinarsi più facilmente. L’olio è una vernice o meglio il colore a olio è costituito da una serie di vernici applicate una sull’altra con arte.
.
Spesso per ottenere il risultato sperato bisogna fare attenzione affinché uno strato asciughi prima del successivo, in altre parole bisogna negli olii far attenzione alle sbavature, perché una mano non coli sull’altra e così via per altri accorgimenti che possono portare a mescolare accidentalmente i colori, ma in ogni caso la vernice del colore ad olio è più longeva dellatempera e inoltre la tela, assorbendo il colore con più forza, assicura una stabilità maggiore alla pittura rispetto al legno. Insomma la Madonna delle Ciliegie è un pezzo a cui avvicinandoci dobbiamo pensare alla delicatezza, la delicatezza dell’insieme tempera su tavola, e alla leggerezza che si porta con sé il tempo che ci separa dalla sua realizzazione; si tratta di un’opera del 1470, datata dunque a 549 anni fa. Questa leggerezza potremmo dire “sofficità” cade davanti a noi due volte, cioè dopo il primo approccio o “avvicinamento”, vediamo la Madonna delle Ciliegie come dire d’improvviso, infatti il taglio prospettico con cui santa Maria è presentata, specialmente l’architettura alle spalle della donna in nero è così netta da mostrarci la coppia Madonna e Bambino con una “quantità di inaspettato” a cui non eravamo preparati. E allora le ciliegie intorno al capo della donna non sembrano una stranezza, ma qualcosa di puro, divino, in altre parole il contrasto entro cui Maria è inserita è così forte che quelle ciliegie non stridono. Il pregio maggiore della Madonna delle Ciliegie per uno storico dell’arte è da considerarsi nell’ordine di idee che è stata realizzata a Ferrara nel 1470, in un periodo e in un luogo che è fiorito eccezionalmente -grazie al mecenatismo di Leonello d’Este-; un periodo che ha portato a dei picchi di novità unici, la cui realizzazione si ripresenta solamente molto più avanti e altrove. Nella prossima uscita della serie delle Donne (in nero) a Torino vediamo un’opera plurale che porta con sé una musica sconosciuta: il polittico di Sant’Anna dell’amatissimo Gaudenzio Ferrari, conservato ancora una volta ai Musei Reali di Torino, questa volta a piano terra della Galleria Sabauda.

Elettra- ellie- Nicodemi

Le “silenti domande” di Alessandro Marchetti

La mostra sarà fruibile al pubblico gratuitamente fino al 25 maggio negli orari di apertura della sede verbanese di Villa Caramora

Dal 23 marzo al 25 maggio il centro Auxologico Villa Caramora, in corso Mameli 199 a Verbania, ospiterà l’esposizione d’arte “Silenti Domande” di Alessandro Marchetti. Conosciuto da molti solo come attore, Marchetti è in realtà anche un artista capace di conciliare la sua attitudine a calcare le scene dei teatri con la pittura, la scultura e le opere di pittura digitale. Nelle sue opere la pittura e la rappresentazione teatrale si contaminano e i personaggi e le figure mostrano una chiara connessione con la Commedia dell’Arte. I suoi quadri sono un’immaginifica rappresentazione teatrale, in cui alla voce dei personaggi si sostituiscono le parole intime e silenziose degli spettatori che si interrogano e ritrovano se stessi: i personaggi che dipinge infatti sono un’occasione di meditazione su di noi, sulla vita e sulle odierne problematiche sociali. Per Marchetti l’arte rispecchia sempre i cambiamenti culturali e le tecnologie hanno un ruolo importante in questo cambiamento. Per questo l’artista ha iniziato a cimentarsi con la pittura digitale; attraverso questa tecnica infatti i protagonisti sono svuotati della loro consistenza fisica e sono immersi in non- luoghi/luoghi onirici con lo sguardo spesso rivolto all’indietro come a volerci dire che il futuro è nel passato al quale siamo inevitabilmente aggrappati. Marchetti utilizza il digitale consapevole del fondamentale legame con il disegno e la pittura, che rappresentano i punti di partenza. La mostra sarà fruibile al pubblico gratuitamente fino al 25 maggio negli orari di apertura della sede verbanese di Villa Caramora.

M.Tr.

L'isola del libro

Rubrica settimanale  dedicata alle novità in libreria
***
Heddi Goodrich “Perduti nei quartieri spagnoli” –Scrittori Giunti- euro 19,00
 
L’autrice è di lingua inglese ma ha riscritto in italiano, e in modo splendido, questo suo primo romanzo, diventato un caso letterario. Heddi Goodrich è nata a Washington nel 1971, arrivata a Napoli nel 1987 per uno scambio culturale ci è rimasta (a parte brevi periodi) fino al 1998. Si è laureata in Lingue e letterature straniere all’Istituto Universitario Orientale ed oggi vive in Nuova Zelanda, ad Auckland, con il marito e i 2 figli di 10 e 6 anni. Una bella giramondo che ha fatto sua la lingua italiana…di più… padroneggia pure il dialetto napoletano . Il libro, quasi un diario postumo degli anni giovanili, non è esattamente autobiografico, ma la biografia della scrittrice qualcosa spiega. Anche lei, come la protagonista Eddi,   ha fatto parte della schiera degli studenti fuori sede ed è planata nella città partenopea dove ha vissuto per un decennio. Eddi abita nei Quartieri Spagnoli, un dedalo di vicoli tra il suggestivo e il delabré, dove le case antiche sono affittabili a buon prezzo e l’umanità è varia quanto colorita. Poi c’è la storia d’amore con Pietro, studente di geologia, che ha alle spalle una famiglia contadina dell’Irpinia ben ancorata alle radici e alla sua terra. Due mondi, quelli di Eddi e Pietro, che guardano in direzioni diverse. Lei cittadina del mondo, lui attaccato alle sue origini anche se sognatore e velleitario. E spicca prepotente e chiarificatore il ritratto della madre di lui, Lidia. E’ lei l’antagonista di Eddi, (che si ostina a chiamare Edda). Contadina solo in apparenza dimessa e fragile, chiusa nei suoi silenzi, inospitale e fredda. In realtà è una gran lavoratrice e risparmiatrice che per tutta la vita è stata la vigile custode dell’ordine familiare. Ed è lei la catena che terrà legato Pietro. A Napoli i due giovani si amano e sognano di volare in un futuro più alto; ma è nell’atavico entroterra che tutto si schianta.
 
 
Enrico Pandiani “Ragione da vendere” – Rizzoli- euro 18,00
 
Tornano le avventure del commissario Mordenti e della sua squadra di flic chiamata “Les italiens”, nate dalla creatività dello scrittore torinese Enrico Pandiani, che esordì nel 2009 con la prima puntata della serie poliziesca. Da allora i lettori attendono il seguito delle rocambolesche vicende della brigata criminale parigina del Commissario Mordenti: una squadra di poliziotti che di fatto è una famiglia. Uno dei punti di forza dei suoi romanzi è l’umanità dei personaggi. Il commissario Mordenti è un antieroe con un debole per le donne che lo porta a fare sciocchezze….come non affezionarsi a lui? In “Ragione da vendere” ricompare a sorpresa anche l’investigatrice Zara Bosdaves, protagonista di un precedente libro di Pandiani, che aveva voluto creare anche un’intrigante protagonista femminile dei suoi noir. Era “La donna di troppo” (Rizzoli) del 2013, ambientato a Torino. Lì la poliziotta bella, alta, sottile, bionda, “tosta”, un po’sciupata dalla vita, madre separata che si era rifatta una vita, nostalgica della figlia studentessa all’estero, pur facendo un lavoro da “dura”, aveva delle fragilità. Qui la ritroviamo oltralpe alla disperata ricerca della figlia scomparsa nel nulla, invischiata più che mai nella storia che inizia un’afosa notte di agosto con un inaspettato spettacolo pirotecnico. Sottocasa di Servandoni, (uno dei flic dei “Les italiens”) scoppia una sparatoria, viene assalito un furgone a mano armata, due uomini scaricano una grossa cassa dal suo retro, mentre un terzo bandito apre la portiera del passeggero e con violenza tira fuori una donna che scalcia ed urla e la sequestra. Sul campo resta un morto, un cittadino inglese, George Stubbs, broker nel campo dell’arte e con la passione per l’antiquariato. Ed ecco, inizia la caccia per ritrovare una preziosa opera. Ci saranno incursioni nel non sempre limpido mondo dei mercanti, la comparsa di un ricettatore vietnamita e di una femme fatale pericolosa e manipolatrice. In tutto questo si avvita anche la storia d’amore tra Mordenti e la figlia del suo capo, Tristane Le Normand; perché Pandiani non dimentica mai che i suoi personaggi hanno anima e cuore e come noi…una vita non sempre facile.
 
 
Vera Giaconi “Persone care” – SUR – euro 15,00
 
10 racconti che sondano sentimenti complessi come amore, amicizia, rapporti familiari e dissapori vari. Sono racchiusi nel libro della scrittrice uruguaiana Vera Giaconi, nata a Montevideo nel 1974, che ha trascorso la sua giovane vita a Buenos Aires in Argentina. Da circa 13 anni lavora come editor e redattrice freelance per svariate case editrici e riviste. Insegna anche scrittura creativa e il   suo primo libro è stato “Carne viva” pubblicato nel 2011. Ora, con “Persone care”, sua seconda opera, è stata finalista al prestigioso Premio Internacional de Narrativa Breve Ribera del Duero.
Nello spazio compreso tra Montevideo, Punta del Este, Buenos Aires e Mar del Plata, ambienta i suoi 10 racconti e spalanca finestre sul vissuto quotidiano di tanti personaggi diversi tra loro, scandagliando la ferocia e la fragilità che a volte sono il cardine di relazioni ed affetti. Nelle pagine troviamo tanti capitoli di vita. Dall’uomo che nell’Argentina dei desaparecidos cerca di proteggere la nipotina, alla giovane donna che -pur amando sua sorella- gongola quando le cose le vanno male. Dall’ansia di un figlio che deve fare i conti con la vecchiaia della madre e non sa bene dove collocarla, alla morte della più giovane di tre sorelle che scatena ricordi e qualche sgarbo del passato. Insomma un microcosmo di persone con le loro lacune, gli affetti non sempre lineari, le debolezze e i punti di forza che corrispondono semplicemente alla vita. E ci porta ad interrogarci, a farci ammettere che anche noi, magari solo per qualche istante, possiamo aver odiato la madre, essere stati gelosi di un fratello o una sorella, esserci trovati disarmati di fronte al declino di un anziano… o che almeno una volta abbiamo amato qualcuno che ci ha umiliato e ferito a morte. Sentimenti comuni che appartengono all’esistenza, a qualunque latitudine del globo, e la Giaconi sa narrarli benissimo.

Fedez e il rock-blues di Jon Spencer

Gli appuntamenti musicali della settimana : 11/17 marzo

Lunedì. Al Milk suona Enzo Zirilli con i ZiroBop. Al cinema Massimo Jeff Mills sonorizza “Metropolis” di Fritz Lang. Al teatro Colosseo canta Cristiano De Andrè. Al Birrificio Torino suona il trio del trombettista Luca Begonia.
Martedì. Al Jazz Club si esibisce il pianista Emanuele Sartoris. Al Blah Blah suonano i Jance Pornick Casino mentre al Mad Dog è di scena il trombettista Chad McCullough.
Mercoledì. Al Jazz Club suona l’Organ trio di Alberto Marsico.
Giovedì. Al Caffè Neruda si esibisce l’Italian Quartet del sassofonista Hector “Costita” Bisignani. Allo Spazio 211 suona Jon Spencer senza i Blues Explosion, ma con gli Hitmaker, preceduto dagli Sloks. Al teatro Concordia di Venaria si esibisce il gruppo reggae Alborosie. Al Jazz Club sono di scena i Savana Funk. All’ Hiroshima Mon Amour suonano i C’mon Tigre mentre all’Astoria è di scena Venerus. Per “ Novara Jazz” all’Opificio Cucina e Bottega si esibisce il Mixed Media Trio.
Venerdì. Al Blah Blah suonano i Buke & Gase. Al Circolo della Musica di Rivoli, i Massimo Volume presentano il nuovo disco “Il nuotatore”. Al Supermarket sono di scena i Colle Der Formento. Allo Ziggy si esibiscono i Spiritual Front mentre Alessio Lega al Folk Club, rende omaggio al cantautore Salvovic Okudzava.
Sabato. Al Magazzino di Gilgamesh suona il bluesman Ronnie Jones. Al Jazz Club si esibisce il duo Two Late. Al Pala Alpitour arriva Fedez mentre al Concordia di Venaria si esibiscono i Maneskin. Al Magazzino sul Po sono di scena gli Oneida. Allo Spazio 211 suonano Le Capre a Sonagli. Per “Novara Jazz” al Piccolo Coccia è di scena il trio del pianista Alessandro Giachero.
Domenica. Allo Spazio 211 suonano gli Health.
 

 

Pier Luigi Fuggetta

L’abisso di Davide Enia. Standing ovation per i sommersi e i salvati

Per l’autore è sembrata una vera necessità, un’urgenza, la scelta di portare in scena questi racconti, una sorta di continua elaborazione di un lutto di immani proporzioni

foto di futura tittaferrante

Torna sul palcoscenico dopo undici anni lo scrittore, attore e regista palermitano Davide Enia con L’abisso, tratto dal suo romanzo Appunti di un naufragio edito da Sellerio. Lo spettacolo è il racconto di episodi, storie, ricordi dolenti di chi a Lampedusa assiste quotidianamente da vent’anni alla tragedia contemporanea degli sbarchi e dei naufragi nel Mediterraneo. Per l’autore è sembrata una vera necessità, un’urgenza, la scelta di portare in scena questi racconti, una sorta di continua elaborazione di un lutto di immani proporzioni. Non c’è nulla di romanzato, sono tutte reali testimonianze che Davide Enia ha raccolto durante le sue assidue visite nell’isola ascoltando funzionari della Guardia Costiera, medici, operatori, marinai, pescatori, isolani. Pura realtà dei fatti finalmente scevra delle mistificazioni della bagarre politica, dei populismi e dei buonismi. Uno straziante racconto dove le parole vengono fuori agite in una gestualità quasi liturgica seguendo una metrica e un ritmo totalmente ridisegnati, un po’ cunto, tipico della cultura siciliana, un po’ litania quando è la chitarra di Giulio Barocchieri ad accompagnarlo. E i silenzi, carichi di atrocità insopportabili, perché come i siciliani amano dire la parola migliore è quella non detta. Un nuovo linguaggio per evocare storie indicibili, perché qualsiasi artificio letterario non sarebbe in grado di rendere giustizia agli eventi.Tra i tanti testimoni c’è Simone, il sommozzatore grande come una montagna che dice: “Io non sono di sinistra, anzi, tutt’altro, proprio l’opposto. In mare ogni vita è sacra. Se qualcuno ha bisogno di aiuto, noi lo salviamo. Non ci sono colori, etnie, religioni. È la legge del mare”. È infatti la Natura che detta legge e bene lo sapevano i greci. C’è una legge di mare: salvare chi ha bisogno d’aiuto; e una legge di terra: seppellire i morti, e se ormai si è sordi a questi antichi precetti siamo testimoni di un naufragio generale di ogni forma di etica, di civiltà, di spiritualità. Riflessioni a cui si giunge spontaneamente lasciandosi cullare dalle parole evocative di Enia che sa insinuare riflessioni, amarezza, indignazione senza mai puntare il dito, senza ombra di retorica, mescolando anche aneddoti autobiografici, del padre e dello zio, che strappano sorrisi. Si ride e si piange. E alla fine tutti in piedi ad applaudire per minuti interminabili carichi di commozione.

Giuliana Prestipino

 

Colazione al Borgo Medioevale… alla scoperta dell'arte amanuense

Davvero originale l’evento organizzato dalla società Held Eventi il 24 febbraio, al Borgo del Valentino! I partecipanti – compresa la sottoscritta – hanno iniziato la mattinata con una buona colazione nella “Sala Ozegna” (di solito preclusa al pubblico), senz’altro degna di nota
La sala si trova all’interno della  “Casa di Ozegna” (edificio facente parte del complesso del Borgo), situata verso il Po e dedicata all’omonimo Castello, il cui ampliamento, avvenuto verso la metà del xv sec., fu voluto dal conte Gottifredo di Biandrate, che intendeva in tal modo assicurarsi una migliore protezione contro l’avversa famiglia dei Valperga; la struttura del suo loggiato e parti delle decorazioni in cotto ivi presenti sono state riprodotte, appunto, nella “Casa di Ozegna” qui in discorso. Tornando alla sala, gli affreschi sulle pareti ritraggono alcuni tra i più importanti castelli piemontesi, tra cui il Castello di Pavone (Castrum Pavo), il Castello di Masino (Castrum Maxinum) ed il Castello di Malgrà (Castrum Malgratum), tutte meraviglie ben conservate e visitabili: vale certamente la pena una gita nel Canavese! Dopo la colazione, i partecipanti sono stati accompagnati dalla guida al piano terreno della “Casa d’Alba”(sempre facente parte del Borgo), ove sin dal 1911 ha sede una stamperia artistica; essendo astigiana di nascita, ho appreso con orgoglio che le travature sporgenti del tetto si ispirano ad esemplari di Asti e Alba, mentre le pitture decorative provengono da Asti, Avigliana e Polonghera; inoltre, sulla facciata a destra si nota lo stemma in cotto della famiglia Pelletta (una delle più antiche appartenenti al patriziato astigiano; fece fortuna grazie ai commerci ed al prestito di denari su pegno), copia di quello conservato ad Asti: un leone rampante azzurro in campo oro, coronato, linguato e membrato di rosso. Gli onori di casa sono toccati a Mastro Vittorio Cerrato, che da sempre abita il piano superiore dell’edificio e gestisce la stamperia, luogo incantato per gli amanti dei libri, i cui sensi, non appena varcata la soglia, vengono immediatamente avvolti da “…quel profumo di carta e di magia che inspiegabilmente a nessuno era ancora venuto in mente di imbottigliare” (C.R. Zafòn, L’ombra del vento): invero, sugli scaffali e sulle pareti della bottega si notano decine e decine di libri ed edizioni di pregio, pubblicazioni dei musei della città e della regione, cornici, tele ed antiche stampe originali dal XVII al XX secolo. In questa magica atmosfera, i partecipanti hanno potuto assistere alla realizzazione di una stampa ottenuta da una lastra incisa con l’antica tecnica del bulino, un sottile scalpello con punta in acciaio; risale al 1461 la prima incisione in Italia con questo strumento, e tra i primi artisti del bulino si annoverano il Pollaiolo e il Mantegna. Giungiamo infine alla parte più creativa dell’evento, ovvero il laboratorio artistico:   grazie agli insegnamenti ed il supporto di Mastro Cerrato e della sig.ra Nadia, i partecipanti si sono cimentati nella realizzazione di una miniatura su pergamena, ed hanno imparato, ad esempio, che il termine “miniatura” deriva proprio dal minium, il nome latino del colore rosso-arancio con cui i monaci chiamavano il colore rosso usato per sottolineare o decorare il titolo del testo, i capitoli o le lettere iniziali di un manoscritto. I novelli artisti hanno inoltre appreso quali erano gli altri colori tipici usati dai monaci amanuensi nell’epoca medioevale, e da dove venivano ricavati: il blu dai lapislazzuli, era infatti il colore più prezioso; il verde dalla malachite; lo sfondo dorato veniva realizzato con la foglia d’oro. Ogni partecipante ha poi ricevuto in dono la pergamena appena lavorata, a ricordo (bellissimo) di una mattinata immersa nell’arte medioevale, che certo non capita tutti i giorni.
 

Rugiada Gambaudo


 

Torino Factory: il contest di cinema che promuove i giovani talenti

Dopo un brillante esordio torna al gLocal Film Festival Torino Factory per promuovere la creatività dei più giovani. Il contest, dedicato a opere a tema libero di tre minuti, ambientate in una delle otto circoscrizioni torinesi, è rivolto a filmmaker under 30 con lo scopo di metterli in relazione con la città e valorizzare la vocazione cinematografica della regione
Le otto troupe, selezionate dal direttore artistico Daniele Gaglianone, proseguiranno il percorso mettendosi alla prova nella realizzazione di cortometraggi, girati nei quartieri torinesi guidati da tutor esperti, che saranno presentati al prossimo Torino Film Festival. Domani alle 14.30 al Cinema Massimo verranno riproposti i lavori premiati della passata edizione: Tempo critico di Gabriele Pappalardo e Solo gli occhi di Emanuele Marini e verranno proiettati gli otto corti finalisti della 2° edizione: Gli scarafaggi di Marco De Bartolomeo e Navid Shabanzadeh; Hic sunt leones di Davide Leo, Giorgio Beozzo, Stefano Trucco e Fabrizio Spagna; La ragazza cinese di Guglielmo Loliva; /mà-dre/ di Stefano Guerri; Manuale di Storie del Cinema di Bruno Ugioli e Stefano D’Antuono; Scheletri di Fabiana Fogagnolo e Luigi De Rosa; Selene di Sara Bianchi; The song di Tommaso Valli, Andrea Cassinari e Virginia Carollo. Abbiamo incontrato il vincitore della prima edizione di Torino Factory, Gabriele Pappalardo, studente dei linguaggi cinematografici al DAMS classe 1995. Un background interessante quello di Gabriele che, appena maggiorenne, fonda a Savigliano, dove è nato, l’associazione B612 Lab allo scopo di promuovere la cultura sul territorio e progetti legati alle politiche giovanili e allo sviluppo socio culturale della comunità. Nonostante la giovane età ha già le idee chiare. Si definisce un realista, la sua aspirazione è quella di raccontare storie vere, ma non con lo stile didascalico del documentario, ma usando codici cinematografici, meccanismi inediti e creativi dello storytelling. Ed è quello che è riuscito a fare nel suo primo lavoro, il cortometraggio Tempo critico, che è stato premiato durante la serata di chiusura del Torino Film Festival 2018 con la seguente motivazione “Perché racconta con onestà, profonda partecipazione e con consapevolezza drammaturgica uno spaccato di vita, in tutte le sue sfaccettature: la condizione familiare e sociale, l’inventiva e l’intraprendenza, le aspettative per il futuro”.  La macchina da presa segue le vicissitudini e i discorsi di due ragazzi nati e cresciuti nei palazzi popolari, le Torri, delle Vallette. Luca vive con la nonna e per sbarcare il lunario taglia i capelli a casa propria alla gente del quartiere, Fazza, più filosofico, riflette sul senso della vita, sul desiderio di avere una vita normale, una famiglia. Ma il tempo è “critico”, in tutte le sue accezioni. Critico nel senso di difficile perché mancano punti di riferimento, famiglie solide che sappiano indicare ai protagonisti una via, il modo di affermarsi che qui, per forza di cose, viene a coincidere con l’istinto di sopravvivenza. E “critico” deriva anche dalla parola greca “krísis” che significa scelta, decisione. “Cosa fai quando non c’è via d’uscita?” si interroga uno dei personaggi, cioè quando le situazioni degenerano in modo irreversibile, quando il tempo si ripete uguale a se stesso finendo per attorcigliarsi su se stesso e collassare in spazi claustrofobici che non lasciano scampo? Un lavoro molto interessante per contenuti e stile. Nonostante la macchina da presa segua i ragazzi ovunque con la tecnica del pedinamento, di zavattiniana memoria, ai giardinetti, in casa, sui muretti e perfino sul tetto, indugiando sulle loro spontanee e disarmanti conversazioni e improvvisazioni rap, non si percepisce uno sguardo esterno. Ci sembra di essere accanto a loro e per questo sembra impossibile tranciare giudizi stereotipati su un mondo lontano da noi, una città invisibile, sommersa, dentro la città. Gabriele ci ha svelato che per ottenere questo effetto di naturalezza per il quale ad un certo punto non si avverte la presenza della macchina da presa, ha creato prima un contatto umano con i ragazzi, con il quale ha ottenuto un senso di fiducia e abbandono da parte loro. Per lui non è stato difficile empatizzare con Luca e Fazza perché in quella panchine della periferia ha riconosciuto un po’ la sua provincia odiata e amata, perché prigione e famiglia allo stesso tempo come per i suoi personaggi. Ma il rischio, ha raccontato il giovane videomaker, era quello di empatizzare a tal punto da confondere il ruolo di regista con quello di confidente e non rappresentare più uno sguardo esterno ma parte del quadro. Non è stato facile anche perché si è lasciato guidare più dalle suggestioni dei personaggi che da una sceneggiatura vera e propria, ma ci è riuscito grazie anche alla sapiente guida del tutor Enrico Giovannone che lo ha saputo indirizzare in fase di montaggio. Il lavoro sembra un estratto di un lavoro più ampio e articolato, perché in pochissimi minuti intravediamo quel senso di spaesamento, precarietà e solitudine che accomuna un po’ tutte le periferie, che tendono ad assomigliarsi nel loro essere universi paralleli. È incoraggiante cogliere negli occhi di ragazzi così giovani la curiosità nei confronti del prossimo, la voglia di raccontare mondi nascosti, realtà meno attraenti ma cariche di spietate verità e poesia.

Giuliana Prestipino