CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 663

“Sera d’Estate 2017”, il “Pannunzio” in Liguria

Lunedì 7 agosto alle ore 21,30, ad Alassio in piazza della Libertà (giardini antistanti il Palazzo del Comune), il Centro “Pannunzio” organizza la “Sera d’Estate 2017” durante la quale verranno conferiti il Premio “Pannunzio Alassio 2017” al Generale dei Carabinieri Mario Mori , già  comandante dei Ros ,protagonista della lotta al terrorismo con il gen. dalla Chiesa e alla mafia ,prefetto della Repubblica, cavaliere di gran Croce,vittima di pentiti che lo hanno accusato ingiustamente  come acclarato con sentenza definitiva dalla Magistratura;

 il Premio “Flaiano Cultura 2017” a Francesca Rotta Gentile, docente e promotrice culturale nel Ponente e a Cervo e San Remo,in modo particolare ;

 il Premio “Mario Soldati 2017” a Bianca Vera Volpe e Sara Bajardo, imprenditrici dell’accoglienza turistica alassina,tra l’altro, con gli Hotel Savoia ,dei Fiori  e La spiaggia,il ristorante Prua, un’ eccellenza gastronomica   ligure .
Dice Pier Franco Quaglieni  presidente dei premi : “E’ un’occasione importante ,un evento – clou dell’estate alassina che io dedico al ricordo di Romano Strizioli e Roberto Baldassarre,Lelio Speranza.”

 Porterà il saluto della Città di Alassio il Sindaco Enzo Canepa.
 
Luisella Berrino presenterà il libro di Pier Franco Quaglieni “Figure dell’Italia civile”, Golem Edizioni.Trenta  ritratti di grandi italiani tra  cui i giornalisti Carlo Casalegno,Alberto Ronchey , Giovanni Spadolini, Indro Montanelli, il filosofo Norberto Bobbio,lo scrittore Primo Levi,gli imprenditori Olivetti e Pininfarina,gli storici Venturi e Valiani,Luraghi,docente a Genova. Al termine, Luisella Berrino farà firmare  al giornalista Sandro Chiaramonti la piastrella del Muretto di Alassio come attestazione del lungo e importante impegno giornalistico in difesa  e promozione della Liguria  e di Alassio  anche in ricordo di Mario Berrino.Lo scorso anno firmo’ la piastrella Maurizio Molinari e due anni fa  Arrigo Cipriani.

Estate al Museo del Risorgimento

METTI IN GIOCO LA STORIA

Torna anche questa settimana al Museo Nazionale del Risorgimento l’appuntamento con  METTI IN GIOCO LA STORIA, l’iniziativa che si realizza in collaborazione con le associazioni LudiChieri, GiocaTorino, Una Mole di Dadi ed altre presenti sul territorio metropolitano di Torino. Si tratta di una proposta che abbina alla visita al museo la possibilità di giocare a giochi da tavolo in diversi punti del percorso. L’obiettivo è di valorizzare la concezione del gioco come elemento di attrazione per le famiglie, ma anche come veicolo di diffusione culturale e attività che permette di unire divertimento e formazione. Sabato prossimo 5 agosto 2017 dalle ore 14 alle ore 18, i visitatori potranno dunque scegliere di misurarsi insieme ai componenti delle associazioni in attività ludiche di simulazione storica e scoprire che il gioco è non solo una fonte di divertimento fruibile per ogni fascia di età, ma anche uno strumento per lo sviluppo culturale e delle  capacità intellettive e sensoriali.Ci si potrà sfidare a Torinopoli, Carcassonne, Diplomacy, ma anche con giochi che richiamano il periodo storico raccontato dal Museo: Risorgimento 1859 (che è la simulazione di tre battaglie dell’epoca: Magenta, Solferino e San Martino), Battle Cry, There must be a victory e Garibaldi (quest’ultimo un gioco “asimmetrico e deduttivo” durante il quale una persona finge di essere l’eroe dei due mondi che deve sfuggire ai nemici, mentre tutti gli altri giocatori al tavolo, non sapendo dove si nasconde, cercheranno di incastrarlo e catturarlo attraverso vari indizi). Da non perdere poi il tavolo con la riproduzione del Gioco dell’Oca edito dalComitato patronesse della assistenza pubblica milanese nel 1916. Una copia originale è esposta nella sala 29 del Museo: si tratta di un esempio della capillare opera di mobilitazione e assistenza della popolazione verso il fronte, nel corso della Prima guerra mondiale. Conosciuto come “Gioco dell’aquila sotto mentita veste”, con esplicito riferimento all’aquila a due teste austriaca, nell’illustrazione riporta l’invito a devolvere i soldi guadagnati nel gioco alla raccolta di lana per i soldati al fronte.

L’iniziativa è gratuita per tutti i visitatori che avranno pagato il normale biglietto di ingresso secondo le consuete tariffe e riduzioni. Segnaliamo in particolare il biglietto famiglia che consente l’ingresso a soli 18 euro ai gruppi di max cinque persone, di cui due adulti e tre bambini o ragazzi. Non occorre prenotazione.

Estate al Museo del Risorgimento  – REALI SENSI: L’OLFATTO

Nell’ambito dell’iniziativa Reali Sensi,  domenica 6 agosto alle ore 15.30 il Museo propone la visita tematica multimediale “Profumo di libertà: popoli in cerca di futuro”: la conquista della libertà in Europa dalla Rivoluzione francese ai processi di nazionalità che si compirono nella seconda metà dell’Ottocento. Un viaggio nella storia di chi allora, esattamente come accade oggi, cercava un riscatto personale e collettivo. Info e prenotazioni su www.residenzereali.it

Per ulteriori informazioni e aggiornamenti sui giorni e gli orari delle varie iniziative in programma si consiglia di consultare il sito www.museorisorgimentotorino.it.

Rigoni Stern, il coraggio di dire no

Se n’è andato a 86 anni , il 16 giugno di nove anni fa, sul finire della primavera. Mario Rigoni Stern aveva descritto in un libro, “Stagioni”, cosa significasse per lui lo scorrere del tempo. Se dell’inverno  ricordava la legna secca che brucia nelle cucine, il freddo e la neve, dell’estate rammentava i salti sui mucchi di fieno e le cacce ai nidi di calabroni mentre l’autunno era stagione di rientro delle greggi, delle cacce, delle escursioni tra i boschi. In primavera, invece, partivano gli emigranti stagionali per la Prussia o la Boemia, ma era anche il momento del risveglio della natura e del ritorno dei rondoni, oltre che il periodo migliore per morire, come avvenne al nonno di Mario, a sua madre e a lui stesso. Morire mentre rinasce la vita. Forse è anche per questo che il tempo che scorre non affievolisce la voce che esce dalle pagine che ci ha lasciato. Una voce potente che si può udire leggendo la raccolta di 27 interviste fra le tante concesse dallo scrittore di Asiago nell’arco di tempo compreso fra il 1963 ( quando vinse il Bancarellino con “Il sergente nella neve”) e il 2007, l’anno prima della sua morte. Le pubblicò Einaudi col titolo ”Il coraggio di dire no”, a cura di Giuseppe Mendicino.I  testi si suddividono in quattro parti : “La vita”, “I libri”, “Le guerre”, “La natura, le montagne, la caccia”, riassumendo la biografia e l’orizzonte etico-culturale di Mario. Rigoni Stern non si è mai considerato un vero e proprio romanziere ma semmai un narratore, un testimone, un “cancelliere della memoria”, come lo definì acutamente Corrado Stajano. La raccolta inizia con un monologo dello stesso scrittore, che racconta il suo grande “rifiuto”, dopo essere stato fatto prigioniero dai nazisti e internato in un lager in Masuria, vicino alla Lituania.  Scrive, Rigoni Stern: “Dopo quattro o cinque giorni, ci proposero di arruolarci nella repubblica di Salò, ossia di aderire all’Italia di Mussolini. Eravamo un gruppo di amici che avevano fatto la guerra in Albania e in Russia. Eravamo rimasti in pochi. Ci siamo messi davanti allo schieramento, e quando hanno detto «Alpini, fate un passo avanti, tornate a combattere!», abbiamo fatto un passo indietro. Gli altri ci hanno seguito… Abbiamo resistito.. Avevamo imparato a dire no sui campi della guerra. È molto piú difficile dire no che sí.”. La sua narrazione è chiara, calda, antiretorica. Trasmette per intero il suo codice etico dove trovano spazio il senso di giustizia, il coraggio, l’amore per la natura, la generosità verso gli altri, l’indipendenza di giudizio, la passione civile. In un colloquio del 2004 per “La Regione Ticino”,Rigoni Stern mise in luce il suo lato ironico, raccontando di una specie di scherzo che faceva con Giulio Einaudi andando in giro per le librerie e rivoltando verso l’interno i dorsi dei libri che non gradivano. In questa come in tutte le sue opere, Mario Rigoni Stern riflette l’immagine di una persona saggia, severa con se stesso prima ancora che con gli altri, ma capace anche di grande ironia. E di una forza che, per fortuna, attraverso i libri, non ha mai smesso di parlarci e farci compagnia.

Marco Travaglini

“I Longoni” in mostra a Vignone

Prosegue alla Casa degli archi “Martino Poletti” di Bureglio di Vignone (Vb) la mostra di pittura “I Longoni” , con le opere di Alberto Longoni e Lidia Josepyszyn. La mostra sarà visitabile fino al 20 agosto, tutti i giorni nel pomeriggio, dalle 16 alle 19,  e nei giorni festivi anche al mattino, dalle 10 alle 12. L’evento artistico è patrocinato dal comune di Vignone e dall’associazione “la Degagna”. Quella dei Longoni è una famiglia di artisti, con il capostipite Alberto, la moglie Lidia e la figlia Elisa. Nato a Milano nel 1921 e morto a Miazzina, sulle colline del Verbano, nel 1991, Alberto Longoni è stato un artista completo. Scrittore e illustratore di libri (tra i quali “Il gioco delle perle di vetro” di Hermann Hesse,  una delle opere che contribuirono ad attribuire all’autore di “Siddharta” il Nobel per la letteratura ) eseguì incisioni, graffiti, dipinti, illustrò riviste italiane e straniere, copertine di dischi, ceramiche, sculture e collaborò all’architettura di giardini. Durante la guerra, militare a Creta, fu fatto prigioniero dei tedeschi e internato in Germania nel campo di concentramento di Buchenwald, a pochi chilometri da Weimar, la città di Goethe e Friedrich Schiller. L’orrore e la violenza nazista a due passi dal centro spirituale, intellettuale e artistico della Germania e d’Europa. Lì, nel lager sulla collina dell’Ettersberg, incontrò una ragazza polacca, Lidia Josepyszyn, che diventò poi sua moglie. Una esperienza durissima, tremenda quella del lager in Turingia – dove morì Mafalda di Savoia – che si può leggere  proprio nella prima sala del Museo al Deportato di Carpi, dove  si trova un  suo graffito grande come tutta la parete che raffigura centinaia di deportati così come essi diventavano nel campo: magri, ridotti a pelle e ossa,  con gli occhi vuoti e privi di espressione, senza bocca. Nel 2006 è stata pubblicata,a cura del comune di Verbania, in occasione di una mostra sulle opere di Alberto Longoni a Villa Giulia, la favola “Il cavaliere che non sapeva di essere cavaliere”, scritta dalla figlia Elisa e impreziosita dalle illustrazioni in bianco e nero del padre Alberto.
Marco Travaglini 

 

La rivista Buduàr riscopre Enzo Tortora scrittore

La rivista di umorismo e satira “Buduàr”, mensile online che si sfoglia come un giornale, riscopre e ripropone Enzo Tortora nella sua veste di scrittore pubblicando a puntate il suo libro “Le forche caudine”, premiato con la Palma D’Oro per la Letteratura Umoristica al XX Salone Internazionale dell’Umorismo di Bordighera del 1967. Quello di Tortora è un libro ormai reperibile soltanto su qualche bancarella, ma che viene ripresentato, cinquant’anni dopo la sua uscita, in tutta la sua freschezza e inaspettata attualità dai curatori della rivista, che hanno ottenuto la gentile ed entusiastica autorizzazione della figlia Silvia Tortora.

Pochi ricordano che Enzo Tortora, oltre ad essere giornalista, autore, conduttore televisivo e radiofonico di programmi di successo, è stato anche un fine scrittore umorista. Il suo libro “Le forche caudine”, edito da Bietti, è infatti una raccolta di racconti e appunti sul mondo dello spettacolo di quegli anni, racconti realistici, ironici, spietati, cinici: una panoramica di situazioni e personaggi, visti attraverso l’occhio critico del giornalista e dell’umorista, che conosceva bene quell’ambiente sul palcoscenico e dietro le quinte.

La rivista “Buduàr, almanacco dell’arte leggera” (www.buduar.it) è una rivista online che pubblica vignette, strisce, racconti, articoli d’informazione e storici sull’umorismo, giunta al suo sesto anno di vita e al n.45 e premiata nel 2014 a Forte dei Marmi con il “Premio Zac” come migliore rivista umoristica dell’anno.

Anche nell’ambito del noto premio letterario “Racconti nella Rete” della rassegna “LuccAutori”, viene assegnato un Premio Buduàr per il miglior racconto umoristico.

Il mensile online “Buduàr” dal fascino vintage e le cui 120 pagine si sfogliano come un normale giornale, è curato da Dino Aloi, Alessandro Prevosto e Marco De Angelis e vanta la collaborazione di molte delle migliori firme italiane e straniere, tra cui i disegnatori Giuliano, Staino, Bozzetto, Contemori, Silver, Lunari, Carnevali, Magnasciutti, Natali, Nardi, Trojano, Squillante, Ballouhey, Khiari, e gli scrittori Lico, Belluardo, Rinaldi, Mellana, Suarez.

Il nome di Enzo Tortora, autore di “Le forche caudine”, si identifica con programmi come Il festival di Sanremo, la Domenica Sportiva, Bada come parli, Il Gambero, Portobello e innumerevoli altri legati alla sua poliedrica attività, prima di attore e poi di giornalista e conduttore di successo. Ma purtroppo il suo ricordo è soprattutto segnato dal clamoroso caso di malagiustizia di cui fu vittima, con un errore giudiziario che ne segnò profondamente la vita, gli fece subire sette mesi di reclusione, una dolorosa e contraddittoria campagna mediatica e a una dura condanna seguita dalla sua completa e definitiva assoluzione nel 1987, dopo complesse indagini che ne confermarono l’assoluta innocenza. In questi anni Tortora s’impegnò nella difesa dei diritti umani e civili come eurodeputato e poi presidente del Partito Radicale e riuscì anche a tornare allo spettacolo, conducendo ancora Portobello e Giallo, fino al 1988, anno della sua scomparsa.

Questo libro ce lo fa riscoprire nella sua veste più autentica, quella di un obiettivo professionista dell’informazione, che guardava e giudicava con divertita ironia e critica pungente i personaggi e le situazioni del mondo dello spettacolo degli sfavillanti anni ’60.

 

Film Commission, campagna social sulle produzioni made in Torino

Da oggi Film Commission Torino Piemonte lancia #FCTPClassic, una campagna social dedicata alle produzioni realizzate a Torino e in Piemonte,  dando lavoro a gente del posto e visibilità, in Italia e all’estero, a palazzi storici, luoghi e paesaggi. Così ogni mese, sulla pagina Facebook della Fondazione, sarà  raccontato un film, una serie tv, un cortometraggio, un cartone animato, grazie a  video, fotografie, interviste realizzati per l’occasione o ripescati dagli archivi di Fctp. Il progetto dura  un anno e nasce per raccontare il lavoro di Fctp attraverso le produzioni sostenute e per coinvolgere cineasti e grande pubblico in un percorso di narrazione collettiva di cinema.

#PARCO DORA LIVE che successo la prima edizione!

Due mesi di grande cabaret e musica di qualità e altrettanti sold-out per gli artisti in calendario

 

Gran finale col botto – in termini di successo di critica e grande, costante affluenza di pubblico – per la prima edizione 2017 della rassegna nazionale di spettacolo ‘#Parco Dora Live’ a Torino.

Promossa dal Centro Commerciale ‘Parco Dora’ nell’omonima piazzetta antistante, la kermesse ha visto sfilare per due mesi – giugno luglio – ogni venerdì e domenica sera nomi di primo piano del cabaret e della musica quali, tra gli altri, Enzo Iacchetti, Gabriele Cirilli, Marco & Mauro, Marco Berry, Paolo Migone, i Panpers, Max Cavallari dei Fichi D’India, Marco ‘Baz’ Bazzoni e cantanti di primo piano quali Mario Venuti, Francesco Baccini, Silvia Mezzanotte, Alexia, Alan Sorrenti, Marco Ferradini, Donatella Rettore e Paolo Vallesi. Il tutto con la conduzione di Gianpiero Perone, noto attore comico torinese, e della coppia Carlotta Iossetti (celebre volto della ‘Melevisione’ di Raitre) e Gino Latino, dj e speaker di Radio ‘GRP’, prima radio del Piemonte, media partner dell’intero evento.

Vivamente soddisfatto Emanuele Manca, Manager di ‘Parco Dora’: “La rassegna ‘#Parco Dora Live’ è stata un’occasione per la Città di Torino e per i nostri clienti di poter vivere un ricco calendario di spettacoli gratuiti di musica italiana di alto livello: per offrire un’occasione culturale importante anche a chi, vista la crisi in atto, non può permettersi di assistere a un concerto a pagamento. Un risultato importante, conseguito con l’ottimo gioco di squadra del Comune di Torino e delle Forze dell’Ordine – Polizia di Stato, Carabinieri e Polizia Municipale -, che ringrazio per il prezioso supporto e l’altrettanto importante servizio di presidio di sicurezza svolto con cura, garbo e professionalità costanti”.  E aggiunge: “Abbiamo puntato, a livello artistico, su nomi di primo piano degli anni ’80, ’90 e 2000, inaugurando una tendenza nuova nel capoluogo piemontese, solitamente avvezzo a ospitare invece per lo più Festival d’avanguardia e di musica alternativa. Fare numeri su nomi attuali è abbastanza scontato: la nostra scommessa, felicemente vinta grazie alla notevole partecipazione della cittadinanza, è di aver puntato su una tipologia di cast di voci che hanno fatto e scritto pagine memorabili e altrettanto storiche della nostra canzone”. Per poi concludere: “Il fatto che teatro di questo evento sia stato il ‘Parco Dora’, area di riconversione industriale e abitativa perfettamente riuscita a Torino, è un altro punto a favore della piena rinascita del quartiere storico e popolare che ci ospita e a cui, come Centro Commerciale, siamo fieri di appartenere da quindici anni a questa parte. Appuntamento, dunque, al 2018 con tante altre novità”, rilancia Emanuele Manca.

 

Torna il grande jazz all’Imbarco Perosino

Luigi Tessarollo Chitarra, Mario Tavella Contrabbasso, Riccardo Ruggieri Batteria

 

 

 

 

 

 

Ritorna il grande jazz al Ristorante Imbarco Perosino con una serata di gran classe in compagnia dei tre artisti che diletteranno il pubblico e gli ospiti della cena del pregiato Ristorante in riva al Po con il loro accattivante e coinvolgente repertorio di brani scelti con cura tra i più noti compositori della letteratura jazzistica

 

Il signor Brusa e il Duomo di Milano

A monte della frazione di Candoglia, nel comune di Mergozzo, sulla sinistra del fiume Toce, proprio all’imbocco della Val d’Ossola, si trovano le cave dalle quali proviene il marmo del Duomo di Milano. L’idea di usare quella pietra bianca, screziata di rosa, al posto del mattone per la costruzione della cattedrale fu di Gian Galeazzo Visconti che, per rifornirsi della materia prima, fondò la “Veneranda Fabbrica del Duomo”. Il Signore di Milano, affascinato dalla bellezza cristallina del marmo, cedette in uso alla Fabbrica le cave di Candoglia, concedendo altresì il trasporto gratuito dei marmi fino al capoluogo lombardo,  attraverso le strade d’acqua. Era il 24 ottobre 1387. E, da allora, per secoli, da quelle cave si è estratto il marmo che è servito a costruire il monumento simbolo del capoluogo lombardo, dedicato a Santa Maria Nascente, sormontato dalla madonnina che venne innalzata sulla guglia maggiore del Duomo negli ultimi giorni di dicembre del 1774. Si trattava di un lavoro faticoso, ritmato da picconi, mazze, punte, cunei e palanchini. Così, partendo dall’impressionante caverna della cava Madre, la montagna è stata risalita, scavandola nel ventre, tagliando i blocchi di pietra con il filo in metallo. Il trasporto via acqua del materiale avveniva dal Toce al Lago Maggiore, lungo il Ticino e il Naviglio Grande per finire nel cuore della  città fino alla darsena di S. Eustorgio, a Porta Ticinese. Così, grazie ad un ingegnoso sistema di chiuse, realizzato dalla “Veneranda Fabbrica”, il prezioso carico arrivava fino a poche centinaia di metri dal cantiere della Cattedrale. I barcaioli, per entrare in città senza pagare il dazio, utilizzavano una parola d’ordine – “Auf” – che in realtà era l’abbreviazione di Ad usum fabricae, cioè ad uso della Fabbrica, con la quale potevano passare senza versare il tributo imposto. In Lombardia, e non solo, è rimasta traccia di quell’usanza nell’espressione “A ufo” , intesa come “gratuitamente”. Chissà, poi, perché, a differenza del “gratis”, si è sempre più connotata con un profilo negativo, ma questa è un’altra storia… Il Cavalier Agenore Brusa, grossista di legname, proveniva da una delle famiglie che avevano, per intere generazioni, fornito il materiale alla Veneranda, un fatto che lo rendeva oltremodo orgoglioso. “Bei tempi quelli, caro Giovanni. Mio nonno, prima, e mio padre poi hanno lavorato per la Fabbrica di Candoglia tutta la vita. E ora, dopo che anch’io ho fatto la mia parte, tocca al mio Giulio tenere alto il buon nome dei Brusa” era solito ripetere all’amico Ambrogini. Il ragionier Giovanni Ambrogini era il braccio destro del signor Brusa. Da oltre trent’anni, senza mancare un giorno dall’ufficio, teneva con scrupolo la contabilità della “Brusa & Figli”. Era diventato, per Agenore, quasi un fratello. E come tale lo trattava, chiedendo consigli e ascoltandone i punti di vista che, immancabilmente, teneva in gran considerazione. Per il resto, grazie all’impegno di tutti, la “Brusa & Figli” era un’azienda più che solida e al fidatissimo contabile l’anziano titolare garantiva un adeguato stipendio, commisurato ai suoi servigi. Da troppo tempo, per mille ragioni, il signor Agenore non si recava a Milano, in visita al Duomo. L’ultima volta, con uno sforzo di memoria, immaginò fosse stata quand’era nato il piccolo Giulio. Ma da allora, di anni n’erano passati ben trentadue. “Occorre andarci, a Milano”, comunicò al ragioniere. “E ci andremo insieme, caro Giovanni. Così vedrai anche tu come sono conosciuto in quella città. Devi sapere che è proprio grazie alla mia attività al servizio della Fabbrica del Duomo che mi hanno insignito del titolo di Cavaliere del Lavoro”. Agenore teneva moltissimo a quel titolo e amava, come lui stesso affermava, “vestirsi con l’abito giusto”, quello “da Cavaliere”, una divisa che, per l’imprenditore, equivaleva a pantaloni e giacca di fustagno scuro, camicia bianca e corto cravattino nero, scarpe comode e, in testa, un vecchio “Panizza” di feltro al quale teneva molto, regalatogli dal padre Igino. I due partirono dalla stazione di Verbania-Fondotoce con il treno delle 6,29. Era un sabato e non faticarono a trovare posto a sedere sul treno mezzo vuoto, dato che gran parte dei pendolari che si recavano ogni giorno a Milano per lavoro avevano terminato la loro settimana. A Porta Garibaldi presero la linea verde della metropolitana fino a Cadorna e da lì, con la linea rossa, giunsero a destinazione alla fermata “Duomo”. Uscendo dalla metropolitana, in cime alle scale, si trovarono davanti l’imponente e gotica sagoma del Duomo. “Ah, che meraviglia”, esclamò estasiato il Cavalier Brusa, agitando la mano destra dove, tra indice e medio, teneva l’immancabile sigaro toscano. Il ragionier Ambrogini, estrasse dalla tasca un piccolo bloc-notes , leggendo i suoi appunti. “La quarta chiesa in Europa per superficie, dopo San Pietro in Vaticano, l’anglicana Saint Paul di Londra e la cattedrale di Siviglia ;la più importante dell’arcidiocesi milanese, sede della parrocchia di Santa Tecla..”. Il buon Giovanni, preciso come un ferroviere svizzero, si era documentato ben bene. Al Cavaliere quell’accuratezza, diligente e meticolosa, piaceva molto. In molti consideravano l’Ambrogini un pignolo, persino un po’ pedante, ma ciò che i più consideravano un difetto, per Agenore Brusa rappresentava una qualità. E che qualità: cura, scrupolo e rigore! Il massimo che potesse desiderare dal suo più stretto e fidato collaboratore. Lo ascoltava, ammaliato, senza dimenticarsi di ricambiare – con un cenno di capo – al saluto che gli avevano rivolto alcuni passanti. “Ci sono voluti cinque secoli per costruirlo, durante i quali  si sono avvicendati nella Fabbrica del Duomo architetti, scultori, artisti e maestranze, provenienti da tutta Europa. Il risultato è un’architettura unica, una felice fusione tra lo stile gotico d’oltralpe e la tradizione lombarda. Con una decorazione impressionante di guglie, pinnacoli, cornici  e un patrimonio immenso di oltre tremila statue. E sulla più alta delle 145 guglie, la celeberrima Madonnina che non è d’oro, ma ricoperta di fogli d’oro”. Il ragioniere era, come sempre, sintetico ed esauriente. A quel punto il Cavalier Brusa lo esortò a varcare il doppio portale in bronzo.“Forza, Giovanni. Andiamo a vedere anche all’interno com’è stato magistralmente lavorato il nostro marmo! A proposito, hai visto che persone ben educate? Salutano, cortesemente. Si vede che anche qui conoscono i Brusa, con tutto quello che abbiamo fatto per Milano, eh?”. Spento il toscano sotto la suola della scarpa e riposto in tasca il resto del sigaro (Brusa era un parsimonioso e il suo motto era “non si butta via niente”), entrarono in Duomo, rimanendo a bocca aperta davanti alle cinque navate. Quella centrale, poi, era davvero ampia e alta e ai lati si potevano ammirare magnifiche vetrate istoriate che raffiguravano scene religiose. Una di esse, superba, rappresentava il Giudizio Universale. Il Cavalier Brusa, informato dal fedele Giovanni, di ciò che conteneva la teca sopra il coro, voleva a tutti i costi ammirare quel chiodo che si riteneva provenisse della croce di Gesù e si avviò in quella direzione con ampie falcate. Mentre camminava, s’accorse di essere oggetto di insistenti sguardi da parte delle persone che incontrava. Alcuni sgranavano gli occhi, altri si davano di gomito. Mentre avanzava impettito, gli venne incontro un sacerdote in chiaro stato d’ansia, visibilmente affannato. Il prelato , rivolto al Cavaliere, ripeteva concitato la stessa breve frase, in milanese: “  Sciur, al Brüsa”, “Sciur, al Brüsa”, “Sciur, al Brüsa”, … Agenore Brusa, voltandosi verso il ragionier Ambrogini, disse soddisfatto: “Vedi, Giovanni. Qui mi conoscono tutti”. E solo in quel momento il povero ragioniere s’accorse che la marsina del suo principale stava andando in fiamme. Evidentemente il toscano non era stato spento bene e si era ravvivato nella tasca. Il prete, sicuramente lombardo e certamente alterato, aveva lanciato l’allarme rivolgendosi al Cavaliere in dialetto meneghino e quel “Sciur, al Brüsa”, più che ad una individuazione dell’identità del signor Agenore equivaleva all’allarmante fumo che proveniva dal vestito del medesimo, ignaro, visitatore del Duomo. Così, spento l’incendio, i due lasciarono la cattedrale e Milano, frastornato e ammutolito, Giovanni Ambrogini, contrariato e scuro in volto, il Cavaliere che, una volta tanto e suo malgrado, era stato costretto a venir meno al suo principio del “non buttar via niente”, lasciando in un bidone della spazzatura la giacca bruciacchiata e quel resto di sigaro che aveva tenuto per il viaggio di ritorno.

Marco Travaglini

“Figure dell’Italia civile” con Castellani a Finale Ligure

Giovedì 3 agosto alle ore 21, in piazzale Buraggi, sul Lungomare di Finale Ligure, il prof. Valentino Castellani, docente universitario e già Sindaco di Torino ed il giornalista Sandro Chiaramonti presenteranno il libro di Pier Franco Quaglieni “Figure dell’Italia civile”, Golem Edizioni
La presentazione di Finale aprirà le presentazioni estive del libro che si terranno il 7 agosto ad Alassio, il 22 ad Andora per proseguire in Versilia, a Selinunte, a Valdieri e a Pollone. Organizza l’incontro la Libreria “Centofiori” per il ciclo “Un libro per l’estate”.  Il nuovo libro di Quaglieni raccoglie trenta ritratti di personalità italiane delle storia recente da Einaudi ad Amendola, da Calamandrei a Chabod, da Jemolo a Bobbio,da Montanelli, da Luraghi a Ciampi, da Spadolini a Romeo, da Olivetti a Pininfarina, da Tortora a Pannella. Ne viene fuori un ritratto dell’Italia civile che l’autore ritiene vada riscoperta e valorizzata come patrimonio irrinunciabile anche per il futuro delle nuove generazioni. La storia ligure Bianca Montale ha visto nel libro di Quaglieni un ” grande equilibrio storico” che gli evita di cadere nell’agiografia o nella critica di parte. Dino Cofrancesco, recensendo il libro, ha detto che Quaglieni “non fa sconti neppure agli amici”. Il libro segue un percorso storico, mai scontato in cui l’autore narra dei suoi incontri e delle sue amicizie con tanti dei protagonisti di cui scrive. Il libro ha avuto il riconoscimento speciale del Premio Pontremoli e recentemente del Premio “Cesare Pavese “che verrà consegnato all’autore il 27 agosto a Santo Stefano Belbo.