CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 647

Una vera passione per i cinefili, tra omaggi e le sfide di attori dietro la macchina da presa

Dopo che il presidente del Museo del Cinema Sergio Toffetti ci ha fatto l’elenco dei vari sponsor – pressoché vivace intermezzo con la direttrice Emanuela Martini: “Quando collaboravo con il festival dei Due Mondi, Menotti ideò un’operina di pochi minuti in cui musicò i nomi dei vari sponsor”, “Potremmo farne una noi e poi cantarla”, “Una proposta buona, se ci fosse un musicista a disposizione” (!) -, in primis Ministero, Regione, Città di Torino, Fiat e Intesa San Paolo; dopo che il medesimo ha snocciolato cifre, ricordando come il budget dello scorso anno fosse di 1 milione e 926 mila euro mentre quello attuale raccoglie 20 mila euro in più, dopo che l’assessora Leon con la sua solita stringatezza ha portato il saluto della sindaca Appendino e dopo che Antonella Parigi ha scherzato (?) con Toffetti (“Cosa vuoi aver fatto tu, sei appena arrivato”) e ha tenuto a farci sapere che quest’anno si brinda con Asti Secco (altro sponsor) cancellando il prosecco, “il mio nemico mortale”, si passa, come avrebbe detto Woody Allen, dal culturale al ricreativo: e finalmente usciamo a rivedere le stelle e a parlare di questo TFF numero 36 che s’inaugurerà il 23 novembre prossimo per concludersi il 1° dicembre. Niente red carpet, a Torino non è d’uso, niente madrine o madrini come in laguna, niente sfavillii oltre il dovuto. Si bada al cinema e ai cinefili, magari infilando nel programma anche un film di 14 ore a prova di sfinimento, ad un confronto tra il passato e il presente, ad un’analisi di momenti storici e di società diverse, si approntano “due anime di cinema che si incontrano e si intrecciano”, ovvero il ciclo dedicato a Jean Eustache (scomparso nel 1981 a soli 43 anni, un titolo per tutti La maman et la putain: a Jean-Pierre Léaud, che in più di una storia ha incarnato le logiche e i sentimenti dell’autore, icona della ribellione francese e della Nouvelle Vague, verrà consegnato il Gran Premio Torino) e quello che riproporrà la filmografia del duo Powell&Pressburger (un titolo per tutti Scarpette rosse), si innesca il meccanismo di discussione tra vicini di poltrona, si instaura la legge delle lunghe file e del panino tra una proiezione e l’altra. Le sale sono quelle ormai immancabili di Reposi e Massimo, dentro cui triturare ad incastro 133 lungometraggi, di cui 36 opere prime e seconde, 34 anteprime mondiali, 23 anteprime internazionali, 59 anteprime italiane, risultato di una selezione che ha visto 4000 film iniziali a disposizione.

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All’inizio è The Front Runner di Jason Reitman sulla parabola tutta in discesa del senatore democratico Gary Hart, in corsa nel 1988 per Casa Bianca ma incappato in un’avventura con la modella di turno che gli sbarrò la strada (fu sostituito da Dukakis ma la vinse papà Bush), al termine della rassegna Santiago, Italia, un film-documentario (in uscita sugli schermi il 6 dicembre) con cui Nanni Moretti, attraverso le parole dei protagonisti e i materiali d’epoca, mostra i mesi successivi al colpo di stato dell’11 settembre 1973, guardando soprattutto al ruolo che ebbe l’ambasciata italiana nella capitale cilena, pronta a dare rifugio a centinaia di oppositori del regime di Pinochet. In mezzo altre storie, il concorso con 15 film, altrettante le nazionalità, opere prime e seconde, soltanto La disparition des lucioles del canadese Sébastien Pilote è un’opera terza, la storia della giovane Léo, la nostalgia per il padre, il rapporto negativo con la madre e con il patrigno, l’incontro con un chitarrista, pigro e debosciato, più grande di lei. L’Italia allinea Ride, che vede il passaggio dietro la macchina da presa di Valerio Mastandrea, una donna e il figlio di dieci anni che affrontano il lutto per la morte del marito e del padre, un film dove il pluripremiato attore “sorprende dirigendo un dramma stralunato e originale, raccontato come una commedia, risate e commozione, senza trucchi o facili scorciatoie”. Ancora in concorso, ancora un attore dietro la macchina da presa – ma dev’essere l’annata delle sfide, se anche Ralph Fiennes ha voluto con The white crow raccontare la storia di Rudolf Nureyev (compreso il flashback della nascita, in un vagone della Transiberiana, nel ’38, zeppo di giocatori, ubriachi e contadini) e quel momento soprattutto in cui sfuggì nel 1961 al rimpatrio consegnandosi alla polizia parigina; se James Franco dirige Pretenders, due amici al college s’innamorano della stessa ragazza, tra i Settanta e gli Ottanta, trovandosi, perdendosi e ricercandosi, e se Ethan Hawke, giunto qui alla sua terza prova, racconta vita e opere del misconosciuto cantante country Blaze Foley e la sua morte a soli 39 anni -: Paul Dano con Wildlife, ambientato nel Montana degli anni Sessanta, con un adolescente che assiste alla fine del matrimonio tra i genitori (Jake Gyllenhaal e Carey Mulligan).

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 In buona compagnia dell’omaggio di Pupi Avati, quest’anno Guest Director, ai rapporti tra il cinema e quel jazz che da sempre è la sua seconda passione, di quella giornata (28 novembre) che ricorderà Ermanno Olmi – Lunga vita a Ermanno Olmi! -, proponendo film, documentari, materiali rari o inediti, testimonianze di collaboratori, la sua voglia di fare cinema (da rivedere Il mestiere delle armi del 2001) e la spinta fatta non soltanto di consigli che attraverso “Ipotesi Cinema” dette a giovani autori, come Giacomo Campiotti, Mario Brenta e Maurizio Zaccaro che testimonieranno qui con le loro opere prime. Dall’apporto di Film Commission Torino Piemonte derivano Drive me home di Simone Catania, con Marco D’Amore e Vinicio Marchioni, una storia di amicizia tra le strade d’Europa, i drammi e le fughe di due uomini che dalla Sicilia si ritrovano uno cameriere a Londra e l’altro camionista in Germania; e Il mangiatore di pietre di Nicola Bellucci, dal romanzo di Davide Longo, un thriller notturno ambientato nelle valli piemontesi tra vecchi passeur e nuovi trafficanti, con Luigi Lo Cascio cupo e travagliato vedovo che si trova a dover affrontare l’omicidio del figlioccio Fausto. Dalla Cina arriveranno il presidente della giuria Jia Zhangke e il suo ultimo film Ash is purest white, protagonista la musa e moglie Zhao Tao ad impersonare l’avventura di una donna e il cammino che lei compie in 17 anni per stare accanto al suo uomo, mentre il paese continua a cambiare.

 

Elio Rabbione

 

 

Le foto: (nell’ordine) Il manifesto del 36mo TFF; Una scena di “Ride”, opera prima di Valerio Mastandrea; “Ash is purest white” di Jia Zhangke (presidente della Giuria del TFF); Luigi Lo Cascio in “Il mangiatore di pietre” di Nicola Bellucci dal romanzo di Davide Longo e “Wildlife” opera prima di Paul Dano.

Gatto Panceri torna in radio

L’artista milanese di ‘Pelle d’oca e lividi’ propone in airplay i due momenti più intensi del nuovo album

Il 16 novembre 2018 è un radio date molto particolare per il cantautore Gatto Panceri che estrapola dal suo ultimo, apprezzato album ‘Pelle d’ oca e lividi’ contemporaneamente ben due nuovi singoli in promozione, con cui regalare a volontà emozioni e calore a chi da sempre ama la musica italiana di qualità. La stampa specializzata, nel corso di questi primi sei mesi trascorsi dall’uscita dell’album a oggi, ha decretato per l’appunto ‘Ero Polvere’ e ‘Tu mai’ come i brani più intensi e interessanti del nuovo lavoro del cantautore lombardo, che consta appunto di ben 19 brani pubblicati dall’etichetta ‘Hit Rainbow’ di Athos Poma e Roby Facchinetti, storico leader dei Pooh. Così Gatto Panceri sul binomio di canzoni scelte a proseguire la promozione del cd: “TU MAI è la più ritmata e veloce. Miscela l’intimità del testo a un clima rock metropolitano intriso di suoni elettronici, con un effetto-ascolto immediato e dal sound impattante e contemporaneo. ERO POLVERE è la ballata che non può mancare in qualsiasi grande disco: parte pianoforte e voce, ma poi cresce fino a esplodere e di nuovo implodere sul toccante finale”. I testi sono davvero al top del livello delle miglior cose che ha scritto e sa scrivere questo autore. Abbracciano temi attuali e primari, propri dell’umanità dispersa e distratta dei nostri tempi. “La solitudine, l’alienazione, l’indifferenza intorno a noi e il domandarsi se gli altri provano le stesse nostre emozioni sono il tema di TU MAI. La rinascita e il riscatto dopo un momento negativo sono invece gli ingredienti di ERO POLVERE”, aggiunge l’artista. Quest’ultima, in particolar modo, si configura all’istante per chi vorrà farla sua come una canzone davvero terapeutica: “Nel senso che farà un gran bene all’anima di chi almeno una volta nella vita ha provato a sentirsi a terra come la più misera polvere, ma si è però risollevato”, conclude Gatto Panceri.

 

Piero Gobetti costituente

Il progetto “Piero Gobetti costituente” , promosso dal Centro Studi “Piero Gobetti” propone una serie di ricerche su Gobetti e i valori costituzionali e un’attività performativa con gli studenti del Liceo Gioberti, con il patrocinio del Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale piemontese e la collaborazione del Polo del ‘900

L’evento “Gobetti e i valori dell’antifascismo, della Resistenza e della Costituzione” si articola su una “due giorni” – giovedì 15 e venerdì 16 novembre – nella sede del Consiglio regionale a Palazzo Lascaris e un doppio appuntamento al Polo del ‘900 nel pomeriggio del 16 novembre e di giovedì 29 novembre. Nella mattinata di giovedì 15 novembre, dalle 10,30 alle 12,30, nella Sala Viglione di Palazzo Lascaris si terrà l’incontro con il Presidente del Consiglio Regionale del Piemonte, Nino Boeti durante il quale gli studenti del Liceo Gioberti presenteranno il progetto Rex/pubblica a cui farà seguito un’attività performativa con l’attrice Marta Di Giulio. Venerdì 16 novembre, alle 9,30, sempre nella Sala Viglione del Consiglio regionale si terrà la prima sessione del seminario su “Piero Gobetti costituente”. Introdurrà e coordinerà Dora Marucco e interverranno Marco Revelli (L’eredità di Piero Gobetti nella Costituente), Cesare Panizza (Ferruccio Parri e Piero Gobetti) e Pietro Polito (Palmiro Togliatti e Piero Gobetti). Nel pomeriggio, alle 15,30, la seconda sessione si terrà nella sala didattica del Polo del ‘900 in via del Carmine a Torino. Introdurrà e coordinerà Ersilia Alessandrone Perona e interverranno Francesco Campobello (Stato e Chiesa in Italia), Francesca Semenzari (Temi europeistici e internazionalistici) e Angela Arceri (Temi gobettiani nelle donne costituenti). Ultimo appuntamento giovedì 29 novembre alle 16,00 nella sala didattica del Polo del ‘900 in via del Carmine a Torino con la tavola rotonda su “Inattualità dei valori dell’antifascismo, della Resistenza e della Costituzione?”. L’incontro sarà introdotto da Pietro Polito e coordinato da Francesco Campobello. Discuteranno Gianluca Bascherini (Non difendere, ma creare.La critica di Piero Gobetti allo Statuto), Chiara Tripolina (Classe dirigente e tirannide nel pensiero di Piero Gobetti), Francesco Pallante (Il conflitto come valore nel pensiero di Piero Gobetti), Fabio Longo (Parlamentarismo e legge elettorale nel pensiero di Piero Gobetti) e Antonio Mastropaolo (Diventare cittadini:il problema dell’educazione in Piero Gobetti). Il richiamo a Gobetti ha un valore di grande attualità e rappresenta un’utile chiave interpretativa per interrogarsi sull’attualità o inattualità dei valori dell’antifascismo, della Resistenza e della Costituzione. L’Assemblea costituente, che ha continuato a svolgere i suoi lavori fino al 31 gennaio 1948, era composta di 556 deputati ed è stata la più alta manifestazione del pluralismo culturale del Paese: in essa si rispecchiarono le principali idee politiche, che avevano le loro radici nei movimenti di pensiero sorti durante il periodo dell’antifascismo e della Resistenza. Scopo degli incontri è rivisitare quella grande stagione dal punto di vista di una minoranza critica ma costruttiva quale è quella impersonata da Piero Gobetti con i suoi scritti, le sue riviste e i suoi libri, concentrando l’attenzione su alcune figure della stagione costituente, ampliando lo sguardo verso i rapporti tra Stato e Chiesa, il punto di vista delle donne e il quadro europeo e internazionale. Un modo originale per interrogarsi sul messaggio di Piero Gobetti.Le ricerche saranno condotte prevalentemente da giovani studiosi, avvalendosi dell’archivio del giovane uomo politico e scrittore, conservato presso il Centro studi Piero Gobetti. Qui è raccolta una consistente documentazione su Gobetti e la tradizione gobettiana che consente di seguire, nei suoi punti di forza e anche nelle sue contraddizioni, la “traccia” da lui lasciata nella nostra storia repubblicana e la sua presenza significativa nelle principali culture politiche nazionali.

 

Marco Travaglini

Claude Monet Shadow prosegue al Parco Dora

Meluzzi: “mix di storia e modernità filtrata attraverso l’infinita bellezza dell’arte pura”

Prosegue con successo la mostra ‘Claude Monet Shadow’ al Parco Commerciale Dora, in cui alcuni fra i principali e più amati dipinti del grande Maestro impressionista francese acquistano nuova luce grazie all’innovativa tecnica di videomapping in 3D dell’artista Luca Agnani, ideatore dell’evento. Il 15 novembre, dalle ore 18, a impreziosire lo spazio espositivo di circa 55mq vi sarà anche l’esibizione musicale di un gruppo di allievi del Liceo Classico Cavour, che svolgono anche funzione di guida culturale al percorso di mostra. Alla brillante iniziativa è anche giunto il plauso del noto psichiatra, sociologo e studioso Alessandro Meluzzi, che l’ha definita un riuscito mix di storia e modernità filtrata attraverso l’infinita bellezza dell’arte pura. Tutte le informazioni sul sito www.parcocommercialedora.it.

Diagnosi del moderno di Albino Galvano

La GAM di Torino presenta il volume dedicato all’intellettuale torinese

Mercoledì 14 novembre, ore 18

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A vent’anni, fu fra i frequentatori a Torino della “scuola di via Galliari” animata dall’allora maestro dei maestri Felice Casorati; qualche anno dopo fonda, insieme a Franco Antonicelli, l’Unione Culturale torinese e nel ’48 promuove il MAC – Movimento Arte Contreta, fondato a Milano da Atanasio Soldati insieme a Gillo Dorfles, cui aderirono artisti (illuminati da un libero astrattismo geometrico) i cui nomi vanno da Bruno Munari, a Filippo Scroppo e a Gianni Monnet, fino a Nino Di Salvatore. Pittore, storico e critico d’arte nonché filosofo (fu docente di Filosofia, dopo esserlo stato di Pittura all’Accademia Albertina, ai Licei “Gioberti” e “Galileo Ferraris” di Torino) e intellettuale di levatura europea non sufficientemente conosciuto – né riconosciuto – neppure in Italia, ad Albino Galvano (Torino, 1907 – 1990), l’Editrice “Nino Aragno” dedica meritevolmente un volume dal titolo “Diagnosi del moderno”, a cura di Alessandra Ruffino, attenta studiosa dei rapporti fra arte e letteratura, già docente all’Università di Torino con Marziano Guglielminetti e giornalista collaboratrice de “Il Giornale dell’Arte”, nonché consulente di varie istituzioni pubbliche e privata e nell’editoria. Articolato in 33 testi, suddivisi in otto sezioni, il volume sarà presentato il prossimo mercoledì 14 novembre, alle ore 18, presso la Sala Uno, al piano terra della GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, in via Magenta 31, a Torino. Al dibattito, interverranno (oltre alla curatrice dell’opera), Riccardo Passoni, direttore della GAM e Maria Teresa Roberto, docente all’Accademia Albertina. Obiettivo del libro: Offrire a lettori e studiosi la possibilità di accedere a una significativa parte degli scritti di un autore capace di spaziare tra estetica, filosofia, critica d’arte, letteratura, psicoanalisi, storia dell’arte orientale. Senza mai temere la marginalità e l’inattualità, Galvano è stato un lucido testimone del suo tempo e un acuto interprete di quella ‘genesi per opposizione’ che, attraverso il passaggio Simbolismo-Art Nouveau-Astrattismo, ha aperto all’età contemporanea e alle sue tante contraddizioni, illusioni, disillusioni”.

g.m.

Foto
– Albino Galvano: “Santi Anargiri”, olio su tela, 1950, Collezione GAM-Torino

“Burattino senza fili”

Oggi vorrei parlarvi di una delle voci più autorevoli nel panorama musicale italiano degli anni ’70 ed ’80: Edoardo Bennato.

Sono figlia di quegli anni e ricordo della sua discografia, I buoni e i cattivi, La torre di Babele per dirne due, nei quali Edoardo toccava temi importnti che a molti artisti dell’epoca erano ancora sconosciuti. Ma nel 1977, a parer mio, si supera con un concept -album, “burattino senza fili” tramite il quale trasponendo il Pinocchio di Collodi, lega una favola per bambini (molto profonda direi) con il rigido e difficile mondo degli adulti, sbattendoci in faccia le difficoltà cui si è sottoposti a causa dei conformismi e delle convenzioni che ci vengono imposti per “adeguarci” agli schemi sociali. La mia canzone preferita in questo album (che ho ascoltato milionate di volte n.d.r.) è “ E’ stata tua la colpa”. È Stata Tua La Colpa è l’incipit di questo grandissimo disco: mesta e quasi rassegnata, si basa sulla chitarra acustica e l’armonica del cantante, che tratteggia uno scenario amaro sulle costrizioni che la società impone attraverso i suoi “fili”. Trovo Burattino senza fili un album geniale, ben suonato e splendido sotto ogni punto di vista. Burattino Senza Fili mostra un’artista in grandissimo spolvero, in grado di rileggere i personaggi e le situazioni di Collodi e di trasporre attraverso loro la sua visione delle tante storture della società degli “adulti”, piena di approfittatori, burattinai e cialtroni: Pinocchio diventa umano e paga duramente questa decisione, finendo in balia dei vari Mangiafuoco che decidono per lui, manipolando la sua vita con dettami piovuti dall’alto. Una canzone assomiglia a un rebus. È una specie di tragitto invisibile e intricato da portare a termine. In certi casi è matematica, e segue determinate leggi o convenzioni. In altri è soltanto magia, mistero, evocazione. È proprio come sbrogliare il nastro di una musicassetta che si è intrecciato in mille nodi e grovigli inestricabili. È necessario seguire il proprio istinto, ma allo stesso tempo occorre applicare una logica ferrea. Buon ascolto

https://www.youtube.com/watch?v=8Y448Q_G0O4

Chiara De Carlo

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Chiara vi segnala i prossimi eventi …mancare sarebbe un sacrilegio!

Anche lo stakanovista Lulù Massa prima o poi raggiunge il paradiso

(Ri)parlare, teatralmente, di lavoro, che cosa strana. Andare a ricercare l’antica classe operaia, oggi affievolita, qualcuno azzarderebbe inesistente, prendere fiato e spinta e costruzione da quella Classe operaia va in paradiso – il punto centrale della “trilogia della nevrosi” – che Elio Petri (con in testa la sempiterna coppola) con l’aiuto fidato di Ugo Pirro scrisse e diresse nel 1971, premiato a Cannes con il Palmarès l’anno successivo – ex aequo con Il caso Mattei di Francesco Rosi: era l’epoca dei grandi nomi, dei nomi importanti e forti, del cinema che avvolgeva e faceva discutere, che si rispecchiava necessariamente nella società – e sgradito al pubblico e a molta critica all’uscita sui nostri schermi, giudicato eccessivo e sgradevole, sgradito a molta parte della sinistra più ferrea, tanto esasperante che “qualcuno non mancò addirittura di invocare il rogo di tutte le copie della pellicola”. Ritornare a quell’affresco di circa cinquant’anni fa, ha deciso Emilia Romagna Teatro, affidando la nuova scrittura a Paolo di Paolo e la regia a Claudio Longhi, rifotografare un’epoca senza incorrere (troppo) nell’uso dello spazio angusto dell’operazione archeologica, che non ci interesserebbe davvero più, ma controllare con gli occhi di oggi (con la nostra società) se vi possano essere dei ricordi, delle piccole tragedie, dei momenti grotteschi, delle scorie che ci ricordino quel Lulù Massa che aveva la faccia indimenticabile di Gianmaria Volonté.

Un racconto di operai e di pezzi prodotti, di pugni alzati e di scioperi, di padroni e di impiegati messi ad una spanna da te a contarti il tempo, di ideologie contrastanti, di un buongiorno dato dall’altoparlante ma solo per ricordarti che il sole non lo hai visto entrando in fabbrica e nemmeno lo vedrai uscendo, ore e ore chiuso lì dentro. Un sacerdote del cottimo, quel Lulù Massa lì, produrre produrre produrre, la sua personale lotta con il sindacato, i dissidi con i compagni di lavoro, la sua non vita con la Vanda, gli amplessi straveloci in macchina, con i piedi incollati contro il parabrezza, l’incidente con il dito mozzato, un’altra visione della vita e del lavoro, la consapevolezza di essere un ingranaggio tra i tanti, tra i tutti, di far parte della grande Macchina che ti schiaccia. La figura del crumiro, dello stakanovista a tutti i costi che abbraccia i diritti dei lavoratori. E in fondo al tunnel c’è il vecchio Militina, che ha già percorso tutta quanta la vecchia strada, con i suoi sogni di lucidità e di pazzia, con il suo paradiso intravisto e forse alla fine raggiunto. C’è la politica chiusa lì dentro, ma c’è anche la storia di un paese che non è scampata anche oggi a quei ritmi, magari li nasconde nei “lindi, asettici uffici dell’odierno proletariato dei call center” o nelle corse in bicicletta di quei ragazzi che armati di zaino ti recapitano la pizza a casa. E allora bisogna raccontarlo tutto quel mondo antico che si riallaccia con il presente – si è detto Paolo di Paolo, che certo abbandona l’idea della sintesi in questa sua Classe vista al Carignano per la stagione dello Stabile torinese e in scena sino al 18 novembre -, anche con il pericolo bulimico di immettere a forza immagini e suggestioni oltre il dovuto, di creare nuove scene o rimandi a una letteratura che scomoda il Memoriale di Volponi o il selezionatore Donnarumma di Ottieri, di ripercorrere più e più volte i titoli di coda del film o gli apporti della critica non benevola, le discussioni (con gli autori seduti su quelle poltrone care a Fantozzi) e la preparazione e la realizzazione del film, le atmosfere da cineforum, il “Rischiatutto” di Mike o i Tg del tempo, la chitarra e le canzoni, giù giù sino all’immancabile (e come potrebbe essere diversamente?) Charlot che tra un imbullonamento e l’altro scivola tra gli ingranaggi della macchina di Tempi moderni. Ma al di là dei disturbanti sottofinali, lo spettacolo, brechtiano come non se ne vedevano da anni, regge intelligentemente e lo si ammira sino in fondo, nel gioco colorato dei dialetti, per come Longhi si serve della macchina teatrale ideata da Guia Buzzi, con quel tapis roulant dove scorre la catena di montaggio, per come detta il ritmo dell’azione, per come regge la compagine degli attori, mai portati sul terreno instabile della macchietta o del già visto. A cominciare da Lino Guanciale. Che lontanissimo dagli exploit televisivi, qui costruisce il suo Lulù con tutta la maschera e il concreto della sfrontatezza, dell’idea sicura e affermata, della disperazione, della realtà agra e del sogno. È un tutt’uno con il personaggio, si annulla e si riafferma, piange e diverte, usa mezzi che non gli conoscevamo da attore dell’oggi e sicuramente del domani. Accanto a lui si segnalano la prove Franca Penone, visionaria Militina, di Diana Manea, la Vanda che nel film fu una strepitosa Melato, tutta ardori e recriminazioni, e di Simone Francia che con altri ruoli incide a tutto tondo soprattutto quello del crudele impiegato preposto a prendere i tempi di produzione: con Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Eugenio Papalia, Simone Tangolo e Filippo Zattini autore delle musiche e degli arrangiamenti compongono il successo della serata.

 

Elio Rabbione

 

Le immagini dello spettacolo sono di Giuseppe Distefano

Gli amici di Piero alle Ogr per beneficenza

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Le OGR Torino aprono le proprie porte agli Amici di Piero. La ventesima edizione dell’evento benefico nato in memoria dell’amico Piero Maccarino si terrà lunedì 12 novembre nelle Officine di Corso Castelfidardo 22. Come ogni anno, l’intero ricavato sarà devoluto in beneficenza alla Fondazione Caterina Farassino e all’UGI, Unione Genitori Italiani

Dal 1999 i musicisti torinesi si riuniscono in una maratona musicale in cui tutti i gruppi si esibiscono gratuitamente e alla pari, senza gerarchie né diritti di precedenza, in memoria dell’amico Piero Maccarino. Per la ventesima edizione dell’appuntamento, sul palco della Sala Fucine delle OGR Torino si esibiranno: Statuto, Subsonica, Linea 77, Johnson Righeira + Bandakadabra, Bianco, Less Than A Cube, Gypsy Eyes, Casino Royale, The Bluebeaters. Piero Maccarino, cantante e fonico, nel 1999 è mancato a causa di un male incurabile. Mai dimenticato rude boy, cantante, ultras del Toro e fonico, Piero è ancora nella mente di tutti come il ragazzo che urlava forte “Torino è la mia città!” dal microfono che impugnava come una rivoltella di parole fronteggiando bolge di pogo selvaggio. E da allora gli Amici di Piero sono sempre di più e coloro che non lo conoscevano hanno imparato ad amarlo e a conoscerlo grazie a questi concerti. Coloro che lo conoscevano, invece, approfittano di questa occasione per suonare, ascoltare buona musica e incontrarsi. Dal punk al rock, dal reggae al soul, dal rock steady al blues e all’hip hop: un melting-pot di generi musicali e artisti di livello nazionale per animare la festa musicale più importante dell’autunno torinese e non solo. Un evento che è cresciuto negli anni fino a diventare un unicum nel panorama musicale italiano oltre che l’occasione per ricordare Piero, ma anche Caterina Farassino e tutti gli amici che nel tempo ci hanno lasciato come Peppo Parolini, Bosh, Fabio “Il Nero” Rosolino e Joe degli Ultras Granata. A presentarli lo scrittore e giornalista Domenico Mungo, che con Maccarino ha condiviso sia le passioni musicali che la vita nel mondo delle curve calcistiche, e Mao, storico cantautore e conduttore radiofonico torinese. Per quanto sia diventato un appuntamento fisso la serata non viene mai vissuta dalle band e dal pubblico come un evento di routine, soprattutto perché il ritrovo serve a sostenere cause benefiche in quanto tutti gli artisti e gli organizzatori dell’evento lavorano gratuitamente. I fondi raccolti per questo evento vengono devoluti all’UGI, Unione Genitori Italiana, attiva all’interno dell’ospedale Regina Margherita a sostegno dei bambini malati di leucemia, e dal 2005 anche alla Fondazione Caterina Farassino che opera a sostegno dei bambini in condizioni economiche disagiate.Le OGR contribuiscono all’iniziativa di quest’anno ospitando la serata a titolo gratuito.

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PIERO MACCARINO dall’età di 17 anni è stato il cantante di uno dei primissimi gruppi punk torinesi: i Rough. Più di dieci anni dopo ha incominciato a lavorare come tecnico del suono fra gli altri per: Bluvertigo, Mao e la Rivoluzione, Massimo Volume, Daniele Silvestri, Subsonica. I Rough vengono considerati, con i bolognesi Nabat, tra le prime e più importanti band Oi! italiane. Si formano nel 1981 ed iniziano rivisitando brani classici del punk inglese. Vengono individuati subito da Giulio Tedeschi, noto pioniere dell’underground musicale italiano, che nel febbraio dell’anno dopo produrrà per la Meccano Records un EP 7″ conosciuto come Torino è la mia città, dal titolo di uno dei 4 brani inediti presentati. Il debutto discografico coincide con il periodo di maggiore notorietà: recensioni sulle riviste specializzate, interviste, concerti. La band si scioglie nel 1984. Ad inizio anni novanta il brano Torino è la mia città diventerà, dopo essere stato reinterpretato da alcune band locali, molto popolare nei Paesi Baschi. Piero Maccarino, primo cantante della band, muore prematuramente nel maggio del 1999.A lui è dedicato il brano degli Statuto “Un fiore nel cemento” e “Microchip emozionale” dei Subsonica.

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FONDAZIONE CATERINA FARASSINO

La Fondazione Caterina Farassino è nata per ricordare la giovane fotografa del rock cittadino volata via troppo giovane. “Al ricordo di Piero, da sette anni abbiamo deciso di unire anche il ricordo di una nostra amica che è volata a scattare le sue foto dal cielo. Caterina Farassino, se ne è andata in una notte di fine autunno, lasciandoci così vuoti e smarriti che ancora non vogliamo crederlo. E il non rassegnarci ad averli visti volare via troppo giovani e sorridenti, ci impone ogni anno di fare qualcosa insieme a loro. Quello che a loro piaceva di più: fare musica, ascoltare musica e coinvolgere più gente possibile in un abbraccio collettivo” (Amici di Piero)

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UGI
L’ Unione Genitori Italiani opera all’interno dell’Ospedale Regina Margherita per assistere i bambini malati di leucemia e le loro famiglie. www.ugi-torino.it

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Benefit Show

12 novembre 2018

dalle 20.00 alle 02.00

ingresso: 15 euro

Presentano Domenico Mungo & Mao

OGR Torino

Corso Castelfidardo 22 – Torino

Torna a teatro il poetico “Elisir”

Ritorna in scena dopo cinque anni al Regio di Torino, martedì 13 novembre alle 20, l’Elisir d’amore di Gaetano Donizetti, con Michele Gamba sul podio dell’ Orchestra e Coro del Teatro Regio, in una delle partiture più leggere, comiche e sentimentali del compositore bergamasco, per la regia di Fabio Sparvoli.L’allestimento è ambientato in un piccolo centro dei Paesi Baschi negli anni Cinquanta e ne è protagonista Nemorino, impersonato da Santiago Ballerini, innamorato dalle ricca e capricciosa Adina, della quale non riesce ad attirare le attenzioni.
Salvifico risulta in paese l’arrivo del medico ciarlatano Dulcamara, la cui parte è interpretata da Simon Orfila, che venderà a Nemorino del vino di Bordeaux, spacciandolo per un potente filtro d’amore. Gaetano Donizetti compose quest’opera in un tempo relativamente breve, anche se forse potrebbe essere una leggenda la voce secondo cui impiego’ soltanto quindici giorni. Gli fu commissionata dall’impresario del Teatro della Cannobiana di Milano, Alessandro Lanari, che aveva ricevuto il forfait da parte di un altro compositore, che gli avrebbe dovuto scrivere l’opera per la stagione della primavera 1832. Donizetti ricorse ad uno dei più celebri librettisti dell’epoca, Felice Romani, che compose un libretto tratto da “Le Philtre” di Scribe e già musicato da Daniel Auber. Gavazzeni definì l’Elisir un “idillio lombardo”; alcuni critici giudicarono l’opera una sorta di “Barbiere di Siviglia” di Donizetti. In realtà la sua peculiarità rimane la commistione tra buffo e lirico, tra il registro del divertimento e quello del sentimento.
La celebre aria cantata da Nemorino, “Una furtiva lagrima”, è toccante e tutt’altro che comica. L’Elisir d’amore è risultato un capolavoro prodigioso non tanto perché nato sulla misura di interpreti eccezionali, ma in virtù della geniale intuizione del suo compositore, capace di dare all’opera un colore poetico assolutamente straordinario, assunto dai timbri strumentali, in primo luogo i fiati. A volte capita che l’orchestra si apra ai toni chiassosi e travolgenti della farsa, come nel caso della famosa banda nella scena del fidanzamento di Adina e Belcore, ma, in realtà, tutta l’opera è percorsa da poetiche sottolineature di flauti e clarinetti, capaci di trovare un culmine nella pagina giustamente più famosa dell’opera, la celebre romanza di Nemorino, “Una furtiva lagrima”, con l’assolo incantato del fagotto, che pare diventare quasi una voce umana, un’eco nostalgica della parola, non meno eloquente di quest’ultima.
 
Mara Martellotta 

Villadeati: dal 1300 alla Resistenza

Villadeati è un comune della Valcerrina, al confine con la Provincia di Asti, situato all’estremità occidentale del Monferrato Casalese, quindi in Provincia di Alessandria. L’insediamento si trova sulla sommità di uno dei rilievi più alti della zona, esposto a mezzogiorno ed affacciato sulle colline astigiane. Il paese prende il nome dalla famiglia Deati che ottenne il territorio in feudo nel XIV secolo. Al 1341 risale il primo documento che attesta l’esistenza di De Villa De Deatis. FU a lungo parte dell’astigiano (con il quale permangono ancora oggi dei rapporti socio – economici stantae la vicinanza con la Città del Palio e con il territorio circostante) dopo rientrò in un sistema militare che poggiava su due castelli che dominavano le valli dello Stura e della Versa. Villadeati fu al centro di un tragico episodio durante la guerra civile. Nell’autunno del 1944 si formò un gruppo di partigiani aggregati alla Divisione ‘Monferrato’. In seguito ad un attacco partigiano ad una colonna armata tedesca nei pressi di Cavagnolo venne ucciso un militare germanico ed un altro venne fatto prigioniero. Quest’ultimo, dopo aver conquistato la fiducia dei partigiani riuscì a fuggire e a denunciare la presenza partigiana nei pressi di Villadeati. Il 9 ottobre del 1944 arrivò la risposta tedesca e fu terribile. Sotto il comando del maggiore Mayer, 24 autocarri e 200 soldati tedeschi, provenienti da Casale e da Valenza raggiungero il paese, entrarono nelle case che furono messe sottosopra, i viveri portati via con prepotenza, i vitelli e le mucche prelevati dalle stalle ed alcune bestie uccise e caricate sugli autocarri. Il peggio, però, doveva ancora venire: Gli abitanti vennero radunati nella piazza del paese ed il comandante scelse quattordici capifamiglia minacciando loro la fucilazione se non si fossero presentati spontaneamente i capi partigiani ricercati. Va detto che due vennero salvati per un intervento del generale Ernesto Botto, pilota mutilato in combattimento e medaglia d’oro al valor militare, già sottosegretario e capo di stato maggiore del ministero dell’Aviazione Nazionale Repubblicana della Rsi. ella Repubblica sociale. Al gruppo dei capifamiglia si aggiunse anche il parroco don Ernesto Camurati che venne considerato dal maggiore Mayer un ‘ribelle’ al pari degli altri partigiani. Il sacerdote chiese al comandante tedesco di essere ucciso lui solo in cambio degli altri che avevano tutti moglie e figli, ma tale richiesta, coraggiosa ed eroica, venne respinta. Don Camurati benedisse, aprì il breviario e una lunga scarica di fucili ruppe il terribile silenzio che era caduto. Erano le 12 del 9 ottobre 1944. Tutti vennero poi passati con il colpo alla nuca. Questo l’elenco delle vittime di Villadeati: don Ernesto Camurati, anni 46; Angelo Caprioglio, anni 50 e tre figli; Carlo Dorato, anni 44, con un figlio; Giuseppe, Dorato anni 50, due figli; Clemente Gippa, anni 60, due figli; Felice Lanfranco, anni 44, due figli; Carlo Odisio, anni 45; Luigi Odisio, anni 49, quattro figli; Giuseppe Odisio, anni 52; Luigi Pietro Quarello, anni 57; Ernesto Vallone, anni 49, quattro figli. Caprioglio fu catturato mentre stava lavorando in cantina. Il 23 ottobre del 1944 il paese su teatro di una nuova incursione dei nazisti che causò una fuga generalizzata degli abitanti ed una nuova uccisione. All’indomani della Liberazione, il 9 maggio 1945, il maggiore Mayer, che nel frattempo si era arreso, rintracciato in campo ad Asti, venne portato nello stesso luogo dove si era verificato l’eccidio ed ucciso. Le vittime delle rappresaglie sono ricordate da un monumento nella piazza principale, che si chiama appunto piazza IX Ottobre, in quanto qui avvenne la barbara esecuzione, e a loro sacrario è stata dedicata la chiesa di San Remigio, recentemente ristrutturata. Ma di questa e di altri beni che si trovano nel Comune di Villadeati, a partire da quello che tutti chiamano ‘Castello Feltrinelli’ si parlerà nelle prossime tappe del viaggio. Infine va ricordato che a Casale Monferrato, in via Mameli (la stessa via dove si trova il palazzo del Municipio), a poca distanza dalla residenza del Vescovo e dalla Curia Vescovile, è stata posta una lapide che ricorda il sacrificio del sacerdote.
Massimo Iaretti