CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 633

Le passeggiate di Cavour

Pochi sanno che esiste e pochi lo visitano, eppure è un grande polmone verde alle porte della metropoli torinese in un angolo storico della provincia
È il parco all’inglese del  Castello Cavour a  Santena, una vasta area verde con gli scoiattoli che saltano fuori all’improvviso, si arrampicano sugli alberi e corrono indisturbati nei prati alla ricerca di  ghiande e castagne, incuranti del passaggio dei visitatori. Centinaia di alberi e decine di
platani secolari e di dimensioni enormi sono illuminati in questo periodo dai colori
dell’autunno che rendono il parco ancora più radioso e magico. Si racconta che il grande
statista Camillo Benso di Cavour faceva lunghe passeggiate nel suo bosco, tra sentieri e
collinette, e si fermava a riposarsi sotto un enorme platano con radici smisurate che
sembrano zampe di elefante. Oggi è noto come il platano di Cavour e si può vedere anche se
versa in condizioni piuttosto critiche. Così bello e maestoso, il parco, sorto a metà del
Settecento, è una grande attrazione per i residenti di Santena anche se dovrebbe esserlo per  tutti i piemontesi. La situazione cambierà tra un paio di anni quando riaprirà il Castello 
Cavour, attualmente chiuso per lavori di restauro interni (quelli esterni sono quasi finiti). Se  tutto andrà bene la dimora di famiglia dovrebbe riaprire al pubblico nel 2020. Da quel  giorno sarà impossibile non fare una passeggiata nel parco dopo aver visitato Villa Cavour  voluta da Carlo Ottavio Benso nel Settecento. Sotto i conti Benso di Cavour divenne una
tenuta di caccia estiva come si può vedere in alcuni quadri esposti nelle sale del castello che
riproducono animali e battute di caccia. L’intero edificio ha subito varie modifiche nel corso dei secoli ed è stato interamente ristrutturato durante l’Ottocento. Oggi il Castello è  diventato il museo che ricorda la figura di Camillo Benso di Cavour. All’interno sono  conservati mobili e arredi d’epoca tra cui una coppa in porcellana di Sèvres regalata da  Napoleone III a Cavour.  Al piano terra si possono ammirare il Salone delle Cacce, il salotto  cinese e la sala da pranzo mentre ai piani superiori ci sono la Biblioteca e la camera da letto  di Cavour. All’esterno della dimora si trovano le scuderie e la tomba dei Conti Benso di  Cavour dove è sepolto il protagonista del Risorgimento e più volte presidente del Consiglio  dei ministri, scomparso il 6 giugno 1861, a meno di tre mesi dalla proclamazione del Regno  d’Italia. La tomba è aperta al pubblico tutte le domeniche con visite guidate alle ore 10,30,  15.00, 16.00 e 17.00. Il biglietto di ingresso costa 5 euro. Sono possibili visite in altri giorni  su prenotazione. Il parco invece è aperto tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle 9.00 alle 19.00.  Dalla fine di ottobre l’orario sarà 9.00-16,30. Per ulteriori informazioni si può consultare il
sito dell’Associazione Amici della Fondazione Camillo Benso di Cavour.
Filippo Re

Le voci del bosco

IL NUOVO LIBRO DI DANIELE ZOVI

DOMENICA 21 OTTOBRE 

San Secondo di Pinerolo (Torino)

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“Se si sta dentro un bosco in posizione di ascolto, prima o poi si avverte, si intuisce la presenza di un flusso di energia che circola fra i rami, le foglie, le radici. Talvolta è un sussurro, altre volte strepiti e grida. E’ come se le piante parlassero tra loro”. Può essere. Perché non crederci? Certo ne è assolutamente convinto Daniele Zovi, un amore infinito per la natura (tale da guidarne le più importanti scelte di vita), camminatore infaticabile e scrittore di piante, di foreste e di animali selvatici, che proprio quei suoni del bosco, per mestiere e per fatale attrazione, ha imparato negli anni ad ascoltare e ad interpretare. Vicentino, classe ’52, quarant’anni al servizio del Corpo Forestale dello Stato fino alla nomina nel 2017 a generale di brigata del Comando Carabinieri – Forestale del Veneto, con lui si parlerà domenica prossima 21 ottobre, alle 15,30, al Castello di Miradolo, in via Cardonata 2, a San Secondo di Pinerolo, del suo ultimo libro edito da Utet: “Alberi sapienti, antiche foreste. Come guardare, ascoltare e avere cura del bosco”. Ospite della Fondazione Cosso (nell’ambito del progetto Invito al Parco), Zovi guiderà anche un’interessante passeggiata nel Parco del Castello e fornirà ai partecipanti l’occasione di ascoltare affascinanti storie di boschi, alberi maestosi e angoli incontaminati appartenenti a mondi lontani. “Un bosco – racconta – non è solo l’insieme degli alberi che lo compongono, e neppure la somma di flora e fauna. Un bosco è il risultato di azioni e reazioni, alleanze e competizioni, crescita e crolli. Un mondo mobile che sebbene continuiamo a sforzarci di studiare e catalogare, limitare e controllare, resterà sempre un selvaggio, vibrante spazio di meraviglia”. E proprio in questo mirabile spazio, Zovi guida il lettore, addentrandosi con lui sempre più nel folto della foresta, per arrivare alla scoperta e alla conquista dello spirito, dell’essenza vitale del bosco. “Una ricerca che, pagina dopo pagina, appare sempre più come una ricerca del nostro spirito”Ingresso libero, fino a esaurimento posti. Prenotazione consigliata al n.° 0121/502761 o prenotazioni@fondazionecosso.it

g. m.

“World press photo”. A Torino il fotogiornalismo mondiale

Siamo a Caracas nel maggio del 2017. La foto ritrae un ragazzo di 28 anni, con il viso coperto da una maschera antigas, che corre – lungo un muro su cui è disegnata una pistola con la scritta”PAZ” (PACE) – in preda al panico e al terribile dolore fisico, procuratogli dal fuoco che sta dilaniandogli la carne e la maglietta che indossa

L’immagine è terrificante ed é stata realizzata durante una manifestazione di protesta contro il presidente venezuelano Nicolas Maduro. Scattata dal 46enne fotografo venezuelano (oggi residente in Messico) Ronaldo Schemidt, che lavora per l’”Agence France-Presse” (AFP), è la foto vincitrice del World Press Photo of the Year 2018, il più importante concorso di fotogiornalismo al mondo, organizzato dall’omonima Fodazione olandese dal 1955. Il ragazzo della foto si chiama José Victor Salazar; è sopravvissuto all’incidente con ustioni di primo e secondo grado, prodotte dall’esplosione del serbatoio di una motocicletta della polizia. E’ una foto classica– ha dichiarato Magdalena Herrera, direttrice della Fotografia a ‘Geo France’ e presidente di giuria ma ha un’energia istantanea e dinamica, i colori, il movimento e una buona composizione, ha forza. Mi ha dato un’emozione istantanea”. Foto dell’anno, l’immagine sarà visibile, insieme ad altre 135 accuratamente e con non poca fatica selezionate, fino a domenica 11 novembre all’ex-Borsa Valori di piazzale Valdo Fusi a Torino, città che per il secondo anno consecutivo ospita la rassegna internazionale, cui hanno dato quest’anno la loro adesione quasi 5mila fotoreporter, provenienti da 22 paesi di tutto il mondo, per un totale di circa 100mila scatti pervenuti: un vero e proprio viaggio per immagini tra gli avvenimenti più rilevanti del nostro tempo. Presente in oltre cento città e più di 45 Paesi, la tappa torinese (forte del successo dell’anno scorso: ottomila visitatori in quattro settimane di esposizione al Mastio della Cittadella) è organizzata grazie all’Associazione C.I.ME. Culture e Identità Mediterranee, realtà pugliese (presieduta da Vito Cramarossa) che da più di dieci anni in Italia e all’estero si occupa di promuovere lo sviluppo e il senso critico dei territori attraverso la cultura. Attualmente rappresenta uno dei partner più importanti della Fondazione World Press Photo con all’attivo l’organizzazione di ben quattro tappe italiane della mostra di quest’anno: Bari (27 aprile-27 maggio), Palermo (14 settembre-7 ottobre), Torino (12 ottobre-11 novembre) e, a seguire, Napoli (24 novembre-16 dicembre 2018).

Il programma di incontri

World Press Photo non è solo una mostra. Nel suo mese a Torino si presenta infatti come un festival sull’attualità: ben 15 gli incontri in programma. Da segnalare le public lectures tenute il sabato da fotografi di fama internazionale. Dopo la prima di sabato 13 ottobre, che ha visto Manoocher Deghati dialogare con lo scrittore e giornalista Adriano Sofri, nei sabati seguenti saranno presenti i fotografi italiani vincitori del Premio: Luca Locatelli, autore del reportage “Hunger Solution” che ha vinto il secondo premio sezione storie per la categoria “Ambiente”, Alessandro Lercara, fotografo torinese, primo premio del concorso fotografico “Per Amore”, promosso da UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati. E poi ancora il siciliano Alessio Mamo, vincitore con il suo ritratto di “Manal”, Fausto Podavini,  vincitore con il reportage sulla valle dell’Omo in Etiopia, e Francesco Pistilli, al primo posto per aver documentato l’inasprimento della cosiddetta rotta balcanica verso l’Unione europea, bloccando migliaia

di rifugiati che tentavano di viaggiare attraverso la Serbia per cercare una nuova vita in Europa. Oltre agli appuntamenti settimanali con i fotografi, il programma si arricchisce di focus mirati sulle grandi questioni politiche e culturali del 2018 (il programma è consultabile su: world-pressphototorino.it) e non mancherà, il prossimo giovedì 18 ottobre, alle 18,30, un amarcord tutto torinese. Protagonista Sergio Solavaggione, storico fotografo de “La Stampa”, che presenta “Obiettivo sensibile” (Daniela Piazza Editore). Con lui dialogano il figlio Daniele Solavaggione, fotoreporter e videomaker de “La Stampa”, Angelo Conti, giornalista e consigliere d’amministrazione della Fondazione La Stampa-Specchio dei Tempi e Giorgio Levi, presidente del “Centro Giornalistico Pestelli”. Gli incontri sono gratuiti. Per le public lectures occorre, invece, il biglietto di ingresso alla mostra.

g. m.

“World Press Photo 2018”

Ex- Borsa Valori, via San Francesco da Paola 22 (Piazzale Valdo Fusi), Torino.

Fino all’11 novembre – Orari: lun. giov. 10/20 e ven. dom. (e merc. 31 ottobre) 10/22

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Foto di:

– Ronaldo Schemidt
– Neil Aldridge
– Richard Tsong – Taatari /Star Tribune
– Ivor Prickett for The New York Times
– Javier Arcenillas – Luz

 

Leggermente, gli eventi del mese

Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria.

Chi legge avrà vissuto 5.000 anni… Perché la lettura è un’immortalità all’indietro.

(Umberto Eco)

 

 

Continuano gli appuntamenti della nona edizione di Leggermente, il progetto di Cascina Roccafranca, Sistema Bibliotecario Urbano, Biblioteca civica Villa Amoretti e Libreria Gulliver che dal 2011 promuove iniziative, eventi e incontri che ruotano intorno ai libri e alla lettura condivisa. Dopo aver inaugurato con Enrico Deaglio in Cascina Roccafranca ed aver ospitato Rossella Milone alla biblioteca Villa Amoretti proseguono gli incontri condotti dai gruppi di lettura:

 

– Mercoledì 17 ottobre alle ore 18 alla Biblioteca Civica Villa Amoretti – C.so Orbassano 200

La scrittrice Madeleine Thien (Canada), finalista al Premio Bottari Lattes Grinzane 2018 (sezione Il Germoglio) con il romanzo Non dite che non abbiamo niente (66thand2nd; traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini) sarà per la prima volta a Torino in vista della gara finale al castello di Grinzane Cavour (20 ottobre).

 

Attraverso la ricostruzione della storia del padre della protagonista e dei suoi due amici (che in Cina combattono per rimanere fedeli ai loro ideali e alla musica), dai primi giorni della Rivoluzione culturale cinese fino agli eventi di piazza Tienanmen del 1989 a Pechino, il romanzo Non dite che non abbiamo niente compone un affresco di un Paese in continua trasformazione e una riflessione sul ruolo della politica e dell’arte nella società.

 

– Sabato 20 ottobre alle ore 21.00 a + SpazioQuattro – Via Saccarelli 18

il rinomato autore Maurizio Maggiani inaugura in Circoscrizione 4 con il suo libro freschissimo di stampa L’amore ed. Feltrinelli, il racconto della giornata di uno sposo che in una notte ripercorre i suoi amori.

 

– Sabato 27 ottobre alle ore 17,30 alla libreria La Gang del Pensiero Corso Telesio 99

Raffaella Romagnolo presenta Destino, ed. Rizzoli, l’Italia del Novecento raccontata attraverso la storia della protagonista.

 

 

www.cascinaroccafranca.it/leggermente

In un mondo in bianco e nero, Binasco convince con il suo Arlecchino

Che ormai, andando a teatro, quelli che per definizione sono “i classici” ce li dobbiamo aspettare posti al di fuori di ogni norma più o meno antica, è un dato di fatto, una consuetudine, quasi un implacabile déjà vu che finirà prima o poi per invischiare questi nostri registi come in altra epoca altri furono presi in trappola da parrucche incipriate, da nei posticci, da mossette leziose. Non ci fu un taglio netto, le lezioni di Squarzina (i suoi Goldoni!) e di Castri intervallarono poco a poco la seconda metà del secolo scorso, un’isola a sé rimanendo la sacra rappresentazione dell’Arlecchino di Strehler, una reinvenzione e un capolavoro. Valerio Binasco, mettendo oggi in scena per la stagione dello Stabile torinese, di cui è da quest’anno direttore artistico – repliche al Carignano sino al 28 ottobre -, il testo degli esordi goldoniani, rientra nella scia dei disturbatori, progetta che non c’è più posto per la maschera e per i suoi atteggiamenti da farsa, ci lascia un Arlecchino intristito, che annaspa tra le proprie bugie e i risultati più che disastrosi che ne derivano, insicuro e a tratti devastato tra il gruppetto di lor signori e un matrimonio che sta per essere siglato. Non è tutto luci e fiammelle a illuminare la casa del ruvido Pantalone e gli altri luoghi ricreati tra siparietti e fondali da Guido Fiorato (dentro ci sono anche biciclette circolanti, tavolini di un bar, ballabili da un vecchio giradischi, scivoli e giostrine che occupano un giardino per bambini), sono penombre e deboli luci che tagliano di sghembo, che pongono in chiaroscuro la malinconia che circola, le infelicità e i sospetti, la fame sempre in agguato, il ripetersi delle giornate e delle azioni per una scolorita sopravvivenza. Il tutto dove? “In un mondo in bianco e nero”, quello respirato decenni fa, con una umanità che “si è seduta ai tavoli di vecchie osterie, ha indossato gli ultimi cappelli, ha assistito al trionfo della modernità con comico sussiego, ci ha fatto ridere e piangere a teatro e al cinema con le ‘nuove maschere’ dei grandi comici del Novecento, e poi è svanita per sempre, nel nulla del nuovo secolo televisivo”. Una umanità di provincia, arruffata, impoverita, a tratti un po’ cialtrona, sempliciotta la maggior parte, piena di sogni, attenta alle proprie sostanze, quella stessa umanità che abbiamo negli anni passati ritrovato nella Tempesta come nel Mercante come nel Don Giovanni, ogni titolo stropicciato in una provincia dimenticata e rimpianta, con certe radici forse proprio in quella mandrogna che il regista ha respirato da giovane.

Dicevamo déjà vu, ma certo coerente e affettuoso, convincente. In questo suo Arlecchino servitore di due padroni, Binasco ci porta ben al di là della Commedia dell’Arte, reinquadra il protagonista quasi in un anonimato che a volte sconcerta, ne azzera quel panorama di diavolerie fisiche legate alla maschera, magari riportandolo ai tratti conosciuti per un attimo, in un meccanismo perfetto, allorché con altri due pari suoi deve dalle cucine far arrivare nelle due diverse stanze d’albergo, a coloro di cui è contemporaneamente a servizio, le portate di un abbondante pranzo: per ripiombarlo al termine dell’esibizione nel buio più completo. Non si può rinunciare a tutto, Binasco sa benissimo lavorare sugli attori e sulla loro spremitura (anche se arrivando oltre i 160’ una certa stanchezza la si sente e la chiarezza del racconto e degli intenti si indebolisce e si arruffa) per cui le gag, anche se affievolite, non mancano, affidate anche ai personaggi minori, dove piacciono il Pantalone di Michele Di Mauro, custode di ogni regola, il Silvio di Denis Fasolo, la Beatrice di Elisabetta Mazzullo e la Smeraldina di Marta Cortellazzo Wiel, servetta pronta a rivendicare qualche diritto femminile (“sono donna, voglio la mia libertà”), rivendicazioni fuori epoca che troveranno poco seguito.  Per l’Arlecchino di Natalino Balasso, ammorbidito anche in quei suoni del dialetto veneto, la prima preoccupazione è ricavare il maggior vantaggio da quell’ignorare flemmatico in cui vive, in quello spaesamento quotidiano e l’attore coglie il segno, un clown triste fatto di una furbizia già sconfitta, lasciato nel finale in una sospensione in cui difficilmente trova spazio la sua domanda di perdono a una classe che ha ritrovato un ordine e non vuole rispondere.

 

Elio Rabbione

 

Foto di scena di Bepi Caroli

 

Nelle immagini:

Un momento dello spettacolo

Natalino Balasso, protagonista di “Arlecchino”

Marta Cortellazzo Wiel (Smeraldina) e Natalino Balasso (Arlecchino)

 

Frassati a 150 anni dalla nascita

Giovedì 18 ottobre alle ore 17, nella Sala “Viglione” di Palazzo Lascaris (via Alfieri 15),  il Centro “Pannunzio” ed il Consiglio regionale del Piemonte organizzano un Convegno dedicato al ricordo di Alfredo Frassati in occasione del 150° anniversario della nascita. Interverranno i giornalisti Marcello Sorgi e Jas Gawronski, nipote di Frassati; Sergio Chiamparino, Presidente della Regione Piemonte; Pier Franco Quaglieni, storico contemporaneista, direttore generale  del Centro “Pannunzio”. Presiederà Nino Boeti, Presidente del Consiglio regionale del Piemonte. Nato a Pollone nel 1868, Frassati si laureò in Giurisprudenza all’Università di Torino, approfondendo in seguito i suoi studi in Germania.  Collaboratore del quotidiano “La Gazzetta Piemontese”, ne divenne in breve tempo comproprietario e direttore cambiandone il nome in “La Stampa” e diventandone nel 1902 unico proprietario. Appoggiò costantemente l’opera politica di Giolitti e fu contrario all’intervento dell’Italia nel 1915 nella I Guerra Mondiale. Abbandonata la direzione del giornale nel 1920 perché nominato Ambasciatore a Berlino, si dimise dalla carica all’avvento del fascismo e quasi contemporaneamente fu costretto a cedere il quotidiano a Giovanni Agnelli. Libero Docente di Diritto e Procedura penale all’Università di Torino. Senatore del Regno dal 1913,dopo il 1945 fu componente della Consulta Nazionale e Senatore di diritto della Repubblica nella prima legislatura.  Finì la sua carriera giornalistica ,collaborando al “Corriere della Sera” di Mario Missiroli. Morì a Torino il 21 maggio 1961. 

La lingua nell’era digitale

Incontro promosso da Reale Mutua Torino Castello in collaborazione con la Società Dante Alighieri il 16 ottobre

Il mondo digitale e la realtà linguistica. L’introduzione delle nuove tecnologie, dei social media ha radicalmente modificato il modo di rappresentare la realtà e, di conseguenza, anche quello di esprimersi. I social network hanno trasformato l’uso della grammatica e del linguaggio, che è spesso si e conformato a quello della rete ed alle abbreviazioni in uso su Messanger e Whatsapp. Nulla tornerà più, molto probabilmente, come prima. Nel suo volume dal titolo “#Hashtag” l’antropologo Marino Niola ha spiegato che “i grandi passaggi epocali hanno sempre prodotto un sobbalzare nella lingua, un cambio di regime e di destinazione delle parole, nonché del loro rapporto con la realtà”. In occasione della diciottesima edizione della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, organizzata in collaborazione con l’Accademia della Crusca, la Società Dante Alighieri, la Confederazione Elvetica e il MIBAC, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale propongono il titolo “L’Italiano e la Rete, le Reti per l’Italiano”. https://www.esteri.it/mae/it/politica_estera/cultura/promozionelinguaitaliana/settimanalinguaitaliana. Lo scopo del tema di quest’anno è quello di indagare i legami e le influenze esistenti tra la lingua italiana, il mondo della rete Internet, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, incluse le piattaforme social. Il Comitato di Torino della Società Dante Alighieri lo spiegherà nel corso di un incontro dal titolo “Le nuove parole nel mondo digitale come veicolo di cambiamento culturale, sociale, economico e professionale”. “La password è pericolosa?” “Chi è il signor Giga?” “Quanto sono grandi i bitcoin?” “Sui social media si può scrivere quello che si vuole?”. Queste alcune delle domande, apparentemente assurde, realmente poste da persone che, pur conoscendo bene l’italiano, sono state investite dalla rivoluzione digitale, che ha introdotto nella nostra lingua parole sconosciute. Il linguaggio dei computer e dei social media, infatti, utilizza parole mutuate dall’inglese e neologismi inventati per dare un’etichetta a fenomeni ed invenzioni finora sconosciuti. Come reagisce la lingua italiana in presenza di questo fenomeno? Quali raccomandazioni si possono dare per assorbire con equilibrio questi neologismi preservando la chiarezza e l’armonia della nostra lingua? Peraltro la rete Internet collega tutti i luoghi del mondo e può servire per costruire ponti tra i cittadini italiani e coloro che vogliano conoscere la nostra cultura, diventando, al tempo stesso, uno strumento efficace per mantenere viva la nostra lingua e la nostra memoria. Quali risorse culturali diventano fruibili attraverso il web in maniera protetta e tesa alla conservazione dei valori, anziché all’uso consumistico dei dati? Quali sono i cambiamenti in ambito sociale, professionale e culturale?

 

Nella tavola rotonda ne discuteranno:

 

Giovanni Saccani Presidente Comitato Torino Società Dante Alighieri http://www.ladante-torino.it/ con Inserimento dei neologismi nel soggettario delle Biblioteche italiane nell’ambito di SBN Web: un excursus sul cambiamento della ricerca semantica

Antonio De Carolis Direttore Commerciale Reale Mutua Assicurazioni Agenzia Principale Torino Castello http://www.torinocastello.it/ e Presidente CDVM UI – Club Dirigenti Vendite e Marketing Unione Industriale di Torino http://www.cdvm.it con La comunicazione WEB in chiave di marketing

Alessandro Crosetti Professore Ordinario di Diritto amministrativo. Giurisprudenza – Università di Torino https://www.unito.it con Insulti, Social Networks e Istituzioni. Alcune brevi riflessioni in chiave giuridica

 

Giovanna Giordano titolare Escamotages – la tua guida nel mondo dell’informatica http://escamotages.com – autrice del glossario Le parolacce del computer consultabile liberamente online sul sito

Pietro Jarre Presidente eMemory – Emotional Memories la tua casa digitale in totale privacy https://www.ememory.it – e Vicepresidente Sloweb – Associazione non profit fondata per promuovere l’uso responsabile degli strumenti informatici http://www.sloweb.orgcon Da informatica a “informetica”.

 

Coordinerà l’incontro Antonio De Carolis. Porterà i saluti del Comitato della Società Dante Alighieri torinese Loretta Del Ponte Segretario organizzativo e Responsabile Comunicazione, Stampa e Media. L’incontro è organizzato da Società Dante Alighieri Comitato di Torino in collaborazione con Reale Mutua Torino Castello e si svolgerà il 16 ottobre p.v. dalle ore 17.30 presso la Reale Mutua Torino Castello, Tower Center – Sala Universo, in Piazza Castello 113 a Torino. Ingresso libero fino a disponibilità dei posti.

 

Mara Martellotta

 

XIII Premio Nazionale delle Arti agli allievi del Conservatorio

Pietro Caramelli, Francesco Cesario, Stefano Cicerone, Andrea Marazzi, Matteo Martino, Luca Morino e Federico Primavera – della scuola di musica elettronica guidata da Stefano Bassanese del Conservatorio statale di musica “G. Verdi” di Torino – hanno vinto il XIII Premio Nazionale delle Arti, sezione Musica elettronica, nella categoria D “Realizzazioni e interpretazioni di opere del repertorio storico elettroacustico” con l’interpretazione di Acustica di Maurizio Kagel (1968-70). La qualificatissima giuria era formata da: Barry Truax, David Pirrò e Alvise Vidolin. Nell’ambito della medesima iniziativa si segnala anche l’accesso alla finale, nella categoria C – Opere originali audio-video, di Matteo Marson con Chora.

La tragedia antica getta un ponte con il presente

Si riscopre a tutto campo il mondo classico, la cultura greca come quella latina, giornate di studio, conferenze e spettacoli, la consapevolezza di poter attingere ancora oggi da titoli che per secoli hanno divertito e insieme ci hanno fatto fare i conti con noi stessi. Radici insuperabili, esempi attuali – anche – di riscritture e rivisitazioni capaci nella loro attualizzazione di offrire, complice la Storia più recente, nuove letture che ancor maggiormente illuminano il Mito antico. Un cammino che certo non prende corpo oggi, ma che per molti versi ha potuto contare sul suggestivo progetto culturale voluto da Torino Spettacoli e dalla passione di Germana Erba e Pierpaolo Fornaro, come dall’impegno di due attori come Adriana Innocenti e Piero Nuti.

Sul palcoscenico dell’Erba, siamo giunti al ventesimo appuntamento con la cultura classica. Un Festival (le rappresentazioni dei vari titoli in programma termineranno il 31 ottobre) che ha avuto la propria inaugurazione con il ritorno dello spettacolo-conferenza “Ciò che uno ama”, un interessante percorso attraverso i poeti lirici dell’antica Grecia. Sono seguiti, tra gli altri, la plautina “Commedia delle tre dracme”, il doppio confronto con la figura di Antigone attraverso Alfieri e Brecht, l’arte oratoria di Cicerone riversata nel “Pro Caelio” dovuto alla scrittura di Nuti, il peregrinare di Ulisse attraverso le parole di Andrea Camilleri con il racconto “Maruzza Musumeci”. Ancora Cicerone questa sera con il “De Senectute” (ancora la scrittura di Nuti a proporre oggi “L’arte di saper invecchiare”, mentre giovedì 18 e venerdì 19 sarà la volta di “Pro Milone” (“Il coraggio fa 90”) con Girolamo Angione, Luciano Caratto, Elia Tedesco, Giovanni Gibbin e Michele Fazzari. Ad Anfitrione rivisto nel 1668 da Molière (un lungo percorso dalla commedia di Plauto, che passa ancora dal primo Ottocento del tedesco von Kleist al novecentesco Jean Giraudoux, pronto Thomas Mann a definire la commedia come “la più bella del mondo”) sono dedicate le serate di sabato 20 e domenica 21 prossimi, un divertimento assicurato nel rivedere le vicende della beffa ordita dagli dei ai danni dei mortali e l’esilarante gioco degli scambi di identità che questa volta riescono a coinvolgere la reggia di Francia e gli amori alla corte di Luigi XIV.

Ancora “Rudens/Ridens… tutto in una tempesta” (24 e 25 ottobre) e “Il soldato fanfarone” (26 – 28 ottobre), entrambi i titoli diretti da Girolamo Angione. Ultimo appuntamento (30 e 31 ottobre) “Non una di meno” che Manlio Marinelli ha tratto dalle “Troiane” di Euripide, con la regia di Lia Chiappara e la produzione del Teatro Libero Palermo, ancora donne che attraversano il mare, perseguitate e schiave, un dolore e un’umanità in balìa degli eventi, Ecuba Andromaca e Cassandra che gettano un ponte con il nostro tempo.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini Elia Tedesco in una scena di “Rudens/Ridens… tutto in una tempesta “ e un momento di “Non una di meno”

 

Quando la Repubblica di Genova morì a Mombello

Mombello Monferrato, comune della Valcerrina, è stata testimone indiretta di un passaggio importante per la storia della Repubblica di Genova perché proprio qui tra i colli del Monferrato venne siglato l’atto di decesso della Superba come repubblica marinara ad opera di Napoleone Bonaparte. La vicenda ha origini lontane che non trovano in loco molte fonti di conoscenza, ad eccezione di un richiamo, sul sito del Comune di Mombello Monferrato per cui ‘in seguito alla stipula del trattato di Utrecht, il dominio dei luoghi passò alla dinastia dei Savoia, fino alla discesa in Italia di Napoleone, he proprio nel palazzo oggi denominato Palazzo Tornielli, firmò la pace con Genova nel 1797’. Effettivamente il 1797 è l’anno nel quale si concluse la Campagna d’Italia che siglò con il Campoformido la fine della gloriosa Repubblica di Venezia, ma gli eventi che portarono la sua antica rivale al capolinea sono meno conosciuti. Ecco, dunque, che accadde: il 21 maggio 1797, ancora presente con la sua Armata d’Italia il Bonaparte, giacobini genovesi iniziarono una rivolta. I rivoluzionari, però, vennero fermati da una controrivoluzione popolare alla quale partecipavano portuali e carbonari che scendevano nelle vie della città al grido di ‘Viva Maria, morte ai Giacobini’, memori di quelle rivolta nei confronti degli austriaci iniziata da Balilla qualche decennio prima. Le due fazioni vennero, pertanto, alle mani dando vita ad una lotta fraterna che insanguinò Genova finita con molti arresti. La vicinanza di Napoleone diede un impulso ai moti e pochi giorni dopo, il 5 giugno 1797 a Mombello Monferrato, venne stipulata la convenzione tra il nuovo ordinamento della Repubblica di Genova tra il generale corso e la deputazione genovese composta da Luigi Carbonara, Michelangelo Cambiaso e Girolamo Serra. A questo punto, Mombello Monferrato che fu comunque teatro di un passaggio importante, uscì di scena ed il 14 giugno 1797, a Genova ebbe luogo la prima seduta del Governi Provvisorio e, quindi, per influsso della Rivoluzione Francese, il governo della Repubblica di Genova, nell’ordinamento del 17 marzo 1576, venne sostituito dal governo democratico. Gran parte di questa narrazione è contenuta in un documento politico, ovvero una mozione elaborata dall’allora consigliere comunale Franco Bampi, del 5 maggio 1997 ed intitolata proprio ‘Sui fatti che accaddero a Genova nel 1797’, nella quale l’autore, storico e profondo conoscitore della lingua e dell’identità ligure, ripercorre con dovizia di particolari gli eventi che portarono all’aspro conflitto nelle strade della Superba tra i giacobini francesi ed i cittadini francesi da un lato e dai sostenitori del doge Giacomo Maria Brignole che, complice il sostegno di Napoleone, portarono alla nascita della Repubblica Ligure che dal giugno del 1805 entrò a fare parte dell’Impero Francese. Per quanto riguarda invece Palazzo Tornielli di Mombello Monferrato che su testimone di questo passaggio cruciale della storia genovese le sue

origini risalgono al XV-XVI secolo. Nel 1711 era la dimora del castellano Giovanni Giacomo Paltro. Alla fine del XIX secolo sull’arco del portico sotto il palazzo vi era la data del 1462, che si riferisce, con ogni probabilità, a lavori di ripristino ed ampliamento. Fu fra la fine dell’800 e i primi del ‘900 che l’ingegner Vittorio Tornielli (progettista del castello di Cereseto, dietro incarico di Riccardo Gualino, socio nei primi anni della Fiat di Agnelli e mecenate torinese), che lo ristrutturò nel 1910 e lo arredò con mobili d’epoca. Abbandonato nel 1960 è stato restaurato negli anni ’90 dall’attuale proprietario con risultati eccellenti. Architettonicamente è molto bella la parte loggiata che conferisce leggerezza all’edificio, aprendolo verso il bellissimo panorama antistante, sulle colline del Monferrato. Si ringrazia il vice sindaco di Mombello Monferrato Augusto Cavallo per la collaborazione e le fotografie, importanti per la riuscita di questa tappa alla riscoperta della Valcerrina

Massimo Iaretti