CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 621

La torre di Trana

9 / Questa storia è dedicata agli scettici, a chi non vuole sentir parlare né di aldilà, né di spiriti, né di anime, a chi crede solo nel freddo e cinico razionalismo.

Fantasma, è termine greco, che significa “Immagine”, connesso con il verbo phantàzomai, “mi mostro, appaio”. Come da definizione del dizionario esso indica l’immagine creata dalla fantasia senza alcuna corrispondenza con la realtà delle cose, ma è anche l’immagine di persona defunta che una fantasia allucinata rievoca e ritiene reale. Dunque i fantasmi. Essi presentano caratteristiche specifiche, sono eterei, luminescenti e fluttuanti, sono abitudinari, si aggirano sempre in luoghi cupi, bui ed inquietanti; appaiono di notte, nel momento in cui il buio sovrasta il mondo; amano molto anche le tempeste, quando possono approfittare dell’inquietudine provocata dagli improvvisi lampi e tuoni. Alcuni di loro mostrano un carattere più romantico e aspettano la luce tenue del plenilunio per manifestarsi ed accentuare il proprio pallore. Essi sono figure centrali e ricorrenti nelle tradizioni popolari di tutto il mondo. Per chi crede a queste storie -e soprattutto per chi non ci crede- ci sono luoghi in cui assistere ad apparizioni sovrannaturali è più facile rispetto ad altre parti. Si tratta di zone particolari, a cui gli spiriti rimangono strettamente legati, scenari di vicende antiche, talvolta quasi dimenticate.Uno di questi luoghi peculiari è il piccolo paesino di Trana, in cui si trova una solitaria torre di epoca medievale, che parrebbe essere un ricettacolo di anime inquiete. Pare che proprio qui siano solite mostrarsi luminose figure, spiriti fatti di luce, non si sa chi o cosa siano, né se siano portatori di specifici messaggi. È surreale la quantità di testimonianze che riguardano tali apparizioni. In molti sostengono di aver visto due figure femminili, particolarmente iridescenti, una con lunghissimi capelli corvini. Questi spiriti compaiono nella notte e vagano come stelle cadute che non sanno come tornare a casa.  È decisamente il giorno sbagliato per andare verso le montagne, l’aria è fredda, ai bordi della strada persiste la neve, guido piano perché ho paura di scivolare sulla strada a tratti ghiacciata.È un viaggio lungo quello di oggi, perché sono sola e l’assenza di compagnia aumenta le distanze e abbassa ulteriormente le temperature già fredde.

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Il cartello “Trana” appare proprio quando mi viene il timore di essermi persa; vado ancora avanti per una decina di minuti prima di arrivare al centro del paese e alla mia reale meta. Compare all’altezza dell’orizzonte, preciso di fronte a me, il mistico mastio di trenta metri di altezza, ultima testimonianza della presenza di un castello risalente al X, XI secolo, raso al suolo dalle truppe francesi dei Catinat, sul finire del XVII secolo. La torre era un tempo proprietà degli Orsini, successivamente, nel 1581, passò alla famiglia Gromis. Riesco a lasciare la macchina in un piccolo spiazzo proprio ai piedi della modesta collina su cui si trova la costruzione che mi interessa visitare, scendendo dalla vettura vengo immediatamente presa a schiaffi dall’aria gelida, socchiudo gli occhi e sprofondo all’interno dello sciarpone invernale, così imbacuccata faccio forza su di me e parto per la mia solitaria perlustrazione.La neve ricopre tutto, la stradina che sto percorrendo a piedi, che dallo spiazzo sembra condurre verso l’alto della collina, i tetti delle case, la copertura del ponte in legno che attraversa il Sangone e l’altura che avevo scioccamente immaginato di risalire per arrivare ai piedi della torre. L’atmosfera è spettrale, poca luce che riesce a penetrare attraverso le nuvole che ricoprono il cielo per intero, sono talmente tante che potrebbero avvolgere il Mondo, il terreno è un’enorme coperta, vecchia, usurata, strappata dagli alberi che spuntano slanciandosi con violenza verso l’alto. Con l’illuminazione di quel giorno i toni dei colori si abbassano, il marrone dei tronchi è quasi pece, il verde dell’edera che serpeggia tra gli alberi è smorto e propende verso la gamma dei grigi. I rami crescono selvaggi uno sull’altro, allungano i rami esili e nodosi verso l’alto, sembrano volersi impossessare del cielo.

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Sto continuando a seguire la stradina scivolosa, ma ben presto mi rendo conto che continuare su questa via non sarà d’aiuto al mio intento, inoltre compare un dettaglio a cui non avevo pensato: una recinzione che circonda la collina. Noto che la rete presenta delle aperture, segno che qualche altro curioso ha anticipato i miei passi, ma la neve ghiacciata rende il terreno scivoloso e l’arrampicata rischiosa, più che per me, per la mia reflex. Mi fermo a guardare la torre da quella bassa prospettiva, di lì, mi ricorda una divinità arcaica posta nel mezzo di un rituale di adorazione, i rami sembrano protendere verso di lei, quasi in segno di supplica. Oggi non c’è molto che io possa fare, se non ridiscendere con attenzione. Ora che il mio primo obbiettivo è sfumato posso passare ad altre considerazioni, prima fra tutte il fatto che una località così piccola abbia così tanta storia da raccontare: il paesino di Trana, in epoca antica strettamente collegato alla fortuna e al destino della famiglia Gromis, in tempi meno antichi aveva assunto una posizione di rilievo nella lotta partigiana durante la Seconda Guerra Mondiale. Mi viene in mente che, oltre alla valenza prettamente storica, c’è anche un aspetto antropologico per cui questa terra è conosciuta, cioè la presenza di imponenti menhir sul vicino monte Pietra Borga. Intorno a tali preistoriche testimonianze di insediamenti umani circolano altre storie, che alludono alle masche e agli spiriti dei boschi. Le storie di queste zone confinano tra loro, dove termina una, subito ne inizia un’altra. È possibile che in una tale moltitudine di leggende non ci sia nulla di vero? Prima di risalire in macchina mi volto a guardare quel paesaggio perfetto nel suo essere spettrale, il cielo si è rabbuiato ancora, così come i tratti delle ombre sono più calcati. Penso che l’unico motivo per cui non mi sono imbattuta in nessuno spettro è che dietro le nuvole è ancora giorno, i fantasmi sono creature abitudinarie, appaiono solo di notte. Nessuna eccezione, nemmeno per i curiosi forestieri come me.

 

Alessia Cagnotto

 

Oggi al cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

A beautiful day – Drammatico. Regia di Lynne Ramsay, con Joaquin Phoenix e Judith Roberts. Un uomo nella cui mente trovano posto ricordi dolorosi, un passato di guerra, una infanzia di abusi, un figlio che si prende cura della madre anziana. Anche un sicario che entra nella vicenda sporca e infelice della figlioletta di un senatore, portata via per essere fatta sprofondare nel buio della prostituzione minorile. Con il viso dolente e con la robusta interpretazione di Phoenix premiato a Cannes quale migliore attore. Il film s’è anche aggiudicato il Palmarès per la migliore sceneggiatura. Durata 95 minuti. (Ambrosio sala 2, Uci)

 

Arrivano i prof – Commedia. Regia di Ivan Silvestrini, con Claudio Bisio, Maurizio Nichetti e Lino Guanciale. Il liceo si può gloriare di essere il peggiore liceo della nazione: ecco che allora il preside accetta la proposta del provveditore e assume i peggiori insegnanti, nella sfida che dove i migliori hanno fallito, siano i peggiori a ottenere dei risultati. Arrivano sette insegnanti, uno peggio dell’altro, con i loro metodi precisi ma sgangherati, con il loro modo di insegnare bel oltre le righe. Ma per i ragazzi cambierà qualcosa. Durata 100 minuti. (Massaua, Reposi, The Space, Uci)

 

Avengers: Infinity War – Fantasy. Regia di Anthony e Joe Russo, con Chris Evans, Robert Downing jr, Zoe Saldana e Chris Pratt. Contro gli eroi (buoni) di Marvel nell’ultimo episodio della saga c’è Thanos (cattivissimo), che grazie al potere delle Gemme dell’Infinito vuole impadronirsi e distruggere circa la metà di questa nostra povera terra. Ecco che allora gli Avangers sentono la necessità di riunirsi e di chiedere pure l’aiuto dei Guardiani della Galassia, insomma tutti insieme appassionatamente per far fuori il fellone. Per la gioia di grandi e bambini ci sono proprio tutti nell’affollato pentolone, Capitan America e Spiderman, la Vedova Nera e Thor, Iron Man e Black Panter. Durata 149 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space anche 3D, Uci 3D e V.O.)

 

Benvenuto in Germania – Commedia. Regia di Simon Verhoeven, con Senta Berger, Heiner Lauterbach e Florian David Fitz. Un’insegnante di tedesco da poco andata in pensione, due figli ormai adulti, un marito chirurgo ortopedico, un gatto. Un giorno decide di ospitare un rifugiato in cerca di una nuova patria e di un po’ di fortuna: nemmeno a dirlo, il nuovo arrivo metterà a dura prova la vita all’interno della casa, la coabitazione, le giornate, il matrimonio dei due padroni di casa. Durata 116 minuti. (F.lli Marx sala Chico)

 

La casa sul mare – Drammatico. Regia di Robert Guédiguian, con Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darrousin, Anaïs Demoustier e Jacques Boudet. Una casa affacciata sul mare, poco fuori Marsiglia, due fratelli con la sorella vi si ritrovano all’indomani dell’ictus che ha colpito il padre anziano. Uno è un ex sindacalista, aspirante scrittore, con una fidanzata al seguito che ha la metà dei suoi anni, l’altro è rimasto ad abitare nella casa per far andare avanti la trattoria di famiglia, lei è un attrice, trasferita a Parigi per inseguire la sua carriera e lasciarsi alle spalle la perdita della figlia. Altre persone circolano attorno a loro, tutti a fare i conti, un bilancio tra ideali ed emozioni, tra aspirazioni e nostalgie, con un passato più o meno recente, a guardare il piccolo paese che ormai si è svuotato, lasciando le vecchie case agli speculatori, a parlare di politica, tra Macron e Le Pen, a guardare ai figli, anch’essi confusi. Un piccolo gruppo di giovanissimi profughi, senza genitori, obbligherà con il loro arrivo quelle scelte che tutti quanti gli abitanti della “villa” (questo il titolo originale del film), dovranno affrontare. Un film che per buona parte segue un filo di ricordi e di eventuali costruzioni, che comincia inspiegabilmente a sfilacciarsi con un doppio suicidio, che nel finale s’inventa il ritrovamento dei ragazzini venuti dal mare per cogliere senza necessità un racconto dell’oggi che viviamo. Senz’altro ci si aspettava di più. Durata 107 minuti. (Nazionale 1)

 

Cosa dirà la gente – Drammatico. Regia di Iram Haq, con Maria Mozhdah. La sedicenne Nisha vive una doppia vita. A casa, in famiglia, è la perfetta figlia pachistana, ma quando esce con gli amici è una normale adolescente norvegese. Quando però il padre sorprende Nisha in intimità con il suo ragazzo, i due mondi della ragazza entrano violentemente in collisione: i suoi stessi genitori la rapiscono per portarla in casa di alcuni parenti in Pachistan. Lì, in un paese in cui non è mai stata prima, Nisha è costretta ad adattarsi alla cultura di suo padre e di sua madre. Durata 106 minuti. (Romano sala 1)

 

Dopo la guerra – Drammatico. Regia di Annarita Zambrano, con Giuseppe Battiston e Barbora Bobulova. Presentato lo scorso anno a Cannes alla vetrina di Un certain regard, il film si riallaccia all’uccisione del giuslavorista Marco Biagi nella Bologna del 2002. Qui dell’omicidio di un professore universitario è accusato l’ex militante Marco, fuggito in Francia con la figlia grazie alla”dottrina Mitterand” e di cui lo stato italiano chiede l’estradizione. Intanto in Italia la madre, la sorella e il cognato sono al centro di sospetti e finiscono al centro dell’attenzione mediatica. Durata 95 minuti. (F.lli Marx sala Harpo)

 

Escobar – Il fascino del male – Drammatico. Regia di Fernando Leon de Aranoa, con Penelope Cruz e Javier Bardem. Tratto dal libro che Virginia Vallejo, volto un tempo noto della tivù colombiana e oggi donna sotto protezione negli Stati Uniti, ha scritto intorno alla sua relazione con il gran capo della droga tra il 1981 e il 1987, è il resoconto di quegli anni, da un lato l’amante gentile e affascinante, dall’altro il mandante delle uccisioni di magistrati e poliziotti, di politici e di avversari, al fine di una scalata sempre più completa. Durata 105 minuti. (Greenwich sala 2, Ideal, The Space, Uci)

 

Il giovane Karl Marx – Drammatico. Regia di Raoul Peck, con August Diehl, Stephan Konarske e Vicky Krieps. Gli anni Quaranta del XIX secolo, l’esilio da Berlino e le fughe attraverso l’Europa, la povertà e gli stenti, la polizia sempre incalzante, le idee in crescita contro una classe dirigente e un capitalismo volti allo sfruttamento e alle ingiustizie, l’amicizia con Engels, figlio ribelle di un ricco industriale, la stesura del “Manifesto del partito comunista”. Durata 112 minuti. (Centrale anche in V.O.)

 

Eva – Drammatico. Regia di Benoît Jacquot, con Isabelle Huppert e Gaspard Ulliel. Bertrand è un giovane e promettente scrittore, ma il suo successo nasconde un terribile segreto. Quando incontra Eva, prostituta d’alto bordo con un passato altrettanto misterioso, decide di sedurla a ogni costo e usare la sua storia come ispirazione letterari, anche mettendo a rischio il fidanzamento con l’ingenua Caroline. Ma Eva non si lascia manipolare facilmente e trasvina presto Bertrand in una spirale di menzogne, violenza e tradimento. Durata 102 minuti. (Eliseo Blu)

 

Game Night: indovina chi muore stasera? – Commedia drammatica. Regia di John Francis Daley e Jonathan Goldstein, con Rachel McAdams e Jason Bateman. Ogni settimana Annie e Max amano inventare giochi di vario genere per divertire se stessi e gli amici. Il fratello di Max inventa un inaspettato gioco con un rapito, che è il padrone di casa, chi dovrebbe trovarlo e liberarlo: è una finzione o non piuttosto una ingombrante realtà? Durata 100 minuti. (Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

L’isola dei cani – Animazione. Regia di Wes Anderson. In un Giappone di epoca futura, il sindaco di una città denominata Megasaki ha ordinato di rinchiudere in un isola deserta e adibita a discarica ogni cane esistente, causa un mistorioso virus che li colpirebbe tutti. Il motivo vero è poter fare affari alla faccia dei simpatici amici dell’uomo. Dovranno intervenire un bambino e la giovane giornalista in erba Tracy a svelare le reali mire del primo cittadino e di tutto quanto il governo. Orso d’argento a Berlino per la miglior regia. Durata 101 minuti. (Massimo sala 1 anche V.O., Reposi, Uci)

 

Loro 1 – Commedia. Regia di Paolo Sorrentino, con Toni Servillo, Elena Sofia Ricci, Anna Bonaiuto, Riccardo Scamarcio, Fabrizio Bentivoglio e Kasia Smutniak. “Loro” sono quelli che in forma di gran baraccone con reminiscenze felliniane gravitano nell’universo berlusconiano, vero? tutto falso? opportunamente e malvagiamente esagerato?, uomini e donne in cerca di affermazione, non importa come, importa il quando, subito!, il ragazzo del sud (leggi Tarantini) che recluta ragazze e droga, gli affari poco puliti, gli amici e i nemici, il potere a ogni costo, la politica e i contratti con gli Italiani, le ville e le feste, la volgarità, il rapporto con Veronica: questo e molto altro nel primo capitolo di una vicenda che tutti abbiamo attraversato e che stiamo ancora attraversando. Comunque: primo, un film di cui non si sentiva assolutamente la necessità; secondo, piuttosto deludente, con quella prima parte dove impera il pur bravo Scamarcio, con le sue festicciole e le sue assatanate. Poi Servillo truccatissimo (ma si poteva fare di meglio), che ammaestra il nipotino e fa gli occhi dolci a Veronica, e allora il film ha qualche tocco d’ala. Ma sono davvero pochi. Durata 106 minuti. (Ambrosio sala 3, Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, F.lli Marx sala Harpo, Ideal, Lux sala 1, Reposi, Romano sala 3, The Space, Uci)

 

Loro 2 – Commedia. Regia di Paolo Sorrentino. Il lato umano, a tratti godereccio, a tratti disperato, del ex premier, tutti i riferimenti agli inverni del nostro scontento e alle cronache quotidiane, il matrimonio andato a pezzi, le olgiattine e i festini, le biondine più che appetitose e disponibili, l’entourage in cerchia di soldi e di celebrità, le piscine, la gran folla. E poi l’ambiguità, il potere. Tutto con gli occhi dell’autore della “Grande bellezza”. Con la scusa che la seconda parte del film era in uscita in Italia, niente concorso a Cannes, così decretò Thierry Frémaux: ma visto che l’accoppiata – in numero uno e il numero due – ci guadagnerebbe, e Dio solo sa quanto!, non si sarebbe potuto sfrondare e farlo in qualche modo sulla Croisette? Durata 100 minuti. (Ambrosio sala 1, Massaua, Due Giardini sala Nirvana e Ombrerosse, Eliseo Grande, F.lli Marx sala Groucho, Ideal, Lux sala 3, Reposi, Romano sala 2, The Space, Uci)

 

La mélodie – Drammatico. Regia di Rachid Hami, con Kad Merad, Jean-Luc Vincent e Samir Guesmi. Simon è un famoso musicista ormai disilluso, arriva in una scuola alle porte di Parigi per dare lezioni di violino. I suoi metodi d’insegnamento piuttosto rigidi non facilitano i rapporti con gli allievi problematici. Tra di loro c’è Arnold, un timido studente affascinato dal violino che scopre di avere una forte predisposizione per lo strumento. Grazie al talento di Arnold, Simon riscopre a poco a poco le gioie della musica. Riuscirà a ritrovare l’energia necessaria per superare gli ostacoli e mantenere la promessa di portare i bambini a suonare alla Filarmonica di Parigi?Durata 102 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Molly’s game – Drammatico. Regia di Aaron Sorkin, con Jessica Chastain, Kevin Costner e Idris Elba. Da una storia vera. Dove Molly è una eccellente sciatrice avviata verso i successi olimpici se una brutta e irrimediabile caduta non ponesse termine ad una promettente carriera. La vita richiede di cambiare registro e sfide. Ecco allora Molly ingegnarsi a divenire apprezzata organizzatrice di serate attorno ai tavoli del poker, con clientela di riguardo, dagli attori – leggi Di Caprio, Damon, Ben Affleck e altri qui ben camuffati – ai politici agli sportivi, tavoli attorno ai quali finiscono anche la droga e tipi russi poco raccomandabili, per cui l’FBI tiene le antenne ben alzate. Regia numero uno di uno dei maggiori sceneggiatori di Hollywood premio Oscar per The Social Network. Durata 140 minuti. (Greenwich sala 1)

 

I segreti di Wind River – Thriller. Regia di Taylor Sheridan, con Jeremy Renner, Elizabeth Olsen e Julia Jones. Tra le distese di neve del Wyoming viene inviata una giovane agente federale, non certo preparata a quelle temperature e soprattutto alla violenza che circola più o meno silenziosa in quei luoghi, per investigare sul ritrovamento del corpo martoriato di una ragazza scomparsa. Le dà sostegno e aiuto Cory, un navigato cacciatore impiegato a difendere il bestiame dagli attacchi dei predatori sempre in agguato, un animo tormentato, abbandonato dalla moglie dopo la scomparsa della figlia maggiore. Entrambi alla ricerca del colpevole, in un territorio dove ogni cosa sembra essere abbandonato alla violenza, in cui forse è necessario agire e rispondere esclusivamente con le sue stesse leggi. Dallo sceneggiatore di “Sicario” e “Hell or High Water”, terzo capitolo di una trilogia che ha affrontato il tema della frontiera americana oggi. Miglior regia a Un certain regard a Cannes lo scorso anno, grande successo al TFF. Durata 107 minuti. (Eliseo Blu)

 

Si muore tutti democristiani – Commedia. Regia di Marco Ripoldi, Davide Rossi, Andrea Mazzarella, Davide Bonacina e Andrea Fadenti, con Massimiliano Loizzi. Stefano con Fabrizio ed Enrico, stessi ideali e stessi sogni. Insieme gestiscono una piccola casa di produzione nella speranza di realizzare documentari a tema sociale. Forse un progetto ci sarebbe, con un considerevole guadagno economico: ma c’è un “ma”. E allora meglio fare cose pulite con i soldi sporchi o cose sporche con soldi puliti? Una riflessione ironica e impietosa sul compromesso. Durata 89 minuti. (Eliseo Rosso, Greenwich sala 3, The Space, Uci)

 

The Happy Prince – Drammatico. Regia di Rupert Everett, con Rupert Everett, Colin Morgan, Colin Firth e Tom Wilkinson. Oscar Wilde al centro della società londinese di fine Ottocento, pieno di successo, tutti corrono a vedere le sue commedie a teatro e leggono i suoi libri: poi, improvviso, il tracollo, il processo per ammissione di omosessualità e la condanna a due anni di lavori forzati, l’esilio parigino, il tentativo di recuperare il rapporto con la moglie, la volontà di avvicinarsi nuovamente al giovane Douglas, la morte. Everett racconta nella sua opera prima l’ultimo periodo della vita dello scrittore, lasciando libero sfogo ai ricordi. Durata 105 minuti. (Greenwich sala 1)

 

Tonno spiaggiato – Commedia. Regia di Matteo Martinez, con Frank Matano. Opera prima. La storia di Francesco, vorrebbe fare il comico ma alle sue esibizioni non ride mai nessuno. Fino a quando non infila una battuta dietro l’altra sulla sua ragazza grassa: il pubblico ride, lei lo lascia. Per riconquistarla, dal momento che al funerale della nonna di lei, s’è guadagnato un bell’abbraccio, provvederà a far fuori qualche altro parente e così gli affetti saranno ristabiliti. Ma le cose non si mettono al meglio, come Francesco spererebbe. Durata 91 minuti. (Massaua, Reposi, The Space, Uci)

 

Quando la pittura religiosa fa suo il linguaggio astratto

Al mondo esiste un certo (esiguo: ne vorremmo di più) numero di pittori di qualità.

Al mondo esiste un certo (cospicuo: la moda è moda) numero di pittori astrattisti.
Al mondo esiste un certo (calante: la moda passa) numero di pittori di tematica religiosa.

Pittori di qualità che fanno astrattismo di tema religioso, invece, non ce ne sono molti. Ne segnalo uno, di livello sublime, che sta attualmente esponendo a Torino. Con “La luce dell’AnnuncioRoberto Demarchi percorre a ritroso tre lustri di produzione, con ventiquattro tavole realizzate tra il 2004 e questi primi cinque mesi del 2018. La sensazione che il fascino dei dipinti aumenti avvicinandosi ai giorni nostri (i più recenti lavori sono più splendidi dei più datati) è stata avvertita con nettezza da chi scrive queste righe. Ecco le parole del maestro: «Ogni annuncio porta in sé il senso di una promessa futura, di qualcosa di inaudito (in senso etimologico: mai udito prima); ma, anche, qualcosa d’altro che è sostituito, che finisce, che muore. Il Vangelo (la Buona Novella) è qualcosa in più: il proclama al mondo di quanto di più grande, ineffabile e misterioso possa esistere: Dio stesso. Nella buia tenebra del mistero risplende la luce della Rivelazione». Non solo pittura astratta: in corso Rosselli 11 a Torino, fino a giovedì 31 maggio, è esposta anche una scultura di Francesco Zavattaro Ardizzi: il piccolo bronzo è una reinterpretazione tridimensionale della “Madonna della Scala”, bassorilievo giovanile di Michelangelo Buonarroti.

 

Andrea Donna

 

Reading – incontro a Scampia con Caterina Chinnici

VENERDI’ 18 MAGGIO

 

Dalle nostre Langhe va in trasferta a Scampia, il Premio Bottari Lattes Grinzane. In un quartiere, com’è risaputo, fra i più problematici dell’estrema periferia Nord di Napoli, il Premio (da sempre particolarmente sensibile alle tematiche legate alla cultura della legalità e alla necessità di coinvolgere i giovani sui temi dell’impegno sociale contro le mafie) intende così rendere omaggio alla figura di Rocco Chinnici, ideatore del primo pool antimafia, assassinato da Cosa Nostra trentacinque anni fa, il 29 luglio 1983.

L’evento è in programma per venerdì 18 maggio, alle ore 10,30, presso il locale Istituto Alberghiero “Vittorio Veneto” (via Labriola, lotto 11/K) e si propone come reading-incontro aperto al pubblico e agli studenti delle scuole di Napoli, ispirato al libro di Caterina Chinnici, figlia del magistrato, “È così lieve il tuo bacio sulla fronte” (Mondadori, 2013), recentemente trasposto in fiction su Rai Uno. 

Divenuta lei stessa giudice e a sua volta impegnata nella lotta contro la criminalità organizzata, Caterina Chinnici (eletta nel 2014 anche al Parlamento Europeo) porterà una diretta testimonianza sui temi della legalità e racconterà ai giovani la vita della sua famiglia prima della tragedia e come, dopo il lutto, lei con i suoi fratelli e la madre abbia ripreso a vivere, arrivando a perdonare. 

Gli attori Cristiana Dell’Anna (che nella fiction Tv ha interpretato Caterina Chinnici) e Paolo Giangrasso (che ha prestato volto e voce al magistrato Giovanni Falcone) daranno vita alle intense parole del libro. Moderatore sarà il libraio Rosario Esposito La Rossa, il famoso “spacciatore di cultura” che ha aperto la libreria della “riscossa”, la “Scugnizzeria” a Scampia e a Melito, dove da oltre quarant’anni mancava uno spazio dedicato ai libri.

L’appuntamento ( organizzato dalla Fondazione Bottari Lattes in collaborazione con la Fondazione CRC, ente che collabora e sostiene il Premio per il triennio 2017-2019), “intende fornire in linea con gli intenti della Fondazione Rocco Chinnici, un contributo alla formazione di un tessuto sociale intriso di quella cultura della legalità per la quale Chinnici si batteva e che è il presupposto per il contrasto alle mafie e alla ‘mafiosità’”.

g.m.

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Il libro di Caterina Chinnici

“È così lieve il tuo bacio sulla fronte” (Mondadori, 2013) ci racconta come e perché Rocco Chinnici sia stato ucciso. Ci racconta un eroe. Anche se a lui non sarebbe piaciuto essere chiamato così. Rocco Chinnici, nato a Misilmeri nel 1925 e assassinato a Palermo nel 1983, era prima di tutto un uomo, un padre, cui è toccata in sorte una vita straordinaria o forse un destino che lui ha scelto di assecondare fino alle estreme conseguenze. Dopo decenni di silenzio, Caterina Chinnici, la figlia primogenita a sua volta giudice, a sua volta impegnata nella lotta alla mafia, a sua volta sotto scorta sceglie di raccontare la loro vita “di prima”, serena nonostante le difficoltà, e la loro vita “dopo”. Sceglie di raccontare come lei, i suoi fratelli e la madre abbiano imparato nuovamente a vivere e siano riusciti a decidere di perdonare: l’unico modo per sentirsi degni del messaggio altissimo di un padre e di un marito molto amato.

 

Info: 0173.789282 - eventi@fondazionebottarilattes.it

WEB fondazionebottarilattes.it | FB Fondazione Bottari Lattes | TW @BottariLattes

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Nelle foto
– Il libro di Caterina Chinnici
– Caterina Chinnici
– Rocco Chinnici

Tra Kafka e Perrault, rigorosamente secondo il metodo Marcido

Termineranno domenica 13 (alle 20,45 e domenica alle 16), nello spazio Marcidofilm! di corso Brescia 4 bis, le repliche dell’ultimo spettacolo della stagione dei Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, un dittico che raccoglie Una relazione per l’Accademia da Kafka e La bella addormentata da Perrault, fiaba sì ma “in stile Marcido”. Performance di Paolo Orrico la prima parte, sotto la guida e nella drammaturgia di Marco Isidori (da più di trent’anni, familiarmente, l’Isi), è il frutto della “constatazione ‘tragica’ dell’indispensabile riduzione al grottesco di gran parte dell’istanza umana”, è il ritratto di una scimmia umana – o forse di un Uomo scimmiesco – e della “superiorità biologica delle forze istintuali che si spappola in caduta libera a contatto con le esigenze preponderanti delle leggi della galoppante Civiltà”. Fase animalesca e una nuova veste umana, un cambiamento che la statura della scena, al di là della pagina scritta, rende estremamente vitale e significativo, in un mostruoso e insopportabile divenire, dal momento che “finché si è Scimmia, la temporalità è uno spazio che non si riesce, per fortuna!, a determinare, si galleggia sulla propria esistenzialità con troppa coazione istintuale per avere un “tempo” di pensiero, ma quando ci si ritrova umani, è proprio il rapporto che è d’obbligo instaurare col “Tempo” a formare la nostra più intima fibra psichica; ie allora i “guai” sono, è il caso di dire, all’ordine del giorno”, spiega ancora Isidori. La fiaba di Perrault, condotta dalla voce narrante di Maria Luisa Abate, affronta i temi classici della fiaba ma la sua realizzazione si pone di fronte ad uno speciale approccio critico, obbediente a quella saggia sperimentazione messa con coerenza e continuamente in campo in una storia che sa di vero palcoscenico. Manco a dirlo, il trucco i trucchi, i costumi e il “Sipario delle Metamorfosi” si devono anche qui all’arte di Daniela Dal Cin. Prenotazioni ai numeri 339 3926887 oppure 328 7023604. info.marcido@gmail.comwww.marcido.it

(e.rb.)

Missione possibile: salvare Torino e l’arte

Se oggi possiamo ancora ammirare la Sindone, vari monumenti cittadini, i reperti del Museo Egizio e le opere d’arte dei musei lo dobbiamo ai provvidenziali interventi di tutela del patrimonio umano ed artistico che durante la II Guerra Mondiale li hanno messi al riparo mentre, tra 1940- 45, dal cielo cadevano le bombe sulla città.

La lungimiranza e il grande lavoro fatto all’epoca per proteggere la storia cittadina sono ora raccontati nel libro “Salvare Torino e l’arte” (Graphot editrice), scritto dalle architette Elena Imarisio e Letizia Sartoris e dal Vigile del Fuoco Michele Sforza che lo presenteranno al Salone del libro di Torino sabato 12 maggio, ore 16, in Sala Arancio.

Nel carnet dei vostri appuntamenti alla kermesse torinese segnatevi anche questo perché vi farà scoprire un libro che, tra immagini e parole, si legge come un romanzo o un insieme di racconti. Un tuffo nella storia con testimonianze fotografiche che nessuno prima d’ora aveva riportato alla luce. L’incontro vi permetterà di aprire una pagina inedita della storia torinese e gli autori vi sveleranno dove e come sono state nascoste e protette, per esempio, la statua dedicata ad Emanuele Filiberto di piazza San Carlo, le mummie millenarie del Museo Egizio o la guglia della Mole Antonelliana. Questo ed altro nel volume nato dalla tesi di laurea -12 anni fa- sulla protezione del patrimonio culturale e sui rifugi aerei delle due giovani architette, come ci racconta con entusiasmo Elena Imarisio: «Da allora abbiamo sempre continuato ad approfondire l’argomento; poco alla volta abbiamo continuato a scovare documenti …e ci siamo rese conto che alcuni venivano tirati fuori dagli archivi per la prima volta dai tempi della guerra. Foto, articoli di giornale e carteggi ufficiali ci hanno permesso di ricostruire la storia di tanti salvataggi. Da quello della statua di piazza San Carlo a quello dei reperti del Museo Egizio».

Quanto sono importanti le foto inedite del libro e cosa ci dicono?

«Quello che è successo durante la guerra ai monumenti delle piazze, ai tesori dei musei, agli archivi e alle biblioteche torinesi. Per esempio siamo riusciti a ricostruire tutto l’iter del Cavallo di Bronzo: il progetto della casseratura, la foto del momento in cui veniva incassato, quella dell’incendio della casseratura e quella del giorno dopo che lo mostrano danneggiato. Manca l’immagine di quando è stato portato via, ma abbiamo recuperato quella che immortala il suo riposizionamento sul piedistallo. Sono preziose anche le foto della messa in salvo dei beni trasportabili dell’Egizio. E poi tante altre immagini d’epoca affascinanti».

Quali sono i monumenti e le opere più importanti scampati ai bombardamenti?

«La Sindone… questa è una chicca venuta fuori negli ultimi anni; poi moltissimi reperti del Museo Egizio dove anche le grandi statue inamovibili sono state comunque protette in loco con sacchi di sabbia e castellature di legno; e i documenti dell’Archivio di Stato. Tutto quello che oggi possiamo ammirare nei musei c’è grazie al grandissimo lavoro di salvataggio».

Chi dobbiamo ringraziare per questo?

«I sovrintendenti e direttori “illuminati” che hanno capito la necessità di proteggere i beni; con il personale interno vi hanno provveduto e poi, a fine guerra, hanno fatto riportare le opere al loro posto. Un lavoro immenso che ha permesso di conservare il nostro prezioso patrimonio artistico».

Come e dove venivano portati i beni a rischio?

«Ci furono due fasi: inizialmente furono trasportati fuori città e dal Piemonte, messi al riparo in castelli come quello di Guiglia vicino a Modena. In un secondo tempo si è ritenuto più sicuro riportarli al nord, nei castelli limitrofi al capoluogo subalpino, come quelli di Agliè e di Settime d’Asti; oppure al riparo nei castelli nobiliari messi a disposizione dai proprietari. Abbiamo anche foto che testimoniano come vari tesori delle gallerie d’arte e statue più piccole e trasferibili furono nascosti nei rifugi sotto i Palazzi Madama, Accademia delle Scienze e Carignano».

Che ruolo ebbero i Vigili del Fuoco?

«A loro è dedicata la seconda parte del libro. Hanno salvato la popolazione sotto i bombardamenti, in caso di crolli intervenivano immediatamente. Spesso i rifugi antiaerei erano semplici cantine rinforzate: un po’ delle trappole perché se l’edificio veniva colpito, la gente non riusciva più ad uscire e i Vigili del Fuoco hanno fatto un grandissimo lavoro di recupero delle persone e delle vittime».

E per quanto riguarda la messa in salvo dei beni artistici?

«Intervenivano più che altro in casi di danneggiamento. Per esempio abbiamo la foto del loro intervento quando il 13 agosto 1943 Palazzo Madama fu colpito da uno spezzone incendiario e loro salirono sul tetto per spegnere subito il fuoco. Un’altra immagine riprende i Vigili del Fuoco al lavoro tra le macerie di una casa colpita in via Nizza: in primo piano c’è il vigile preposto a controllare che la struttura non crollasse –figura sempre presente perché fondamentale per l’incolumità dei colleghi all’opera- e sullo sfondo è ben visibile la “R” di segnalazione del rifugio al piano interrato dell’edificio».

Su che materiali vi siete basati per ricostruire la storia del loro lavoro?

«Il nostro coautore Michele Sforza ha fondato e diretto l’Archivio Storico del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco dov’ è conservata un’ingente mole di documenti, verbali dei salvataggi e degli interventi svolti; ma anche tantissime fotografie che ci hanno aiutati a ricostruire la storia di monumenti e palazzi. Alla fine della guerra sono state usate dal Comune di Torino per una schedatura dei danni a tappeto di tutta la città, mandando funzionari preparati, compilando schede con tutti i dati della localizzazione degli edifici, i danni subiti ed eventuali interventi già iniziati nel post guerra, e ad ogni edificio era allegata anche una documentazione fotografica».

Cosa è andato invece irrimediabilmente perduto sotto le bombe?

«Parte del tesoro della Biblioteca Universitaria che oggi è davanti a Palazzo Carignano ma in tempo di guerra era in via Po; quando il palazzo fu colpito non tutto era stato già messo in salvo e quello che rimaneva andò distrutto».

 

Laura Goria

 

 

 

 

 

Il genocidio dimenticato

In mostra alla Paola Meliga Art Gallery il lavoro del fotoreporter Ugo Lucio Borga

Il genocidio dimenticato. Questo il fil rouge della mostra che ospita, fino al prossimo 15 giugno, la Paola Meliga Art Gallery, in via Maria Vittoria 46/D, dedicata al fotoreporter valdostano Ugo Lucio Borga, di cui è esposto un lavoro documentaristico compiuto in Sud Sudan. Il conflitto in questa terra ha provocato il più grande esodo della storia, avvenuto in Africa dal genocidio in Ruanda. Inserita nel contesto della prima edizione di “Fo.To- Fotografi a Torino”, in svolgimento dal 3 maggio scorso fino al 29 luglio prossimo, la mostra riunisce un’ampia selezione di immagini realizzate dal fotoreporter nato nel 1972, foto attraverso le qual ha potuto documentare le drammatiche conseguenze della guerra civile scoppiata nel 2013 in questo Paese africano. Si è trattato di un conflitto che ha profondamente minato la stabilità del Paese, provocando un grande esodo e una drammatica crisi umanitaria a livello mondiale. In occasione dell’inaugurazione della mostra, lo scorso 3 maggio, è stato presentato l’ultimo libro di Ugo Lucio Borga, con prefazione di Marco Boggio.

 Mara Martellotta

Paola Meliga Art Gallery

Orario: dal martedì al venerdì dalle 15.30 alle 19. Il sabato dalle 10 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19. Lunedì e festivi chiusi

«Wonderland». La nuova stagione dello Stabile

Una bionda Alice è l’immagine che simboleggia la stagione 2018/2019 del Teatro Stabile che si propone con una sola parola «Wonderland». La presentazione questa mattina al Teatro Gobetti, presenti il presidente dell’ente teatrale Lamberto Vallarino gancia e il direttore Filippo Fonsatti. In tutto 67 spettacoli, comprese le 17 produzioni, 32 spettacoli ospiti, e 18 per il Festival  Torinodanza. Un totale di  401 recite e 132 repliche in tournée, oltre a diverse produzioni internazionali. I particolari sugli spettacoli in un nostro prossimo servizio. #Wonderland è il luogo delle possibilità, dello stupore, della curiosità. Wonderland è l’opportunità di attingere a mille personaggi bizzarri e non, di conoscere aneddoti e storie nelle storie. Alice, con i suoi grandi occhi curiosi, rappresenta lo sguardo affascinato verso questo mondo, stupito davanti allo spettacolo delle meraviglie. La nuova stagione del Teatro Stabile di Torino è Wonderland, lo stupore sul palcoscenico, ogni sera. #tstwonderland #torino #teatro. L’immagine della campagna #wonderland è di Stephanie Jager

La leggenda di Evita nel musical al Regio

In Argentina Evita Peron, ancor prima di morire a soli 33 anni, di tumore, era già entrata nella leggenda e la sua figura emanava e, al tempo stesso, continua ad emanare un irresistibile magnetismo che trascende qualsiasi credo e nazionalità. Ha riscosso un enorme successo di pubblico la rappresentazione al teatro Regio di Torino del musical “Evita”, in scena fino al prossimo 8 maggio, un lavoro piuttosto ambizioso che si richiama alla tradizione dell’opera italiana nell’alternanza di canto e recitativo, traendo, appunto, la sua forza dall’interazione tra stili musicali diversi, quali il rock, il pop, il tango ed il folklore spagnolo, mescolati tutti a suggestioni di Puccini e di Britten, per creare una partitura ricca di tensione drammatica e di canzoni indimenticabili. Come non ricordare testi quali “Don’t cry for me Argentina”, cantata da Evita dal balcone della casa Rosada, il giorno della proclamazione dell’elezione a presidente del marito, il 17 ottobre del ’45, e “Another Suitcase in Another Hall”, originariamente cantata da Barbara Dickson nel disco originale e, nelle successive versioni, dall’amante di Peron?

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Il celebre musical composto da Andrew Lloyd Webber, su versi di Tom Rice, nel 1978 e liberamente ispirato alla vita di Maria Eva Duarte de Peron, affettuosamente chiamata Evita, first Lady dell’Argentina negli anni Quaranta, rappresenta la prima produzione in assoluto che abbia visto impegnata dal vivo un’orchestra sinfonica. Il debutto teatrale avvenne il 21 giugno 1978 in un teatro del West End a Londra e il ruolo di Evita fu affidato a Elaine Page, scelta tra un vasto numero di candidate, dopo la rinuncia alla parte di Julie Covington. Tra le canzoni di stampo più classico figurano il pezzo corale iniziale dal titolo “Requiem for Evita”, l’interludio corale nella canzone “Oh what a circus”, e le orchestrazioni della canzone “Lament”, nonché il preludio iniziale della canzone “Don’t cry for me Argentina”. Ritmi tipicamente latini sono presenti in brani quali “Buenos Aires” e “On this Night of a thousand of stars”. Evita, articolato in due atti, è stato presentato ora nella versione originale in lingua inglese con sopratitoli in italiano. Le recite al teatro Regio di Torino rappresentano le uniche date italiane del tour internazionale, per la regia di Bob Tomson e Bill Kenwright, la coreografia di Bill Deamer, le scene ed i costumi di Matthew Whight, le luci di Dan Samson. Il personaggio di Evita è interpretato da Madalena Alberto, attrice e cantante portoghese con una brillante carriera in campo teatrale e musicale a Londra. Il ruolo del marito Juan Domingo Peron è interpretato da Jeremy Secomb e quello del narratore Che Guevara dal cantante ed attore di origini parmensi Gian Mario Schiaretti.

Mara Martellotta

Torino a tutta fotografia

Ci siamo arrivati. Piano piano, ma ci siamo arrivati. E, mostra dopo mostra, la Torino artistica ( per merito comune di musei pubblici e privati, centri specializzati, gallerie d’arte, fondazioni e associazioni fra le più varie, spazi no-profit e istituti d’arte e di design), può dirsi ormai da tempo terreno fertile per la realizzazione di “grandi” mostre dedicate alla “grande” fotografia. Nazionale ed internazionale

A darne prova, basti solo pensare ad alcune fra le rassegne fotografiche made in Turin, e dintorni, di maggior successo e ancora in corso (altre di grandissima levatura per i nomi proposti si sono concluse nei mesi scorsi), come a “L’occhio magico” di Carlo Mollino ospitata negli spazi di Camera, il benemerito Centro Italiano per la Fotografia di via delle Rosine, o a quell’“Arma il prossimo tuo” che al Museo Nazionale del Risorgimento ha messo insieme foto da “pugno nello stomaco” riferite alle guerre cosiddette “di fede” firmate da fotoreporter d’eccezione come Roberto Travan e Paolo Siccardi; o ancora alla “Storia di un fotografo” che a Palazzo Chiablese assembla oltre 200 opere che ci portano nel mondo multiforme di uno dei più grandi fotografi contemporanei come Frank Horvat, per non dire delle due magiche mostre “Genesi” e “Architetture e Prospettive” dedicate proprio in questi giorni dalla Reggia della Venaria (appena fuori porta) al brasiliano Sebastiao Salgado e al fiorentino Massimo Listri. Mostre da sold out. Consacrate dal grande pubblico, dalla critica e dagli appassionati dell’ottava arte. Che anche a Torino sono sempre di più e sempre più esigenti. Proprio su queste basi e considerazioni prende il via “Fo.To – Fotografi a Torino”, che da giovedì 3 maggio a domenica 29 luglio trasformerà il capoluogo piemontese in un grande spazio collettivo chiamato a celebrare Sua Maestà la Fotografia. Tre mesi circa di programmazione con la messa in rete di oltre 70 strutture cittadine – dal centro alle periferie – pronte ad ospitare oltre 90 mostre e un fitto calendario di eventi legati al mondo fotografico, l’iniziativa è un progetto pilota che intende diventare appuntamento annuale a partire dal 2019 ed è promossa dal MEF – Museo Ettore Fico (che per l’occasione ospiterà nella casa-madre di via Cigna una vasta antologica dedicata a Duane Michals, fra i nomi più prestigiosi dell’avanguardia americana, e nei locali “Outside” di via Juvarra un’altrettanto importante retrospettiva del milanese Paolo Monti) in collaborazione con tutte le realtà artistico-culturali aderenti all’evento. “Fo.To – Fotografi a Torino” è un “treno in corsa, un grande contenitore di emozioni”: a dirlo é Andrea Busto, direttore del MEF che aggiunge: “Abbiamo colto l’esigenza degli operatori del settore di raddoppiare l’appuntamento di Contemporary Art Torino Piemonte, che si svolge a novembre, e di fare rete con il tessuto urbano. Il progetto Fo.To è fatto di mostre, incontri, tavole rotonde, letture di approfondimento e si sviluppa in un arco di tempo lungo per dare la possibilità di viverlo ad un pubblico il più vasto possibile, compreso quello in arrivo da fuori Torino”. Per quanto concerne i luoghi coinvolti, si va dagli spazi storici come il Museo del Cinema, il Museo del Risorgimento e Palazzo Chiablese, fino a quelli di più recente apertura come il Museo Ettore Fico; da quelli più innovativi e sperimentali a quelli più classici e consolidati, dalle Fondazioni più note, come la Sandretto Re Rebaudengo o l’Accorsi e la Merz, fino a realtà come la Fondazione 107 di via Sansovino, che si sono insediate nelle periferie o nei quartieri più multietnici cittadini per partecipare al processo di riqualificazione attraverso l’azione culturale. Il pacchetto completo delle mostre (con la durata e gli orari di apertura e chiusura delle location ospitanti), nonché gli appuntamenti con artisti, fotografi, critici e curatori comporranno un calendario cronologico consultabile sul sito della manifestazione: www.fotografi-a-torino.it E per vivere l’evento “in notturna”, è in programma per sabato 12 maggio la Notte bianca della Fotografia, cui parteciperanno, dalle 19 alle 24, tutti gli spazi aperti al pubblico.

Gianni Milani

Nelle foto:

– Duane Michals al Museo Ettore Fico
– Carlo Mollino a Camera
– Frank Horvat alla Galleria Sabauda – Sala Chiablese
– Sebastiao Salgado alla Reggia di Venaria
– Andrea Busto