Vincitore, l’artista tedesco Veit Laurent Kurz
Saluzzo (Cuneo)
Su 28 artisti invitati e provenienti da tutto il mondo su segnalazione di prestigiosi advisor internazionali, è stato l’artista tedesco Veit Laurent Kurz ad aggiudicarsi la 42^ edizione del “Premio Matteo Olivero”, promosso dalla Città di Saluzzo e organizzato dalla Fondazione Amleto Bertoni, con la curatela di Stefano Raimondi, per ricordare il celebre pittore e scultore cuneese, fra i maggiori esponenti del Divisionismo ( nato a Pratorotondo in Valle Maira nel 1879 e morto a Saluzzo nel 1932)“con l’intento – dicono gli organizzatori – di costruire un percorso artistico capace di rileggere l’arte classica con gli occhi del contemporaneo”. Il Premio è realizzato all’interno di “START/storia e arte a Saluzzo”, che si terrà, sotto la direzione artistica di Soluzioni Turistiche Integrate, nella capitale del marchesato dal 24 aprile al 31 maggio prossimi e che quest’anno avrà come tema “La Rivoluzione”.

Per Saluzzo Kurz (classe 1985, nato a Erbach, nel land dell’Assia e oggi attivo fra Francoforte, Berlino e New York) ha pensato all’opera site specific, di netta e forte impronta astratto-espressionistica con la violenta accensione dei suoi rossi dei blu e dei neri, “The Campi Flegrei Conferenca”, che andrà ad arricchire il percorso del contemporaneo offerto dal territorio e che già ha avuto inizio con le scorse edizioni del Premio, assegnato al colombiano Santiago Reyes Villaveces nel 2019 e al duo newyorkese composto da Mark Barrow e Sarah Parke nel 2018.
Pensata appositamente per la “Sala de Foix” di Casa Cavassa ( luogo di forte storicità, in cui si respira il clima della corte dei Marchesi di Saluzzo e in cui si trova la Pala d’altare del fiammingo Hans Clemer “Madonna della Misericordia”) l’opera premiata di Kurz segue la scia dei suoi più recenti lavori, concepiti e realizzati, attraverso segno e colore, in un singolare mix di temi scientifici e archeologici. Nello specifico, la sua attenzione è stata attirata dai vulcani, che ha studiato da vicino in tutto il mondo e che egli accosta alle centrali nucleari. Nelle società moderne “sostituiamo costantemente i fenomeni naturali con quelli creati dall’uomo; a causare questo cambiamento sono soprattutto gli sviluppi tecnologici che, se da un lato sono considerati rivoluzionari in modo positivo (così come nel tema di START 2020), dall’altro ci portano a rivivere le nostre paure più esistenziali”. Ed è così che si accorciano le distanze tra i vulcani e le centrali nucleari.

E per Casa Cavassa, Kurz realizzerà un vulcano artificiale, abitato dai Dilldapp, creature ideate dall’artista stesso che, cibandosi di pietre e vegetazione vulcanica, hanno resistito al tempo e sono sopravvissute a vecchie e nuove eruzioni. Un incontro che mescola realtà e immaginazione, il nostro mondo e quello dei Dilldapp.
L’inaugurazione di “The Campi Flegrei Conferenca” avverrà nel giorno inaugurale di “START”, venerdì 24 aprile, alle ore 19, nella “Sala de Foix” di Casa Cavassa, a Saluzzo.
Per info: www.startsaluzzo.it e su Facebook e Instagram @startsaluzzo
g.m.
Pannunzio ha lasciato poco di scritto e quasi sempre ha ispirato altri, limitandosi a fare il giornale. Sul “Mondo” non ci sono articoli a sua firma e il piccolo saggio su Tocqueville, risalente al ‘42, è una testimonianza di poco conto. Molti sono invece i suoi articoli prima della guerra pubblicati sull’ “Omnibus “ di Longanesi e su “Oggi” che fondò e diresse insieme ad Arrigo Benedetti. Se escludiamo gli studi di Carla Sodini, nessuno si è occupato delle radici lucchesi, umane ed intellettuali, limitandosi ad analizzare il periodo romano, certamente il più importante, dagli anni universitari alla morte.
Fino al 5 luglio – Ai più è noto soprattutto come “il fotografo delle spiagge”. Luoghi non luogo, “posto ideale – dice lui – dove osservare la società”. Tanto che dal 1995, quando inizia la sua “Beach Series” in giro per il mondo, di panorami balneari ne ha realizzati, a oggi, più di duemila. “Nei miei scatti – dice ancora – c’è l’Italia degli ultimi vent’anni”. Messa a nudo – o quasi – in ogni senso. Donne e uomini, bambine e bambini, giovani e diversamente giovani e poi gli ombrelloni, i lettini, le sdraio, i costumi colorati, le tavole da surf, le rocce, gli scogli e l’azzurro terso del mare e del cielo; geometrie di corpi e oggetti dal “sapore di mare” cristallizzati, in un click che dura l’irrepetibile spazio di un attimo o in appostamenti che rincorrono le ore, nel parossismo di descrizioni così minuziose e dettagliate da sembrare quasi improbabili teatrini, messi in piedi da un regista tanto bravo quanto meticoloso all’eccesso. Ma il fotografo comasco Massimo Vitali, classe 1944, cui il MEF-Museo Ettore Fico di Torino dedica, fino al 5 luglio prossimo, una suggestiva personale, dal titolo perfetto di “Costellazioni umane” e curata da Andrea Busto direttore del MEF, non è solo questo. Più in generale, i suoi lavori ben rispondono nella loro complessità alla definizione perfettamente calzante di “paesaggi umani contemporanei”. Una trentina le opere esposte al Museo di via Cigna, documentanti venticinque anni di un’intensa e prestigiosa carriera; opere dal “formato extra large”, in cui l’artista si sbizzarrisce all’inverosimile e molla i freni alla sua incontenibile, giocosa predilezione per i grovigli e le voluminose masse di persone. Vere e proprie “costellazioni umane”. Le spiagge, dunque, ma anche le discoteche, i raduni musicali, le folle vocianti radunate in spazi pubblici gremiti fino all’ultimo centimetro: “immagini catturate da un occhio algido e preciso per quantità di dettagli e particolari illustrati”, scrive Busto, paragonandole alla certosina descrittività delle vedute di un Canaletto e di molt’altra pittura settecentesca. Mirabili in tal senso, in “Carcavelos Pier Paddle”, il tuffo acrobatico del ragazzino immortalato sulla sinistra della foto, così come in “Kappa Futur Festival” il sollevamento del giovane sulla sedia a rotelle e braccia al cielo da parte di un pubblico in totale esaltante delirio. Fermi immagine. Casuali. Voluti. Attesi. In ogni caso autentici colpi di genio.
In contemporanea alla mostra di Vitali, il MEF ha inaugurato anche la personale “The Golden Harp” dedicata all’artista serbo Nebojsa Despotovic (Belgrado, 1982), curata sempre da Andrea Busto e visitabile anch’essa fino al 5 luglio prossimo. Tele di forte impatto emozionale, quelle del giovane Despotovic propongono storie non poco inquietanti collocate “in un mondo senza tempo – precisa Busto – senza precisi riferimenti al nostro vissuto” dove tutto sembra appartenere “a un momento infinito nella grande commedia della vita”. A piene mani, l’artista fa incetta, visiva e mnemonica, di immagini recuperate da un ricco patrimonio iconografico, collettivo e personale, che fa di ritagli di giornale, vecchie fotografie, enciclopedie, libri e manuali scolastici carichi di tempo, il punto di partenza della sua pittura. Su quel materiale lavora con vigorosa
tensione di segno e colore, ricreando storie ingiallite dagli anni e riproposte in narrazioni pittoriche che sono sintesi perfetta di “mondi e poetiche altrui”. Dalle figure folli e disperate di Bacon, alle tinte smorzate e al senso di profondo disagio del fiammingo Tuymans, non meno che all’ansiogeno intreccio di illusione e realtà ricreato nelle opere di Gerhard Richter. O ancora, sostiene Busto, dal “mondo erotico di Scipione” fino alla “materia sovrapposta di Picabia”. Con richiami finanche al cinema neorealista o a suggestivi “amarcord” felliniani (i personaggi in costume) e a “tutta la derisione del mondo borghese di Bunuel”. Maestri d’arte, su cui Despotovic ricrea passo passo il proprio personalissimo mondo pittorico.
Fu un intellettuale libero, colto, equilibrato. Più scozzese che italiano
Mi ricevette la sera stessa, si compiacque per l’idea di ricordare Pannunzio a Torino e si dichiarò disponibile ad aiutarci. Finché fu direttore, volle che gli facessi recapitare direttamente i comunicati stampa relativi alle attività. Con Ronchey ci si vedeva anche in piazza San Carlo dove abitava e qualche domenica al “Cambio” dove amava andare a pranzare.Apprezzava il vecchio ristorante di Cavour e del Risorgimento ,tanto diverso da quello attuale.Specie la domenica ,c’era un clima vellutato che ci faceva immergere nell’’800,malgrado fossimo immersi nei frenetici e terribili Anni ’70. In quelle due salette tutti parlavano sottovoce quasi fossimo in un museo anziché in un ristorante. Ronchey è stato sicuramente uno dei più grandi giornalisti italiani del Novecento. Come direttore de “La Stampa”, succedendo a Giulio De Benedetti che governò il giornale per un ventennio, seppe modernizzare il quotidiano, facendone uno dei più autorevoli anche all’estero. Anche la stessa grafica venne modificata attraverso un’impaginazione piacevole e rigorosa insieme.

Marzo leva la mano sinistra: accenna un gesto di saluto. Come la primavera, attesa da tutti a marzo, arriva, sicura di sé, tra persone che stanno aspettando il suo ritorno. Come sapete, per questa uscita sulla Fontana dei Mesi di Torino, la rubrica dedicata ad analizzare le dodici statue allegorie dei mesi a fattezze femminili che compongono la corona della Fontana al parco del Valentino, più belle che mai dopo la fine dei lavori di restauro del marzo scorso (2019), tratteremo del mese di marzo


Sino al 5 aprile nelle sale del Castello Visconteo di Novara

Prende il via sotto il segno di Giambattista Bodoni nel giorno dei sui 280 anni la collaborazione tra le città di Saluzzo e di Parma siglato nel 2019 da un protocollo di che guarda agli eventi dell’anno in cui la città emiliana è Capitale italiana della cultura.