CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 609

“Clone” tra storia e mistero

Manca meno di un mese all’Ostensione del 10 agosto organizzata in occasione del Sinodo mondiale dei giovani che, dopo aver ammirato la Sindone alla cattedrale di Torino, proseguiranno il loro pellegrinaggio verso Roma per l’incontro con il Santo Padre. 

Questo avvenimento richiama migliaia di fedeli da tutto il mondo, e apre al contempo un dibattito sulla validità scientifica della Sacra Sindone, reliquia che ha suscitato l’interesse dei media e ispirato la fantasia di registi e scrittori.  S’intitola Clone il nuovo romanzo di Paolo Negro da giugno in libreria per Imprimatur (distribuzione Mondadori, 17,50 euro) e si muove in uno scenario che non ha nulla di fantascientifico. Anzi, al di là della trama noir scandita da due inquietanti omicidi che ricalcano due metodi della Santa Inquisizione, è forse la sua precisa ricostruzione della storia della Sindone e dei vari misteri che la puntellano a renderlo credibile e strettamente attuale, in una Torino palpitante e viva. Soprattutto se il clonato in questo caso non è un uomo qualsiasi, ma è l’uomo della Sindone, l’uomo che dovrebbe o potrebbe rappresentare una “nuova speranza”. La Sindone è realmente il sacro lenzuolo che ha avvolto il corpo di Gesù oppure è soltanto un falso di epoca medievale, come avevano dimostrato trent’anni fa le analisi al C14 poi recentemente messe in fortissimo dubbio da scienziati di tutto il mondo? Il problema, se così lo possiamo chiamare, alla fine perde quasi importanza. Il punto centrale resta quello etico e morale. È questo infatti il cuore della domanda che attraversa le coscienze di chi legge.  Come scrive nella prefazione del libro la scrittrice Daniela Piazza: «Una risposta, alla fine, c’è, e importante: la “chiave”, quella chiave che uno dei protagonisti cerca per tutto il libro, sta appunto nel credere. Bisogna crederci. Credere in Dio? Credere nell’uomo? Credere in se stessi? Ognuna di queste strade, in fondo, è percorribile. Spetta a ciascuno di noi fare la propria scelta, così come faranno la loro i protagonisti di questo libro».  





Due omicidi efferati a poche ore l’uno dall’altro, a qualche centinaio di metri l’uno dall’altro. 
Il primo nella tromba dell’ascensore che porta al caveau, all’interno del Palazzo Reale di Torino, dove è conservato il famoso autoritratto di Leonardo da Vinci. Il secondo nella Torre campanaria della Cattedrale, dove è custodita la reliquia della Santa Sindone.  In entrambi i casi i sistemi di allarme sono stati disattivati da professionisti, ma né l’Autoritratto né la Sindone sono stati rubati. Toccherà all’ispettore Barberi scoprire il movente di quelle due morti, legate tra loro da una trama che affonda le sue radici nelle torture della Santa Inquisizione, in un’antica battaglia che mescola fede e potere. Tra colpi di scena e doppiogiochisti, in un’indagine continua nei segreti secolari della cappella del Guarini e nelle congiure sotterranee dei corridoi pontifici, lentamente appare un piano agghiacciante: da un campione di tessuto prelevato dalla Sindone, prima è stato isolato il gruppo sanguigno, poi la catena completa del Dna. 


Siamo davvero in presenza del clone di Cristo? 

La battaglia per stabilire se il nuovo Dio è arrivato è ormai allo scontro finale.

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Organo del conservatorio, via ai restauri

Il celebre organo della sala del Conservatorio Giuseppe Verdì, con quattro tastiere a trasmissione elettro-pneumatica, sarà presto restaurato. Lo strumento del 1934, opera della ditta Tamburini di Crema, collocato nell’edificio di piazza Bodoni sarà completamente revisionato. I lavori si rendono improcrastinabili a seguito, del cedimento – tre anni fa – di una delle cento canne in lega di stagno e piombo che lo compongono. La Giunta della Città di Torino, su proposta dell’assessora alla cultura Francesca Leon, ha infatti deliberato il contributo di 87mila euro a favore dell’istituzione statale, il cui edificio è di proprietà comunale.“Si tratta di un intervento importante per ridare al più presto sonorità a questo strumento monumentale ed è concreta testimonianza dell’attenzione che riserviamo alla cura del patrimonio artistico cittadino – sottolinea Francesca Leon, a commento della decisione assunta questa mattina -. Siamo lieti quindi di poter contribuire a preservare uno strumento significativo e indispensabile sia sotto il profilo didattico, sia sotto quello concertistico”. “Sono molto soddisfatto del contributo concesso dall’Amministrazione comunale al Conservatorio Statale di Musica Giuseppe Verdi – dichiara Marco Zuccarini a nome suo, del Presidente e di tutti i colleghi -. Si tratta di un atto importante e prezioso, che consente di restituire alla città e al Conservatorio stesso la piena funzionalità di uno strumento storico e di grande pregio. L’intervento permetterà alla nostra istituzione di continuare a essere un punto di riferimento culturale per la città”.

Stefano Bollani in piazzetta reale

Estate Reale – piazzetta Reale fino al 15 luglio www.torinoestate.it

L’artista del pianoforte Stefano Bollani sarà ospite in Piazzetta Reale giovedì 12 luglio per presentare il suo nuovo disco uscito nel maggio di quest’anno e in tour in tutto il mondo nell’estate. Dopo il grande successo di “Carioca”, Bollani torna al suo grande amore per le sonorità brasiliane presentando al pubblico “QUE BOM”, composto di soli brani inediti, originali e realizzati interamente a Rio. Il legame tra Stefano Bollani e il Brasile è profondo e prezioso, tanto che, nel 2007, l’artista ha suonato con il suo pianoforte nel bel mezzo della favela di Pereira de Silva per un concerto di risonanza mondiale.

 

Bollani racconta così la nascita di questo nuovo e tanto atteso progetto: “Avevo molta voglia di farmi circondare dalle percussioni perché il pianoforte fa parte della loro stessa tribù. Sono da sempre innamorato della musica brasiliana, che utilizza l’armonia del jazz sposandola con ritmi di origine africana. Quelli di Que Bom sono brani che ho scritto un po’ ovunque nel mondo, ma che guardano a quel sincretismo, al suono avvolgente delle percussioni brasiliane, a quella vitalità ed energia uniche”. Questo nuovo album arriva dopo un grande lavoro del pianista di rilettura dei grandi temi brasiliani e dei suoni avvolgenti delle percussioni sudamericane. Il disco QUE BOM si avvale della collaborazione di ospiti di pregio che hanno firmato alcuni brani. In primis Caetano Veloso – “la voce più straordinaria ed emozionante che ci sia” secondo Bollani – che interpreta in italiano ben due brani, uno suo dal titolo “Michelangelo Antonioni” e un inedito di Bollani “La nebbia a Napoli”. Un altro grande ospite, João Bosco – energia pura che mi incanta sin da quando ero ragazzino” dichiara Bollani – canta la sua “Naçao e arricchiscono i suoni di QUE BOM altri due meravigliosi artisti brasiliani che hanno voluto partecipare al progetto: Hamilton de Holanda al mandolino, vecchia conoscenza di Bollani con cui ha inciso più di un progetto e un nuovo importante amico che invece suona con Stefano per la prima volta:Jacques Morelenbaum al violoncello.

Accanto a lui anche grandi rappresentanti della musica strumentista brasiliana come Jorge HelderJurim Moreira, Armando Marçal e Thiago da Serrinha, per una serata piena di vitalità ed energia.

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Stefano Bollani, pianoforte
Jorge Helder, contrabbasso
Jurim Moreira, batteria
Armando Marçal, Thiago da Serrinha, percussioni

La Costituzione in undici colori

 

Assemblea Teatro, giovedì sera alle 21, porta in scena “La Costituzione in undici colori”, un lavoro tetrale che parte dagli articoli della “carta d’identità” dell’Italia repubblicana ripercorre i passaggi fondamentali del vivere civile della nostra società. L’appuntamento è alla Cascina Roccafranca di via Rubino 45 a Torino.Lo spettacolo si sviluppa attraverso il dialogo serrato tra una giovane mamma e sua figlia che deve studiare il testo come “compito” -e quindi inizia controvoglia- ma poi, gradualmente, si interessa e si appassiona sempre più a ciò che legge. Una rappresentazione scenica molto originale e quanto mai attuale in un momento come questo in cui i segnali d’intolleranza aumentano e al senso civico dell’esistenza e dei valori condivisi si contrappone, sempre più spesso, un preoccupante cinismo. La Costituzione  viene così spiegata anche ai più piccoli attraverso le immagini perchè, come diceva Umberto Saba, “i bambini pensano soprattutto per immagini“. La regia è di Renzo Sicco e Lino Spadaro mentre sul palco saliranno Cristiana Voglino e Chiara Tessitore accompagnati dalle musiche di Franco Battiato.

Marco Travaglini

Eso Peluzzi. Il pittore delle more di Cairo

FINO AL 26 AGOSTO

“Pittore delle cose semplici che fanno grande il mondo”: questo voleva essere – sono parole sue – Eso Peluzzi. E ben c’è riuscito, tenendo a freno con grande mestiere e lucida fantasia un ampio ventaglio di generi pittorici (dalla figura al paesaggio alla natura morta) con cui si è appassionatamente confrontato per oltre sessant’anni, dal secondo decennio del ‘900 fino agli anni Ottanta. Tant’è che il grande Giovanni Arpino, fra gli amici più cari – uno dei tanti di gran vaglia e fama che ne condivisero tratti importanti del lungo cammino esistenziale e artistico – ebbe a scrivere di lui che fu “uomo non antico, ma classico, che seppe concepire il suo mestiere di artista con una misura senza ostentazioni, invitando ad essere semplici, poiché la semplicità è già eternità”. E anche ad Arpino si deve, fra l’altro, il simpatico bonario epiteto, appioppato a Peluzzi, di “pittore delle more di Cairo”, ricordandone la specificità narrativa di talune naturalistiche pagine pittoriche e le origini natali. Eso Peluzzi nasce infatti a Cairo Montenotte (Savona) nel 1894 e muore, a 91 anni, a Monchiero d’Alba (Cuneo) nel 1985. A lui, figlio di uno stimatissimo liutaio e di una fotografa ritrattista, nonché allievo all’Accademia Albertina di Torino (dove si iscrive nel 1911) di Paolo Gaidano e Giacomo Grosso, la “Fondazione Bottari Lattes”, dedica un’importante antologica ospitata nelle sale di Palazzo Tovegni a Murazzano, in Alta Langa, a pochi chilometri da Monchiero d’Alba, paese in cui l’artista ha vissuto e lavorato dalla fine degli anni Quaranta fino alla morte, facendo dell’antico “Oratorio dei Disciplinanti” – noto come la “Cesa di Batu” – il suo studio e oggi Casa-museo a lui dedicata, in quel borgo antico che vede anche la presenza di un’altra importante Casa-museo, fino al 2016 luogo di vita, di lavoro, di creazione e di ispirazione del nipote di Eso, Claudio Bonichi, scomparso due anni fa e protagonista della lunga stagione pittorica della Nuova Metafisica Italiana. Realizzata in collaborazione con il Comune di Murazzano e curata da Ivana Mulatero la rassegna comprende dipinti prodotti da Peluzzi fra il 1912 e il 1983, il “corpus pittorico” più esemplarmente significativo di un artista che ha vissuto nei crocevia geografici culturali, di particolare peso attrattivo sotto l’aspetto artistico, di Liguria, Piemonte e Lombardia, con frequenti soggiorni formativi nel resto d’Italia e in Europa e con inviti e presenze cospicue alle Biennali Internazionali di Venezia e alle Quadriennali romane e torinesi, così come alle mostre del “Museum of Art” di Baltimora e al “Jeu de Paume” di Parigi. Cinque le sezioni in cui si articola l’iter espositivo: dalla “biografia” (in cui s’illustra la figura a tutto tondo dell’uomo e dell’artista e in cui compaiono anche alcuni significativi “Autoritratti”) alla “figura umana” (ritratti particolari, perfino bizzarri– “fondigli umani”, li definiva il futurista Farfa – per ricalcare “certo malessere di stampo espressionista”, come nelle “Maschere di paese” esposte alla Biennale di Venezia del ’30 o ne “Le sorelle Triaca” del ’44) fino al “paesaggio” (garbatamente giocato fra slabbrature divisioniste e afflati di marca cézanniana, con quelle “nevi langarole ritratte – ancora Arpino – con spirito leggero e puntuto” insieme ai suoi “contadini sbigottiti”) e alle “nature morte” e alla “vanitas” dei violini di “metafisica rarefazione spaziale”, introdotte dal ritratto “Mio padre liutaio” del ’28, amabilmente descritto con fattezze e barba da monumentale profeta biblico. Dalle opere dei primordi (compresi bozzetti e disegni preparatori ai grandi affreschi) fino all’ultimo ciclo compositivo. Il tutto raccolto in una mostra che “vuole evadere – scrive Ivana Mulaterodal mito discreto del pittore delle Langhe, provando a rintracciare le vicinanze, come anche le distanze, dalle molte avanguardie”. Strada che porta inevitabilmente ad alcuni nomi fra i più significativi e di primo piano del Novecento italiano cui Peluzzi guardò con sicuro interesse da Carlo Carrà ai futuristi della seconda ondata Farfa e Fillia fino allo scultore Arturo Martini, cui il pittore di Cairo fu legato da fraterna amicizia. La stessa che lo rese sodale a scrittori come Giovanni Arpino, Mario Soldati e Gina Lagorio o a critici d’arte come Alberto Sartoris e Mario De Micheli o ancora a galleristi e mercanti d’arte del calibro di un Pier Maria Bardi. Fra i suoi più illustri ammiratori, pare ci fosse anche il presidente Sandro Pertini. Stretti dunque i confini di Langa, pur se terra profondamente amata e preziosa fonte ispirativa, Peluzzi seppe pienamente inserirsi nell’ambito della cultura artistica nazionale dell’epoca. Senza mai recedere dai rigori e dalle imposizioni, anche etiche, del mestiere. Guardando alla pittura come pagina di racconto personale. Dagli esiti di singolare semplicità e imprevedibilità, ma capaci sempre di morderti al cuore con guizzi di infinita suggestione.

Gianni Milani

“Eso Peluzzi. Il pittore delle more di Cairo”

Palazzo Tovegni, via Adami 5, Murazzano (Cuneo); tel. 0173/791201 –www.fondazionebottarilattes.it

Fino al 26 agosto – Orari: ven. e sab. 15/18 – dom. 10/12 e 15/18

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Nelle foto:

– “Maschere di paese”, 1930
– “La neve al Santuario”, 1947
– “Frammenti di violini con uovo”, 1978
– “Natura morta”, 1963
– “Mio padre liutaio”, 1928

 

L’amore disincantato

 
MUSIC TALES Stamane sceglievo i brani da presentare nel mio prossimo concerto; sono 29 anni che canto, canzoni ne conosco a valanghe ma ci sono quei brani che non mi stanco mai di interpretare. Sarà che io l’amore l’ho vissuto in parecchie delle sue sfaccettature, sarà che sono perennemente innamorata e perennemente illusa che quel principe, anche se un po’ sbiadito, possa esistere…non so per cosa mai ma Via con me è un brano che mi piace sempre, in tutti i suoi rifacimenti. Siamo negli anni ’80, e, a consacrare il successo del polistrumentista e cantautore Paolo Conte, fu una canzone su tutte, proprio Via Con me che venne registrata nello studio Format di Torino, e inserita in “Paris Milonga”, l’album che ha riscosso maggiori consensi tra il pubblico e la critica. Stiamo parlando di un brano caro al suo autore almeno quanto a chi l’ha consumato all’inverosimile per colonne sonore pubblicitarie, films italiani, inglesi americani o tedeschi; lo stesso Conte si meravigliò, in un’intervista, del successo di un brano all’apparenza molto semplice, ma dai contenuti importanti, a mio parere. Di una bellezza disarmante uno di quei brani che io definisco “descrittivo” poiché profumato, fatto di immagini evocative oltre che di suoni raffinatissimi.Vieni via con me” è un’invocazione d’amore, ma nello stesso tempo un invito al distacco. Dai luoghi e dalle persone del passato. Dai sentimenti ad essi legati. Dal grigiore dell’anima. L’introspezione nostalgica del pezzo, eseguito magistralmente al pianoforte, dopo la prima strofa  prende a muoversi su note dal sapore tetro. La voce di Conte si fa sempre più spigolosa e struggente, fino a rendere anche il testo profondamente enigmatico. La fuga verso una possibile felicità si rivela presto incerta, e il rischio di smarrirsi nell’oscurità rende tutto precario, debole, esposto ai cambiamenti emotivi. La scena si popola di altre presenze, minando ulteriormente la stabilità del viaggio iniziato in due. Ma il ritornello continua a reiterare un paradossale: “It’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful”.Sul finire del brano, il senso di protezione dell’amato supera le insensatezze e le prove del destino. Vi invito ad ascoltarla anche nella versione di Chiara Civello, perchè è piacevolissima.
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Chiara De Carlo

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Chiara vi segnala gli eventi da lei scelti per la settimana…mancare sarebbe un sacrilegio!

Dodi Battaglia e altre sorprese al Parco Dora

Grande musica e cabaret sul palco della rassegna estiva gratuita più grande del Piemonte. Proseguono gli appuntamenti di rilievo a Torino (nell’area eventi tra Via Livorno e Via Treviso) del cartellone di eventi del ‘#Parco Dora Live’, la kermesse  estiva di spettacoli gratuiti di musica, teatro e cabaret più grande del Piemonte. Per la settima settimana (8 weekend in tutto, per un totale di ben 24 shows), venerdì 13 luglio sono attesi i Panpers, che presentano ‘Apertura Straordinaria’. Sabato 14 luglio tocca invece al bravissimo Claudio Lauretta. Domenica 15 Luglio, invece, introdotto e presentato dal conduttore radiotelevisivo Wlady, grande protagonista per la musica di questa settimana è Dodi Battaglia, storico componente dei mitici Pooh, che proporrà una sintesi virtuosa dei più grandi successi della famosa band, oltre a quelli ottenuti anche come valente cantautore solista. La prossima settimana, invece, attesi ‘Cab 41 Show’, Antonello Costa e Dario Ballantini. Tutti gli spettacoli sono gratuiti, e iniziano alle 20.30. Informazioni sul sito www.parcocommercialedora.it, e sulla relativa pagina Facebook. La prestigiosa rassegna culturale sostiene il Comitato Locale di Moncalieri della ‘Croce Rossa Italiana’.

Mario Dondero e Lorenzo Foglio. Lo scatto umano

FINO AL 22 LUGLIO Monforte d’Alba (Cuneo)

“Un menino de rua dorme in grembo a una statua”: è il titolo e il soggetto di una foto scattata nel 1978 in Brasile, a Bahia, da Mario Dondero. L’immagine ha la grandiosità e la poetica drammaticità di una “Pietà” michelangiolesca, con quel bimbo rapito dal più profondo dei sonni e protetto dal freddo grembo di una statua femminea in sostituzione del caldo soffice e carnale grembo materno.

Un flash di dolcezza infinita e di cruda verità. Immagine, in quelle parti del mondo, di vita reale. Come lo sono, pur se di atmosfera e narrazione completamente diverse, il “Doppio ritratto con fiasco e botticelle” e il “Ritratto dell’usciere dell’Opera Pia Barolo”, realizzati rispettivamente nel 1910 e nel 1920 da Lorenzo Foglio. Pagina di divertita e divertente “vita da paese” la prima, più austera e formale la seconda con l’usciere in divisa e il faccione incorniciato da folti baffoni d’epoca che se ne fanno davvero un baffo di quelli ben curati e tirati a manubrio che incorniciano la risata (par di sentirla) di uno dei due amiconi con paglietta in testa e andanti a tutto fiasco del precedente “Doppio ritratto”. Vite, volti e mestieri, ritratti di una quotidianità a portata di mano e di personaggi   assolutamente comuni, ma anche di altri noti e di larga e condivisa popolarità : sono questi i soggetti che accomunano, per scelta culturale e di mestiere, le immagini fotografiche esposte, fino al 22 luglio, negli spazi della Fondazione Bottari Lattes di Monforte d’Alba. Sessanta in tutto e tutte in bianco e nero: trenta a firma del noto fotoreporter Mario Dondero (Milano, 1928-2015), fra le figure più originali del fotogiornalismo italiano e non solo, e trenta scattate dal fotografo-postino di Barolo Lorenzo Foglio (Novello di Cuneo, 1886-1974), i cui “ritratti” realizzati senza mai lasciare il lavoro di postino – che per lui é stato anzi fonte ispirativa continua ed eccezionale in quel quotidiano girovagare, agli inizi addirittura con una “Carl Zeiss” a soffietto, fra cascine e frazioni del cuneese – rappresentano un magnifico e perfino didattico spaccato della più autentica storia di Langa. Organizzata dalla Fondazione Bottari Lattes e promossa dall’Associazione Giulia Falletti di Barolo in collaborazione con la Galleria Ceribelli di Bergamo, la rassegna intende proprio sottolineare le affinità di sguardo sull’umanità (fatte salve le diversità di stile, di soggetti e di tecniche) proprie dei due fotografi. Una mostra che lo stesso Dondero – si racconta – avrebbe fortemente voluto dopo aver scoperto, nel 2013 durante una visita nelle Langhe, ed esserne stato profondamente colpito, le lastre fotografiche al bromuro d’argento con impresse le immagini scattate un secolo prima dal fotografo portalettere di Barolo. Per questa ragione “a qualche anno dalla scomparsa del grande fotoreporter– spiegano gli organizzatori – ereditiamo la sua intuizione e omaggiamo i due fotografi dedicando loro questa esposizione di immagini, un’unione di sguardi in grado di creare una commistione di umanità e vita”. Che per Foglio è il variegato microcosmo delle sue colline di Langa (con il bottaio, la trebbiatura, le materassaie e la preparazione dei salici per la legatura delle viti o ancora il saggio ginnico dei giovani balilla e il Presidente Einaudi in visita a Barolo); mentre in Dondero l’orizzonte si amplia passando dalla silente quotidianità dello sconosciuto “Contadino di San Sepolcro” (che con fierezza e il viso che è maschera stupenda di rughe e di fatica mostra all’obiettivo il suo strumento di lavoro) a quella amplificata dei grandi nomi della cultura e dello spettacolo dell’Italia degli anni Sessanta e Settanta (da Pier Paolo Pasolini con la madre Susanna nella casa romana all’Eur, a Carla Fracci o a Vittorio Gassman con il teschio di Amleto e alle ballerine dell’avanspettacolo) fino alla singolarissima documentazione degli epocali cambiamenti politico-sociali che, nel secolo scorso, hanno coinvolto l’Italia, al pari di altri Paesi come il Brasile, la Spagna, la Germania, la Francia e il Nord Africa. Bandite le costruzioni artificiose, erano sempre “le persone e le loro storie a interessarlo – scriveva di lui Antonio Gnoli ancor prima della fotografia”. Storie. Piccole, grandi o infinitamente grandi. Il giudizio è soggettivo. Momenti irripetibili, di quelli che di colpo ci trovano più che essere trovati e “che resteranno a disposizione di quelli che verranno dopo”. Questo era l’esser fotografo per Mario Dondero. E, prima di lui, per il fotografo-postino di Barolo, Lorenzo Foglio.

Gianni Milani

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“Mario Dondero e Lorenzo Foglio. Lo scatto umano”

Fondazione Bottari Lattes, Monforte d’Alba (Cuneo), via Marconi 16; tel. 0173/789282 – www.fondazionebottarilattes.it

Fino al 22 luglio – Orari: dal lun. al ven. 10/12,30 – 14,30/17,30; sab. e dom. 15,30/18,30

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Nelle foto:

– Mario Dondero: “Un menino de rua dorme in grembo a una statua”, 1978
– Lorenzo Foglio: “Doppio ritratto con fiasco e botticelle”, 1910
– Lorenzo Foglio: “Ritratto dell’usciere dell’Opera Pia Barolo”, 1920
– Mario Dondero: “Contadino di San Sepolcro”, 2002
– Mario Dondero: “Pier Paolo Pasolini e la mamma”, 1962

La “Grand’Italia” di Quaglieni in anteprima ligure

Sabato 14 luglio alle ore 21,15  nel Chiostro “Ester Siccardi” di viale Martiri della Libertà 1  il prof. Giorgio Durante in dialogo con l’autore presenterà, in anteprima nel Ponente ligure, il libro di Pier Franco Quaglieni “Grand’Italia” edito da Golem. Introdurrà la dottoressa Vittoria Barroero presidente del DLF di Albenga. Il libro prosegue il percorso iniziato con “Figure dell’Italia civile”di cui è uscita nel 2018  una seconda edizione.Quaglieni, storico e saggista,ma anche docente e giornalista, ha scritto,tra gli altri, i ritratti del filosofo Benedetto Croce,del presidente della Repubblica  Giuseppe Saragat,degli intellettuali e politici Antonio Gramsci e  Piero Gobetti, del Re  Umberto II di Savoia,degli scrittori  e giornalisti Giovannino Guareschi, Leonardo Sciascia,Oriana Fallaci, Umberto Eco, Giovanni Arpino,del presidente della Fiat  Umberto Agnelli,dei magistrati Bruno Caccia e  Lucio Toth, dei giuristi Giovanni Conso e  Stefano Rodotà,del politologo  Giovanni Sartori, del partigiano Enrico Martini Mauri,della scienziata Rita Levi Montalcini,dell’attore Giorgio Albertazzi. Un inedito di Mario Soldati chiude il volume. Come scrive l’autore nella introduzione, si tratta di un volume polifonico, post-ideologico,che ricorda grandi figure del ‘900 italiano,a prescindere dagli schieramenti. “Una grand’Italia- aggiunge Quaglieni- da opporre idealmente all’Italietta di oggi, a cui si deve guardare per dare speranza al nostro futuro.Una Grand’Italia in cui la differenza di idee viene vista come una ricchezza intellettuale importante.

Anima Vagans Festival

 
Musica, Parole e azioni sceniche nei luoghi dell’anima

 

Abbazia di Vezzolano
Sabato 7, 14, 21 luglio alle 21
Venerdì 27 luglio con l’osservazione 
dell’eclissi lunare alle 22.30

L’abbazia di Vezzolano, con le sue ricchezze iconografiche e architettoniche, sarà l’impianto scenografico di Anima Vagans – Musica, Parole e azioni sceniche nei luoghi dell’anima, quattro performance che si terranno in quattro serate: 7, 14 e 21 luglio e venerdì 27 luglio, quest’ultima in concomitanza con l’eclissi lunare alla quale la performance sarà dedicata. Tutti gli spettacoli avranno inizio alle ore 21 e saranno itineranti nei luoghi interni ed esterni dell’abbazia. Luoghi che diventeranno cassa di risonanza per suggestioni evocative in un gioco di contaminazioni, interazioni, contrasti tra le arti, tra riproduzione filologica e libera rielaborazione in chiave contemporanea di temi prevalentemente Medioevo-Rinascimentali.