CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 600

Oltre 600 volumi del “Premio Lattes Grinzane” donati al “Polo del ‘900”

A disposizione di tutti i lettori in Palazzo San Daniele a Torino. Da mercoledì 25 settembre


Si chiamerà “Scaffale Premio Lattes Grinzane” e verrà accolto nella Sala Lettura (sezione di Narrativa) del “Polo del ‘900 – Palazzo San Daniele”, in via del Carmine 14, a Torino. Accoglierà la bellezza di 670 opere donate dalla Fondazione Bottari Lattes (organizzatrice del Premio), che andranno ad arricchire le raccolte del patrimonio bibliotecario degli Istituti partner del Polo, con una significativa offerta di libri vincitori e finalisti del “Lattes Grinzane”, dal 2011 – anno della sua prima edizione – ad oggi, ma anche di Narrativa contemporanea più in generale. La cerimonia di donazione e di inaugurazione dello “Scaffale”, si terrà mercoledì 25 settembre in Palazzo San Daniele, alle ore 18,30. Vi parteciperanno: Caterina Bottari Lattes (presidente dell’omonima Fondazione ), Sergio Soave (Presidente della Fondazione Polo del ’900), Mario Guglielminetti (direttore marketing della Fondazione Bottari Lattes), Alessandro Bollo (direttore della Fondazione Polo del ’900), Giovanni Barberi Squarotti (coordinatore del Comitato scientifico della Fondazione Bottari Lattes) e la scrittrice Laura Pariani (attualmente in giuria al Premio Lattes Grinzane, e finalista nel 2011 con il romanzo “La valle delle donne lupo”, Editrice Einaudi). La donazione, che ha lo scopo di rendere disponibile gratuitamente a tutto il pubblico torinese e non solo la produzione editoriale legata al Premio dedicato alla memoria di Mario Lattes ( editore, pittore e scrittore scomparso nel 2001), rientra nelle azioni del Protocollo di Intesa sottoscritto dai due Enti per collaborare su iniziative di promozione culturale e verrà integrata ogni anno con i volumi delle nuove edizioni dell’evento. Tra i romanzi disponibili, si potranno ad esempio sfogliare e prendere in prestito quelli dei vincitori per la sezione “La Quercia”: António Lobo Antunes (2018; Feltrinelli), Ian McEwan (2017; Einaudi), Amos Oz (2016; Feltrinelli), Javier Marías (2015; Einaudi), Martin Amis (2014; Einaudi), Alberto Arbasino (2013; Adelphi), Patrick Modiano (2012; Einaudi e Guanda), Premio Nobel 2014, Enrique Vila-Matas (2011; Feltrinelli). E quelli dei vincitori della sezione “Il Germoglio”: Yu Hua (Feltrinelli) nel 2018; Laurent Mauvignier (Feltrinelli) nel 2017; Joachim Meyerhoff (Marsilio) nel 2016; Morten Brask (Iperborea) nel 2015; Andrew Sean Greer (Rizzoli) nel 2014; Melania Mazzucco (Einaudi) nel 2013; Romana Petri (Longanesi) nel 2012; Colum McCann (Rizzoli) nel 2011. Nello “Scaffale” saranno anche presenti romanzi non selezionati ma che hanno comunque partecipato al Premio e alcuni volumi del precedente “Premio Grinzane Cavour”.
Per info: Fondazione Bottari Lattes, via Marconi 16, Monforte d’Alba (Cuneo); tel. 0173/7892412 o www.fondazionebottarilattes.it / Polo del ‘900 – Palazzo San Daniele, via del Carmine 14, Torino; tel. 011/0883200 o www.polodel900.it

g. m.

 

Nelle foto
– Un particolare dello “Scaffale”
– Caterina Bottari Lattes in occasione di una premiazione del “Lattes Grinzane”

Le “fragili catene” di Valter Morando

A cura di A.L.E.R.A.M.O. Onlus, presidente Maria Rita Mottola, presentata da Giuliana Romano Bussola, si inaugura, su invito, venerdì 4 ottobre nel museo civico di Moncalvo la mostra ”Fragili catene” di Valter Morando, considerato il maggior artista italiano vivente che tratta il tema del porto.

Testimone e partecipe della grande stagione albisolese degli anni 50-60 accanto a Fontana, Capogrossi, Jorn, Milena Milani, Morando, scultore, pittore, incisore, ha maturato uno stile personalissimo unendo la figurazione ad avanguardie astratte, informali e concettuali.

Abilissimo nel carpire i segreti dell’opus alchemico ceramico trova ispirazione nei rottami abbandonati nel porto di Savona cui dà dignità facendo sì che catene, ganci, bitte, lamiere diventino occasione d’arte.

Raffigurati in sculture identiche agli originali, non in meccanica riproduzione bensì come ripresa creatrice, gli umili oggetti assumono valenze simboliche, aspetti sacrali che li riscattano dal folclore locale nell’incanto di un clima atemporale metafisico.

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Orari mostra “Fragili catene” di Walter Morando aperta al pubblico dal 5 ottobre al 15 dicembre  2019.

Sabato – domenica 10,00 – 18,30

Altri giorni settimana su prenotazione cell 3277841338

Museo Civico Moncalvo Via Caccia 5

 

 

 

Generosissimo Ottobre quando è tempo di cambiare

LA FONTANA DEI MESI

Eccoci arrivati alla quarta uscita della rubrica sulla Fontana dei Mesi di Torino, anche questa volta cerchiamo di tenere un occhio allo splendido complesso statuario, anima della fontana, e allo stesso tempo di introdurre una corrente artistica -o meglio, in questo caso- due correnti artistiche, cercando di capire se effettivamente una scivola nell’altra oppure se siamo di fronte a due movimenti a sé stanti dal principio. Accettata la sfida sia detto che non saranno date risposte per l’una o l’altra opinione, solo alcuni dignitosissimi spunti di riflessione, insomma ognuno resti pure della sua idea sempre che voglia averne una.

Dunque le due correnti in questione sono “il bizantino” e “lo stile italiano del secolo XIV”. Mentre invece sarà una delle dodici statue femminile quella con ai piedi la scritta Ottobre ad incuriosire maggiormente la nostra attenzione. La Fontana dei mesi al parco del Valentino di Torino è un complesso artistico-architettonico che si sviluppa su di una pendenza probabilmente presente prima della costruzione artistica. Penso che il modo migliore per descriverla sia considerare una forma ovale appoggiata su un piano inclinato. A questo punto vediamo una bella ringhiera bianca che scende a parapetto dal punto più alto senza interruzioni fino a basso.

La fontana è particolarmente affascinante per quella che potremmo chiamare la sua intrinseca reversibilità. I complessi statuari maggiori al vertice sono rivolti all’interno del nostro ovale dove si trovano sia il lago artificiale che gli spruzzi d’acqua, mentre le dodici statue disposte lungo le braccia dell’ovale sono rivolte all’esterno e accompagnano il cammino del visitatore. Caso a parte due dei quattro complessi statuari al vertice: mostrano scene di forza con tensioni contrastanti, quindi questi due gruppi non si possono ragionevolmente considerare rivolti da un lato o dall’altro, piuttosto sono ascrivibili a spirali neoclassiche. Per il fatto che le dodici statue sono rivolte all’esterno, non sembra inopportuno   considerare che il camminamento in cemento intorno alla struttura sia parte in realtà integrante della fontana. Così come non riusciamo a trovare una correlazione logica che comprenda tutta le statue che compongono la Fontana nel parco, riusciamo a vedere una correlazione tra lo stile bizantino e quello primo rinascimentale solo nell’uso del dorato e poco altro. Nel XIV secolo vediamo l’inizio della pittura rinascimentale in Italia in due scuole: una degli studenti di Giotto detta anche “fiorentina” e l’altra “senese” di Ambrogio e Pietro Lorenzetti e specialmente di Simone Martini. Distinguiamo le opere in due scuole separate anche se geograficamente una non sia molto lontana dall’altra. I senesi realizzano preferibilmente su tavola e le loro immagini ricercano la spigolosità, inoltre richiamano una realtà idealizzata, i fiorentini invece tendono alla rappresentazione di uno spazio reale e realizzano preferibilmente con l’affresco. I fiorentini sono storicamente predominanti perché se i senesi sono per lo più legati al territorio della città dalla terra rossa, i fiorentini raggiungono tutto il centro Italia, Giotto stesso dipinge a Padova e a Assisi oltreché naturalmente nella città de’ Medici. A quell’epoca quando gli allievi di Giotto continuano i progetti architettonici del maestro a Firenze, lasciati sfortunatamente incompiuti, lo stile bizantino è al suo apice e insieme al tramonto. Nei secoli ha trovato terreno fertile specialmente nella Serenissima e in tutti i luoghi dove il popolo bizantino è atterrato il che in realtà è un bel pezzo di mondo. Da una parte potrebbe sembrare assolutamente incomprensibile che le due scuole, la fiorentina e la senese, non attingano dal bizantino, dall’altra sembrerebbe evidente che la loro origine sia autonoma rispetto a quello stile. Come consiglio di ricerca, un buon modo per farsi una idea più precisa sarebbe quello di andare a cercare ancora più indietro nel tempo, nelle opere di Cimabue, il maestro di Giotto, oppure chissà dove nelle immagini che hanno ispirato il Martini e i fratelli Lorenzetti, lì infatti potremmo trovare la correlazione che cerchiamo o una disconferma altrettanto attesa.

Nella prossima uscita accenneremo alle   allegorie delle quattro statue interne, ma per ora, con l’avvicinarsi del mese di ottobre, il mese in cui prendiamo in mano le redini per l’ultimo trimestre dell’anno in corso, inoltrandoci nell’autunno, io personalmente cerco di ricordare quanto sia interessante affiancare alla fontana le correnti artistiche pittoriche, tuttavia alla fine di questo articolo prende la voglia di fare una passeggiata fino alla nostra fontana al parco del Valentino di Torino e godersi lì da quelle parti almeno per un po’.

         Ellie  

L’isola del libro

La rubrica settimanale delle novità librarie

A cura di Laura Goria

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Madeleine St John “Le signore in nero” -Garzanti –   euro 16.00

Ha un affascinante sapore vintage questo romanzo della scrittrice australiana Madeleine St John, nata a Sydney nel 1941 e morta a Londra nel 2006 a 64 anni. La prima autrice del suo paese

ad essere stata candidata al Man Booker Prize. E’ proprio con “Le signore in nero” che esordì nel 1993, seguito da altre opere che in Italia saranno tradotte e pubblicate da Garzanti.

Anni 50, a Sydney, sullo sfondo del più grande e lussuoso magazzino Goode’s, corrono da una cliente all’altra 4 donne che più diverse non potrebbero essere. Non importa che siano tutte in qualche modo uniformate dall’elegante e sobria divisa nera: ognuna ha una storia da raccontare e da vivere, caratteri e aspirazioni diverse, modi differenti di affrontare la vita con il suo bagaglio di gioie e dolori, problemi e possibili risoluzioni. Le protagoniste si muovono tra manichini, abiti all’ultima moda, modelli esclusivi e unici, sfiancanti saldi, acquirenti capricciose.

La giovane Lesley (che all’insaputa della madre si fa chiamare Lisa) ha appena finito la scuola (vedrete con che risultati) e sogna di andare all’università con una borsa di studio. Ma a frenare il suo volo verso l’emancipazione c’è il padre, convinto che per una femmina non sia necessario un ulteriore grado di istruzione. Lisa è una commessa scrupolosa ed efficiente che viene presa sotto l’ala protettrice di Magda, la responsabile dei modelli esclusivi da Goode’s. Raffinata e mondana, sposata con il mite Stefan, ha l’ambizione di aprire un giorno non lontano una boutique di lusso tutta sua. Sarà lei a sorvegliare, incoraggiare e spronare le sue commesse, incitarle a inseguire e realizzare i loro sogni oltre le vetrine del negozio. Insegna loro come vestirsi, truccarsi e valorizzarsi. Tra le sue pupille c’è anche Fay Baines, bella ragazza 28enne che adora i cosmetici, sola al mondo e preda di uomini sbagliati e storie infelici. Sogna il matrimonio ma viene spesso fraintesa….finché Magda non metterà sulla sua strada l’ambizioso Rudi.

Patty sul lavoro si realizza, ma ha il buco nero del marito Frank che non la considera e scompare spezzandole il cuore…e non finirà lì…Ci saranno evoluzioni nelle vite di queste indimenticabili protagoniste alla ricerca della loro collocazione nel mondo.

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Ottessa Moshfegh “Il mio anno di riposo” -Feltrinelli- euro 17.00

Quante volte, in periodi difficili, invochiamo sonno e oblio per traghettarci oltre le difficoltà? La protagonista del romanzo della giovane scrittrice americana, Ottessa Moshfegh, mette in atto proprio questo piano. Nel 2000, in una New York non ancora shoccata dall’attacco alle torri gemelle, il 9 settembre, l’anonima narratrice di 26 anni, inizia ad andare in “ibernazione”. Dopo essersi laureata alla Columbia e aver lavorato in una prestigiosa galleria d’arte, chiude il mondo fuori dalla porta di casa, si isola da tutto e tutti e inizia ad assumere farmaci a dismisura per dormire. Può permetterselo grazie a un fondo istituito dai genitori prima di morire che le consente l’apatico lusso. Poi abbindola una scriteriata psicologa per farsi prescrivere una monumentale dose di farmaci che le garantiscano un “anno di riposo e oblio”. E’ il suo stratagemma per mettersi al riparo dai sentimenti e dalla realtà. Le angosce che sembrano attanagliarla risalgono ai ricordi dell’infanzia, alle spire del pessimo matrimonio dei genitori, che non sembra aver amato molto, ma le cui morti in qualche modo l’hanno segnata. Durante il suo letargo nel lussuoso appartamento si verificano episodi di sonnambulismo e nei rari momenti di veglia scopre di aver chattato, mangiato, fatto shopping online, mandato sms e telefonato per farsi mandare del cibo da asporto. Il romanzo è la cronistoria di questa sorta di dolore patologico, della paralisi dello spirito e dei buchi nell’anima della protagonista. A tratti verrebbe voglia di scuoterla e prenderla a schiaffi per la sua personalità narcisista e la sua autocommiserazione che la Moshfegh narra benissimo. Ma cosa succederà quando, dopo 1 anno, la giovane inizia a rompere l’incantesimo del lungo sonno?

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Charles Simmons “Acqua di mare” -BigSur-   euro 15,00

Questo romanzo pubblicato nel 1998 -subito apprezzato come un piccolo capolavoro-

è l’ultimo dello scrittore americano Charles Simmons (1924-2017), vincitore del William Faulkner Foundation Award con la sua opera prima.

Siamo a Bone Point, dove il 15enne Michael sta trascorrendo le vacanze nell’affascinante casa di famiglia affacciata sulla spiaggia davanti all’oceano Atlantico. Le prime righe del romanzo sono agghiaccianti: “Nell’estate del 1963 mi innamorai e mio padre annegò”. Così sapete subito che è il racconto di un apprendistato affettivo adolescenziale, ma anche di una tragedia. In mezzo ci sono i turbamenti del giovane protagonista che   irrompono nel tranquillo menage della famiglia upper class. Il tempo trascorre tra pesca e lunghe nuotate, come racconta Charles: “Eravamo ottimi nuotatori entrambi. Papà nuotava a stile libero, di solito. Io preferivo il dorso, che sebbene più lento era meno stancante e mi concedeva il piacere di guardare il cielo mentre nuotavo. C’è qualcosa di meglio dello starsene col corpo in acqua e la mente in cielo?”

A smuovere le acque è la decisione dei genitori di affittare la dependance alla fascinosa e languida signora Mertz e a sua figlia Zina, appassionata fotografa 21enne. Lei e la madre sono bellissime e disinibite. Per Charles è un coup de foudre, fin dalla prima nuotata con la fanciulla.

Ma anche Peter, il padre di Charles, sembra stregato…cosa che non sfugge alla moglie; così come   l’innamoramento di Michael scatena la gelosia dell’amica Melissa, da sempre cotta di lui. Tra sabbia, flutti e cieli estivi si consuma questo nuovo menage che ferisce sentimenti e rompe equilibri preesistenti. Una storia intrigante che Simmons racconta affondando la penna negli stati d’animo dei protagonisti…fino al tragico epilogo.

Viaggio nei giardini d’Europa. Da Le Notre a Henry James

In mostra alla Reggia di Venaria, la straordinaria “avventura” dei giardini d’Europa dal Cinquecento all’Ottocento. Fino al 20 ottobre

Dalle perfette geometrie di quelli italiani alle fughe “all’infinito” di quelli francesi fino al “pittoresco” delle composizioni inglesi: autentiche mirabilia, paradisi terrestri dove occhi e anima smarriscono non di rado il senso e la concretezza della realtà terrena, ai più celebri giardini e parchi d’Europa realizzati fra   il Cinquecento e gli inizi del Novecento, la Reggia di Venaria dedica, nella Sala delle Arti, una suggestiva e originale rassegna condotta, per la prima volta, attraverso il fil rouge delle osservazioni, dei racconti e del materiale artistico prodotto da prestigiosi “viaggiatori” dell’epoca, assidui frequentatori delle rotte europee percorse in lungo e in largo visitando paesaggi, città e giardini da cui trarre ispirazioni, le più varie. Siano essi architetti, paesaggisti, principi, scrittori, intellettuali o uomini di cultura in genere, i loro appunti, i loro diari, le loro opere letterarie o pittoriche ci consentono non solo di ricostruirne gli itinerari e le impressioni raccolte, ma anche di viaggiare idealmente attraverso luoghi di grande bellezza, testimoni della storia e della cultura di un continente.

Ed è proprio lungo queste trame, segnate dal tema del “viaggio”, che si dipana la mostra, ripartita in dodici sezioni, che vedono assemblate circa 200 opere fra dipinti, disegni, arazzi, volumi, modelli e altri svariati manufatti. Curata da Vincenzo Cazzato (docente di “Storia dell’Architettura” presso l’Università del Salento), Paolo Cornaglia (suo collega al Politecnico di Torino), Maurizio Reggi (cui si deve l’allestimento) e Paolo Pejrone (oggi fra i più noti architetti del paesaggio a livello internazionale), l’esposizione prende avvio con le testimonianze del viaggio compiuto dal filosofo, scrittore e politico francese Michel de Montaigne che, nel suo “Journal du Voyage en Italie” (1580-1581), ci accompagna nei più famosi giardini italiani del Cinquecento, felicemente impressionato non solo dai perfetti terrazzamenti e dalle “rigorose architetture” vegetali, ma soprattutto dalla presenza di artifici quali grotte, automi, musiche e giochi d’acqua, mentre nel secolo successivo il viaggio di André Le Notre ( giardiniere e amico del Re Sole nonché creatore del “giardino alla francese”, artefice dell’ideazione dei Giardini di Versailles e, su incarico di Emanuele Filiberto di Savoia, del rifacimento del parco del Castello di Racconigi), permette di documentare la diffusione in Europa di “un nuovo modo di concepire complessi su grande scala, apprezzati da grandi e piccoli Re Sole”. Ma nel Settecento è soprattutto il “giardino all’inglese”, pittoresco e dalla natura più libera e selvaggia, a costituire un forte richiamo per architetti e giardinieri di fama internazionale come lo svedese Fredrik Magnus Piper e l’italiano Francesco Bettini o il parigino Louis de Carmontelle, che su un appezzamento di terreno nel villaggio di Monceau, acquisito dal Duca di Chartres nel 1769, organizza un “giardino di piacere” in stile anglo-cinese, in seguito definito la “Follia di Chartres”. Luoghi d’arte, perfetta o bislacca o visionaria o di opulenta magnificenza, raccontati nei viaggi di fine Settecento da artisti come Jan van Nickelen o George Lambert o dal veneziano Bernardo Bellotto ( imponente “vedutista” come il più famoso zio Antonio Canal – Il Canaletto), così come dagli aristocratici Conti del Nord (eredi al trono di Russia) o dal Principe di Ligne o, nella tappa obbligata del “Grand Tour” su e giù per l’Italia, da pittori come il francese Hubert Robert o Jean-Honoré Fragonard, fra i massimi esponenti del rococò. Pagine di grande portata storica, oltreché artistica, come quelle letterarie rappresentate dalle “Lettres historiques et critiques sur l’Italie” scritte, fra   il 1739 e il 1740, da Charles de Brosses o da due grandissimi scrittori appassionati d’Italia, come Stendhal e Goethe che, da nord a sud della penisola si spingono il primo fino a Napoli, il secondo fino in Sicilia. E la storia continua. Fra Otto e Novecento, con due viaggiatori americani d’eccezione, Henry James e Edith Wharton, l’Italia si conferma ancora terra di giardini, fonte esemplare di ispirazione per quelli d’Oltreoceano.

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A corollario della mostra, nel Parco Basso della Reggia si potrà anche ammirare la nuova installazione di Giuseppe Penone realizzata a completamento del suo “Giardino delle Sculture Fluide”: sette sculture in marmo dal titolo “Anafora” collocate quali tomi di libri nelle sette grotte del grande Muro Castellamontiano. Inoltre i Giardini della Venaria presentano anche la rassegna “Viaggio fotografico nei Giardini delle Residenze Reali d’Europa”: 120 scatti con scorci da brividi, a partire dalla Reggia di Caserta al Cremlino a Versailles fino agli Historic Royal Palaces inglesi.

Gianni   Milani

 

“Viaggio nei giardini d’Europa. Da Le Notre a Henry James”

Reggia di Venaria – Sala delle Arti, piazza della Repubblica 4, Venaria Reale (TO); tel. 011/4992333 o www.lavenaria.it

Fino al 20 ottobre

Orari: dal mart. al ven. 10/18, sab. dom. e festivi 10/19,30, lun. chiuso

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Nelle foto

– Jan van Nickelen: “Veduta del giardino di sotto del Karlsberg”, olio su tela, 1716-’21
– George Lambert: “Veduta della villa e del giardino di Chiswick”, olio su tela, 1742
– Bernardo Bellotto: “Veduta dei giardini a Wilanow Palace”, olio su tela, 1777
– Hubert Robert: “Il grande getto d’acqua della villa Conti (Torlonia) a Frascati”, olio su tela, 1761

 

In ricordo di Mafalda di Savoia

Lunedì 23 settembre alle ore 18 a Palazzo Cisterna (via Maria Vittoria, 12), il Centro “Pannunzio” e l’Associazione Internazionale “Regina Elena” organizzano un ricordo della Principessa Mafalda di Savoia, figlia del re Vittorio Emanuele III e della regina Elena, morta in prigionia nel campo di sterminio nazista di Buchenwald. Parteciperanno Pier Franco Quaglieni, Nino Boeti, Bruna Bertolo e Maura Aimar. Letture di Anna Abate. Verrà inoltre inaugurata nell’atrio di Palazzo Cisterna una Mostra su Mafalda di Savoia.

“Paolo Icaro. Antologia / Anthology 1964 – 2019”

In mostra alla GAM di Torino, il lungo viaggio fra spazio – forme – vita dello scultore torinese. Fino al primo dicembre


Un’antologica, nella sua (non sempre verso di lui attenta) Torino, come dovuto omaggio a una delle più importanti figure dell’arte italiana d’avanguardia degli ultimi decenni. Mostra esaustiva e intelligentemente e volutamente didattica, pur nell’obbligatorietà della selezione dei pezzi esposti; specchio importante della lunga esperienza operativa dell’artista, in cui sempre s’ha da fare i conti con la “diagonale del pazzo”, sempre lì che t’aspetta a sconvolgere l’ordine spaziale e mentale delle cose, delle forme, delle idee e dell’ambiente che il tutto contiene. Ad affermarlo, nella conferenza stampa di presentazione, è Bernard Blistène, direttore del parigino Centre Georges Pompidou, che continua sul tema: “Entrare nello spazio di Icaro è come giocare a scacchi”, dove sempre hai da aspettarti quella “trappola d’apertura” o “diagonale del pazzo” che inevitabilmente porta allo scacco matto più veloce impensabile e inatteso. E sì, perché nelle esili, essenziali, minimaliste sculture di Paolo Icaro Chissotti c’è sempre lo zampino della ricerca , dell’imprevista e immediata e assillante e del tutto singolare sperimentazione, in cui si mescolano senza mai profondamente attecchire i dogmi dell’Arte Povera o Concettuale o delle Avanguardie americane, ma che in sé accarezza anche i sogni e i gesti di memorie antiche (che partono dai segni michelangioleschi della “Pietà Rondanini”, bene in vista in un’amatissima riproduzione fotografica mai spostata dal suo tavolo di lavoro), insieme alla “spudorata eccezione del gioco” (Icaro dixit). Gioco come scarto bizzarro del fare che ti spariglia le carte, ma anche condizione di vita – e non semplice momento di dispersione superficiale – ad un tempo seria (con la vittoria) e drammatica (con la sconfitta). Gioco come vita. Come inizio e fine. Come nascita e morte. Come continuo divenire. Come distruzione e ricostruzione fra macerie dell’anima e macerie fisiche, simili a quelle delle case bombardate in tempo di guerra e che “da bambino- ricorda l’artista che nel ’43 abitava a Torino in piazza della Consolata – sono state la mia prima grande scuola di fantasia”. E questo è e vuole essere il pesante bagaglio, le grandi ingombranti valigie che Paolo Icaro si porta dietro in quel suo ormai lungo viaggio esistenziale rappresentato simbolicamente, in mostra, dal “Viaggio senza data”, scultura lineare site specific realizzata nel 2019 appositamente per la rassegna alla GAM, con filo di alluminio e un complesso ghirigori di curve, ripresa in video per essere proiettata sul fondale della stanza (in tutto sono nove a percorso circolare-cronologico) raddoppiandola. L’installazione si pone al termine di un percorso che, nel Museo di via Magenta, assembla una cinquantina di opere, raccontando 55 anni (dal 1964 al 2019) del lavoro dell’artista, nato a Torino nel ’36, allievo agli esordi di Umberto Mastroianni (fu lui ad affibbiargli il nome Icaro) e poi transfuga (volontario,vigile e curioso) a Roma, a Genova – dove partecipa alla mostra, basilare nell’Italia del ’67, “Arte Povera Im-Spazio” alla “Bertesca” – e altrove in patria e due volte negli States, a New York prima e poi, dal ’71 e per una decina d’anni, nel Connecticut. Oggi Icaro vive e lavora a Tavullia, nelle Marche.

 

“L’esposizione – scrive Elena Volpato, curatrice dell’antologica – propone una rilettura dell’opera di Icaro che intende mostrare la continuità e l’evoluzione del pensiero poetico dell’artista attraverso i decenni, la sua cifra più propria, la costante riflessione dell’artista che incessantemente rilegge lo spazio e la scultura alla luce di un principio trascendente per il quale la vita delle forme coincide con il senso del divenire”. Dal gesso, all’acciaio, al legno o al cemento, molteplici sono i materiali da lui impiegati e che in mostra vengono esaltati da opere come il “Nido di Torino”, anch’essa realizzata in occasione della mostra (dove lo spruzzo di rosa sulla grande parete bianca è segno di rinascita a dispetto dell’inospitale “boccone di gesso” privo dell’accogliente cavità propria del luogo-dimora) o la “Cornice” in gesso e pigmento, così come i “Lunatici” (secchi di acciaio zincato) o quell’improbabile “Cuborto” in acciaio del ’68, che a Blistène suggerisce addirittura un “rapporto d’instabilità quasi sismica”. Non nuovo alla GAM, lo scultore già cinquant’anni fa, nel 1967, entrò per la prima volta nelle sue Collezioni, con l’opera “Bicilindrica”, un cemento del ’65, acquisita con il nucleo di opere del Museo Sperimentale di Eugenio Battisti cui, nel Duemila, si sono aggiunte altre sei opere realizzate nella stagione dei primi anni Ottanta, grazie al sostegno della Città di Torino e della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT.

Gianni Milani


“Paolo Icaro. Antologia /Anthology 1964 – 2019”
GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it
Fino al primo dicembre
Orari: da mart. a dom. 10/18; lun. chiuso

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Photo: Michele Alberto Sereni

– “Viaggio senza data”, proiezione video, tondino di alluminio, 2019
– “Nido di Torino”, gesso – pigmento – vetro, 2019
– “Cornice”, gesso e pigmento, 1982
– “Cuborto”, acciaio ossidato e corda, 1968
– Particolare dell’esposizione

Chissà se la data del disco è giusta…

Caleidoscopio rock USA anni 60

A volte è difficile spiegare il perché valga la pena parlare di bands semisconosciute o cadute nell’oblìo in men che non si dica. Quelle bands di cui si sa poco o nulla, magari nemmeno l’anno di fondazione o di scioglimento, su cui permangono perfino dubbi riguardo la datazione dei rarissimi 45 giri incisi; bands su cui non sappiamo nulla riguardo il manager o riguardo i locali in cui si esibivano, o se avessero partecipato a competizioni più o meno note e ambite. Magari si conoscono solo i nomi dei loro componenti, ma nulla riguardo le influenze originarie, i cambi di formazione, l’evolversi dello stile o del sound. Eppure se ne deve parlare per onestà intellettuale e per il fatto che, sebbene comete passate rapidamente, lasciarono, durante la breve parentesi della loro fiammata di ispirazione, perle isolate ma luminose, esiti musicali avanti di decenni rispetto ai tempi. Nella seconda metà degli anni Sessanta non era evento così raro il trovare suoni o stili incredibilmente precorritori, tanto che all’ascolto verrebbe da controllare la data di incisione con ricerche incrociate, salvo poi ammettere che effettivamente l’anno era quello e che il sound anticipava soluzioni musicali ben più famose ma sopraggiunte anche 10 anni dopo.

In questa rubrica da me curata sarà facile imbattersi in queste “stelle isolate”; ma, come le supernova, destinate a morire nel momento del loro massimo fulgore per eventi improvvisi o imponderabili.

Un esempio veloce veloce? The Dystraction, formatisi a Reno (Nevada) tra compagni alla Wooster High School e alla Sparks High School: Rick Yancey (V, chit), Rob Hanna (V, chit), Danny Herring (b), Scott Monroe (batt). Tramite Bob Hanna, padre del chitarrista e membro degli Esquires, ebbero un punto di contatto con l’etichetta Coast records di Hollywood, con cui incisero un unico 45 giri (considerato perla rara da moltissimi cultori del rock psichedelico ma soprattutto dell’hard rock delle origini). Nel 1969 (sebbene appaia incredibile ascoltandone il sound) esce questo single: “Wonder What Ya Feel” [Hanna] (Coast 6969; side B: “Where Are We Now” [Hanna]). Il lato A è pionieristico all’ennesima potenza ed è quello che più mette a dura prova la datazione, dimostrando quanto il rock anni ‘60 avesse forme all’avanguardia e seminasse con abbondanza su un terreno fertilissimo per i decenni successivi. L’incisione fu stella luminosa per una band su cui si hanno scarsissime informazioni, se non che nel 1969 si esibì in vari clubs in Oregon e California e che partecipò con successo ad una “Battle of the Bands” a Reno già nel 1968; probabilmente fece il bis nel 1969, qualificandosi tra i quattro vincitori che passarono alla fase successiva a Las Vegas, secondo la cronaca locale di Reno Gazette-Journal e Nevada State Journal. Altre notizie sono impossibili da trovare e tantomeno c’è possibilità di stilare una cronologia sull’ultimo periodo dei The Dystraction; figuriamoci ricostruire le circostanze o i motivi dello scioglimento della band…

Ciò che resta è il lascito musicale e soprattutto il fatto che ancora in molti (esperti e non) si stiano   arrovellando il cervello per trovare una spiegazione ad un sound così pionieristico e precursore, da lasciare incantati ed increduli. Me compreso…

Gian Marchisio

 

Occidente, Provincia, Animali. Nella poesia di Giampiero Neri

Mercoledì 25 settembre Ore 18 Libreria Il Ponte sulla Dora (Via Pisa 46, Torino) Ingresso libero

 

Ritorna “Sul Ponte diVersi. I poeti d’oggi”, la rassegna di incontri di poesia organizzata dal gruppo di lettura “Sul Ponte diVersi”. Giunta alla terza edizione, porta a Torino poeti e maestri, invitati a confrontarsi sulla poesia e sul suo valore.

Torino, 19 settembre 2019 – Riparte con Giampiero Neri, mercoledì 25 settembre alle ore 18, la stagione di incontri con i poeti contemporanei italiani “Sul Ponte diVersi. I poeti d’oggi”. L’autore lombardo sarà ospite della Libreria Il Ponte sulla Dora (Via Pisa, 46) e del gruppo di lettura “Sul Ponte diVersi”, che unisce studenti e dottorandi delle Università di Torino e Roma Tre.
«Il più in ombra dei grandi maestri», come lo definisce Andrea Cortellessa, Giampiero Neri è in realtà una delle più autorevoli voci del panorama letterario del secondo Novecento: esperto di poesia italiana ed europea, da Dante a Ungaretti, da Rimbaud a Campana, i suoi studi, intrisi di storia e filosofia orientale, intercettano anche la prosa, in particolare l’opera di Beppe Fenoglio, l’epicità del suo stile essenziale. Poeta eclettico e anticonvenzionale, Giampiero Neri si racconta a lettori e appassionati, ripercorrendo la strada che lo ha condotto dagli esordi alla recente autoantologia, Non ci saremmo più rivisti (Interlinea, 2018).  A partire dalle domande dei quattro organizzatori e dalle suggestioni del pubblico, il poeta lombardo potrà esprimere la sua visione del mondo e della poesia; al centro, la lettura condivisa dei testi, con la possibilità – unica – di un commento a voce d’autore.
La rassegna “Sul Ponte diVersi. I poeti d’oggi” promette una stagione di grandi ospiti: sulla scia del successo delle due edizioni passate, che hanno accolto poeti e critici di fama (Umberto Fiori, Riccardo Olivieri, Franco Buffoni, Francesco Iannone, per quanto riguarda la prima; Mario Baudino, Giulia Rusconi, Matteo Marchesini, Marco Corsi, Fabio Pusterla, Guido Mazzoni e Franca Mancinelli la seconda), l’edizione 2019-2020 ha in calendario, oltre all’incontro settembrino con Giampiero Neri, un confronto d’ottobre con Carlo Bordini e a novembre uno spin off dedicato al «Quaderno di poesia contemporanea» dell’editore Marcos y Marcos.

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Giampiero Neri – pseudonimo per Giampietro Pontiggia, è un bancario reinventatosi poeta. Nato ad Erba nel 1927, intraprende studi scientifici a Milano, dove inizia presto a lavorare in banca. Il suo esordio letterario è tardivo e avviene grazie all’interlocuzione e al confronto con il fratello Giuseppe Pontiggia, già narratore affermato: i versi di Neri iniziano a vedere la luce a metà degli anni ’60 su alcune riviste letterarie, «Il Corpo», «Almanacco dello Specchio» e «Paragone». Nel 1976 esce a Milano la prima raccolta edita da Guanda, L’aspetto occidentale del vestito, che tradisce uno stile asciutto, prosastico, lontano sia dallo sperimentalismo neoavanguardista sia dalla più classica tradizione lirica del secolo scorso. Seguono, tra gli altri, Liceo (1986), Dallo stesso luogo (1992), Teatro naturale (1998), Armi e mestieri (2004), l’Oscar Mondadori Poesie 1960-2005 (2007), Paesaggi inospiti (2009), Il professor Fumagalli e altre figure (2012), Via provinciale (2017), fino alla recente autoantologia Non ci saremmo più rivisti (2018).  Il gruppo di lettura Sul Ponte diVersi nasce alla fine del 2017 su iniziativa di Riccardo Deiana, Federico Masci, Jacopo Mecca e Francesco Perardi con lo scopo di rendere pubblici i privatissimi confronti che da tempo si consumavano al chiuso di caffetterie e appartamenti per fuori sede. Il primo incontro risale al 21 marzo del 2018 (giornata mondiale della poesia) e riscuote un enorme successo, grazie soprattutto alla caratura dell’ospite: Umberto Fiori. Tale esordio permette al gruppo di procedere con il suo programma raccogliendo grandi adesioni. Gli obiettivi? Dialogare direttamente con i poeti, rimanendo “fedeli, domestici e rigorosi” ad una politica indipendente dalla promozione editoriale; indagare l’intera produzione del poeta ospite, ricostruendone la genealogia e svelandone segreti e idiosincrasie.  “Rendersi conto che una comunità di lettori forti di poesia esiste, ma le manca un luogo in cui trovarsi, condividere, esprimersi liberamente. Questa presa d’atto è il nostro punto di partenza: vogliamo dare la possibilità ai lettori di conoscere i loro autori, di sedersi al loro fianco e guardarli negli occhi; favorire l’incontro tra avventori, giovani critici e aspiranti tali, librai, professori, studenti, studiosi, poeti e poeti…”. Queste le parole con cui il gruppo descrive un’iniziativa coraggiosa che, sin dall’inizio, ha incontrato ampia approvazione e consensi diffusi.

Fiori d’arancio nell’ Orchestra de “I Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni”

 Trionfano la musica e l’amore: sposi due suoi musicisti

 

Fiori d’arancio sabato 21 settembre prossimo per due componenti de “ I Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni”, orchestra residente del Duomo di Torino, e reduci dal successo della partecipazione al Piano Trail di Macugnaga, festival pianistico giunto alla sua seconda edizione, svoltosi lo scorso agosto ai piedi del monte Rosa.

A convolare a nozze a Caselette, dove vivono, saranno Ugo Favaro, cornista dalla chiara fama che ormai travalica i confini nazionali, e la violinista Valentina Rauseo. Favaro, che si è accostato allo studio della musica già in tenera età e diplomatosi al Conservatorio di Alessandria con il massimo dei voti nel 1987, ha poi collaborato con formazioni orchestrali di indiscusso pregio quali la Sinfonica Nazionale della Rai ed il Teatro Regio di Torino, l’Orchestra di Santa Cecilia, l’Orchestra da Camera di Padova e del Veneto e quella “Arturo Toscanini” di Parma, ricoprendo sempre il ruolo di primo corno e di corno solista. È anche stato vincitore del primo premio al Concorso di musica da camera “Città di Genova” nel 1994 e del primo premio, l’anno successivo, al “Concorso Zoppi” per corno della città di Asti.

La violinista Valentina Rauseo, diplomatasi nel 2001 presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, sotto la guida di Christine Anderson, ha poi ottenuto due borse di studio per i migliori esami di compimento inferiore e medio, ed il premio “Berrino” per il miglior diploma. Attualmente svolge attività concertistica sia come solista sia in formazioni cameristiche, in cui cura con attenzione il repertorio romantico per violino e pianoforte. Ottenuto il diploma di perfezionamento musicale a indirizzo virtuosistico presso l’Accademia superiore di Musica “Lorenzo Perosi” di Biella, collabora con varie orchestre tra le quali dal 2005 l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, dal 2009 il Teatro Regio di Torino, dal 2007 la Filarmonica ‘900 del Teatro Regio e, attualmente, con I Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni. Quest’ultima orchestra ha visto confluire il talento artistico di questi due musicisti in un percorso comune professionale, che è diventato anche di vita. I Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni sono l’espressione musicale di un’associazione culturale che ha sede presso la Cattedrale Metropolitana di Torino, vantando come presidente il parroco don Carlo Franco, e che ha come obiettivo l’interesse di promuovere lo Spirituale nell’Arte.

 

Mara Martellotta