CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 597

Ecco il distributore automatico di poesie

Il Distributore Automatico di Poesia, ideato nel 1994 da Daniela Calisi, sarà a Torino Spiritualità, dal 26 al 30 settembre

 

Il DAP, che troverete nella sua prima versione è un distributore automatico di palline trasparenti, normalmente contenenti piccoli gadget viene utilizzato per proporre invece testi poetici inediti. Il distributore nasce dall’esigenza di proporre la poesia come bene di consumo di massa e sperimentare forme innovative di distribuzione e promozione della lettura. 

 

Esposto per la prima volta nel 1994  all’Università di Torino, da allora ha sempre suscitato l’interesse di diversi soggetti, coinvolti a diverso titolo nella promozione della lettura, sia nel pubblico sia nel privato.

 

Negli anni l’idea del distributore non ha perso la sua forza, che unisce semplicità e originalità:  uno strumento efficace di promozione della poesia di facile utilizzo, accessibile a tutti ed è stata utilizzato in diversi a Festival e manifestazioni poetiche e letterarie.

 

Il DAP 1 è il primo di una serie di sperimentazione e progettualità letterarie innovative: per approfondire il progetto, la sua storia e per saperne di più dei diversi Distributori potete visitare il sitowww.contentodesign.org 

 

Per Torino Spiritualità è stato realizzata un’edizione speciale con poesie sul tema dell’edizione 2018 PREFERISCO DI NO scritte ad hoc dai poeti aderenti alla Lega Italiana Poetry Slam http://www.lipslam.it

 

I poeti che hanno partecipato con almeno cinque testi indediti ciascuno, pensati sul tema della manifestazione sono: Serena Artom, Francesco Bastianon, Luca Bernardini, Arsenio Bravuomo, Francesco Deiana, Sergio Garau, Stella Iasiello, Rolando Piacentini, Mauro Piredda, Francesca Saladino. Potrete trovare il distributore e le poesie, al costo di un euro l’una, al Circolo dei Lettori, Via Bogino 9, Torino, vicino alla biglietteria di Torino Spiritualità.

“To be a person”. Tutti i colori della vita

FINO AL 15 NOVEMBRE

Carta. Colori. E tela. Fogli di carta colorati, ritagliati, ripuliti dagli inutili eccessi, composti scomposti e ricomposti e infine applicati sulla tela con combinazioni di universi pittorici e spirituali forse improbabili, forse casuali forse accettati o forse no; ma espressione sempre di un’intima complessità narrata attraverso segni e segnali istintivi, in cui la materia porta dentro le impronte di un’esaltante lievità, insieme (mai in dissonanza) con una vitalità e un’energia del gesto pittorico, calato con irruenza come se ogni pennellata fosse per l’artista un ultimo miracolante atto liberatorio. Capace di staccarti da terra per portarti nell’azzurro di cieli che più azzurri non si può. “Collage totale” o “collage inscindibile dalla pittura” o meglio “pittura in forma di collage”: così leggiamo nel testo-catalogo a presentazione dello opere (15 in totale) portate a Torino da Monique Rollins, in una suggestiva personale curata da Olga Gambari e allestita alla Galleria “metroquadro” fino al prossimo 15 novembre. Per Monique, americana del Delaware ma da tempo attiva fra New York e Firenze, è questo, negli spazi espositivi del gallerista Marco Sassone, un piacevole ritorno, attraverso il quale – sotto il titolo ben esplicito di “To be a person” – la pittrice presenta i lavori della recentissima serie “Spirit”, realizzati in seguito alla sua ultima residenza d’artista svolta a Pechino. Collages su tela. Carta e colore in acrilico, gli elementi essenziale del suo lavoro. Carta e carte, innanzitutto. Per lei materia prima, indispensabile a raccontare e a raccontarsi agli altri. E ciò da sempre. Di lei ricorda infatti la Gambari: “Quando faceva le sue prime lezioni d’arte da bambina, nello studio di una pittrice, invece che dipingere a olio su tela, colorava interi fogli di carta. Esercizi di colore puro”. Sul colore infatti, personalizzato, vibrante, delicato e graffiante ad un tempo, si gioca tutta la potenzialità narrativa delle sue opere; pagine in cui la Rollins trasforma (e l’azione non è per niente semplice, ma anzi complessa e ansiogena, pur se concepita in una sorta di magico divertissement) la realtà esteriore in paesaggi dell’anima, fissati con impetuosi tratti materici sulla linea di quell’espressionismo astratto americano da cui parte, mantenendo nel tempo significative cifre stilistiche, la sua formazione artistica a New York. Oggi sviata, rielaborata e diventata “altro”, attraverso parametri stilistici che si sono evoluti e personalizzati nel tempo e su cui hanno indubbiamente inciso – e non poco – anche gli studi di specializzazione compiuti da Monique sull’arte rinascimentale veneziana. Ecco allora quel nuovo tonalismo acceso, il colore asservito in toto alla luce e soprattutto quel riconoscere nel “bello” la molla d’accensione di un “piacere fisico e sensoriale” più che “intellettuale”, come voleva certo Rinascimento fiorentino, ad esempio. La bellezza legata più ai sensi che alla ragione e all’intelletto. Esaltata dall’accensione di quegli azzurri, di quei bruni smorzati e dei bianchi intensi e raffinati, in cui s’intrecciano libere storie condotte sul tema narrativo e sull’urgenza personale dell’“essere persona”. In un crogiolo variegato “di voci, di segni, forme e colori – ancora la Gambari – che hanno urgenza di essere ed esprimersi, che formano un coro, così incontenibili da uscire dal formato stesso della tela come un fiore che si schiuda. Ma non c’è caos, solo un’eufonia precisa e perfetta”.

Gianni Milani

“To be a person”

Galleria “metroquadro”, corso San Maurizio 73/F, Torino; www.metroquadroarte.com

Fino al 15 novembre

Orari: mart. – sab. 16/19

***

Nelle foto

– Monique Rollins
– “Levels”, 2018
– “Inner Landscape”, 2018
– “Spirit Painting Blue”, 2018
– “Third Level Spirit”, 2018

 

Le aspre colline e gli alberi di Pippo Leocata, le auto di Paolo Pirrone prive di spazio e di tempo

Si chiuderà domenica 30 settembre, nella Sala Mostre presso la Biblioteca del Comune di Carignano, la doppia personale degli artisti Pippo Leocata – dal titolo “Tra terra e cielo” – e Paolo Pirrone – che guarda principalmente al disfacimento dell’automobile e propone “Dopo la corsa” -, una ventina di opere ciascuno scelte anche tra l’ultima produzione. Personali che vogliono essere il successivo riconoscimento all’avere gli artisti stessi conseguito, in occasione della mostra “Resistenza… Resistenze” tenutasi nel dicembre dello scorso anno nello stesso luogo, rispettivamente con le opere “Natura addio?” e “Metamorfosi”, ex aequo la Menzione speciale della Giuria con la seguente motivazione: “I due dipinti si accomunano nella volontà di una ricerca sperimentale sul colore e sulla materia che porta ad esiti assolutamente innovativi pur mantenendo una connotazione stilistica rigorosa e tecnicamente ineccepibile”.

Di Leocata meglio conoscevamo quelle opere che più, tra storia e mito, ricollegavano il presente ad un passato che affondava le proprie radici nella terra di Sicilia, nell’area di Adrano, con la sua rocca, antica, dove il pittore è nato, chiamata a convivere con il vulcano protettore ma anche feroce, pronto a far esplodere dal rosso violento del suo interno il magma minaccioso che scorrerà giù, lungo le pendici impervie; e poi i cavalieri forti e valorosi e i cavalli impennati, le lotte e le armi, immortalati dentro colori stupendamente accesi, le differenti architetture, le sagome dei suoi angeli, splendenti o atterrati, i miti, le pagine di una cultura e di un’epoca nuova. E poi i panorami più vicini a noi, le colline care a Pavese (“Una vigna che sale sul dorso di un colle/ fino a incidersi nel cielo,/ è una vista familiare”) o quei casolari distesi su quei terroni che degradano a valle, assolati e notturni, che hanno visto le tragedie fenogliane disseminate entro i ventitré giorni: questi raggruppa oggi qui Leocata, scendendo all’albero e al seme, fatti tramite attraverso un’immagine più affettuosa e solitaria. Colori a tratti forti immersi tra intuizioni, pensieri, domande che attendono risposte, alberi scuri e spogli su sfondi anonimi, alberi/silhoutte, geometrici, spezzati nel tratto, che paiono usciti da una vecchia pubblicità animata degli anni Sessanta, macchie di alberi contro accoglienti cieli azzurri. Ne nasce, al di là di un personale sentimento “naturalistico”, una poesia mai facilmente riprodotta, astratta e mai scontata, sciolta in una pace ritrovata tra i sentieri armonici della natura: che ci appare subito più vivifica e più vera.

Paolo Pirrone gioca in solitaria, ha il grande merito di costruire un mondo tutto suo, appartato, facilmente identificabile ma rigoroso, estremamente delineato e circoscritto, una costruzione che ritroviamo quando affronta la superficie terrosa di un paesaggio sia quando ancora estrae dagli elementi realistici gli scheletri della sue automobili – una landa rugginosa che sarebbe entrata di prepotenza nel “Cimitero di automobili” caro ad Arrabal -. E in quell’interno, Pirrone stringe la caratteristica di stare strettamente legato alla realtà, il paesaggio, l’auto e una parte di essa, per staccarsene dopo un attimo e riversare questa sua realtà entro i confini ampi dell’astrazione, dell’ambiente magico, della volontà di sollevare ogni cosa e rappresentarla entro un altro mondo, superiore, fatto di lunghi silenzi, privato di fisicità umane, chiuso nelle più personali suggestioni. Guardando a quelle tecniche miste che trovano spazio su lamiera (una materia rifiutata da molti) o su tavola, ogni particolare sembra aver perso il proprio tempo, lo spazio ha definitivamente allontanato i contorni abituali, un cofano o uno sguardo su un interno vuoto e abbandonato assumono significati assai più importanti di quelli che avevano nel passato. Tutto vive di una dimensione nuova. In un mondo ancora sconosciuto, quasi fantascientifico e di abbandono, le lame di colore, i lampi improvvisi che il pittore incastona tra il bruno della ruggine, che la fa da padrone, sembrano gli unici segni di vita. Tentativi che si portano dietro una bravura consolidata, sperimentazioni, la volontà di rimettersi ad ogni prova in discussione, guardando alla completezza dell’opera, al suo successo.

 

Elio Rabbione

 

Pippo Leocata, “La vigna”, olio su tela, 100 x 100 cm, 2017

Paolo Pirrone, “Le dinamiche del pensiero”, tecnica mista su tavola, 70 x 83 cm, 2009

 

“Grand’Italia” a palazzo Ducale di Genova

Domenica 30 settembre alle ore 11, a Palazzo Ducale di Genova – Sala Storia Patria, in occasione del Book Pride 2018, il prof. Dino Cofrancesco, Professore Emerito dell’Università di Genova, presenterà, in dialogo con l’autore, il libro di Pier Franco Quaglieni Grand’Italia, Golem Edizioni. I  libro raccoglie i ritratti di 31 personaggi che hanno caratterizzato la storia e la cultura italiana del Novecento, con molti dei quali l’autore ha intrattenuto rapporti personali. Compaiono, tra gli altri, Croce, Gobetti, Umberto II, Sciascia, Guareschi, Saragat, Oriana Fallaci, Umberto Agnelli, Rita Levi – Montalcini, Bruno Caccia, Giorgio Albertazzi. Una galleria di voci molto diverse una dall’altra, a volte decisamente discordanti, che hanno contribuito a scrivere la storia di una Grand’Italia. Dopo le molte presentazioni estive nel Ponente Ligure, è un traguardo molto importante la presentazione del libro a Palazzo Ducale di Genova, che verrà nei mesi di ottobre e novembre presentato a Roma, Napoli e Firenze.

 

“Palingenesi”

In mostra le opere dell’artista Roberto Demarchi realizzate o iniziate negli anni passati e rifatte, riprese o modificate nel 2018, una vera Palingenesi

Si intitola “Palingenesi” la mostra personale di Roberto Demarchi che si inaugurerà giovedì 27 settembre prossimo dalle 18.30, negli Spazi espositivi dell’artista ed architetto, in corso Rosselli 11, a Torino. Il titolo dell’esposizione non è certo casuale, in quanto vengono proposte una ventina di opere realizzate o iniziate dal maestro negli anni passati, poi modificate e riprese, in tempi più recenti e nel 2018. Il termine “palingenesi” deriva dai termini greci “palin”, che significa “di nuovo” e “genesis”, inteso come nascita, creazione. Palingenesi ha, quindi, il significato di rinascita e di ri-creazione. In alcune concezioni filosofiche o religiose con il termine “palingenesi” si intende il rinnovamento del cosmo dopo la sua distruzione o la rinascita dell’uomo dopo la morte, considerati come tappe ricorrenti di un perpetuo divenire delle cose. Nel Nuovo Testamento la palingenesi indica l’avvento ultimo e definitivo del regno di Dio. Nella storia dell’arte sono numerosi i casi di palingenesi, di opere d’arte create dall’artista e poi completamente o parzialmente rifatte. Le attuali tecniche radiografiche usate nelle operazioni di restauro ne hanno fornito svariati esempi. Elie Faure, noto storico dell’arte francese, nel primo quarto del Novecento, scriveva che “la pittura è il linguaggio delle incertezze, degli slanci e delle ritirate del cuore”. La grande arte pittorica, infatti, nasce da un pensiero che diventa emozione e da una emozione che diventa pensiero, può essere un qualche cosa di immediato che, in modo fulmineo, si fa colore e forma, o un pellegrinaggio nella coscienza che si distilla lentamente in forma e colore. La vera vita e la vera anima di un pittore si possono leggere proprio nelle sue palingenesi, che sono testamenti autentici degli slanci e delle ritirate del suo cuore.

 

Mara Martellotta

 

Tutto Leonardo in mostra a Fossano

Nella serata di venerdì Fossano ha inaugurato la mostra “Leonardo Opera Omnia”,che offrirà ai visitatori 17 riproduzioni di altrettante opere di Leonardo, tra le più rappresentative del suo percorso artistico e in dimensioni reali.  La mostra sull’opera di Leonardo, insieme a quella realizzata lo scorso anno su Caravaggio e all’evento previsto per il prossimo anno su Raffaello, nasce per rendere fruibile ad un pubblico più vasto i capolavori dei grandi maestri. Si sta definendo in questi giorni un fitto calendario di eventi collaterali organizzati in collaborazione con i partner dell’iniziativa, le realtà culturali, associative e le scuole del territorio, così da far conoscere a 360 gradi l’esperienza della figura leonardesca.  Leonardo Opera Omnia ha ricevuto la Medaglia di rappresentanza del Presidente della Repubblica, un riconoscimento che viene attribuito dal Capo dello Stato a iniziative di interesse culturale, scientifico, artistico e sociale di particolare rilevanza.La mostra sarà visitabile fino al 13 gennaio 2019 con i seguenti orari: venerdì dalle 15 alle 19, sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 19. I biglietti d’ingresso sono disponibili presso il Castello degli Acaja al costo di 8 euro (intero), 5 euro (ridotto) e 2 euro (scuole). Per informazioni contattare l’Associazione artistico-culturale Atelier Kadalù, tel. 351 5633853, leonardo@atelierkadalu.it, oppure visitare i siti www.visitfossano.it,  www.fondazioneartea.orgIl calendario completo degli eventi collaterali alla mostra “Leonardo Opera Omnia” sarà presto disponibile sui siti www.visitfossano.it e www.fondazioneartea.org.
(foto Federico Fulcheri)

La seduzione delle cortigiane

Sono ripresi a Palazzo Cisterna, dopo la pausa estiva, gli incontri curati da Cromie-Vivere a colori, associazione culturale nata lo scorso ottobre con il patrocinio della Città metropolitana di Torino con l’obiettivo di divulgare attività culturali e ludiche. Martedì 18 settembre alle ore 18,00 la sede aulica della Città metropolitana di Torino ( via Maria Vittoria 12 ) ha ospitato, con un reading-spettacolo, la presentazione del nuovo libro di Tamara Brazzi edito da La valigia rossa ” Veronica ed io “, romanzo dal contenuto storico sulla figura di Veronica Franco ( Venezia 1546 – Venezia 1591 ), cortigiana del Cinquecento veneziano, poetessa intellettualmente libera ed emancipata, rivelatasi capace di salvare le sorti di Venezia. La storia di Veronica riaffiora nel presente di Cristina, la protagonista del romanzo, e la vita di Cristina, a sua volta, si immerge nel tempo di Veronica. Due donne a confronto attraverso lo specchio della storia e dell’anima, immerse nella magica atmosfera, surreale e godereccia,di Venezia in un passaggio continuo tra ciò che è stato e ciò che sarà. Durante l’incontro, l’attrice Vanessa Giuliani ha letto alcuni passi tratti dal libro, mentre il noto musicista Walter Matacena – recentemente impegnato nel tour estivo di Max Gazzè alle Terme di Caracalla e all’Arena di Verona – ha eseguito al violino musiche rinascimentali. Tra gli interventi più significativi, quello di Giampiero Leo sull’importanza di incontri come questo, volti a stimolare sempre l’interesse per la Cultura. Leo si è inoltre complimentato con l’autrice perchè il suo libro è stato ufficialmente inserito nella collezione dei libri della Fondazione Querini Stampalia e nell’Archivio di Stato veneziano. La serata si è conclusa con un rinfresco offerto dall’Osteria Rabezzana e dalla Compagnia dei Caraibi.

HELEN ALTERIO

 

(foto Beppe Sacchetto)

Migrazioni, in 45 mila al festival

/

Sono stati in 4.500 a rispondere all’invito della prima edizione del Festival delle Migrazioni – Siediti vicino a me, partecipando dal 20 al 23 settembre 2018 a Torino alla quattro giorni di appuntamenti sui temi della migrazione, della convivenza e del dialogo condiviso, tra gli spazi di San Pietro in Vincoli, Sermig – Arsenale della Pace, Scuola Holden e Cottolengo

Il festival, organizzato nell’ambito del programma di eventi di Terra Madre IN, è ideato dalle Compagnie torinesi A.C.T.I. Teatri Indipendenti, AlmaTeatro Tedacà, con il sostegno di Regione Piemonte,Fondazione Piemonte dal Vivo e Compagnia di San Paolo, con il patrocinio della Città di Torino e il patrocinio dell’Ordine Assistenti Sociali del Piemonte, in collaborazione con Sermig – Arsenale della Pace,Scuola Cottolengo, Scuola Holden e associazioni che si occupano di migrazione presenti sul territorio. Tra spettacoli teatrali, workshop tematici, reading, concerti, momenti di convivialità e laboratori, i 27 eventi in programma hanno sempre registrato il tutto esaurito, a testimonianza di come pur essendo alla sua prima edizione il festival sia stato accolto dal pubblico con entusiasmo e partecipazione.La realizzazione del festival è stata possibile grazie a 60 persone tra staff, tecnici e volontari impegnati per un anno e mezzo di lavori, coinvolgendo 50 ospiti e 130 artisti provenienti da 25 Paesi diversi. Questi numeri si sono tradotti, nel corso della quattro giorni, in occasioni di condivisione e di confronto.Ne è un esempio la Cena delle cittadinanze di sabato sera che ha riunito alla stessa lunghissima tavolata allestita presso l’ex Cimitero di San Pietro in Vincoli più di 500 persone provenienti da ogni parte del mondo, che hanno condiviso il cibo portato da casa, scambiando tra vicini di posto pasta al forno con riso somalo con uvetta e spezie; e che dopo hanno ballato sulle note afro-jazz dei Kora Beat.Grande emozione per le due voci femminili del festival: giovedì sera la scrittrice e cantante Gabriella Ghermandi, ha incantato il pubblico della Scuola Holden con l’Atse Tewodros Projects, un concerto che mette in dialogo artisti etiopi e italiani, raccontando con la musica storie della tradizione etiope. A chiudere il festival è stata Ottavia Piccolo con lo spettacolo Occident Express accompagnata dall’Orchestra multietnica di Arezzo: in scena la storia vera di Haifa, anziana donna irachena che nel 2015 percorre 5.000 km per sottrarre la nipotina alla guerra.Il pubblico è intervenuto numeroso anche alla rappresentazione dell’opera da camera Katër i Radës. Il naufragio basato su un testo di Alessandro Leogrande, prodotto dalla Biennale di Venezia e realizzato da Koreja Cantieri Teatrali; così come ha affollato San Pietro in Vincoli in occasione dell’irriverente spettacolo I Veryferici, attraverso cui gli Shebbab Met Project raccontano in provocatoria la vita nelle periferie di diverse città.Ottima inoltre la partecipazione agli incontri, che hanno proposto approfondimenti e punti di vista diversi sul tema della migrazione: da quello sul caporalato e le lotte intraprese contro lo sfruttamento con Yvan Sagnet a Frontiere rivali, frontiere solidali sul contrastato passaggio in Francia dei migranti, a Quelli che se ne vanno. La nuova emigrazione italiana con Enrico Pugliese, per trattare di un altro tipo di esodo: quello dei giovani italiani.A chiudere la serie di incontri lo scrittore indiano Amitav Ghosh che domenica ha presentato La Grande Cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile, in dialogo con l’etnopsichiatra Roberto Beneduce.

Tutti i numeri del festival:

4.500 persone che hanno ballato, mangiato, parlato, scherzato, ascoltato e che hanno assistito agli spettacoli: 4.500 persone che si sono sedute una accanto all’altra!

180 ospiti provenienti da 25 Paesi diversi accolti

27 eventi in programma

40 kg di riso cucinato durante la Cena della cittadinanze dalle donne della Associazione Africa sub-sahariana e II generazione

200 litri di tè e 30 kg di biscotti offerti nelle pause tra un incontro e l’altro

60 persone che hanno consumato litri non quantificabili di caffè, tra staff, tecnici e volontari

3.000 foto scattate

***

Il Festival delle Migrazioni – Siediti vicino a me è un invito collettivo a incontrarsi per riflettere sulle resistenze culturali, sulla convivenza, sul concetto di comunità e accoglienza, che vede in dialogo la popolazione italiana autoctona, le persone di diverse provenienze che da anni sono residenti qui e sono diventate cittadine italiane, le seconde e terze generazioni, chi da poco è arrivato nella nostra città e vive nei centri di seconda accoglienza, tutti da considerarsi come soggetti culturali attivi del nostro territorio.

Il Festival delle Migrazioni – Siediti vicino a me è un dialogo contro la paura, un’occasione per combattere l’idea che il fenomeno migratorio sia comparso improvvisamente in tempi recenti. Allo stesso tempo raccontare le storie dei protagonisti di tali migrazioni è un modo per rendere il fenomeno meno astratto e dar loro un’identità, per evitare facili semplificazioni e strumentalizzazioni.

 

www.festivaldellemigrazioni.it

Santa Fede, culto e storia

Uno dei luoghi di culto più carichi di significato e di suggestione nella Valcerrina è l’Abbazia di Santa Fede che si trova sul territorio di Cavagnolo, comune della Città Metropolitana di Torino, ma appartenente alla Diocesi di Sant’Evasio di Casale Monferrato. A riscoprirne l’importanza e la bellezza è stato, nella seconda metà dell’Ottocento, il conte vercellese Edoardo Arborio Mella, studioso di arte romanica e restauratore del Duomo di Casale Monferrato e valorizzare con una serie di scritti, in particolare “Della Badia e chiesa di Santa Fede presso Cavagnolo Po”. Ed è merito del padre marista (la Congregrazione dei Padri Maristi l’aveva acquistato nel 1895, utilizzandolo come scuola Apostolica, scuola media statale prima della cessione all’attuale proprietà, la Diocesi di Casale nel 2011) Luigi Falletti di avere scoperto la prova del collegamento di Santa Fede con la celebre abbazia benedettina di Sainte-Foy-de-Conques nell’Alvernia, in Francia, ad una trentina di chilometri da Rodez. Qui, in una chiesa romanica del X secolo, affiancata da una grande abbazia sono custodite da secoli le reliquie della giovinetta Fede martirizzata ad Agen durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano. Era l’anno 303. Il culto della Santa si diffuse in Francia ed in Spagna, mentre in Italia ebbe una devozione piuttosto limitata. Oggi è provato che il monastero di Santa Fede di Cavagnolo – “Monasterii sancte Fidis de Cabagnoli” – fosse già presente nel XII secolo sui territori controllati dai Marchesi di Monferrato, ma non sono molte le fonti storiche. Per raggiungere Santa Fede, per chi arriva da Torino percorrendo la strada provinciale 590 “della Valcerrina” occorre, dopo essere entrati nel paese, superare la rotonda, girare a destra e percorrere la strada per circa due chilometri. Per raggiungere il piazzale prospicente l’edificio occorre svoltare a destra nello stretto tornante della stradina che costeggia il moderno complesso addossato al fianco sud. Qui colpisce subito la facciata, del tipo a capanna, con cuspide triangolare, suddivisa in 3 parti, corrispondenti alle navate Archetti ciechi coronano le pendenze dei tetti. Dal centro una bifora scompartisce un finestrone ingrandito rispetto all’originale per aumentare la luminosità interna. Sotto la bifora si apre un magnifico portale ricco di un’esuberante decorazione che costituisce, sicuramente, l’attrattiva maggiore di Santa Fede. L’interno rappresenta quello che padre Bartolomeo Bardessono, nella sua pubblicazione “Santa Fede Cavagnolo” incentrata sulla storia, l’arte e la presenza marista, definisce “La bomboniera del romanico in Piemonte”. Lo spazio con 22.47 metri di lunghezza per 9,96 metri di larghezza non è di vaste dimensioni, è suddiviso in tre navate e questa sono a loro volta scompartite in cinque campate da robusti pilastri attorniati da semicolonne. La navata centrale termina con un’abside circolare rischiarata da tre monofore. L’altare maggiore è un’aggiunta settecentesca. Negli anni molti sono stati, da parte degli studiosi, gli studi su Santa Fede e a molti visitatori, il luogo e la chiesa lasciano sempre un senso di pace e di serenità. Una recente, sintetica quanto pregevole, scheda su Santa Fede è stata realizzata a cura dell’architetto Sara Inzerra, in collaborazione con Giulia Cacciatori, Arianna Florestino, Daniela Catalano, volontari per conto dell’amministrazione comunale nell’ambito del progetto “Rete Romanica di Collina – Abbazie e chiese tra Po e Monferrato”. Inoltre, sempre recentemente, Santa Fede è stata inserita in un articolo di Chiara Parente, pubblicato sulla rivista a tiratura nazionale Medioevo, in un itinerario dedicato alla Valcerrina che collega Crea, Mombello Monferrato, Odalengo Grande, Gabiano nella Provincia di Alessndria e prosegue poi nella Città Metropolitana di Torino, andando ad interessare, appunto Santa Fede di Cavagnolo per concludersi poi all’Abbazia della Pulcherada a San Mauro Torinese. Si tratta di un itinerario che ha come punti di riferimento tre chiese in un territorio interessato da tre siti Unesco.

Massimo Iaretti

 

Movie tellers al via il 1° ottobre

Dopo la prima edizione , la rassegna Movie Tellers – Narrazioni cinematografiche, torna ,per tutto ilmese di ottobre, con una nuova selezione di titoli della recente stagione cinematografica regionale,  12 film a km zero – 4 lungometraggi, 4 documentari, 4 cortometraggi – accompagnati in sala dagli  autori, i protagonisti e i professionisti dell’industria del cinema che li presentano al pubblico. Un grande evento che cresce arrivando a coinvolgere tutte le otto province del Piemonte con ben 130 proiezioni nelle sale cinematografiche di 25 località.“Movie Tellers  è un’iniziativa di grande importanza per il nostro territorio – dichiara Antonella Parigi, Assessore alla Cultura e Turismo della Regione Piemonte – Una manifestazione che ha l’obiettivo di accrescere sempre più la diffusione delle pellicole meno supportate sul fronte della distribuzione : un importante momento di fruizione, quindi, capace di mettere in rete e collegare le sale cinematografiche e le realtà locali nella creazione di un sistema di distribuzione diffuso “. Movie Tellers – Narrazioni cinematografiche è realizzato da Associazione Piemonte Movie con il sostegno di Regione Piemonte, Film Commission Torino Piemonte, FIP Film Investimenti Piemonte, Museo Nazionale del Cinema, Torino Film Festival e Torino FilmLab. Tra i lungometraggi proposti spiccano Lazzaro felice di Alice Rohrwacher, che all’ultimo Festival di Cannes si è aggiudicato il Premio per la Miglior Sceneggiatura e Félicité di Alain Gomis, vincitore del Gran Premio della Giuria alla Berlinale. A questi si aggiungono due produzioni indipendenti, Al massimo ribasso di Riccardo Jacopino e Oltre la nebbia- Il mistero di Rainer Merz di Giuseppe Varlotta, entrambi girati in svariate location tra Torino e il resto della regione. Tra i documentari, “ Cento anni “ di Davide Ferrario e “ ’78 – Vai piano ma vinci”, realizzati grazie al sostegno di Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund. L’inaugurazione tocca al film di Gomis, sostenuto dal Torino Film Lab, il 1° ottobre alle 18 al Cineporto di via Cagliari 42.
                                                                                                                                    Helen Alterio