CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 595

Le Giornate Fai d’autunno

Visite a contributo in 700 luoghi inaccessibili o poco valorizzati in 260 città

per scoprire il nostro Paese attraverso occhi nuovi e prospettive insolite

 

L’EDIZIONE 2019 È DEDICATA ALL’INFINITO DI GIACOMO LEOPARDI

 

sabato 12 e domenica 13 ottobre 2019

 

IN PIEMONTE

 

 

Le Giornate FAI d’Autunno compiono otto anni e sono più vitali che mai. Sono giovani perché animate e promosse proprio dai Gruppi FAI Giovani, che anche per quest’edizione hanno individuato itinerari tematici e aperture speciali che permetteranno di scoprire luoghi insoliti e straordinari in tutto il Paese. Un weekend unico, irrepetibile, che sabato 12 e domenica 13 ottobre 2019 toccherà 260 città, coinvolte a sostegno della campagna di raccolta fondi del FAI – Fondo Ambiente Italiano “Ricordati di salvare l’Italia”, attiva a ottobre.

 

Due giorni per sfidare la capacità degli italiani di stupirsi e cogliere lo splendore del territorio che ci circonda, invitando alla scoperta di 700 luoghi in tutta Italia, selezionati perché speciali, curiosi, originali o bellissimi. Saranno tantissimi i giovani del FAI ad accompagnare gli italiani lungo i percorsi tematici espressamente ideati per l’occasione, con l’obiettivo di trasferire il loro entusiasmo ai visitatori, nella scoperta di luoghi inediti e straordinari che caratterizzano il nostro panorama. Itinerari a tema, da percorrere per intero o in parte, che vedranno l’apertura di palazzi, chiese, castelli, aree archeologiche, giardini, architetture industriali, bunker e rifugi antiaerei, botteghe artigiane, musei e interi borghi.

 

Le Giornate FAI d’Autunno sono, quindi, l’opera collettiva dei nostri ragazzi, il risultato della forza delle nuove generazioni, simbolicamente incarnata in quel giovane che, duecento anni fa, a ventun anni, scrisse i versi immortali dell’Infinito: Giacomo Leopardi. Per questo l’edizione 2019 è dedicata a lui e alla sua poesia, su cui vertono tre aperture speciali: l’Orto sul Colle dell’Infinito, Bene del FAI a Recanati (MC), inaugurato lo scorso 26 settembre alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, luogo che ispirò l’idillio; il Parco Vergiliano a Napoli dove le spoglie di Giacomo Leopardi sono state traslate nel 1939 dalla Chiesa di San Vitale a Fuorigrotta, in cui l’amico Antonio Ranieri lo fece tumulare nel 1837; infine, la Chiesa di Sant’Onofrio al Gianicolo a Roma, con la tomba di Torquato Tasso che Leopardi considerava tra gli italiani più eloquenti e sulla quale pianse le sue lacrime più profonde.

 

Ogni visita prevede un contributo facoltativo, preferibilmente da 2 a 5 euro, a sostegno dell’attività della Fondazione. Durante le Giornate FAI d’Autunno in via eccezionale anche i Beni FAI saranno accessibili a contributo facoltativo. Per gli iscritti FAI e per chi si iscriverà per la prima volta – a questi ultimi sarà dedicata la quota agevolata di 29 euro anziché 39 – saranno riservate aperture straordinarie, accessi prioritari, attività ed eventi speciali in molte città. La quota agevolata varrà anche per chi si iscriverà per la prima volta tramite il sito www.fondoambiente.it dal 1° al 20 ottobre.

 

Tra gli itinerari tematici e i luoghi più interessanti in Piemonte:

TORINO

Il rinnovamento urbanistico della città di Torino nel ‘700

Curia Maxima o Palazzo dei Supremi Magistrati

Commissionata nel 1720 da re Vittorio Amedeo II a Filippo Juvarra, che ne fornì i primi disegni, e poi affidata a Benedetto Alfieri, la costruzione della Curia Maxima venne completata e ultimata nel 1824, quando re Carlo Felice affidò il progetto all’architetto Ignazio Michela. Il palazzo ospitava le massime magistrature dello Stato sabaudo: la Regia Camera dei Conti, che nel 1838 lo inaugurò con la prima udienza, e il Regio Senato. Successivamente è stato utilizzato come Palazzo di Giustizia fino al 2000, anno del trasferimento in corso Vittorio Emanuele II, e oggi ospita alcuni uffici comunali, la Biblioteca dell’Ordine degli Avvocati e la Biblioteca della Corte d’Appello. Eccezionalmente visitabili durante le Giornate FAI d’Autunno, i vecchi ambienti della Corte d’Appello, al momento inutilizzati e chiusi al pubblico, sono rimasti inalterati e presentano ancora gli arredi originali. Oltre a queste sale, i visitatori potranno scoprire le antiche aule di giudizio della Curia Maxima, i sotterranei dove erano collocate le prigioni e la sala delle torture, attualmente adibiti a magazzini, la Biblioteca dell’Ordine degli Avvocati, il corridoio d’onore, la Biblioteca della Corte e la Cappella della Corte.

Palazzo Capris di Ciglié

Residenza torinese della famiglia nobiliare Capris di Ciglié dei conti di Ciglié e Rocciglié, il palazzo, di origini secentesche, venne modificato e rimodernato nella prima metà del Settecento dall’architetto Gian Giacomo Plantery e nell’Ottocento ospitò il circolo del bridge frequentato dal conte Camillo Benso di Cavour. Il palazzo fu danneggiato dai bombardamenti nel 1940; venne sventrato il secondo piano, ma il piano nobile rimase integro. Di proprietà dell’Ordine degli Avvocati di Torino, che lo ha restaurato, e sede del circolo degli avvocati torinesi, è solitamente accessibile soltanto ai legali e ai praticanti della città, ospita corsi di aggiornamento, convegni e conferenze e viene straordinariamente aperto al pubblico durante le Giornate FAI d’Autunno.

Forte del Pastiss

Edificato tra il 1572 e il 1574 per volere del duca Emanuele Filiberto di Savoia, che desiderava rafforzare la difesa della Cittadella, il Forte del Pastiss, prospiciente il bastione San Lazzaro, è una casamatta – una costruzione militare in muratura corazzata a prova di bomba e munita di cannoniere – e doveva essere parte di un più grandioso progetto di fortificazione, che però non fu mai portato a compimento a causa dei costi notevoli e del prolungamento dei lavori. L’opera presenta un fronte esterno formato da una muratura di 2,80 metri di spessore e di 140 metri di lunghezza, nella cui fondazione fu ricavata una galleria di contromina. Il cunicolo, che si snoda tra i 7 e i 13 metri sotto il livello della strada, aveva la funzione di disperdere l’onda d’urto di una eventuale mina attivata dagli attaccanti, che poteva trovare sfogo attraverso uno dei 15 pozzi aperti nella volta a botte. L’interno della costruzione presenta due camere di combattimento sovrapposte. Dal piano superiore, per mezzo di apposite caditoie, era possibile difendere quello inferiore nel caso di infiltrazione da parte dei nemici. Le pareti esterne dei due livelli erano percorse da feritoie incrociate, per la difesa del fondo e del ciglio del fosso. Per tale complessità il forte prese il nome di pastiss, cioè un vero pasticcio. Dopo la sua riscoperta nel 1958, dal 1976 la casamatta fu oggetto di un cantiere permanente di scavo e recupero gestito dal Gruppo Scavi e Ricerche dell’Associazione Amici del Museo Pietro Micca.

Area archeologica Rivellino degli Invalidi

Emerso con gli scavi per il parcheggio di corso Galileo Ferraris, il Rivellino degli Invalidi è l’unica delle fortificazioni di superficie della Cittadella, riportata alla luce dopo la loro parziale distruzione alla fine dell’Ottocento. Si tratta di reperti archeologici risalenti al Seicento visitabili all’interno di un’area museale sotterranea di circa 300 metri quadrati e comprendenti parti delle mura difensive, comprese quelle del primo ampliamento di Torino del 1619, le rampe di accesso al fronte di gola, una polveriera e un esteso tratto della galleria di collegamento con il resto delle difese della Cittadella.

 

Auditorium Rai, al via la stagione concertistica

Si apre nel segno della musica beethoveniana. Un omaggio al celebre compositore tedesco di cui ricorre nel 2020 il 250 esimo anniversario dalla nascita

 

Protagonista del concerto inaugurale di venerdì 11 ottobre, alle 20, della nuova stagione concertistica dell’Auditorium Rai di Torino, sarà il direttore principale James Conlon, che dirigerà i primi tre appuntamenti per tre settimane consecutive, tutte nel segno di Beethoven. Non è, certo, una scelta casuale, in quanto nel 2020 ricorrerà il 250 esimo anniversario della nascita del musicista, avvenuta a Bonn, in Germania, il 17 dicembre 1770.

Proprio l’omaggio di James Conlon a Beethoven costituisce il fil rouge che lega i primi tre appuntamenti musicali. In apertura del concerto inaugurale della stagione verrà eseguita l’Ouverture in fa minore op. 84, tratta dalle musiche di scena composte da Beethoven per l’Egmont, in cui il musicista riassume gli ideali dello spirito di sacrificio e dell’eroismo generoso che animano l’eroe fiammingo del Cinquecento capace, grazie al suo valore e al suo coraggio, di contrapporsi al crudele governatorato del Duca d’Alba. L’Ouverture si accompagna a nove parti indipendenti, quattro intermezzi, due lieder, due melodrammi composti da scene recitate con accompagnamento strumentale, ed una Sinfonia di Vittoria per soprano e grande orchestra. Manifesto politico, in cui la sete di giustizia e libertà di Egmont si oppone al dispotismo del duca d’Alba, Egmont è anche un grande dramma del destino. L’Ouverture, ad oggi la più celebre composta da Beethoven insieme a quella del Coriolano, rappresenta una delle ultime opere del periodo eroico, sulla scia della Quinta Sinfonia, terminata due anni prima. L’importanza che in questa partitura assume la libertà è stata da molti critici interpretata quasi come la volontà beethoveniana di identificazione di sè stesso con la figura di Egmont.

Seguirà il Concerto il re minore per violino, pianoforte e orchestra MWV 04 di Felix Mendelssohn-Bartholdy, che verrà eseguito, in veste di solisti, dalla pianista partenopea di fama internazionale Mariangela Vacatello e da Roberto Ranfaldi, violino di spalla dell’Orchestra sinfonica della Rai dal lontano ’95. A chiusura delle serata la Sinfonia n. 5 in re minore op. 47 di Dmitrij Sostakovic, composta nel 1937 all’indomani degli attacchi da parte del regime contro le tendenze formalistiche dell’opera “Lady Macbeth del Distretto di Mcensk”.

La Sinfonia può essere interpretata quasi come una sorta di caricatura della musica del periodo, attraverso la quale Sostakovi intendeva criticare la rigidità del regime stalinista. Con quest’opera il compositore ha sicuramente raggiunto la sua maturità artistica, sacrificando la carica innovativa presente in alcune sue opere precedenti in favore di una maggiore limpidezza e coerenza. Il movimento iniziale, Moderato, della durata di quasi un quarto d’ora, si presenta nella classica forma di sonata ed introduce da subito un tema aggressivo, che va poi stemperandosi in un secondo tema ed a chiudersi in un finale sospeso e mistico. La parte più riuscita della Sinfonia è quella che segue il secondo movimento cioè il Largo, in cui ci si trova di fronte ad una sensazione di sospensione, che diventa invece più carica di tensione nell’ultimo movimento. Per questi motivi la Sinfonia n. 5 risulta dal punto di vista tecnico una delle composizioni più riuscite di Sostakovic.

 

Mara Martellotta

Debutta il programma “Giubileo per l’arte” con la mostra “La porta nuova”

INAUGURAZIONE IL 16 OTTOBRE

L’ Impresa Giubileo Onoranze Funebri ha sempre avuto tra le sue priorità l’ impegno nel promuovere la cultura.

Contribuire a diffondere la conoscenza, essere partecipi, credere nel suo valore pubblico, essere capaci di investire in ciò significa confidare nelle persone, nelle loro identità, volerle proteggere ed arricchire.

Con la mostra d’ arte ‘La Porta Nuova’ prende il via il programma ‘Giubileo per l’ arte’ con il quale l’ Impresa renderà possibile, ogni anno, l’ organizzazione, realizzazione e promozione nel panorama espositivo torinese di una mostra pubblica, con artisti di livello nello scenario dell’ arte contemporanea e creando altresì opportunità a nuove leve riconosciute valide da curatori attivi e noti.

S’ inizia con la collaborazione con il noto gallerista Ermanno Tedeschi, animatore della vita culturale torinese, romana e israeliana conosciuto anche per le sue collezioni d’arte contemporanea.

 «Vogliamo dare al nostro lavoro una lettura che vada oltre alla professionalità che da sempre ci contraddistingue – spiegano da Giubileo – L’arte, che per sua natura da sempre si confronta con il trascendente, ci è sembrata una scelta obbligata».

Il progetto in essere è stato concepito e realizzato da Carlo Galfione, artista scelto da Tedeschi per la sua poetica che spesso affronta il tema del passaggio e della memoria.

E’ in programma per il 2020 un’ esposizione il cui tema conduttore sarà il ‘Viaggio’.

L’Italia del Rinascimento. Lo splendore della maiolica

Oltre 200 capolavori raccontano a Palazzo Madama la storia della maiolica italiana nella sua età dell’oro

C’è tutta la storia, affascinante e unica, della maiolica rinascimentale italiana – forse la forma d’arte che nella misura più completa e con i colori incredibilmente più accesi riflette il mondo in cui vivevano donne e uomini del Rinascimento – nella prestigiosa mostra, fra le maggiori del genere realizzate in anni recenti in Italia, allestita nella “Sala del Senato” di Palazzo Madama a Torino, fino al prossimo 14 ottobre. La rassegna riunisce per la prima volta oltre 200 manufatti (fra piatti, vasi, ciotole e brocche doviziosamente istoriate), autentici capolavori realizzati, fra la metà del ‘400 e la seconda metà del ‘500, dalle più prestigiose manifatture italiane e provenienti da collezioni private fra le più importanti al mondo nonché dalle stesse collezioni di Palazzo Madama. A curarne l’esposizione, in collaborazione con Cristina Maritano (conservatore di Palazzo Madama per le Arti decorative), uno dei massimi esperti mondiali del settore, quel Timothy Wilson cui si devono fra l’altro i cataloghi sistematici delle raccolte del British Museum di Londra, del Metropolitan Museum di New York, della National Gallery di Victoria in Australia e dell’Ashmolean Museum di Oxford, di cui Wilson è attualmente conservatore onorario. Fra le numerose opere selezionate, in un tripudio di colori di stupefacente vivacità – dai tipici fondi blu agli ocra intensi e ai gialli sfumati abbinati ai verdi luminosi – conservatisi nel tempo in modo perfetto (grazie alla particolare tecnica della maiolica), troviamo alcune chicche di autentica e prodigiosa maestria: dal grande “Rinfrescatoio del Servizio Salviati”, uscito nel 1531 dalla Bottega di Pietro e Paolo Bergantini di Faenza (oggi custodito in Palazzo Madama), alla “Brocca in porcellana medicea”, anch’essa nella raccolta di Palazzo Madama e prima imitazione europea della porcellana cinese, fino alla magnifica coppia di “Albarelli” (collezione privata), dall’incredibile lucentezza degli smalti, con decorazioni di animali, allegorie e motivi vegetali, opera di Domenego da Venezia, il più celebre dei Maestri lagunari della metà del Cinquecento. Ad aprire la mostra, in “Camera delle Guardie”, è una grande vetrina che richiama alla mente il mobile protagonista della sala da pranzo rinascimentale, la “credenza”, dove le signore del tempo (soprattutto nelle residenze di campagna) esponevano in bella mostra le maioliche, che venivano anche usate a tavola o offerte come doni in occasione particolari, quali matrimoni e nascite. Particolarmente fiorente, divenne anche il loro utilizzo nei corredi da farmacia, commissionati in genere da istituzioni religiose. La seconda tappa della mostra porta poi nella “Sala del Senato”, con le “esclusive” maioliche di Deruta, Faenza, Urbino, Gubbio, Venezia, Castelli e Torino, realizzate dai principali Maestri dell’epoca, fra i quali Nicola da Urbino e Francesco Xanto Avelli da Rovigo (detto Santino), che fu anche colto umanista e poeta alla corte di Francesco Maria I della Rovere, duca di Urbino. L’iter espositivo prosegue, infine, illustrando l’ampia varietà di temi riprodotti sulla maiolica istoriata (specifica caratteristica nata nelle botteghe dei ceramisti italiani), pittoricamente impreziosita da soggetti religiosi, ma anche profani e amorosi, tratti dai miti e dalla storia antica, o riguardanti – in caso di servizi araldici- lo status sociale della committenza, in genere importante. Le fonti grafiche per questo tipo di pittura (che andava a costituire, all’interno delle dimore signorili, una sorta di “pinacoteca in miniatura”) derivavano dai repertori di incisioni circolanti nelle botteghe dei “maiolicari” e che fungevano da tramite per riprodurre in scala ridotta le opere più celebri dei grandi pittori del tempo. Da Michelangelo a Raffaello, fra i più gettonati. In programma, a margine della mostra, è previsto anche un convegno internazionale dal titolo “Il collezionismo fa grandi i musei”, che si terrà il 16 e il 17 settembre nelle sedi di Palazzo Madama a Torino e del Palazzo dei Musei di Varallo Sesia.

Gianni Milani

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“L’Italia del Rinascimento. Lo splendore della maiolica”

Palazzo Madama – Sala Senato, piazza Castello, Torino; tel. 011/4433501 o www.palazzomadamatorino.it

Fino al 14 ottobre

Orari: lun. – dom. 10/18, mart. chiuso

 

 

 

Nelle foto

– Bottega di Pietro e Paolo Bergantini: “Rinfrescatoio del Servizio Salviati”, Faenza, 1531 
– “Brocca in porcellana medicea”, Firenze, 1575 – 1580
– Domenego da Venezia: “Albarello con allegoria della Terra”, 1550 -1570
– “La Sibilla Eritrea”, Faenza, 1500 – 1520
– Bottega di Orazio Pompei: “Bottiglia da Farmacia”, Castelli, 1550 -1560
– Francesco Durantino: “Coppa traforata”, Torino, 1578

Andare oltre i muri

Nel convegno ‘Oltre i Muri’ 20 ANNI DEL PROGETTO MURARTE, a cura di Roberto Mastroianni e dell’assessore alle Politiche Giovanili della Città di Torino Marco Giusta, si sono accolte le sollecitazioni provenienti dai tre tavoli di lavoro. Queste costituiranno le basi per la riscrittura (con il Gai e il suo tavolo sulla street art coordinato dalla città di Ravenna e tramite Inward) del progetto Murarte che potrà essere utilizzata da tutte le amministrazioni interessate a  sperimentare queste azioni.

In particolare Marco Giusta ha posto l’accento sul tema della curatela e dello spazio riservato a esperti e artisti all’interno delle commissioni dei bandi, che potranno essere costruiti anche per valorizzare le competenze relazionali legate alle storie e ai territori di cui gli e le artiste possono divenire traduttori nelle loro opere. “Si è immaginata la possibilità di stilare un elenco delle opere murarie ‘irrinunciabili’ per la cittadinanza e i movimenti dei writer, con l’intento di catalogare quelle da tutelare per dar vita a un protocollo di intesa con la sovrintendenza che si pone l’obiettivo di innovare il rapporto tra artisti, istituzioni e cittadinanza”, spiega l’assessore.

Roberto Mastroianni ha ribadito che lo spirito e i valori che spingono gli Street ed Urban Artist oggi, e i writer ieri, a operare devono restare quelli della scrittura e riscrittura del tessuto metropolitano attraverso una narrazione pittorica (la città come tela dell’artista) in stretta relazione con territorio e comunità. Murarte deve continuare a garantire libertà espressiva (i muri liberi) e, nello stesso tempo, valorizzare la portata artistica di un’esperienza che ha reso Torino una delle capitali europee della Street Art. La peculiarità di questo progetto è sempre stata la capacità di promuovere la creatività giovanile, la qualità estetica e la critica sociale e politica che storicamente è stata alla base della street art fino a oggi.

A partire da questo elenco e grazie al lavoro di Torino Creativa, si potrà alzare lo sguardo verso il futuro. Dopo questi venti anni di Murarte Torino è diventata una galleria di arte pubblica a cielo aperto. Sarà fondamentale valorizzare la ricchezza che le artiste e gli artisti hanno regalato al territorio immaginando con loro come documentarla, raccontarla e promuoverla”, conclude Giusta.

La Normandia vista dagli impressionisti

Monet, Renoir, Courbet, Bonnard, Morisot e tanti altri pittori e capolavori. Per la prima volta ad Asti è possibile ammirare le tele di questi grandi artisti nella mostra “Monet e gli impressionisti in Normandia”, fino al 16 febbraio 2020.

Dopo il grande successo della mostra “Chagall, colore e magia”, 75 opere raccontano, a Palazzo Mazzetti, il movimento Impressionista e i suoi stretti rapporti con la Normandia, culla dell’Impressionismo. Claude Monet, Renoir, Delacroix, Courbet, Boudin, Marquet, Gericault e Jongkind colgono, insieme a tanti altri maestri, lo splendore del paesaggio riportando sulla tela le loro “impressioni”, le loro vedute, dalle verdi valli della Normandia alle scogliere a picco, dalle spiagge ai colori del cielo e allo scintillio dell’acqua. Con questa mostra Asti si conferma città internazionale della cultura. Grazie alla Fondazione Asti Musei e la collaborazione di Vittorio Sgarbi, la rassegna, curata da Alain Tapiè, ripercorre le tappe più significative della corrente artistica. Opere come “Falesie a Dieppe” (1834) di Delacroix, “La spiaggia a Trouville” (1865) di Courbet, “Camille sulla spiaggia” (1870) e “Barche sulla spiaggia di Etretat” (1883) di Monet, “Tramonto e veduta di Guernesey (1893) di Renoir, tra i capolavori in mostra, descrivono gli scambi e le collaborazioni tra i più grandi artisti dell’epoca che immortalano il paesaggio normanno, i suoi colori intensi, i panorami scintillanti, una natura abbagliante.

Accanto ai pittori illustri citati spiccano altri artisti meno noti come Noel e Lepic che esaltano il connubio tra la luce e il cielo della Normandia. Le tele provengono dalla prestigiosa Collezione Peindre en Normandie di Caen, una delle collezioni più importanti del periodo impressionista, accanto a opere giunte dal Musèe de Vernon, dal Musèe Marmottan Monet di Parigi, dalla Fondazione Bemberg di Tolosa e da collezioni private francesi. L’esposizione si articola in cinque sezioni: La fattoria di Saint Simèon, In riva al mare, svago e villeggiatura, Il lavoro di pescatori e lavandaie, La terra normanna e Lungo la Senna. La rassegna, realizzata dalla Fondazione Asti Musei, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, dalla Regione Piemonte e dal Comune di Asti a Palazzo Mazzetti, in corso Alfieri, è aperta da martedì a domenica 10.00 -19.00, lunedì chiuso, fino al 16 febbraio 2020.

Filippo Re

“Il Regno unito d’Italia (tutta un’altra storia…)”

L’Unità d’Italia poteva avere una conclusione diversa. Tra realtà e fantasia si muove, con molto equilibrio, il volume  di Gianluigi De Marchi e Francesco Femia

 

“Il Regno unito d’Italia ( tutt’un’altra storia…)”. Questo il titolo del libro di cui è autore Gianluigi De Marchi insieme a Francesco Femia e che anticipa il contenuto stesso del libro, capace di proporre un finale alternativo della storia dell’unificazione del Regno d’Italia.

Centinaia di autori, sia in saggi storici sia in opere letterarie, hanno ripercorso le gesta dell’impresa dei Mille, trattando gli eventi principali legati a quell’epoca storica, descrivendo le battaglie, i personaggi e le trame segrete che hanno preceduto e seguito la conquista del Regno delle Due Sicilie da parte dei Savoia e del Regno di Sardegna.

Il volume scritto da questi due autori si distacca dalla narrazione tradizionale, in quanto immagina un finale totalmente diverso, vale a dire la sconfitta dell’eroe dei Mille, Giuseppe Garibaldi, nel corso della battaglia del Volturno, la controffensiva delle truppe napoletane fino alla successiva conquista di Torino ed alla fuga di Vittorio Emanuele II in Portogallo.

Garibaldi rappresenta, d’altronde, un personaggio storico che ha alimentato nel corso del tempo critiche anche contraddittorie tra loro. È diventato una figura chiave della storia italiana, un mito a tratti controverso, celebrato da taluni come patriota e disprezzato da altri quale avventuriero, conteso dalla cultura di destra come da quella di sinistra, ed oggetto di diatribe di carattere storico, politico, ideologico e scientifico.

La capacità dei due autori, Gianluigi De Marchi e Francesco Femia, è stata quella di aver saputo dar vita ad una narrazione in cui la storia si abbina in modo molto equilibrato alla fantasia, la realtà all’immaginazione, perseguendo l’obiettivo di tracciare i contorni di un’Italia diversa, ispirata ad ideali fondamentali, che sono poi quelli stessi cui si ispirano i nostri principi costituzionali, la libertà, la solidarietà ed il progresso. Proprio in queste tre parole si concentra il motto che era stato scelto dal primo Re dell’Italia unita. L”Italia che emerge da questo volume, auspicata da De Marchi e Femia, può diventare un prezioso modello cui è auspicabile che la classe politica italiana tenda e, con lei, tutti noi cittadini, desiderosi di costruire per il nostro Paese un futuro basato sul progresso e sulla democrazia.

Gianluigi De Marchi, nativo di Celle Ligure, è scrittore e giornalista italiano, ha a lungo lavorato in Borsa, in banca, in società di fondi comuni e di vendita di prodotti finanziari, maturando un’esperienza in campo finanziario che lo ha portato anche a pubblicare migliaia di articoli di argomento finanziario sui principali quotidiani e periodici italiani.

Ha anche dato alle stampe volumi di respiro economico, come quello intitolato “Cattive compagnie. Vederci chiaro su polizze e assicurazioni” ed il libro dal titolo “Tanto va il cliente in banca che vi lascia il capitale. Viaggio nei misteri e nelle contraddizioni del risparmio gestito. Consigli per una finanza etica”.

 

Mara Martellotta

 

Gli appuntamenti della “Domenica di carta”

Domenica 13 ottobre nell’ambito della iniziativa istituzionale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo – Direzione Generale Biblioteche e Istituti Culturali, anche la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, in collaborazione con la sua Associazione Amici ABNUT, apre eccezionalmente le porte del suo auditorium Vivaldi e della sala mostre per

LA DOMENICA DI CARTA 2019

13 ottobre orario 10,30 – 18

Piazza Carlo Alberto 5/A

2 mostre speciali e 2 presentazioni di libri con accompagnamento musicale

 

  • – Ore 11 “ANDARE PER FORTEZZE E CITTADELLE di Paola Bianchi, che ne parla con Carlo Tosco, Politecnico di Torino, e Franco Cravarezza, Direttore del museo Pietro Micca.

Suggestioni musicali a cura di Vanja Contu (arpa) e Maria Valentina Chirico (voce e harmonium).

 

  • – Ore 15,30 “MUSICISTI IN UNIFORME” con l’autore Enrico Ricchiardi ne parlano Cristina Santarelli, Emanuele Manfredi e Maurizio Benedetti.

Con la presenza di: Gruppo storico Marsaglia 1693, Gruppo storico Pietro Micca della Città di Torino, Gruppo storico Reggimento La Marina, Gruppo storico 23 marzo 1849.

Musiche proposte da Venti Sonori (dir. Francesca Odling), ensemble di fiati degli allievi del Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Torino. Conduce la presentazione Michele D’Andrea.

 

  • – 10,30 – 18 “LE MOSTRE”

 

Spartiti e testi di musica” a cura della Nazionale, una ricca selezione di preziosi e rari manoscritti e libri a stampa tratti dai suoi importanti fondi musicali.

Eccezionalmente sarà esposto anche il diario manoscritto nel 1706 da un protagonista anonimo della difesa di Torino nell’assedio “Journalier de la campagne dans le Piemont de l’année mille sept cent six et de la levée du fameux siege de Turin Capitale de Son Altesse Royale de Savoye”,.

 

La misura del tempo”, personale di pittura dell’artista Caterina Cucco, una ampia e interessante raccolta di dipinti della sua produzione, scelti dal critico d’arte Angelo Mistrangelo.

 

Ingresso libero e gratuito

 

INFO: E-mail bu-to.eventi@beniculturali.it e info@abnut.it

Siti: www.bnto.librari.beniculturali.it e www.abnut.it

 

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APPROFONDIMENTI SULLE PRESENTAZIONI

 

ANDARE PER FORTEZZE E CITTADELLE (Il Mulino, aprile 2019)

Forte, fortezza, casamatta, rocca, bastione, cittadella: il paesaggio della penisola è ricco d’innumerevoli strutture difensive sopravvissute a secolari, talvolta millenarie, fasi di riadattamento e riutilizzo. In esse cogliamo il sedimento tutto italiano di architettura e storia militare, ma anche di scienza, arte, cultura e società. Dall’Orlando furioso al Deserto dei Tartari, tanti luoghi del nostro immaginario evocano queste fortificazioni. L’itinerario che ci propongono queste pagine spazia da costruzioni molto antiche (Castel Sant’Angelo) e medievali (San Leo, Castello Sforzesco) a fortezze spagnole (Castel dell’Ovo a Napoli), contro i pirati (Trapani e Ustica in Sicilia), alpine (Fenestrelle), risorgimentali (Gaeta, Peschiera), fino a quelle più recenti del Novecento, senza dimenticare la Cittadella di Torino del 1572, la cui storia è ricordata anche con il manoscritto esposto e scritto da un protagonista anonimo della difesa di Torino nell’assedio del 1706.

Le fortezze e le cittadelle sono il simbolo di un potere, ma anche manifestazione raffinatissima della nascente cultura umanistico-rinascimentale. Con l’uso sempre più ampio delle armi da fuoco, l’Italia si trovò ad essere terreno privilegiato di innovazioni straordinarie nelle tecniche di fortificazione.

L’autrice, Paola Bianchi, insegna Storia moderna nell’Università della Valle d’Aosta. Tra i suoi libri: «Sotto diverse bandiere. L’internazionale militare nello Stato sabaudo d’antico regime» (Angeli, 2012), «Storia degli Stati sabaudi» (con A. Merlotti, Morcelliana, 2017); per il Mulino ha curato «Guerra ed eserciti nell’età moderna» (con P. Del Negro, 2018).

 

MUSICISTI IN UNIFORME.

L’evento è organizzato e presentato dall’Istituto per i Beni Musicali in Piemonte. Frutto di una poderosa ricerca archivistica è un affresco insolito e suggestivo su due secoli di musica militare sabauda: formazione, vicende, uniformi, organici, strumenti e repertori dei soldati con lo spartito dalla fine del Seicento al 1870.

Un pomeriggio dentro la storia per ricreare – con musiche dal vivo, immagini, filmati, divise storiche e curiosità – le atmosfere, i suoni e la quotidianità dell’Armata Sarda.

L’evento approfondisce la pubblicazione di “Musicisti in uniforme: l’arte dei suoni nell’esercito sabaudo” di Enrico Ricchiardi (Lucca, LIM, 2019).

Il trucco del clown verso la mostruosità della vendetta

Nelle sale “Joker” di Todd Phillips, Leone d’oro a Venezia

 

Pianeta Cinema a cura di Elio Rabbione

 

 

Difficilmente si sarebbe scommesso di poter aggiungere alla filmografia di Todd Phillips – lui, che una quindicina d’anni fa rinverdisce gli irriverenti Starsky & Hutch e allinea poi titoli come Parto col folle e la trilogia di Una notte da leoni – questo Joker che s’è portato via dalla laguna il recente Leone d’oro (forse, qualcuno ha anche scritto, con qualche luccichio di troppo). Non già (o ancora) il Joker con impresso sulle labbra lo sghignazzo di Nicholson o di Ledger, ma il prima, la nascita di quella risata contorta, un tic di malato che si porta quasi cucito addosso un biglietto che la mamma gli ha posto a difesa, scusatemi ma è la mia malattia a spingermi dentro questa maschera delirante, una difesa che vorrebbe proteggerlo da chi lo attacca e lo colpisce senza freno.

Arthur Fleck – allontanato da ogni altro essere umano, bullizzato, schiacciato, ridicolizzato per le strade di New York – ha una missione, portare risate e gioia nel mondo, lavora come clown per un’agenzia, come altri suoi colleghi si trucca e distribuisce sorrisi, trascorre le proprie giornate tra i mille tentativi per diventare un grande cabarettista e la cura e l’odio per una madre malata, videodipendente, ancorata ad un passato che ha il suo centro nel ricco magnate Thomas Wayne, che sta per prendere del tutto le redini di Gotham City. Il simbolo del successo, forse la certezza di una paternità rassicurante. Lavora anche davanti all’innocenza dei bambini, Arthur, ma forse portarsi una pistola in ospedale non è una pensata geniale: licenziato, imbocca sanguinosamente la strada della ribellione in una città dove i topi sono lì ad invadere e l’immondizia a soffocare, dove le aggressioni e il malaffare e i soprusi la fanno da padrone, dove le lunghe e fredde scalinate possono essere il giusto palcoscenico per un nuovo numero. Ecco allora che la risata si tinge di un colore violento, ecco che il rossetto attorno alle labbra somiglia troppo al sangue. Qualcuno in una sala cinematografica ride alle piroette di Chaplin sull’orlo del vuoto in Tempi moderni, altri là fuori si camuffano dietro maschere e bruciano e assalgono e saccheggiano in un affresco che si fa totalizzate e si inserisce con prepotenza nelle rivolte del nostro tempo. Un’epoca che vede calare il sipario anche sullo strabenedetto porto sicuro della cura (“siamo costretti a chiudere, ci hanno tagliato i fondi”), per la mente di Arthur né per la sua salvezza c’è più spazio, gli sfottò e i cartelli spaccati in faccia che avevano il sapore della gag hanno lasciato il posto alla rabbia senza ritorno, al portabandiera della sommossa. Tutto è marcio, tutto è in abbandono, bianchi corridoi in centri psichiatrici o studi televisivi: anche l’ultima strizzacervelli, anche Robert De Niro, anchorman che ospita come Letterman, meritano una condanna senza appello.

Nella tensione che accompagna l’intera vicenda, in un film che ha quasi la presunzione della perfezione, Phillips cala con intelligenza – a tratti non l’estro, non la sua “ribellione” registica, forse ci si sarebbe atteso anche da lui uno sgraffignante sberleffo -, ma in modo angosciante e allarmante, le carte della commedia e della tragedia e le sa mescolare a dovere, in perfetta alternanza. Chiaramente Joker appare in maniera straordinariamente stralunata guidato dall’interpretazione tutta da premiare (ma Venezia gli ha preferito il nostro Marinelli e il suo scrittore Martin Eden, per un affaire di giochini di giuria o di norme di regolamento: un Oscar a febbraio?) di Joaquin Phoenix (un applauso per noi all’immedesimazione di Adriano Giannini, ben oltre il comune “doppiaggio”), pianti, disperazione, risate, il grande sfodero del corpo, il parlare degli occhi, i movimenti della bocca, tutto eccelle in un interprete che già in passato ha dato grandi prove ma che qui, nel cammino verso la mostruosità della vendetta, scolpisce un personaggio che non si potrà facilmente dimenticare.

“Mario Lattes artista poliedrico”

In mostra alla Famjia Albèisa la multiforme avventura artistica dell’indimenticato intellettuale torinese

Fino al 27 ottobre

Alba (Cuneo)

Segni e colori come voci urlanti. Dell’anima del corpo della memoria. Segni e colori che seguono vie senza tracce predefinite o pianificate, nel solco di un’espressività corrosiva, tenue e aggressiva a un tempo, fra tentazioni informali e inquiete linearità figurative. Così è la pittura di Mario Lattes (Torino, 1923 – 2001), uomo e artista di assoluta e singolare versatilità. Pittore, incisore, scultore, ma anche acuto editore nonché scrittore e ideatore di significative iniziative culturali, a lui la Fondazione Bottari Lattes (nata a Monforte d’Alba nel 2009 per volontà della moglie Caterina, che oggi ne è presidente onoraria) dedica fino al 27 ottobre – in concomitanza con la nona edizione del Premio Lattes Grinzane – una suggestiva mostra allestita negli spazi della Famjia Albèisa, in via Pietrino Belli 6, ad Alba.

 

Con l’obiettivo, che già il titolo mette in chiara evidenza, di proporre ancora una volta al pubblico la sintesi di una narrazione pittorica di fascinosa “poliedricità”, la rassegna assembla oltre trenta lavori poco conosciuti e mai esposti ad Alba e nel Cuneese, concentrandosi in particolare su acquerelli, gouache e opere a tecnica mista realizzate su carta. Non mancano gli oli, come il klimtiano – permeato di armonioso erotismo – “Nudo sul tappeto” dell’’85, e le incisioni, con “La rosa” del ’70. Pezzi, questi, più noti al grande pubblico, rispetto alle inquietanti “Marionette” dell’ ’89 o all’accademico “Studio di testa” dell’’84, accanto al cupo “Anfiteatro con nuvola nera” del ’70 e al fantasioso “Soggiorno di via Calandra” del ’78. Opere in cui s’intrecciano sogni, realtà e le personalissime emozioni di un “uomo solitario e complesso”, impegnato a regalarci e a regalarsi racconti spesso intrisi di “quell’epico senso dell’inconcludenza umana” e di quel pessimismo – soffuso ma pesante – propriamente legati alle sue origini ebraiche.

Il tutto attraverso tecniche e linguaggi assolutamente eterogenei, ma accomunati dalla precisa volontà di andare sempre e comunque oltre gli schemi, oltre le categorie, oltre i movimenti. Se infatti è vero che l’iter artistico di Lattes racchiude momenti di ispirazione ora astratta e informale (in particolare nel decennio dagli anni ’50 ai ’60), ora espressionista e simbolicamente visionaria, è pur vero che ogni sua opera mantiene, in tutti i casi, cifre stilistiche e atmosfere narrative del tutto originali. Uniche, fuori dal tempo e libere dalle “mode”. Sono pennelli e colori dati in mano a un fanciullo un po’ triste e ombroso, ma anche talvolta ironico e ricco di imprevedibili fantasie. “Lattes – scriveva, in tal senso, Marco Vallora nel 2008 in occasione di una grande retrospettiva a lui dedicata presso l’Archivio di Stato di Torino – è sempre là dove non te l’attendi, anche tecnicamente”. Realizzata con il sostegno di Regione Piemonte, Comune di Alba, Fiera Internazionale del Tartufo, Comune di Monforte d’Alba e Cantina Terre del Barolo, la mostra è arricchita dall’esposizione di volumi e scritti di Mario Lattes, tra cui romanzi come “Il borghese di ventura” (Einaudi, 1975; Marsilio, 2013), “L’incendio del Regio” (Einaudi, 1976; Marsilio, 2011), la tesi di laurea del ’60 “Il Ghetto di Varsavia” (da considerarsi ancora oggi il più completo e ampio saggio scritto in Italia sull’argomento, ma rifiutata allora da Einaudi e pubblicata solo nel 2015 da Cenobio, a cura di Giacomo Jori) e alcune pubblicazioni di “Questioni”, rivista fondata da Lattes nel 1953, dapprima con il titolo di “Galleria”.

Gianni Milani

“Mario Lattes artista poliedrico”

Famjia Albèisa, via Pietrino Belli 6, Alba (Cuneo). Per info: Fondazione Bottari Lattes tel. 0173/789282 o www.fondazionebottarilattes.it

Fino al 27 ottobre

Orari: dal merc. al ven. 15/18, sab. e dom. 11/18

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Nelle foto

– “Nudo sul tappeto”, 1985
– “Marionette”, 1989
– “Studio di testa”, 1984
– “Anfiteatro con nuvola nera”, 1970
– “Soggiorno di via Calandra”, 1978