CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 58

Un fine settimana di grande teatro e musica a Bardonecchia

Fabrizio Bentivoglio, Ferruccio Spinetti, l’Accademia Corale Stefano Tempia e gli Architorti.

La località dell’Alta Val Susa è, infatti, una delle tappe protagoniste di Scenario Montagna, il festival di eventi ed appuntamenti immersi nella natura, giunto alla sua ventesima edizione, dal titolo “20 di Emozioni”.

Il 27 luglio, alle 21, l’attore Fabrizio Bentivoglio e Ferruccio Spinetti saranno protagonisti di “Lettura Clandestina” , un viaggio alla ricerca dell’Italia di oggi attraverso le parole di Ennio Flaiano.

Il 28 luglio, sempre alle 21, sul palcoscenico di Sala Viglione, risuoneranno le musiche di celebri brani di Leonard Cohen, Ennio Morricone, Sex Pistols, Depeche Mode, Coldplay e U2, arrangiati per coro e quintetto d’archi ed eseguite dall’Accademia Corale Stefano Tempia insieme agli Architorti.

“Siamo particolarmente orgogliosi di ospitare al Palazzo delle Feste artisti e musicisti di tale calibro. – dice il sindaco Chiara Rossetti – Il nostro obiettivo di accrescere l’impegno culturale della proposta che vogliamo offrire ai residenti e a chi sta trascorrendo un periodo di vacanza a Bardonecchia, grazie al Festival Scenario Montagna compie un ulteriore passo di qualità. Aspettiamo un pubblico numeroso il prossimo fine settimana in Sala Viglione”.

 

L’Impero Ottomano morì a Sanremo

Chissà se i numerosi piemontesi che trascorrono le vacanze estive a Sanremo sanno che nella Città dei Fiori si spense nel 1926, vecchio, malato e travolto dagli eventi, l’ultimo sultano dell’Impero Ottomano e che in città si trovano ancora oggi i luoghi che aveva frequentato. Maometto VI aveva scelto proprio la Riviera Ligure per trascorrere gli ultimi anni della sua vita in esilio. Il 3 luglio 1918, il neo sultano salì sul trono di Costantinopoli, sempre più instabile e vicino al crollo finale. Visse gli anni del tramonto di un grande Impero, sorto sette secoli prima. Ma anche in esilio non si diede per vinto e cercò di reagire a una disfatta ormai inevitabile. Dopo la sconfitta nella Prima guerra mondiale, l’Impero, già penalizzato dal Trattato di Sèvres del 1920, subì l’occupazione delle potenze vincitrici anglo-italo-francesi e anche della Grecia che occupò Smirne. Una situazione inaccettabile per i nazionalisti turchi che, guidati dal generale Mustafa Kemal Pascià, presero in mano le redini del movimento nazionale indipendentista. Gli Ottomani persero tutti i territori in Medio Oriente e le rivolte popolari e nazionaliste diedero il colpo finale alla monarchia sultaniale. Il Sultanato fu abolito nel novembre 1922 e la Repubblica Turca fu proclamata nel 1923 con Ataturk presidente. Nel 1924 fu abolito anche il Califfato. Il 28 giugno 1918 morì a Costantinopoli il sultano Maometto V Reshad e il 3 luglio salì sul trono il fratello Maometto VI Vahideddin, trentaseiesimo e ultimo sultano dell’Impero nonché centesimo califfo dell’islam. La fine dell’Impero è anche la storia degli ultimi anni di Costantinopoli capitale ottomana. Nel dicembre 1918 dalle navi alleate sbarcarono quasi 4000 soldati francesi, inglesi e italiani. Mentre le truppe tedesche e austriache lasciavano il territorio, in città le forze di occupazione prendevano possesso di prigioni, banche, ospedali e ambasciate. L’evento più plateale avvenne l’8 febbraio 1919 quando il generale francese Franchet d’Esperey, alla testa delle sue truppe, fece un ingresso trionfale a Istanbul. Giunto al ponte di Galata attraversò la città su un cavallo bianco, tra greci e armeni in festa, come aveva fatto cinque secoli prima Maometto II il Conquistatore dopo aver posto fine all’Impero Romano d’Oriente.
La città fu divisa in varie zone: i francesi a sud del Corno d’Oro, gli inglesi a Pera, gli italiani a Scutari sulla sponda asiatica della città e un piccolo reparto greco a protezione del Fanar, la sede del Patriarcato ortodosso. I turchi si sentivano quasi stranieri a casa loro. Pur essendo anziano, sconfitto e schiacciato dagli eventi, l’ultimo sultano mise a disposizione degli alleati l’apparato amministrativo ottomano che estendeva la sua sfera d’azione solo più a Istanbul e nel nord dell’Anatolia mentre il resto dell’Impero era in parte in mano agli alleati. Durante la guerra gli inglesi aiutarono i popoli arabi a ribellarsi al dominio ottomano in tutto il Medio Oriente sotto la guida dell’emiro Hussein e dal colonnello Lawrence, il mitico Lawrence d’Arabia. La frantumazione dell’Impero innescò una fiammata nazionalista. La sconfitta nella guerra causò il disfacimento dell’esercito e con il trattato di Sèvres (10 agosto 1920), firmato dal sultano, gli ottomani dovettero lasciare ai vincitori gran parte dell’Anatolia, cedere la Tracia e accettare l’internazionalizzazione degli Stretti. Nel frattempo emerse la figura dell’ufficiale nazionalista Mustafa Kemal che verrà chiamato dai turchi “Ataturk”, padre della patria”. Kemal, che costruirà la Repubblica turca laica e moderna, attribuì le responsabilità della disfatta dell’Impero al sultano. Avviò la resistenza armata, organizzò un esercito nazionalista e l’8 luglio 1919 fece destituire il sultano Maometto VI. Denunciò inoltre il trattato di pace di Sèvres, firmato dal governo imperiale, che definiva i nuovi confini di ciò che restava dell’Impero. Una larga fetta dell’opinione pubblica turca rimase favorevole alla monarchia costituzionale ma Mustafà Kemal aveva fretta di liberarsi del sultano. Il 1 novembre 1922 l’Assemblea nazionale votò una legge che aboliva il sultanato e Maometto VI fu mandato in esilio, prima a Malta e poi a Sanremo dove morirà nel 1926. L’ultimo sultano non perse mai la speranza di veder crollare Mustafa Kemal, il generale che lo esautorò per fondare una nuova Turchia, e per tre anni lavorò per raggiungere questo obiettivo. Intanto Abdul Mecid II, cugino di Mehmet VI, venne nominato da Kemal ultimo califfo. Il 24 luglio 1923, il Trattato di Losanna, firmato tra il governo di Kemal e il Regno Unito con Francia, Italia, Giappone, Grecia e Jugoslavia, ridefinì i confini della Turchia, annullando quello che era stato deciso a Sèvres tre anni prima. Il Patto restituì ai turchi tutta l’Asia Minore, la Tracia orientale e il controllo degli Stretti. Il 29 ottobre 1923 Mustafa Kemal proclamò la nascita della Repubblica di Turchia con Ankara capitale e nel 1924 il califfato fu abolito. Kemal avviò il Paese sulla strada della modernizzazione, riorganizzando l’apparato amministrativo sul modello europeo e separando la religione dallo Stato. L’Impero ottomano morì in pratica a Sanremo, località già nota alle grandi potenze per aver ospitato, nei saloni del Castello Devachan (oggi lussuoso residence), la Conferenza di pace di Sanremo, tra il 19 e il 24 aprile 1920, che divise i territori dell’Impero Ottomano tra le potenze europee. Mehmet VI trascorse gli ultimi anni della sua vita a Sanremo, prima a Villa Alfred Nobel e poi a Villa Magnolie, dove visse insieme alla quinta e ultima moglie Nimit Nevzad Kadin Efendi, sposata a Istanbul nel 1921. Cinque matrimoni e sei figli. Morì il 16 maggio 1926 a Villa Magnolie dove la sua salma, sigillata in una bara, rimase esposta per un mese. Il 16 giugno si svolse il solenne funerale del sovrano la cui bara fu trasportata su un vecchio carro della Croce Rossa alla stazione e sistemata su un treno diretto a Trieste. Fu sepolto a Damasco nel monastero di Solimano il Magnifico. La storica villa sanremese, in cui soggiornarono anche principesse persiane, zarine e i duchi di Aosta, ospita oggi una scuola ed è di proprietà della Provincia di Imperia. Una piccola curiosità: il presidente-sultano della Turchia moderna, Recep Tayyip Erdogan, nostalgico delle glorie del passato imperiale della Mezzaluna, concentra nelle sue mani poteri pressoché assoluti dopo il recente trionfo elettorale. Proprio come non accadeva dai tempi dell’ultimo sultano ottomano.           Filippo Re

I libri più letti e commentati del mese

Eccoci al consueto appuntamento con i libri più letti e commentati dalla community di lettori   Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri nel mese di luglio, dominato dalle discussioni sull’ultimo romanzo di Fred Vargas , Sulla Pietra (Einaudi) che non ha deluso chi aspettava il ritorno del commissario Adamsberg. L’avete letto?

Molto apprezzato e commentato anche Lily di Rose Tremain (Einaudi), che racconta con un bel ritmo la storia di una vendetta molto particolare.

A conferma del grande momento per i romanzi italiani, ecco al terzo posto il nuovo romanzo di Alice Basso, Una Festa in Nero (Garzanti) che si conferma una scrittrice molto seguita nel nostro gruppo.

 

Incontri con gli autori

 

In luglio abbiamo intervistato Paolo di Paolo, finalista al Premio Strega 2024 con Romanzo senza umani (Feltrinelli)

Davide Grittani , autore del romanzo Il gregge, una satira civile del decadimento etico ed estetico dei nostri tempi

Federica Manzon, finalista al Premio Campiello con il romanzo Alma

 

Per questo mese è tutto. Vi invitiamo a seguire Il Passaparola dei libri sui nostri canali sociali e a venirci a trovare sul nostro sito ufficiale per rimanere sempre aggiornati sul mondo dei libri e della lettura! unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

 

Valle Grana… AAA Foto d’Epoca Cercasi

Serviranno per organizzare una Mostra di “memoria collettiva” nell’ambito del Progetto “Valle Grana Cultural Village”

Monterosso Grana (Cuneo)

Una raccolta di materiali fotografici d’antan per organizzare la prima di tre mostre di “memoria collettiva” della “Valla Grana”, la più piccola delle valli cuneesi (fra le Alpi Cozie e Marittime), enclave linguistica provenzale e patria “nobile” del grande – di tradizione millenaria – “Castelmagno”, fra le “DOP casearie” piemontesi, prodotto nei tre Comuni più alti della Valle: Monterosso Grana, Pradleves e Castelmagno per l’appunto. Questa la lodevole iniziativa promossa dal “Progetto Valle Grana Cultural Village” (su iniziativa dei Comuni di Monterosso Grana e Pradleves ai fini di una “rivitalizzazione socio – economica” dei piccoli borghi, da finanziare nell’ambito del PNRR) e coordinata dall’Associazione di Promozione Sociale “FormicaLab”.

In buona sostanza, l’iniziativa si basa sulla richiesta di “condivisione” di “album di famiglia”, “vecchie fotografie” conservate nel cassetto, “immagini dimenticate” in soffitta o in vecchie scatole. Ogni fotografia “prenderà forma” durante un workshop gratuito e aperto a tutti dell’artista visivo Alessandro Toscanosabato 7 e domenica 8 settembre.

Seguirà un allestimento in programma a fine settembre. È possibile inviare il materiale in formato digitale all’indirizzo e-mail formicalab.info@gmail.com, oppure consegnarlo direttamente presso il Municipio di Monterosso Grana (via Mistral, 22- aperto al pubblico martedì, giovedì e sabato dalle 9 alle 12). Tutti gli originali verranno restituiti insieme a una copia digitale del materiale fornito. Per maggiori informazioni visitare il sito www.formicalab.net oppure contattare il numero di telefono 338/7619170.

Alessandro Toscano è un artista visivo italiano (di origini sarde ma oggi residente a Roma) la cui ricerca e produzione abbraccia videofotografia e installazione. Con un approccio multidisciplinare tra ricerca documentaria, artistica e etnoantropologica, ha sviluppato negli anni progetti video-fotografici “per” e “in” collaborazione con “MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo”, “MIC Ministero della Cultura”, “Rai”, “LaEffe Feltrinelli”, “Einaudi editore”, “Financial Times Magazine” e “Le Parisien”.  L’artista sarà ospite tra Monterosso Grana e Pradleves, la prima settimana di settembre.

Quella della “raccolta foto”, ricordiamo, che è solo una delle tante iniziative inserite nel Progetto “Valle Grana Cultural Village”, iniziate con la Festa Patronale di “San Giacomo”, a Monterosso Grana, svoltasi dal 19 al 22 luglio, e culminata con il gemellaggio con il piccolo borgo francese di Le Bar-sur-Loup. Le attività proseguiranno sabato 10 agostoa partire dalle 14,30, con “La Draio de l’Estelo”, escursione per famiglie alla scoperta del sentiero di “land art” fra San Lucio e Rocho de l’Estelo, organizzata da “Comboscuro Centre Prouvencal”. All’arrivo, festa conclusiva sui pascoli con “merenda sinoira” e spettacolo della Compagnia olandese “Snow Appel”.

Altro appuntamento agostano: sabato 24dalle 17, a Santa Lucia di Comboscuro, si svolgerà il “Roumiage de Setembre”. Per tutti i bimbi, dai 5 ai 12 anni, è previsto un atelier ludico con “Persil/Prezzemolo” dedicato ai giochi tradizionali delle Alpi, con l’utilizzo di legno e materiali di riciclo. A seguire il tradizionale “concerto estivo”.

g.m.

Nelle foto: Alberto Toscano e “render” Borgata San Pietro al termine dei lavori attualmente in corso per il progetto “Valle Grana Villaggio Culturale”

Torino, torna il Festival del Digitale Popolare

Ridurre distanze, superare diseguaglianze”: 
a Torino dal 4 al 6 ottobre torna il Festival del Digitale Popolare
Il manifesto della 3a edizione è firmato da Tanino Liberatore
Il Festival del Digitale Popolare ritorna a Torino per la sua terza edizione il 4, 5 e 6 ottobre in Piazza San Carlo, dove saranno allestite due igloo pronti ad accogliere il pubblico per tre giorni di incontri dedicati a promuovere la cultura del digitale e dell’innovazione attraverso un approccio popolare e universale. Organizzato da Fondazione Italia Digitale con il patrocinio della Città di Torino, del Dipartimento per la Trasformazione Digitale, Agid, Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Ordine dei Giornalisti del Piemonte e il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, il Festival punta infatti a portare i tanti temi del digitale vicino alle persone.
Un intento che si ritrova anche nel titolo della manifestazione 2024: Ridurre distanze, superare diseguaglianze, filo conduttore dell’evento che, come da tradizione, avrà il suo manifesto d’artista.
Questa edizione ha scelto la firma di Gaetano ‘Tanino’ Liberatore, il Michelangelo del fumetto come ebbe a definirlo Frank Zappa. Il suo successo porta il nome della serie Ranxerox, l’androide che sul finire degli anni ’80 spalancò a Liberatore le porte del palcoscenico internazionale.

“La macchina del tempo” al Forte di Bard

Lunedì 5 agosto 2024, alle ore 21.30, ad Estate al Forte di Bard si canterà e ci si divertirà in compagnia di quattro artisti che hanno segnato la storia della musica dagli anni ’80 ad oggi. Ivana Spagna, Johnson Righeira, Tracy Spencer, Gazebo saranno i protagonisti del festival estivo La macchina del tempo che nella tappa valdostana assumerà la speciale declinazione, Bard Fest ’80, riprendendo la formula dello scorso anno che era stata dedicata ai gruppi musicali locali. Quest’anno l’omaggio sarà invece per le sonorità senza tempo degli anni ‘80.

Un Califfo nel Piemonte Saraceno

Dallo splendido Alcazàr eretto sulla collina di Saliceto, circondato da torri, giardini esotici e fontane moresche, il califfo dominava il territorio circostante e lì visse a lungo insieme alle sue quaranta mogli. Siamo nell’Alta Langa, lungo il Bormida, vicino alla Liguria. Il grande sogno di Abdul Alì era quello di fondare un regno arabo proprio in quella zona, che si estendesse dal Monviso alle coste della Provenza da dove il Saraceno era arrivato con i suoi predoni per saccheggiare il Piemonte poco più di mille anni fa.
Non ci riuscì e quando il califfo morì il suo corpo fu chiuso in un enorme sarcofago d’oro e seppellito nella terra, poi i saraceni ricoprirono il terreno con un bosco di querce per far sparire ogni traccia. Si favoleggia sulla bella vita del califfo nelle Langhe ma non è solo leggenda poiché il nostro personaggio viene citato anche nelle antiche cronache provenzali. È però inutile andare a caccia dei resti dell’Alcazàr a Saliceto perché fu distrutto dai marchesi del Monferrato che espulsero i Mori dal Piemonte e oggi, di quella dimora, non resta proprio nulla. Tra il IX e il X secolo il Piemonte fu invaso dai saraceni che dal mare risalirono le nostre montagne e le nostre valli distruggendo e uccidendo. Di questi mujaheddin di mille anni fa non si sa molto ma le tracce del loro percorso non sono completamente scomparse. Il libro “Saraceni in Piemonte, mito, realtà e tradizione” di Gianbattista Aimino e Gian Vittorio Avondo, Priuli&Verlucca, ricostruisce storicamente il passaggio dei saraceni nelle valli piemontesi “che hanno lasciato segni di cui si trova ancora memoria nella lingua occitana, nei costumi, nell’architettura e nella cultura”. E che dire della Valle di Susa, una delle valli più colpite dalla violenza saracena. A Novalesa, il paese dell’antica abbazia benedettina fondata nel 726, il passaggio devastante dei guerrieri dell’islam arrivati dalla Provenza nel 906 viene revocato ogni anno con la danza delle spade.
I monaci abbandonarono in tempo il monastero portando con sé gli oggetti più preziosi tra cui 6000 libri. Si rifugiarono a Torino presso la chiesa di Sant’Andrea (oggi la Consolata) per tornare a Novalesa alla fine del secolo. Per sfuggire alla violenza e ai saccheggi dei Mori, narrano le leggende locali, alcuni paesani salirono sulla montagna e si infilarono in una galleria che conduceva nella valle francese di Bessans. I saraceni li inseguirono nella galleria ma i novalicensi, all’uscita del tunnel, procurarono una frana che lo chiuse mentre quelli rimasti in paese bloccarono l’ingresso con altri massi. Così i saraceni vi rimasero intrappolati per sempre. Nessuno sa dove si trovi il tunnel e sempre secondo la leggenda i resti dei saraceni con tutti i tesori rubati sono intrappolati dentro la montagna. Garessio e Ormea furono tra i primi paesi piemontesi a subire i saccheggi dei Mori. Tra le due località sulla cima di un’altura si trova una torre di avvistamento detta “Torre saracena” eretta dagli abitanti del luogo quando i Mori giunsero dal Frassineto (Fraxinetum) l’attuale Saint-Tropez, in Costa Azzurra, per devastare la Val Tanaro. Per alcuni storici il torrione risalirebbe al periodo bizantino ma per altri studiosi sarebbe stato innalzato proprio dai garessini per controllare dall’alto i movimenti dei saraceni che poi, dopo la conquista, la utilizzarono come base per loro incursioni.
Oggi i Saraceni non ci terrorizzano più ma nei racconti di valligiani e contadini di Langhe. Monferrato ed Acquese la figura del saraceno è rimasta stampata in modo incancellabile per merito di vicende e leggende che si sono tramandate nei secoli e sono giunte ai giorni nostri. “A l’é un sarasin”, quello è un saraceno, dicevano una volta i montanari per indicare furfanti e delinquenti comuni. I Mori erano molto temuti mille anni fa dalle popolazioni locali e la mamme per spaventare i figli troppo ribelli li ammonivano dicendo loro “guarda che ti porto dal Sarassin!”.Al tempo dei saraceni, all’inizio del IX secolo, il Piemonte faceva parte dell’impero carolingio che si allungava sui territori di Francia, Germania e sull’Italia del nord. La presenza saracena viene rievocata in alcune manifestazioni folkloristiche nell’arco alpino occidentale e molte feste prendono spunto dal passaggio di queste genti provenienti dal Medio Oriente, dal nord Africa o dai Balcani. Ancora oggi alcune valli, come nel cuneese e in Val Susa, ne conservano la memoria. Basta pensare alle danze degli Spadonari che si svolgono tra gennaio e febbraio a Giaglione, Venaus e a Bagnasco in Val Tanaro e alla Baìo che ogni cinque anni si svolge in alcuni paesi della Val Varaita. La presenza saracena si avverte ancora oggi nei modi di dire, nei cibi e nei prodotti della terra. A ricordo dei saraceni restano tanti vocaboli nella nostra lingua, come il grano saraceno, la saracinesca, la persiana, cognomi come il Moro, Negro. Saraceno e Taricco, dal generale musulmano Tarik che conquistò la Spagna. Le stesse Crociate portarono nelle terre del Vicino Oriente migliaia di europei ed è probabile che lo stesso mais o granoturco sia giunto dal Medio Oriente e non dalle Americhe come si ritiene, nei dintorni di Vinchio, nell’astigiano, viene coltivato un particolare tipo di “asparago saraceno” e in Val Tanaro la polenta saracena…insomma questa preziosa semente è tra i tanti regali che le invasioni moresche ci hanno lasciato oltre alle tradizioni popolari, alle parole e alle leggende che arricchiscono il patrimonio storico e culturale del Piemonte come ben raccontano nel loro libro Avondo e Aimino.
 Filippo Re

Monte Verità, culla dell’utopia

Ascona è un comune svizzero del Canton ticino, sul lago Maggiore. E’ lì che s’incontra “il luogo che non c’è”, la culla dell’utopia: il monte Verità. A partire dall’inizio del ventesimo secolo , su questa  collina appena sopra la perla dell’alto Verbano, tra Brissago e Locarno, si riunirono intellettuali e artisti alla ricerca di valori e modi di vita alternativi. Un’umanità varia composta da vegetariani, predicatori del ritorno alla vita rurale, sostenitori dell’utilità delle pratiche igeniste all’aria aperta (ginnastica, sole e bagni freddi) e anche da chi propagandava l’anarchia e il libero amore.

I fondatori del movimento Henry Hoendekoven, figlio di un industriale belga, e Ida Hoffmann, femminista e insegnante di pianoforte, arrivarono sulle rive del lago Maggiore dalla Germania. Vi giunsero a piedi, rifiutando le abitudini di una società sempre più materialistica, alla ricerca di uno stile di vita a contatto con la terra, la natura, la semplicità. A quel tempo il monte Verità si chiamava Monescia e i naturisti comprarono terreni e costruirono case seguendo stili precisi. All’epoca sul colle non c’era neppure l’acqua ma non per  questo si persero d’animo e per tutto il primo ventennio del ’900 il Monte Verità  diventò la “piccola patria” di pensatori, scrittori, artisti, anarchici e di chiunque fosse interessato a sperimentare in completa libertà le proposte rivoluzionarie del gruppo. Vi soggiornarono le menti più vivaci dell’epoca: Carl Gustav Jung, Erich Maria Remarque, Thomas Mann ,André Gide, Herman Hesse ( che viveva a Montagnola, nel ticinese distretto di Lugano ). E non mancarono gli anarchici e rivoluzionari come Bakunin e Lenin. I valori condivisi erano l’emancipazione femminile, il vegetarianismo, la danza di gruppo (o euritmia, spesso fatta alla luce della luna), l’abolizione del denaro con la sostitutiva pratica del baratto, l’originalissima abolizione delle maiuscole nei testi. La comunità sosteneva che la coltivazione della terra in costumi adamitici portava benefici al raccolto. Nel giro di pochi anni gli abitanti di Ascona iniziarono a guardare con sospetto a cosa stava accadendo sulla loro collina. Ma non protestarono, si limitarono a chiamare quei nudisti ballerini, agricoltori, musicisti e messaggeri dell’amore libero, con un innocuo nomignolo: i “balabiòtt”. Sarà pur bizzarra la storia del Monte Verità e dei suoi “danzatori nudi” ma, come mi disse un vecchio intellettuale ticinese e storico del lago Maggiore, “è la bellezza di questa landa libertaria dove le idee si rispettano anche quando non si condividono”.

Marco Travaglini

Anselm, Cinema nel Parco del Castello di Miradolo (TO)

Giovedì 1 agosto, ore 21.30. Appuntamento con il cinema nel parco storico, 7 maxi schermi, cuffie silent system, plaid e tutto intorno il suono della natura

 

 

“Cinema nel Parco” è un’immersione totale nella natura, al centro di un’arena di oltre 2.000 metri quadrati disegnata da sette maxi schermi, nel prato centrale del Castello di Miradolo (TO). Per non disturbare l’equilibrio del parco, l’audio è udibile solo attraverso cuffie silent system luminose. I film si possono ascoltare anche in lingua originale, multilingua e/o sottotitolati in italiano per ampliare le possibilità di fruizione. Non ci sono sedie, né posti assegnati: ogni spettatore dovrà portare da casa un plaid per sedersi sul prato e assistere alla proiezione dal proprio angolo preferito.

“Cinema nel Parco” sono 7 appuntamenti, dal 27 giugno all’8 agosto, tutti i giovedì alle ore 21.30. Giovedì 1 agosto è in programma Anselm (2023).

Dopo il grande successo di Perfect Days, Wim Wenders torna al cinema con l’omaggio ad Anselm Kiefer, uno dei più innovativi e importanti artisti del nostro tempo. Girato in 3D e risoluzione 6K, il film racconta il percorso di vita del pittore e scultore tedesco, la sua visione, il suo stile rivoluzionario e il suo immenso lavoro di esplorazione dell’esistenza umana e della natura ciclica della storia. Wenders realizza un’esperienza cinematografica unica, che mette in luce il linguaggio di Kiefer, fortemente influenzato dalla poesia, la letteratura, la filosofia, la scienza, la mitologia e la religione. Per oltre due anni, il regista è tornato sulle tracce di Kiefer partendo dalla nativa Germania fino alla sua attuale casa in Francia, ripercorrendo le tappe di un viaggio dietro le quinte della sua arte.

INFO

Castello di Miradolo, via Cardonata 2, San Secondo di Pinerolo (TO)

Biglietti:

8,50 euro a persona; ridotto 0-5 anni 3 euro; gratuito per i bambini che non vogliono la cuffia

Prenotazione obbligatoria al n. 0121 502761 e-mail prenotazioni@fondazionecosso.it

I biglietti si possono acquistare sul sito www.fondazionecosso.it oppure alla biglietteria del Castello di Miradolo (sabato e domenica, ore 10-18.30)

Dalle 19.30 è possibile fare un pic-nic nel Parco con i cesti di Antica Pasticceria Castino. È possibile ritirare i cesti direttamente nella Caffetteria del Castello, previa prenotazione. Menù differenziato per adulti e per bambini. Disponibile proposta vegetariana. Costo: 10 euro cesto bimbi, 14 euro cesto adulti. Non è consentito il pic-nic libero. La prenotazione è obbligatoria: 0121 502761 prenotazioni@fondazionecosso.it

www.fondazionecosso.com