CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 570

"Generazione H" apre il 2019 di Leggermente

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Dopo un inizio intenso che ha visto ospiti del calibro di Maurizio Maggiani, Madeleine Thien, Laura Morante, il 2019 apre con un argomento di grande attualità: la continua “connessione” degli adolescenti. Temo, per la Generazione Z, a rischio Hikikomori che chiamerò, sinteticamente, Generazione H, il Destino che la mancanza di limiti del mondo virtuale potrebbe preparare, proporre e, soprattutto, imporre loro”, questo l’incipit del libro della nota psicoterapeuta Maria Rita Parsi.  Non è un grido di allarme ma, al contrario, l’invito a farsi carico della necessità di padroneggiare uno strumento che, in caso contrario,  potrebbe rivelarsi pericoloso.Comprendere quindi e riconnettesi con gli adolescenti sperduti nel web tra Blue whale, Hikikomori e sexting.

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‘GENERAZIONE H’

Non c’è genitore o educatore che non si sia scontrato con bambini e adolescenti catturati da un cellullare o da un computer e con la mente altrove. Senza, non riescono a stare. Vivono immersi nello schermo dello smartphone, o in quello del pc, perennemente connessi tra loro e con il mondo, ma spesso sconnessi dalla realtà. Sono le nuove generazioni, dai Millenials in poi, “nativi digitali” e cittadini virtuali del mondo intero. A tavola, a scuola, al cinema, al bar, non se ne separano mai, e il timore più grande è non avere campo o credito. La psicologa Maria Rita Parsi indaga sulla “Generazione H”, la generazione di ragazzi esposti sin dalla più tenera età alla seduzione del web. La facilità di accesso, le soluzioni immediate a ogni problema, da quelli scolastici a quelli esistenziali, la semplificazione delle relazioni fanno di internet il mondo parallelo perfetto, al cui confronto quello reale appare faticoso e deludente. Per questo gli adolescenti ci passano tanto tempo, come qualunque genitore sa bene. E pur senza arrivare agli estremi della sindrome di Hikikomori, la H del titolo − quel fenomeno nato in Giappone che riguarda ragazzi che si chiudono nella loro stanza e vivono solo in rete, senza lavorare, né studiare, completamente staccati dai genitori, dagli amici, dalla realtà −, la pervasività del virtuale nella vita dei giovani pone qualche dilemma su come relazionarsi con questi alieni. E vigilare affinché i limiti non vengano superati. Le storie di ragazzi che hanno rischiato di perdersi nel mondo virtuale mostrano i pericoli dell’uso incontrollato del web, ma dimostrano anche che affrontarli senza demonizzarlo è possibile, e indispensabile. Con il contributo di genitori, insegnanti ed educatori, per proteggere il capitale più grande di ogni società: il benessere psicofisico dei giovani.

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MARIA RITA PARSI – BIOGRAFIA

Psicologa, psicoterapeuta e scrittrice, svolge da anni un’intensa attività didattica e di formazione presso università, istituti specializzati, associazioni private. Docente di Psicologia Generale 2 all’Università telematica Uniecampus. Nei corsi post-laurea, è docente del modulo tematico sulla Pedofilia nel master di Scienze Forensi Università degli Studi di Roma “La Sapienza”; nel Master in “Metodologie e Tecniche della Creatività” dell’Università degli Studi di Cassino, insegna metodologie e tecniche di Psicoanimazione; nella Scuola di Specializzazione in Psicoterapia a orientamento umanistico “Psicoumanitas” è coordinatrice e didatta. Durante il suo percorso di crescita personale e professionale che l’ha portata a essere docente, psicopedagogista, psicoterapeuta e saggista ha potuto studiare, formarsi, collaborare e lavorare a lungo con grandi maestri italiani della sociologia, della Pedagogia, della antropologia, della psicologia, della neuropsichiatria infantile, della psicanalisi, della sessuologia, della psicoterapia, e anche con stranieri. Grazie all’ampio bagaglio di esperienze, ha elaborato la metodologia psicologica della “Psicoanimazione”, ha fondato e dirige la SIPA (Scuola Italiana di Psicoanimazlone). Negli ultimi trent’anni, ha formato migliaia di persone con la metodologia a mediazione creativo-corporea (da lei stessa ideata e messa a punto) per lo sviluppo del potenziale umano: da psicologi a insegnanti, da manager a professionisti, da genitori a persone spinte dal desiderio di migliorare la propria vita. Nel 1991 ha dato vita alla fondazione Movimento Bambino che conta quattro centri (Roma, Milano, Cosenza e San Vendemmiano) e fulcri in tutta Italia e nella Svizzera Italiana, per la diffusione del pensiero e dell’arte dei bambini contro gli abusi e i maltrattamenti, e per la tutela giuridica, sociale, culturale dei ragazzi. L’ingresso all’incontro di venerdì 25 gennaio è libero fino a esaurimento posti.

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Venerdì 25 gennaio, ore 18, Fondazione Cascina Roccafranca, via Rubino 45

 

“Generazione H” apre il 2019 di Leggermente

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Dopo un inizio intenso che ha visto ospiti del calibro di Maurizio Maggiani, Madeleine Thien, Laura Morante, il 2019 apre con un argomento di grande attualità: la continua “connessione” degli adolescenti. Temo, per la Generazione Z, a rischio Hikikomori che chiamerò, sinteticamente, Generazione H, il Destino che la mancanza di limiti del mondo virtuale potrebbe preparare, proporre e, soprattutto, imporre loro”, questo l’incipit del libro della nota psicoterapeuta Maria Rita Parsi.  Non è un grido di allarme ma, al contrario, l’invito a farsi carico della necessità di padroneggiare uno strumento che, in caso contrario,  potrebbe rivelarsi pericoloso.Comprendere quindi e riconnettesi con gli adolescenti sperduti nel web tra Blue whale, Hikikomori e sexting.

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‘GENERAZIONE H’

Non c’è genitore o educatore che non si sia scontrato con bambini e adolescenti catturati da un cellullare o da un computer e con la mente altrove. Senza, non riescono a stare. Vivono immersi nello schermo dello smartphone, o in quello del pc, perennemente connessi tra loro e con il mondo, ma spesso sconnessi dalla realtà. Sono le nuove generazioni, dai Millenials in poi, “nativi digitali” e cittadini virtuali del mondo intero. A tavola, a scuola, al cinema, al bar, non se ne separano mai, e il timore più grande è non avere campo o credito. La psicologa Maria Rita Parsi indaga sulla “Generazione H”, la generazione di ragazzi esposti sin dalla più tenera età alla seduzione del web. La facilità di accesso, le soluzioni immediate a ogni problema, da quelli scolastici a quelli esistenziali, la semplificazione delle relazioni fanno di internet il mondo parallelo perfetto, al cui confronto quello reale appare faticoso e deludente. Per questo gli adolescenti ci passano tanto tempo, come qualunque genitore sa bene. E pur senza arrivare agli estremi della sindrome di Hikikomori, la H del titolo − quel fenomeno nato in Giappone che riguarda ragazzi che si chiudono nella loro stanza e vivono solo in rete, senza lavorare, né studiare, completamente staccati dai genitori, dagli amici, dalla realtà −, la pervasività del virtuale nella vita dei giovani pone qualche dilemma su come relazionarsi con questi alieni. E vigilare affinché i limiti non vengano superati. Le storie di ragazzi che hanno rischiato di perdersi nel mondo virtuale mostrano i pericoli dell’uso incontrollato del web, ma dimostrano anche che affrontarli senza demonizzarlo è possibile, e indispensabile. Con il contributo di genitori, insegnanti ed educatori, per proteggere il capitale più grande di ogni società: il benessere psicofisico dei giovani.

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MARIA RITA PARSI – BIOGRAFIA

Psicologa, psicoterapeuta e scrittrice, svolge da anni un’intensa attività didattica e di formazione presso università, istituti specializzati, associazioni private. Docente di Psicologia Generale 2 all’Università telematica Uniecampus. Nei corsi post-laurea, è docente del modulo tematico sulla Pedofilia nel master di Scienze Forensi Università degli Studi di Roma “La Sapienza”; nel Master in “Metodologie e Tecniche della Creatività” dell’Università degli Studi di Cassino, insegna metodologie e tecniche di Psicoanimazione; nella Scuola di Specializzazione in Psicoterapia a orientamento umanistico “Psicoumanitas” è coordinatrice e didatta. Durante il suo percorso di crescita personale e professionale che l’ha portata a essere docente, psicopedagogista, psicoterapeuta e saggista ha potuto studiare, formarsi, collaborare e lavorare a lungo con grandi maestri italiani della sociologia, della Pedagogia, della antropologia, della psicologia, della neuropsichiatria infantile, della psicanalisi, della sessuologia, della psicoterapia, e anche con stranieri. Grazie all’ampio bagaglio di esperienze, ha elaborato la metodologia psicologica della “Psicoanimazione”, ha fondato e dirige la SIPA (Scuola Italiana di Psicoanimazlone). Negli ultimi trent’anni, ha formato migliaia di persone con la metodologia a mediazione creativo-corporea (da lei stessa ideata e messa a punto) per lo sviluppo del potenziale umano: da psicologi a insegnanti, da manager a professionisti, da genitori a persone spinte dal desiderio di migliorare la propria vita. Nel 1991 ha dato vita alla fondazione Movimento Bambino che conta quattro centri (Roma, Milano, Cosenza e San Vendemmiano) e fulcri in tutta Italia e nella Svizzera Italiana, per la diffusione del pensiero e dell’arte dei bambini contro gli abusi e i maltrattamenti, e per la tutela giuridica, sociale, culturale dei ragazzi. L’ingresso all’incontro di venerdì 25 gennaio è libero fino a esaurimento posti.

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Venerdì 25 gennaio, ore 18, Fondazione Cascina Roccafranca, via Rubino 45

 

"Membra Jesu Nostri"

Al Castello di Miradolo la Fondazione Cosso ospita la replica del Concerto tratto dall’opera di Dietrich Buxtehude. San Secondo di Pinerolo (Torino)

Dopo il successo ottenuto nella notte di Natale e di Santo Stefano, la Fondazione Cosso riaprirà le porte del Castello di Miradolo, in via Cardonata 2 a San Secondo di Pinerolo (Torino), per l’ultima replica del suggestivo Concerto, curato da Avant-dernière pensée, tratto dall’opera del compositore e organista tedesco-danese Dietrich Buxtehude, fra i più grandi musicisti del Seicento, le cui opere paiono aver influenzato non poco il giovane Johan Sebastian Bach. L’appuntamento con le sette incantevoli cantate dedicate alla passione di Cristo e composte nel 1680 è per il prossimo sabato 26 gennaio, alle ore 21,15. Ancora una volta sarà una notte magica, fra l’incanto musicale di un capolavoro barocco senza tempo e la suggestione dell’antica dimora, profumata dal legno di abete di cui è fatta la grande scultura lignea disegnata e costruita per l’occasione – palo dopo palo, taglio dopo taglio – attraverso gli spazi vuoti e metafora di un corpo, quello del Cristo morto cui la partitura è dedicata, ma anche armatura che sorregge, dall’interno, il Castello. Emozioni che s’aggiungono ad emozioni quando le grandi scenografie-video rivelano le stupefacenti immagini del complesso statuario del “Compianto sul Cristo Morto” realizzato in terracotta nel 1485 ca. da Niccolò dell’Arca (fra i grandi protagonisti della scultura italiana del ‘400) e oggi custodito nella Chiesa di Santa Maria della Vita, a Bologna. Come di consueto, il Concerto sarà preceduto, alle ore 20, da una guida all’ascolto curata da Roberto Galimberti (violino e direzione), ideatore del progetto artistico, con il quale il pubblico potrà confrontarsi. Gli altri esecutori: Arianna Stornello (soprano), Cesare Costamagna (basso), Laura Vattano (armonium) e Marco Pennacchio (violoncello).

g.m.

Per info: Castello di Miradolo, via Cardonata 2, San Secondo di Pinerolo (Torino); la prenotazione è obbligatoria al n.° 0121/502761 o prenotazioni@fondazionecosso.it

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Foto
– Niccolò dell’Arca: “Compianto sul Cristo morto”, terracotta, 1485
– Video – installazioni
– Volta affrescata con scultura lignea

“Membra Jesu Nostri”

Al Castello di Miradolo la Fondazione Cosso ospita la replica del Concerto tratto dall’opera di Dietrich Buxtehude. San Secondo di Pinerolo (Torino)

Dopo il successo ottenuto nella notte di Natale e di Santo Stefano, la Fondazione Cosso riaprirà le porte del Castello di Miradolo, in via Cardonata 2 a San Secondo di Pinerolo (Torino), per l’ultima replica del suggestivo Concerto, curato da Avant-dernière pensée, tratto dall’opera del compositore e organista tedesco-danese Dietrich Buxtehude, fra i più grandi musicisti del Seicento, le cui opere paiono aver influenzato non poco il giovane Johan Sebastian Bach. L’appuntamento con le sette incantevoli cantate dedicate alla passione di Cristo e composte nel 1680 è per il prossimo sabato 26 gennaio, alle ore 21,15. Ancora una volta sarà una notte magica, fra l’incanto musicale di un capolavoro barocco senza tempo e la suggestione dell’antica dimora, profumata dal legno di abete di cui è fatta la grande scultura lignea disegnata e costruita per l’occasione – palo dopo palo, taglio dopo taglio – attraverso gli spazi vuoti e metafora di un corpo, quello del Cristo morto cui la partitura è dedicata, ma anche armatura che sorregge, dall’interno, il Castello. Emozioni che s’aggiungono ad emozioni quando le grandi scenografie-video rivelano le stupefacenti immagini del complesso statuario del “Compianto sul Cristo Morto” realizzato in terracotta nel 1485 ca. da Niccolò dell’Arca (fra i grandi protagonisti della scultura italiana del ‘400) e oggi custodito nella Chiesa di Santa Maria della Vita, a Bologna. Come di consueto, il Concerto sarà preceduto, alle ore 20, da una guida all’ascolto curata da Roberto Galimberti (violino e direzione), ideatore del progetto artistico, con il quale il pubblico potrà confrontarsi. Gli altri esecutori: Arianna Stornello (soprano), Cesare Costamagna (basso), Laura Vattano (armonium) e Marco Pennacchio (violoncello).

g.m.

Per info: Castello di Miradolo, via Cardonata 2, San Secondo di Pinerolo (Torino); la prenotazione è obbligatoria al n.° 0121/502761 o prenotazioni@fondazionecosso.it

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Foto
– Niccolò dell’Arca: “Compianto sul Cristo morto”, terracotta, 1485
– Video – installazioni
– Volta affrescata con scultura lignea

Valenza “rilancia” il duomo

DAL PIEMONTE – Quest’anno la ricorrenza di San Massimo è per Valenza particolare in quanto sarà la pietra miliare di un cammino che durerà quattro anni ed avrà come obiettivo la valorizzazione di quello che è un tesoro artistico e religioso per l’intera città, il Duomo

 Il 20 ottobre del 1619 il prevosto Bartolomeo Bocca poneva sul sedime del precedente edificio medievale la prima pietra dell’attuale chiesa e il 9 dicembre del 1623 venne celebrata la prima officiatura con la sua benedizione ed il luogo di culto, e di riferimento per i valenzani, veniva consacrato a Santa Maria Maggiore. E a dare l’avvio di questo percorso, quasi a voler porre idealmente quattro secoli dopo nuovamente una prima pietra ci sarà il cardinale Giuseppe Versaldi che Valenza ben conosce essendo stato vescovo di Alessandria. “Ogni comunità locale comprende l’importanza della sua chiesa madre – spiega monsignor Massimo Marasini, prevosto del Duomo e promotore del progetto di valorizzazione artistica del complesso monumentale della parrcchia di Santa Maia Maggiore – poiché rappresenta la lunga radice di quei grandi valori cristiani che hanno saputo animare una storia di civiltà e civica solidarietà. Valenza ha il suo Duomo ed è perciò una città che deve essere fiera della sua lunga storia che nasce dalla cura pastorale del vescovo San Massimo agli albori dell’evo cristiano”. Il progetto di restauro del luogo di culto è stato illustrato in una bella brochure che verrà distribuita domenica ai cittadini valenzani e ha anche due obiettivi legati allo sviluppo turistico-culturale di una città che presenta ampie potenzialità ancora inesplorate: da un lato la candidatura del Duomo e del suo tesoro a Luogo del cuore 2020 per la delegazione Fai di Casale Monferrato e, dall’altro, la partecipazione dela ‘Giornate Fai di Primavera 2020/2023’. Per il progetto ‘1619-2919 400 anni di fede e bellezza’, monsignor Marasini si avvarrà della collaborazione di Adriano Antonioletti, conservatore delegato per le iniziative di promozione e crowdfunding, in un lavoro di rete con le istituzioni e le realtà del territorio, tra le quali ci sono in prima linea l’amministrazione comunale e l’Istituto di istruzione superiore ‘Benvenuto Cellini’, che con i suoi docenti ed alunni darà un apporto per quanto riguarda la programmazione ed il design, ivi compresa la progettazione della ‘Medaglia commemorativa’. “Il restauro dell’intero impianto monumentale vedrà l’impiego di moderne tecnologie – dice ancora monsignor Marasini – in grado di leggere la quasi totalità delle vari stratificazioni che caratterizzano la quasi totalità dei monumenti presenti in Italia”. Nella brochure, introdotta dal prevosto ed arricchita da un contributo del delegato vescovile e direttore dell’Ufficio beni culturali della Diocesi, Luciano Orsini, oltre che da una nota storica sul luogo di culto, sono specificati gli interventi necessari per gli interni, dalla zona absidale, alle vetrate, agli altari, alla sculture ed ai dipinti, sino alla sacrestia, restauri che si andranno ad aggiungere a quelli già realizzati all’altare del Sacro Cuore e della Madonna del Rosario, , donati dalla moglie Giovanna in memoria del marito Walter Raffaldi ed alla pala del ‘Moncalvo’, restaurata con il contributo del Lions Valenza Host, della Fondazione Crt e di diversi fedeli.

Massimo Iaretti

 

 

Valenza "rilancia" il duomo

DAL PIEMONTE – Quest’anno la ricorrenza di San Massimo è per Valenza particolare in quanto sarà la pietra miliare di un cammino che durerà quattro anni ed avrà come obiettivo la valorizzazione di quello che è un tesoro artistico e religioso per l’intera città, il Duomo
 Il 20 ottobre del 1619 il prevosto Bartolomeo Bocca poneva sul sedime del precedente edificio medievale la prima pietra dell’attuale chiesa e il 9 dicembre del 1623 venne celebrata la prima officiatura con la sua benedizione ed il luogo di culto, e di riferimento per i valenzani, veniva consacrato a Santa Maria Maggiore. E a dare l’avvio di questo percorso, quasi a voler porre idealmente quattro secoli dopo nuovamente una prima pietra ci sarà il cardinale Giuseppe Versaldi che Valenza ben conosce essendo stato vescovo di Alessandria. “Ogni comunità locale comprende l’importanza della sua chiesa madre – spiega monsignor Massimo Marasini, prevosto del Duomo e promotore del progetto di valorizzazione artistica del complesso monumentale della parrcchia di Santa Maia Maggiore – poiché rappresenta la lunga radice di quei grandi valori cristiani che hanno saputo animare una storia di civiltà e civica solidarietà. Valenza ha il suo Duomo ed è perciò una città che deve essere fiera della sua lunga storia che nasce dalla cura pastorale del vescovo San Massimo agli albori dell’evo cristiano”. Il progetto di restauro del luogo di culto è stato illustrato in una bella brochure che verrà distribuita domenica ai cittadini valenzani e ha anche due obiettivi legati allo sviluppo turistico-culturale di una città che presenta ampie potenzialità ancora inesplorate: da un lato la candidatura del Duomo e del suo tesoro a Luogo del cuore 2020 per la delegazione Fai di Casale Monferrato e, dall’altro, la partecipazione dela ‘Giornate Fai di Primavera 2020/2023’. Per il progetto ‘1619-2919 400 anni di fede e bellezza’, monsignor Marasini si avvarrà della collaborazione di Adriano Antonioletti, conservatore delegato per le iniziative di promozione e crowdfunding, in un lavoro di rete con le istituzioni e le realtà del territorio, tra le quali ci sono in prima linea l’amministrazione comunale e l’Istituto di istruzione superiore ‘Benvenuto Cellini’, che con i suoi docenti ed alunni darà un apporto per quanto riguarda la programmazione ed il design, ivi compresa la progettazione della ‘Medaglia commemorativa’. “Il restauro dell’intero impianto monumentale vedrà l’impiego di moderne tecnologie – dice ancora monsignor Marasini – in grado di leggere la quasi totalità delle vari stratificazioni che caratterizzano la quasi totalità dei monumenti presenti in Italia”. Nella brochure, introdotta dal prevosto ed arricchita da un contributo del delegato vescovile e direttore dell’Ufficio beni culturali della Diocesi, Luciano Orsini, oltre che da una nota storica sul luogo di culto, sono specificati gli interventi necessari per gli interni, dalla zona absidale, alle vetrate, agli altari, alla sculture ed ai dipinti, sino alla sacrestia, restauri che si andranno ad aggiungere a quelli già realizzati all’altare del Sacro Cuore e della Madonna del Rosario, , donati dalla moglie Giovanna in memoria del marito Walter Raffaldi ed alla pala del ‘Moncalvo’, restaurata con il contributo del Lions Valenza Host, della Fondazione Crt e di diversi fedeli.

Massimo Iaretti

 
 

Schiaffi morali nelle note soavi

Io un confine non lo so vedere

Sai che non mi piace dare un limite, un nome alle cose

Lo trovi pericoloso e non sai come prendermi, mi dici

non so se ti credo

Senza tutta questa fretta mi ameresti davvero?

Mi cercheresti davvero?

Quella forte, sì, però anche quella fragile

Elisa Toffoli esce sempre con schiaffi morali sotto forma di note meravigliose e soavi, e ci arriva dritta in faccia e nel cuore. Parla di forza e fragilità con una eleganza tale da far innamorare chiunque, credo. Dopo aver bevuto una lettera per volta del nome del suo amato in “se piovesse il tuo nome” (Calcutta n.d.r.) la ritroviamo a mettere in guardia coloro che pensano che dietro a tanta forza non esistano crepe. Le crepe ci sono eccome si chiamano frangibilità, debolezze, insicurezze, paure…e, si sa, La vita è splendida come un diamante, ma fragile come il vetro. Mi scrivete in molti ogni settimana e vi ringrazio, alcuni di voi mi segnalano brani, altri mi chiedono di pubblicarne su facebook cantate da me, altri si spingono oltre e mi chiedono chi io sia veramente. A questi ultimi vorrei dire che ho scelto questo brano oggi perchè l’immagine che do di me è quasi sempre di una donna molto forte, si, ma sono anche fragile. Io sono fragile. Ma fortissima. Ho il cuore a pezzi. Ma rido fino alle lacrime. Dipende da cosa vuoi vedere, l’insieme è impegnativo, troppo impegnativo, forse per chiunque. Spesso attacco per insicurezza e questo non mi fa onore ma ci sto lavorando, anche in nome dell’amore, quello vero. Alle persone come me auguro di incontrare persone meravigliose capaci di non approfittare delle debolezze altrui. Sono preziose le persone capaci di accarezzare le tue fragilità, di prenderle per mano e promettere che andrà tutto bene, nonostante tutto.Ma le promesse …anche quelle sono per pochi …la stessa Elisa con Ermal Meta, in “Piccola Anima” citava: Dicono che non c’è niente di più fragile di una promessa Ed io non te ne farò nemmeno una. A volte meglio non fare…meglio non dire…e dimostrare. Buon ascolto, ma ascoltatela davvero, vi farà star bene in una giornata meravigliosa come questa, il sole e la neve!

https://www.youtube.com/watch?v=fxzonH9rDw4

Chiara De Carlo

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Chiara vi segnala i prossimi eventi …mancare sarebbe un sacrilegio!

Teste coronate e gossip nel libro di Caprarica

Grande attesa per il nuovo fiocco rosa… o… azzurro, in primavera, con l’arrivo dell’erede di Meghan Markle e del principe Harry. Intanto, la neo sposina e primipara attempata (37 anni) sembra avere un po’ sparigliato le carte a corte. Si sono rincorsi rumors sui contrasti tra l’inarrestabile Hurricane Meghan (nonostante il pancione che lievita) e Kate, dissapori vari tra William ed Harry e la preparazione di un nuovo nido a Frogmore cottage. Insomma il gossip impera. Ma per capire seriamente cosa sta accadendo a palazzo e cosa potrebbe riservare il futuro, abbiamo chiesto a chi di faccende regali sa parecchio, specie di quelle anglosassoni E’ il giornalista Antonio Caprarica, volto noto con 30 anni di reportage televisivi dall’estero, una lunga corrispondenza anche da Londra. Da leggere è il suo ultimo suo libro, “Royal Baby” (Sperling & Kupfer), in cui sottolinea il paradosso che molte società decidano di affidare il loro futuro a una guida frutto di una sorta di lotteria genetica. Lei sostiene che di solito gli eredi designati sono degli alieni disadattati, convinti della loro superiorità ed ossequiati in modo servile tanto che faticano spesso a venire a patti con il mondo reale, rivelandosi per lo più estranei alle emozioni, ai sentimenti e alle passioni dei loro sudditi.

I principi Carlo, William ed Harry rientrano in questa definizione?

«Carlo si, ed è il primo degli alieni a dover fare i conti con la modernità. William ed Harry invece sono i primi E. T. extraterrestri sbarcati sulla terra. Merito di Diana che li ha cresciuti fuori dalla gabbia dorata della reggia, instaurando un classico rapporto tra madre e figli, fatto di comprensione ed affetto. Certo, appartengono sempre ad un mondo privilegiato; ma sono in grado di comprendere la vita delle persone normali. Per Harry il ricordo più dolce della madre è stata la visita a Disneyland».

Cosa c’è di vero per quanto riguarda Meghan Markle e i problemi con la Royal family?

«Sono chiacchiere e pettegolezzi del Daily Mail. Inconsistenti e superficiali. Come l’idea che Meghan sia la “nipotina” preferita di Elisabetta. In realtà ha un apparato di promozione Internet che non ha nulla da invidiare a quello di Matteo Salvini e sospetto che molte di queste voci non nascano in modo casuale, ma qualcuno ci lavori sopra. Lei e Kate sono, in modo evidente, due ragazze diversissime, con interessi e prospettive differenti; ma questo non toglie che abbiano un rapporto assolutamente civile tra loro».

Perché Harry e Meghan cambiano casa e vanno a Frogmore cottage?

«Kensington Palace è come una specie di residence, ma tutti i membri di peso della famiglia reale hanno anche un cottage dalle parti di Windsor o Sandrigham. William e Kathe vivono parte dell’anno nella tenuta di Sandringham, dove la regina gli ha concesso una delle più belle tra le varie residenze. Quelli che con understatement gli inglesi chiamano “cottage” in realtà sono “villette” di 50 stanze. Frogmore è una di queste, ed era molto amata dalla Regina Madre e da EdoardoVIII. Harry e Meghan mettono su casa in un posto che sia loro, ma non è che si separino da William. Kensington non ha le 900 stanze di Buckinghman Palace, ma grosso modo la metà, però è pur sempre una reggia dove non ci si incontra mai. Lì i duchi di Kent hanno un appartamento di una decina di stanze; Margaret ne aveva 21, poi passate a William. Quindi il fatto che i Sussex vadano in una residenza tutta loro è in linea con le tradizionali attribuzioni della Regina».

E’vero che Meghan per il matrimonio voleva una tiara diversa da quella concessa dalla regina e ne avrebbero discusso?

«E’ assolutamente inconcepibile. La stanza del tesoro di Elisabetta non è aperta neanche ai familiari più intimi; è lei che con gesto generoso e autonomo offre una tiara. Sono pettegolezzi del Daily Mail secondo il quale, nella celebrazione ufficiale per l’armistizio della guerra del 15-18, Kate sarebbe stata gelosa degli orecchini di Meghan perché le sarebbero stati offerti direttamente dalla Regina. Sono un mare di chiacchiere. Il pubblico britannico consuma le vite dei reali come gli animali dello zoo fanno con il cibo. E’ questo il rapporto tra reali e tabloid. La mamma di Lady Elizabeth Bowes- Lyon, di famiglia ducale, guardò con evidente disgusto la proposta di matrimonio del futuro re Giorgio VI e disse alla figlia “..Non capisco perché tu voglia trasformarti in fieno quotidiano per il pettegolezzo dei tabloid britannici..”».

Lei che idea si è fatto di Meghan Markle?

«Era una ragazza senza radici, né storia, né famiglia, che si è inventata come attrice femminista, combattente delle parità e sostenitrice della liberazione di genere. E’ già un personaggio, entrato nella soap opera reale come il “personaggio Megan”: finta, non finta? Direi più che altro auto costruita. Quello che doveva fare l’ha già fatto e raggiunto. Non avrà mai la responsabilità di regnare e sarà solo un bel personaggio di contorno».

Pronostici sul suo futuro?

«E’ presto per dire se sarà all’altezza del ruolo. Potrà fare innamorare di sé gli inglesi, ma dubito che possa superare il livello di popolarità già raggiunto. Dal punto a cui è arrivata può solo declinare. Credo che corrispondano a verità le testimonianze che la dipingono alquanto dispotica e capricciosa. Pensiamo al suo matrimonio, dov’era palpabile e visibile il fastidio della Regina, di Kate, Camilla e di tutte le donne di casa reale. Una ragazza capace di imporre quel genere di cerimonia nuziale è chiaramente molto determinata. Mi azzarderei a dire che in questo momento ha totalmente in pugno Harry. Però deve stare molto attenta perché temo che tenda ad esagerare nell’interpretazione della soap opera. Non c’è dubbio che lo stia facendo con naturalezza, perché lei è quella parte. Ma stanno emergendo i lati negativi del suo carattere: un po’dispotici, fanatici e la sua tendenza hollywoodiana. Mi auguro che siccome è una ragazza che conosce bene la realtà, sappia ben valutare il suo matrimonio e farlo durare».

E Kate?

«Per gli inglesi la monarchia è un’istituzione molto seria. Mentre Meghan al massimo sarà duchessa di Sussex, Kate è la futura regina. Una ragazza della buona borghesia britannica, dal punto di vista anagrafico è una creatura del “Thatcherismo. I suoi genitori sono un prodotto di quell’epoca. Non erano nessuno e si sono arricchiti usando intelligenza, iniziativa e imprenditorialità. Sarà una tipica sovrana inglese e il pilastro della famiglia reale. Gli altri sono personaggi molto sottili, a cominciare da William».

Nel suo libro sostiene che la regina Vittoria ed Albert, Elisabetta e Filippo sono due esempi di coppie che volevano presentare ai sudditi un volto più moderno ed hanno investito sulla formazione più democratica dei loro rampolli; ma in entrambi i casi l’esperimento sarebbe fallito, perché?

«E’ il paradosso della monarchia nell’era democratica. Essere moderni vuol dire convincere i sudditi che la famiglia reale è come le altre. Difficile però mantenere questa finzione di normalità quando un bambino di 5 anni il primo giorno di scuola è assalito da fotografi e giornalisti che corrompono i bidelli per conoscere ogni sua stupidaggine. O il barbiere di Harrods che tagliava i capelli a Carlo e ai suoi compagni, poi vendeva ai tabloid le marachelle che faceva o subiva il principe. Altra contraddizione è: se trattiamo questi rampolli come ragazzi qualunque e, anziché tenerli protetti nella reggia, li mettiamo con i coetanei, cosa fanno quelli quando si trovano compagno di scuola un principino di 7- 8 anni destinato un giorno a regnare su di loro? Si portano avanti, utilizzano il vantaggio del momento e lo massacrano. Esattamente quello che è capitato a Carlo. Il privilegio di nascita è già qualcosa che di per sé rende impossibile la normalità e destinato a rovinare la vita».

Privilegio di nascita e un’ educazione sbagliata …. disastro assicurato?

«Il punto focale del mio libro è: cosa assicura ad un essere umano uno sviluppo equilibrato? Nascere in un ambiente familiare protetto dove l’affetto viene dato e ricevuto. Nel caso dei Reali, fino a metà del 900, era prevista la separazione nettissima tra genitori e figli. La Regina Elisabetta ama moltissimo i suoi, ma li ha educati com’era in uso nell’800. Li vedeva mezz’ora al giorno dopo il breakfast e quando andava bene gli dava la buonanotte. Questo ha prodotto ragazzi estremamente insicuri come Carlo, aggressivi ed arroganti come Andrea, timidi e riservati come Edward».

Ma è così anche per i figli di William e Kate…e per i futuri rampolli d Meghan e Harry?

«No è già radicalmente diverso. Non so se Meghan li porterà a cantare in un coro Gospel. Certo è che Kate sta educando i suoi come figli di una normale famiglia borghese, con tanto affetto e vicinanza, i bambini sono sempre accanto a loro. Finalmente non c’è più quella separatezza che fin’ora ha distinto le infanzie reali e questo dovrebbe produrre dei principini più capaci di comprendere le emozioni dei loro sudditi».

Dunque cambiati i tempi anche per i privilegiati…in cosa soprattutto?

«Carlo è l’ultimo esponente di bambino regale, i suoi nipoti sono figli di personaggi pop. La trasformazione radicale dell’era di William ed Harry è che, mentre una volta erano le celebrità a cercare la legittimazione del trono, adesso è il trono a trasformasi in un covo di superstar. Anche i loro figli sono già protetti da questo ruolo: per loro sarà più facile inserirsi nel mondo che venera questo tipo di fama, che è oggi l’unica sorta di regalità. Mi chiedo solo se riusciranno mai a regnare».

Meglio essere l’erede al trono come William o una seconda, terza o quarta scelta?

«Non c’è dubbio che i cadetti siano più fortunati, perché disgiunti dalla prospettiva del trono e della corona, sono più liberi e godono comunque di uno status sociale-economico privilegiato. Basti pensare ad Harry. Dalla madre ha ricevuto un piccolo capitale di 24 milioni di sterline con cui campare tranquillamente per due vite, anche spendendo bene. Può rispondere ai moti del cuore con maggiore libertà, frequentare chi gli pare e piace. Può sposare un’attricetta afroamericana, discendente di schiavi, senza che qualcuno obbietti nulla; anzi viene accolto dal tripudio generale perche è una nuova prova di apertura della monarchia. Dubito fortemente che il fratello maggiore sarebbe stato autorizzato a sposare una ragazza con antenati di colore. Una cosa è ritrovarsi un principino abbronzato lontano dal trono, un’altra è vederlo con la corona. Due cose molto diverse».

C’è differenza nel nascere a corte tra maschi e femmine?

«Le ultime generazioni di Windsor sono state abbondanti di maschi, scarse di femmine. L’esempio più a portata di mano è quello di Anna, famosa per essere stata un maschiaccio. Grandi differenze rispetto ai comportamenti dei fratelli non ne vedo. Ha avuto una giovinezza scapestrata e a Londra la chiamavano “Hot pants”, mutande bollenti, nomignolo che si era guadagnata sul campo. Pur avendo concepito una figlia con la guardia del corpo, oggi è molto stimata per l’eccellente lavoro che svolge con le molte organizzazioni benefiche che presiede ed è ligia ai suoi doveri istituzionali. Diciamo che con l’esempio di Elisabetta, le donne a corte tendono a comportamenti più sensati e dignitosi di quelli dei maschi».

Lei aveva predetto che sarebbe arrivato un terzogenito di William e Kate. Come ha fatto? E per Meghan e Harry quanti eredi prevede?

«Al matrimonio di Harry non c’ero, però a quello di William sono stato testimone oculare ed ho potuto osservare che avevano tagliato tre fette di torta nuziale e con discrezione le avevano messe da parte. Semplicemente ho tenuto conto dell’antica tradizione britannica secondo la quale gli sposi tagliano e conservano tante fette quanti sono i figli che vogliono avere».

Sottolinea che a volte si rivelano regnanti migliori quelli che per nascita non erano destinati al trono, come la regina Vittoria, Elisabetta e suo padre Giorgio VI… come se lo spiega?

«In modo molto semplice. Direi che è una regola generale almeno della corona inglese. Le uniche sovrane degne di nota degli ultimi 2 secoli sono state 2 donne che non avevano la corona nel loro futuro, lo stesso per re GiorgioVI. Non erano destinati al trono e non sono stati educati seguendo un rigido protocollo, col peso della responsabilità che ne consegue. Sono esseri umani più normali, equilibrati e capaci di comprendere i bisogni del popolo. Vittoria ha addirittura dovuto fare i conti con la penuria: rimasta orfana del padre, morto pochi mesi dopo la sua nascita, gli zii odiavano lei e la madre vedova e gliene fecero passare di tutti i colori. Elisabetta è cresciuta in una famiglia piena d’amore, il padre Giorgio VI era così unito alla famiglia che avevano l’abitudine di chiamarsi “we four” noi 4».

Lei ha conosciuto Carlo, che tipo di re sarà?

«E’ un uomo molto intelligente e pieno di idee innovative. Vuole smettere il ruolo medievale della monarchia, lasciare Buckingham Palace e trasformarlo in una specie di   museo-residenza ufficiale governativa. Capisce che oggi la corona va asciugata. Però la sua popolarità non è eccelsa, la gente spesso lo avverte lontano   e distaccato. La vicenda matrimoniale con Diana l’ha danneggiato più che mai e per regnare dovrà contare moltissimo sull’aiuto del figlio maggiore e soprattutto su Kate. E’ lei quella popolare, madre dei 3 principini, la donna del popolo arrivata sul trono, il massimo dell’ascensore locale. Da notare che oggi non c’è una futura regina che abbia natali principeschi. Sono tutte commoners che portano nelle istituzioni la loro sensibilità, i legami tipici delle famiglie borghesi, con pregi e difetti».

Nel libro parla anche di altre teste coronate dei paesi scandinavi ….

«Sopravvivono con difficoltà e da tempo hanno abdicato a quel ruolo cerimoniale a cui invece resta ancorata la monarchia britannica. Sono le famose monarchie in bicicletta e pacca sulla spalla che invece gli inglesi non vorrebbero. Però mi chiedo quanto i regni scandinavi possano durare. Quello che fin’ora le ha salvate è stato il loro apporto come simbolo della resistenza nazionale nella 2° Guerra Mondiale, per cui intorno a loro c’è stato un consenso nazionale straordinario. Ma le nuove generazioni stanno già perdendo memoria di questo e non so quanto resteranno attaccati alla monarchia».

In definitiva perché resistono ancora le monarchie?

«In Occidente resistono -nonostante la meritocrazia- perché offrono uno spettacolo insuperabile e sono la miglior soap opera del pianeta. Ogni matrimonio reale è una puntata della telenovela. C’è una necessità narrativa che fa parte dei nostri archetipi, la favola. Poi in Inghilterra è molto forte l’amore per Elisabetta che è la matriarca nazionale, la mamma di tutti. Con Carlo qualche problema si porrà. Ma nel mondo esistono tante altre monarchie. Quelle mediorientali e del Golfo: patrimoniali, dispotiche, assolutiste, un problema politico. Quelle orientali dove la monarchia ha ancora un sostrato divino, convinti che sia una reliquia da preservare a tutti i costi. Ero a Bangkok quando morì re Bhumibol e ricordo lo spettacolo enorme del suo baldacchino, apoteosi di essenza divina. In Giappone il Tenno, l’imperatore è il 128esimo discendente della dea del Sole, e sono davvero convinti che sia una reliquia divina da preservare a tutti i costi».

 

Laura Goria

 

Seeyousound Torino Music Film Festival: il cinema come non l’avete mai vissuto

Torna a incantare dal 25 gennaio al 3 febbraio al Cinema Massimo il Seeyousound Torino Music Film Festival per la sua V edizione. Si preannunciano dieci giorni ricchi di sorprese, dove la musica, tutta, viene celebrata dal cinema e viceversa, spaziando dal genere punk alla musica classica, dai trasgressivi anni Settanta fino ai giorni nostri. Nato nel 2015 con quella spontaneità e quell’entusiasmo che solo le idee rivoluzionarie possono recare in sé, il Seeyousound si è rivelato nel giro di pochi anni un consolidato appuntamento per i cultori del magico binomio cinema – musica, sempre in grado di stupire. Grazie ad uno scatenato gruppo di professionisti visionari sempre in ascolto e con la capacità di guardare oltre, il festival ha saputo intercettare ogni volta le aspettative di un pubblico a cui non bastano più le anteprime e gli attori di grande richiamo per riempire le sale nell’era dello streaming. Così la novità principale di quest’anno sarà un ricco cartellone di performance dal vivo, dj set, ibridazioni con diverse arti performative prima delle proiezioni serali che trasformeranno il foyer al primo piano del Cinema Massimo in una sorta di club. E poi ospiti nazionali e internazionali, masterclass, eventi speciali. Sarà il producer tedesco Alex.Do ad aprire le danze con un set live delle tracce di Symphony of Now di Johannes Schaff, presentato alla scorsa Berlinale, uno spaccato della vibrante vita notturna della capitale tedesca, un omaggio nel trentennale della caduta del muro di Berlino. Diversi i film, i videoclip e gli appuntamenti volti a ricordare questo momento storico particolare della Germania dove la musica è stata in grado di superare confini e unire, nonostante tutto, ponendo i semi di una creatività musicale che prosegue fino ai giorni nostri. Sempre il dj Alex.Do animerà l’Opening Party / Berlin Celebration all’Azimut Club. Fiore all’occhiello dell’edizione di quest’anno gli incontri con alcune band iconiche italiane. Imperdibile e attesissima la reunion del collettivo formatosi nel 2004 Songs With Other Strangers, che porterà sulla ribalta del Cinema Massimo una schiera di grandi artisti: Manuel Agnelli e Rodrigo D’Erasmo degli Afterhours, Marta Collica (Sepiatone e John Parish Band), Giorgia Poli (Scisma e John Parish band), John Parish (autore e produttore, tra gli altri, di PJ Harvey), Stef Kamil Carlens (dEUS e Zita Swoon) e Steve Wynn (Dream Syndacate), per vedere il documentario sul loro tour del 2010, immortalato dal regista Vittorio Bongiorno e tutt’ora inedito. Atteso anche il gruppo al completo degli Ex-Otago e il regista Paolo Santamaria, che presenteranno il film in anteprima assoluta Ex-Otago – Siamo Come Genova che racconta l’omonima band ligure, dal successo dell’album Marassi alla creazione del successivo Corochinato, attraverso interviste ed esibizioni live. Altri momenti celebrativi di storici gruppi undergrand nostrani quelli dedicati alla punk band torinese Franti che si concederanno in una live session coinvolgente per la proiezione di Acqua Passata, film di Claudio Paletto ispirato a un racconto di Stefano Giaccone, presentato in anteprima assoluta insieme al regista. Presenti in sala anche i Truzzi Broders protagonisti di un altro documentario tutto torinese e in primissima visione, Una canzone senza finale. diretto da Paolo e Riccardo Sarà, uno sguardo sulla difficile Torino anni ’80, partendo dal materiale di archivio girato dalla band stessa tra cui lo storico concerto del 29 maggio 1982, al Centro d’Incontro Vanchiglia.

E naturalmente tanto cinema: 44 i titoli in competizione con 21 anteprime italiane. Nella sezione “Long Play Feature” attesissimo il lungometraggio Lords of Chaos di Jonas Arkelund, regista di videoclip tra i più noti al mondo, lungometraggio che racconta l’epopea insanguinata dei Mayhem, di Euronymous e Burzum, una delle più dannate vicende della storia del black metal norvegese. Candidato come rappresentante indiano per gli Oscar 2019, il film della regista Rima Das, Village Rockstars, è la storia di Dhunu, bambina che vive in un remoto villaggio indiano il cui sogno è fondare una rock band. Nella sezione dei documentari, “Long Play Doc” in Where are you, João Gilberto? Georges Gachot, che sarà ospite al festival, ricostruisce un ritratto suggestivo di João Gilberto, musicista e creatore della bossa nova. All’insegna delle contaminazioni e degli incroci tra culture il film Rude Boy, introdotto in sala dal regista Nick Davies, sulla nascita della prima etichetta reggae/ska della Gran Bretagna, la Trojan Records. In gara anche i corti con la sezione “7Inch” e i 20 videoclip selezionati per “Soundies”. C’è spazio anche per i temi sociali nella sezione “Rising Sound”. Tra i titoli spicca Scream for Me Sarajevo di Tarik Hodzic che ricorda il concerto degli Iron Maiden durante l’assedio di Sarajevo degli anni 90. Nella rassegna Into the groove 13 i titoli di richiamo per il grande pubblico selezionati dal direttore del festival Carlo Griseri. Sono una vetrina del meglio della produzione internazionale di cinema a tematica musicale. Tra i titoli da non perdere: Piazzolla – The Years Of The Shark di Daniel Rosenfeld celebra il compositore che rivoluzionò il tango contaminandolo con jazz e classica, Astor Piazzolla, osteggiato nel suo paese per la portata rivoluzionaria della sua musica; e Whitney del regista Premio Oscar Kevin Mac Donald presentato allo scorso Festival di Cannes, che mostra luci e ombre dell’impareggiabile icona pop Whitney Huston, dalla ribalta alla prematura scomparsa. Si passa dallo Studio 54 di Matt Tyrnauer, racconto dello storico locale di New York frequentato da personaggi come Andy Warhol, John Travolta e Madonna, simbolo dell’edonismo degli anni ’70, agli studi berlinesi che tra il ’76 e il ’90 hanno visto nascere miti come David Bowie, Iggy Pop, Depeche Mode, Nick Cave e U2 nella proiezione offerta da Sky Arte di Hansa Studios: by the wall 1976-90 Tra gli eventi speciali Telemusik – Videoclip, visioni e visionari nell’Italia degli anni ’80, un documentario dal vivo che mescola storytelling, musica, teatro, video e nuove tecnologie, per raccontare la nascita dell’immaginario del videoclip che ha segnato un’epoca. Il Musicteller Federico Sacchi con il contributo del Prof. Simone Arcagni e la regia di Alessandro Bernard, celebrano la TV nazionale nei primi anni Ottanta. Da quest’anno il testimone è passato da Maurizio Pisani a Carlo Griseri che commenta così il suo nuovo incarico di direttore e il festival che verrà: “Il festival anno dopo anno è cresciuto, imparando dai propri errori e rilanciando sempre, il cuore oltre l’ostacolo, per offrire al suo pubblico film sempre migliori, ospiti sempre più interessanti, eventi sempre più originali. Da quest’anno ho l’onore di esserne il direttore. Una responsabilità e un piacere, emozionante e stimolante: abbiamo costruito tutti insieme un programma vasto e variegato, per dieci giorni di “experience” che, ci auguriamo, vorrete trascorrere insieme a noi. Il racconto della musica attraverso il cinema in questi anni si è sempre più diversificato, le proposte si sono moltiplicate, in sala i film a tema ottengono record su record: ne siamo felici, ma raccogliamo la sfida di costruire un festival che sappia essere anche qualcosa d’altro e di diverso dal solito. Un evento, come rilancia il nostro hashtag, che sia sempre più #AMVSTSEE!

Ma è importante aggiungere che il Seeyousound dopo l’ultima edizione non si è mai fermato e nel 2018 si è trasformato in Seeyousound Music Film Experience, un contenitore più grande capace di contenere tutte le pratiche possibili che ruotano intorno al cinema e alla musica (concerti, attività educative e professionali, pubblicazioni, network di festival europei) e di ramificarsi in tutta Italia con il “Seeyousound on tour”. Nel 2018 il Seeyousound è così approdato anche a Pisa, Palermo e Lecce. Ma non ha intenzione di fermarsi, prossime tappe Milano e Bologna, con gli occhi rivolti verso l’Europa.

Giuliana Prestipino

Per maggiori informazioni consultare il sito: www.seeyousound.org

Al Conservatorio di Torino “La musica degli Esclusi”

In occasione della Giornata della Memoria 2019 il Conservatorio statale di musica “Giuseppe Verdi” di Torino (in via Mazzini 11) organizza due concerti dedicati alla “musica degli Esclusi”: il primo giovedì 24 gennaio alle 10.30 riservato alle scuole e il secondo sabato 26 gennaio alle 21, offerto gratuitamente alla cittadinanza nell’ambito delle “Serate musicali”, per riflettere sui diritti negati all’arte e agli artisti sotto i regimi nazifascisti. La quasi totalità dell’arte contemporanea di allora venne censurata o cancellata dalle sale da concerto, dai musei, dalle biblioteche, perché considerata un serio pericolo in quanto arte libera e formativa in grado di favorire la crescita di una coscienza critica e indipendente dei popoli. Vennero creati complessi organismi burocratici con il compito di controllare e reprimere la produzione artistica musicale, letteraria e figurativa degli autori e degli interpreti ebrei e non solo. Le opere di compositori come Mendelssohn, Mahler, Schönberg, Weill, generi come il Jazz (in quanto musica dei neri d’America) e gran parte del repertorio popolare furono vietati, additati come prodotti di una malformazione intellettuale e artistica e persino ‘esposti’ in una mostra in Germania denominata Entartete  Musik (in italiano ‘musica degenerata’). I due concerti si caratterizzano per una grande varietà musicale grazie al coinvolgimento delle classi di musica vocale da camera, di pianoforte, di esercitazioni corali, di musica da camera, di quartetto, dei dipartimenti di jazz e di musica antica, oltre che la partecipazione amichevole e generosa del fisarmonicista Massimo Pitzianti. Affiancherà la parte musicale la recitazione di alcuni testi degli anni 1938-1939 (lettere, pagine di diario) scritti da ebrei italiani; verranno inoltre proiettate alcune testimonianze documentali relative alla legislazione razziale allora vigente ed esemplificazioni della cosiddetta ‘arte degenerata’. I concerti sono parte del più ampio progetto “1938-2018. A 80 anni dalle leggi razziali” sostenuto dal Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale e organizzato dal Polo del ‘900, dal Museo Diffuso della Resistenza, dall’Istoreto e dall’Università degli Studi di Torino.