CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 56

“La notte, di luci e di note” a “Casa Lajolo” di Piossasco

Una rassegna di concerti per inaugurare il nuovo giardino illuminato

28 giugno/26 luglio/13 settembre

Piossasco (Torino)

Sempre di venerdì. E in notturna. Sul piatto, un’interessante rassegna di concerti che spazieranno dalla musica strumentale brasiliana a quella tradizionale di culture lontane. Il primo appuntamento è per il prossimo venerdì 28 giugno, quando si accenderanno per la prima volta le luci disposte per ulteriormente valorizzare, anche sotto le stelle, il giardino di “Casa Lajolo”, dimora storica settecentesca di Piossasco (Torino). Si tratta di “un sistema di illuminotecnica – dicono gli organizzatori – realizzato grazie al bando ‘PNRR – Parchi e Giardini Storici’, finanziato dai ‘Fondi Next Generation EU’ e teso a valorizzare i punti più suggestivi di questo bellissimo giardino, organizzato a ‘stanze’ che offrono scenari sempre nuovi e inaspettati”. Progetto di tutto rispetto che meritava un’inaugurazione coi fiocchi. Di qui l’idea della “Fondazione Casa Lajolo” di organizzare “La notte, di luci e di note”, rassegna di tre serate di musica in programma venerdì 28 giugno, venerdì 26 luglio e venerdì 13 settembre: nel biglietto (20 euro), dopo un calice di vino di benvenuto della “Cantina L’Autin” di Pinerolo, la possibilità di visitare e passeggiare nel giardino illuminato e, poi, di assistere al concerto. Ogni appuntamento farà vivere un angolo diverso del giardino della dimora storica. Il primo sarà ospitato nel suggestivo “boschetto di tassi”, che crea già di per sé un palcoscenico naturale. Gli altri due invece, creazioni site-specific per “Casa Lajolo”, sono itineranti.

Come detto, si comincia venerdì 28 giugno (alle 21,30) con “World music”, musica strumentale brasiliana dai “colori jazz”, insieme a due artisti internazionali, Roberto Taufic e Gilson Silveira, duo di chitarra, percussioni e voce.

Il secondo appuntamento sarà venerdì 26 luglio (alle 21,30) con i violinisti Gabriele Cervia e Maria Alejandra Peña Ramìrez, per una serata di musica classica.

Ultima data venerdì 13 settembre (alle 20,30) con “Suoni dal mondo, tra terra e cielo”, insieme a Elena Russo, suonatrice di “Kora”, arpa tradizionale africana, e Fiore De Mattia, maestro di “Shakuhachi”, flauto giapponese.

La nuova illuminazione permetterà non solo di prestare maggiore attenzione alla musica ma di vivere, al massimo, il giardino anche in notturna.

Le luci richiameranno infatti l’attenzione su alberi secolari, come il cedro e il pino, giocheranno con muretti e aiuole, inviteranno a muoversi tra il piazzale in ghiaia – con la collezione di agrumi in vasi, il giardino all’italiana delineato da cordonature e sculture in bosso – affiancato da un boschetto all’inglese delimitato da sette “Taxus baccata” (albero dell’ordine delle conifere, molto usato come pianta ornamentale o pianta isolata), e poi più in giù, inviteranno a guardare verso ulivi e alberi da frutto, fino all’orto-giardino e al frutteto. Davvero un bel vedere. E una bella iniziativa. “Che sarà – promettono gli organizzatori – solo la prima di una lunga serie a venire”.

Per info: “Casa Lajolo”, via San Vito 23, Piossasco (Torino); tel. 333/3270586 o www.casalajolo.it

g.m.

Nelle foto: “Casa Lajolo” di notte, Gilson Silveira, Elena Russo e Fiore De Mattia

Dopo ‘The Voice Senior’, a Collegno le prove del tour di Danilo Amerio

Il cantautore al lavoro con la band nei locali dell’Accademia di Musica Moderna ‘La Ritmika’ di Piazza Che Guevara.

Al via il tour estivo di Danilo Amerio. Dopo l’exploit a ‘The Voice Senior’ con Antonella Clerici su Raiuno nel team di Gigi D’Alessio’, il cantautore e autore astigiano riparte per una serie di concerti nelle più belle località estive italiane.

Prima tappa il 7 luglio a San Bartolomeo al Mare (IM) alle 21.00 in Piazza Torre Santa Maria all’interno del ‘M&T Festival’.Per prepararsi al meglio all’appuntamento con il live, sino a fine giugno l’artista ha scelto Collegno quale  location per le prove con i musicisti, al fine di affinare al meglio ogni singola canzone in ogni suo dettaglio. Sede designata i locali dell’Accademia di Musica Moderna ‘La Ritmika’ in Piazza Che Guevara 13.

Sono particolarmente contento di essere qui, in questo luogo fondato da Gianni Branca, mio storico batterista scomparso innamorato del ritmo della vita prematuramente nel 2014 che ha accompagnato in carriera anche molti altri illustri colleghi, fra i tanti Paola e Chiara, Fiordaliso e Teresa De Sio. Ho anche avuto modo di visitare i ‘Giardini Gianni Branca’ a lui intitolati proprio dietro la scuola di batteria, fatto che mi ha particolarmente commosso”, racconta Danilo Amerio.

In scaletta, oltre al nuovo singolo ‘E ci siamo noi’ scritto con Alfia Bevilacqua e attualmente in rotazione radiofonica, anche i successi portati in gara dal 1992 al 1995 al Festival di Sanremo con Pippo Baudo e quelli firmati e prodotti per artisti quali Raf, Marco Masini, Umberto Tozzi, Aleandro Baldi, Jovanotti, Mia Martini, Fiordaliso, Mietta, Little Tony, Anna Oxa (sua ‘Donna con te’), Giorgio Faletti, Dik Dik, Adriano Celentano e molti altri.

Con lui Olga Kazelko (tastiere e sequenze), Luca Marchesin (chitarre acustiche ed elettriche), Gualtiero Marangoni (basso), Alex Nicoli (batteria), Susy Amerio e Fabrizio Rizzolo (cori) eSimone Lampedone (fonica).

Il tour è prodotto da Paolo Fazio per ‘Ipa Spettacoli’, l’allestimento è curato da ‘MA Show Solutions’. “Riabbracciare il pubblico è un po’ come avere il sole in tasca – chiosa Danilo Amerio – Sanremo 2025? Se a chiamare fosse il Capitano Carlo Conti, a rispondere con un “Sì” siamo sempre pronti!”.

“Mainolfi / Sculture. Bestiario”. Alieni, improbabili e misteriosi

Gli animali “fantastici” di Luigi Mainolfi, s’aggirano pacificamente negli spazi della “Reggia di Venaria”

Fino al 10 novembre

Venaria Reale (Torino)

Eccoli. Vagolano. Solitari o in coppia. Sembianze zoomorfe. Alcuni brucano senza ingordigia l’erba dal terreno, altri si guardano attorno a cercare presenze amiche – pur se molto dissimili da loro – senz’alcuna paura (quasi padrone e padroni di casa) gironzolano con teste lunghe e affusolate, con o senza coda, penzolanti orecchie per alcuni e corpi dalle “strane” caratteristiche e proporzioni per quasi tutti. Vagolano lemme lemme dalla “Torre dell’Orologio” al Loggiato della “Sala di Diana”, fino al settecentesco “Gran Parterre del Parco Alto”, alla “Corte d’Onore” e alla juvarriana “Cappella di Sant’Uberto”. Non emettono verso alcuno. Almeno pare. Di loro però si conoscono i nomi. Strani (e come se no?) anche loro. Dai “Silontes” al “Solitan” al “Nominon” allo “Scosso” fino all’“Apessa” sorvegliata con curiosità da un piccione (vero, in carne e ossa, becco e piume) indeciso sul da farsi. Avvicinarsi per fare amicizia o  (meglio) prendere il volo!? Ma dove siamo? Sembra chiedersi anche il povero piccione. Niente paura. Non siamo capitati per caso (coi tempi che corrono!) su strani, lontani e sconosciuti pianeti.

Siamo, semplicemente, alla “Reggia di Venaria”e questi “strani personaggi” sono solo alcuni dei 20 protagonisti in bronzo, realizzati fra il 1978 ed il 2020, appartenenti al fantastico “Bestiario” di Luigi Mainolfi (avellinese di nascita ma torinese di lunga adozione, fin dagli anni Settanta, caratterizzati da ricerche performative basate sul rapporto fra corpo, gesto e scultura) ospite d’onore per tutta l’estate e, fino a domenica 10 novembre, della “Reggia di Venaria”. Selezionate dal direttore generale del “Consorzio delle Residenze Reali Sabaude” Guido Curto e dalla Conservatrice della “Reggia” Clara Goria, le sculture sono tutte “a tema zoomorfo”. Da qui il titolo, “Bestiario”, che rimanda ai “Bestiari” dei codici miniati medievali illustrati con raffigurazioni di animali reali e immaginari, e anche al celebre “Manuale di zoologia fantastica”, saggio del 1957 scritto, con la collaborazione di Margarita Guerrero, dallo scrittore e poeta argentino Jorge Luis Borges, inventore eccezionale e non privo di singolare humor di un numero incredibile di creature partorite girovagando per “universi fantastici”, assolutamente ignoti ai più, dall’“Anfesibema” a “L’elefante che preannunziò la nascita di Buddha”, fino alla “Scimmia dell’Inchiostro” o allo “Zaratan”. Tema che ben presto ammalia anche Mainolfi, già autore del “Bestiario del Sole” (serigrafia su carta, 2008), popolato di colorate creature metamorfiche, sospese tra mito e fiaba, e nel 2018 del “Bestiario del firmamento”, realizzato per la Collezione dei “Sipari d’artista”, progetto della fiorentina “Associazione Amici della Contemporaneità” che, nel tempo, ha visto coinvolti nomi prestigiosi del “contemporaneo”, da Carla Accardi ad Aldo Mondino, fino a Mimmo Paladino a Getulio Alviani a Nicola De Maria e a Pino Pinelli.

Non una “novità” dunque il “Bestiario” mainolfiano che “si insinua – dicono i curatori – nelle architetture barocche, invade le verdi geometrie dei giardini ed entra in contatto con la viva presenza di cerbiatti e altra fauna selvatica del vicino Parco ‘La Mandria’, riserva naturale di biodiversità”. Nessun divieto. Nessun luogo proibito per questi “esseri fantastici” che, per l’artista, sono “immaginario potente” del mondo mediterraneo e del Sud del mondo, dalla natia Valle Caudiana al Venezuela (dove Mainolfi trascorse l’infanzia) fino ai viaggi nel sud-est asiatico e in Oceania. Forme perenni acquisite e rielaborate dalla memoria. Con non rare tentazioni di mutevolezza. Come le “Isole”, approdate da lontani “Arcipelaghi” fino alla “Cappella di Sant’Uberto”, due sculture a forma di grandi conchiglie in bronzo sospese su acuminati “peduncoli”, quasi fossero moderne acquasantiere. “Sculture – sottolinea lo stesso Mainolfi – che tentano di diventare natura nonostante le tentazioni avverse”.

Strane giravolte della fantasia. Esseri alieni, “per me – ancora Mainolfi – un autoritratto … nostalgie del mio corpo, ricordi di ciò che forse ero o vorrei essere, memoria di un’altra precedente vita”. Tutt’è possibile. Mainolfi dixit.

Gianni Milani

“Mainolfi/Sculture. Bestiario”

Reggia di Venaria, piazza della Repubblica 4, Venaria Reale (Torino); tel. 011/4992300 o www.lavenaria.it

Fino al 10 novembre

Orari: mart. – ven. 9,30/17; sab.-dom. e festivi 9,30/18,30

Nelle foto di Micol Sacchi (Fonte: “Consorzio delle Residenze Sabaude”): Luigi Mainolfi: “Silonte”, oro, 2006; “Apesse”, bronzo, 2009; “Nominon”, oro e bronzo, 2016: “Centauro”, bronzo, 2006

“E ogni notte sognerò un’altra versione di te”

Music Tales, la rubrica musicale

“E ogni notte sognerò un’altra versione di te

Che potrei non avere, ma che non ho perso

Ora sei dei segni di ruote e un paio di scarpe

E sono diviso a metà, ma dovrà andare bene così”

Classe 1997, Noah Kahan è un cantautore statunitense.

Nato e cresciuto a Stafford in una famiglia di origine ebraica da parte di padre, Kahan scopre la sua passione per la musica durante l’infanzia, iniziando a scrivere le sue prime canzoni all’età di 8 anni.

Inizia a caricare le sue prime canzoni su piattaforme come YouTube e SoundCloud durante l’adolescenza, iniziando presto ad attirare attenzioni e venendo notato dall’autore Dan Wilson.

Dopo aver abbandonato la carriera universitaria per concentrarsi sulla musica, nel 2016 firma un contratto discografico con Republic Records e inizia a lavorare con il produttore Joel Little.

Pubblica dunque il singolo di debutto Young Blood, a cui fanno seguito vari altri singoli nel corso dell’anno.

Nel 2018 pubblica il suo EP d’esordio Hurt Somebody, che include la collaborazione eponima con Julia Michaels, ed intensifica l’attività dal vivo aprendo vari concerti di George Ezra di cui vi ho parlato molti articoli fa.

Nel 2019 pubblica il suo album d’esordio “Busyhead” ed esegue il suo primo tour da headliner,

oltre ad aprire concerti per artisti come Dean Lewis e James Bay. Nel 2020 pubblica l’EP Cape Elizabeth. Nel 2021 pubblica il suo secondo album I Was/I Am, a cui seguono un secondo tour da headliner (star principale).

Un allievo mi ha fatto conoscere “Stick Season” e mi è piaciuta da subito quindi oggi vorrei segnalarvela.
Una ballade country per me incantevole che si lascia ascoltare.

Un brano, questo, che esplora temi di dolore, perdita, auto-colpa e desiderio, mentre il narratore affronta le conseguenze di una relazione fallita. La canzone è ricca di profondità emotiva e introspezione e regala belle sensazioni catturando le complessità nel gestire il dolore della separazione e cercare conforto in ogni dove, fosse anche in luoghi ed abitudini sbagliate.

“Vi sono perdite che comunicano all’anima una sublimità, nella quale essa si astiene dal lamento e cammina in silenzio come sotto alti neri cipressi. ”

      Buon ascolto

https://www.youtube.com/watch?v=iWG6apzIWAk

 

CHIARA DE CARLO

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi da non perdere!

Alla galleria Umberto Benappi la mostra dedicata a Tano Festa e Mario Schifano

 

 

È stata inaugurata domenica 23 giugno alle 18 la stagione estiva dello spazio in montagna della galleria Umberto Benappi, nella celebre località di Sansicario, con la mostra “Tano Festa-Mario Schifano”, in collaborazione con la galleria Il Ponte di Firenze.

Con il supporto creativo di Riccardo Pietrantonio, la “galleria di montagna”, che nasce per ospitare progetti realizzati in collaborazione con gallerie italiane e internazionali e per proporre cultura in territori dislocati, vede come primo ospite della rassegna estiva la galleria Il Ponte, fondata nel 1965 a San Giovanni Valdarno da Vincenzo Alibrandi, che nel corso della sua attività ha lavorato con artisti selezionati che abbracciano tutto il  secolo XX, mantenendo sempre uno sguardo sulla contemporaneità.

La mostra è  dedicata a due maestri della pop art italiana, Tano Festa e Mario Schifano, tra gli esponenti di spicco della Scuola di piazza del Popolo a Roma, insieme a Franco Angeli, Mimmo Rotella, Cesare Tacchi e Giosetta Fioroni. A partire dai primi anni Sessanta, questo gruppo di artisti accoglie con entusiasmo le istanze della pop art americana, declinandole in termini più  colti e concettuali e servendosi di immagini quotidiane estrapolate dal contesto urbano, dal patrimonio storico-artistico italiano, ma anche dal cinema e dalle pubblicità.

Tano Festa è considerato l’artista italiano più  vicino alla pop art. Divenuto amico di una serie di artisti romani riunitisi nel gruppo della scuola di Piazza del Popolo, tra cui Mario Schifano e Jannis Kounellis, raggiunse una fama che lo portò a partecipare a importanti mostre e a collaborare con importanti gallerie romane.

La produzione di Festa appare piuttosto variegata, anche se compare una tendenza a produrre una serie di opere sullo stesso tema, tra cui le più note sono le serie dedicate all’Adamo della michelangiolesca Cappella Sistina,  i ritratti di amici e familiari e i Coriandoli, su sfondi colorati e vivaci. Grande ammiratore della pop art, è  stato definito esponente della cosiddetta “pop art italiana”; egli era ben consapevole della differenza di contesto tra gli Stati Uniti e l’Italia, il cui esito poteva essere, piuttosto, un’arte italiana “popolare”, capace di prendere spunto dai grandi capolavori del passato per renderli attuali.

Mario Schifano, originario della Libia nel 1934, nei primi anni Quaranta si trasferì  a Roma e prima di essere assunto come assistente restauratore al Museo Etrusco di Villa Giulia, frequentòun corso di pittura insieme al padre e nel 1958 inaugurò la sua prima personale alla Galleria Appa Antica, per poi prendere parte alla Scuola di Piazza del Popolo. Per l’occasione, in una collettiva romana degli anni Sessanta, propose dei monocromatici su carta da imballaggio incollata su tela, con cui dà prova di una pennellata eccezionale inserita in uno o due campi cromatici, alternatidall’inserimento di sgocciolature e parole non particolarmente definite. È  evidente l’influenza della pop art americana e delle coeve esperienze di Jasper Jones. I colori sono di derivazione industriale e questo rende la sua pittura più vicina alle insegne stradali.

La prossima mostra, a luglio, sarà dedicata al collezionista Gian Enzo Sperone.

 

Mara Martellotta

Cavalli, cavalieri e… “Pomone”

Quelle “Arcane Fantasie” di Marino Marini in mostra al “Forte di Bard”

Fino al 3 novembre

Bard (Aosta)

Non un “artista fuori dalla storia”, come spesso la semplicistica “mitologia” creatasi intorno alla sua figura (di “artista-vasaio”“etrusco rinato” o “primitivo toscano che si scopre moderno suo malgrado”) ha teso a regalarci nel tempo, ma, al contrario, artista raffinato e di grande solida personalità in costante, consapevole e voluto raffronto con la scultura europea del Novecento, assimilata e fatta propria senza mai perder di vista la scultura antica – quella etrusca ed egizia, in particolare – che per lui fu oggetto di appassionata ispirazione e stimolo creativo. Riesce bene nel riportarci alle giuste e corrette dimensioni di chi fu fra i più importanti artisti italiani del XX secolo, la mostra ospitata, fino a domenica 3 novembre, al “Forte di Bard” (“Sala delle Cannoniere”) e dedicata a Marino Marini (Pistoia, 1901 – Viareggio, 1980). Saggiamente titolata “Arcane Fantasie” e promossa dal “Forte”, sotto la curatela di Sergio Risaliti – direttore del fiorentino “Museo del Novecento” – in collaborazione con “24 Ore Cultura” e “Museo Marini” di Firenze (cui si deve la gran parte dei prestiti) la rassegna si articola in ben 23 sculture e 39 opere su tela e carta.

In esse ritroviamo tutto il suo mondo di cavalli e cavalieri, quel mondo arcaico e solido (ispirato all’artista, pare, dal “Cavaliere di pietra” del Duomo di Bamberga, in Germania, e dalla scultura fiorentina del Quattrocento così come dalla “plastica” etrusca, non meno che dai grandi esempi della “Scuola del Verrocchio”), trasformato in un immobile abbraccio di forme indivisibili fra cavaliere e cavallo, in cui “c’è tutta la storia – diceva lo stesso artista – dell’umanità e della natura”. E accanto a cavalli e a cavalieri, i suoi guerrieri e le sue antiche divinità, il circo con giocolieri danzatrici. E le sue mirabili, inconfondibili, prosperose ed accoglienti “Pomone”, scolpite in bronzo a tutto tondo, prive di braccia – concepite in un effetto “distorsivo e deformante” in cui si palesa l’influenza dell’amico scultore inglese Henry Moore – e rappresentanti l’antica dea della “fertilità” per gli Etruschi, divenuta nell’antica Roma protettrice dei frutti e per questo solitamente raffigurata con una mela in mano.

 

Il pezzo di maggior prestigio allocato in mostra è sicuramente “Gentiluomo a cavallo”, scultura in bronzo datata 1937 ed arrivata a Bard su prestito della “Camera dei Deputati”, dov’è solitamente esposta proprio all’ingresso principale di Montecitorio, di fronte al Cortile d’Onore. Dopo aver seguito i corsi di pittura di Galileo Chini, all’“Accademia di Belle Arti” di Firenze, Marini si avvicina alla scultura nel 1922 (riprenderà a dipingere solo negli anni ’50), sotto la guida di Domenico Trentacoste, sempre presso l’“Accademia” fiorentina. Nel 1926 apre un suo studio in via degli Artisti a Firenze, dove inizia a portare avanti, sviluppandolo a seconda del mutare dei tempi e degli eventi socio-politici internazionali, un suo personalissimo stile legato a cifre narrative rivolte ad una ben precisa sensibilità moderna mai disgiunta dal gusto fedele alla tradizione. Fra i tanti incontri importanti, quello con Arturo Martini,  che, nel ’29, lo chiamerà a succedergli all’insegnamento all’“I.S.I.A. – Istituto Superiore per le Industrie Artistiche”, alla Villa Reale di Monza. La sua prima personale, a Milano, è del 1932. Nel 1935 vince il primo Premio per la Scultura alla “Quadriennale di Roma”. Sono questi gli anni in cui Marini circoscrive la sua ricerca artistica a due tematiche essenziali: il “cavaliere” e la “Pomona”. “Protagonista a suo modo – sottolinea Risaliti – delle ‘avanguardie’, Marino Marini seppe intuire che la scoperta del primordiale, del primitivo era la via necessaria per superare la crisi dei valori formali e spirituali della sua epoca”. Una sorta di benefica “sacralità” dell’arte arcaica, profondamente turbata, anni dopo, dalla tragicità degli eventi bellici.

Il secondo dopoguerra, infatti, inficerà l’immobile, silenziosa stabilità delle sue figure, per scarnificarle e deformarle in una forte tensione espressionista che andrà a coinvolgere anche la sua pittura, attraverso dettati cromatici più vigorosi e forme chiamate ad evocare, più che a descrivere. Del resto “come nell’amore – diceva Marini – nell’arte non si può spiegare tutto, certe parti rimangono nell’ombra luminosa del mistero”“Quel mistero – scriveva concorde il grande amico Moore – che dovrebbe avanzare pretese nei confronti dello spettatore”. Pretese spesse ignorate. Avidi, come siamo, di scrutare (magari di sfuggita) solo con gli occhi, piuttosto che con la più tenace e sensibile guida del cuore.

Gianni Milani

“Marino Marini. Arcane Fantasie”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 3 novembre

Orari: mart. – ven. 10/18; sab. – dom. e festivi 10/19. Lunedì chiuso

Nelle foto: Marino Marini: immagini allestimento e “Gentiluomo a cavallo”, bronzo, 1937

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Leif Enger “Virgil Wander” -Fazi Editore- euro 19,00

Leif Enger è nato nel Minnesota nel 1961 ed è lì che tutt’ora vive con la moglie e i due figli. Il suo esordio letterario risale al 2001 con il best seller “La pace come un fiume”, accolto dalla critica letteraria americana come il primo grande classico del nuovo millennio.

Virgil Wander” è stato pubblicato negli States 6 anni fa, nel 2018, ed ora grazie a Fazi arriva da noi. E’ un romanzo sull’America lontana dalle mille luci di New York, e sonda invece gli animi del Midwest che aveva votato Trump presidente.

Protagonista è il Virgil del titolo, orfano di entrambi i genitori, impiegato nell’amministrazione comunale di Greenstone, dimessa cittadina sotto tono e accusata di seguire ottusamente Trump. Un giorno d’inverno Virgil perde improvvisamente il controllo della sua scassata Pontiac e finisce dritto nelle acque del Lago Superiore.

Fortunatamente viene salvato, ma il trauma subito nell’incidente a causa di un potente colpo di frusta ha compromesso la sua capacità di esprimersi, peggio ancora, ha cancellato la sua memoria. Si ricorda solo alcuni sprazzi di vita e qualche persona. Il resto è buio sulla sua esistenza.

La diagnosi neurologica parla di “lieve danno cerebrale di origine traumatica” e l’arduo compito che lo attende è la faticosa ricostruzione del suo passato.

Ad aiutarlo mentre è convalescente nel suo triste appartamento da scapolo sono i pochi amici che non lo abbandonano. Tra loro soprattutto il giornalista Tom; poi altri personaggi, tra i quali la bella vedova Nadine, e il figlio del fondatore della cittadina.

 

Una piccola schiera di persone che lo spingono a recuperare tranche di vita. Al contempo permettono a Enger di ricostruire un romanzo corale in cui emergono poco a poco anche le vicissitudini di chi lo circonda con affetto.

 

 

Alexandra Lapierre “Fanny Stevenson” -edizioni e/o- euro 22,00

L’autrice è la figlia del grande Dominique Lapierre e una raffinata, meticolosa e appassionata biografa con una particolare predilezione per donne eccezionali, alle quali la Storia non ha mai dato il giusto risalto. Dietro a ogni libro di Alexandra Lapierre ci sono anni di studio, approfondimento, un’enorme mole di lavoro e ricerca per restituire ritratti a tutto tondo.

Per ripercorrere la vita di Fanny Stevenson ha macinato chilometri, scandagliato biblioteche e cantine, rovistato in lettere e documenti impolverati dal tempo e impiegato ben 5 anni. Convinta che sia impossibile raccontare una storia senza recarsi sul posto, ha viaggiato in lungo e in largo fino a Samoa. Il libro era uscito in prima edizione nel 1995, oggi ripubblicato da e/o.

Anny Van de Grift, Fanny Osbourne e Fanny Stevenson: una donna e tre nomi corrispondenti alle coordinate della sua intensa vita che vale per dieci.

Nasce a Indianapolis nel 1840, e muore a Santa Barbara in California nel 1914. Viene sepolta sul Monte Vaea, nell’arcipelago delle Samoa, dove riposa accanto al secondo marito Robert Louis Stevenson, che lei portò (contro il parere dei medici) nei mari del Sud del Pacifico.

Fanny vive incredibili peripezie, dal Nevada all’Indiana, dalla California alla Parigi degli impressionisti, dove si reca per affinare le sue ambizioni artistiche.

Ha al suo attivo un primo matrimonio fallito con un cercatore di argento nel Nevada.

Non si volta indietro, prende i tre figli e attraversa l’Oceano. Meta Parigi, attirata dall’arte ma senza soldi, ed è lì che in una catapecchia parigina muore in modo straziante il più piccolo dei suoi bimbi.

Quando arriva a Grez-sur-Loing nella comunità di britannici e stranieri assortiti che inseguono e affinano sogni artistici, incontra il malaticcio scozzese R. L. Stevenson. E’ coup de coeur per lo scrittore, più giovane di 11 anni, la cui vita cambia di colpo.

Una passione travolgente, ma anche intesa intellettuale profonda; è lei che lo sprona a riscrivere “Il Dottor Jekyll”, opera che gli procura immediata fama. Inoltre gli salva la vita, perché per curare le sue misteriose patologie polmonari lo trascina niente meno che a Samoa dove lo scrittore ritrova in parte la salute.

Fanny aveva ragione, probabilmente il marito non aveva la tisi, migliorò decisamente e fu un ictus a fulminarlo a soli 44 anni. La coppia a Samoa si costruisce una villa, oggi museo, e lì Stevenson si integra con gli abitanti del luogo che lo chiamano “Tusitala” ovvero narratore di storie.

Rimasta vedova si divide tra le isole e San Francisco, dove nel 1903 incontra Ned Field: lui ha 25 anni, lei 63. Sarà il suo compagno fino alla morte che la coglie nel 1914. Di lei Ned scrisse che era l’unica donna al mondo per cui valesse morire.

 

 

Deborah Levy “Cose che non voglio sapere”

-NNE- euro 15,00

Deborah Levy, nata in Sudafrica nel 1959, è una delle più importanti scrittrici inglesi. In un momento complicato della sua vita lascia la terra dell’apartheid per ragioni politiche, si mette in viaggio seguendo rotte a caso verso destinazioni non programmate. Dapprima approda in Inghilterra dove diventa scrittrice, moglie e madre.

Poi si stabilisce a Maiorca e, nell’intimità offerta dal paese straniero, decide di intraprendere un cammino intellettuale e profondamente emotivo, sul solco tracciato da grandi autrici come Virginia Woolf, Marguerite Duras e Simone de Beauvoir.

Questo libriccino è il primo capitolo della sua “Autobiografia in movimento”, in cui indaga il suo essere donna, l’emancipazione e gli odierni ruoli femminili, sempre con un registro ironico e acuto che non fa sconti. Mette a fuoco gli ostacoli che frenano le donne, come la società, la casa e il patriarcato, e scrive un interessante memoir femminista.

 

Debora Levy “Il costo della vita” -NNE-

Euro 15,00

E’ il secondo volume dell’”Autobiografia in movimento” dove prosegue le sue riflessioni sul ruolo femminile nel Ventunesimo secolo. Le difficoltà nel tentativo di riuscire a conciliare più mansioni tra lavoro e famiglia; ma analizza anche momenti topici come la fatica di un trasloco, il dolore di un divorzio e lo strazio di un grave lutto.

Un altro capitolo in cui racconta una madre esausta e poco amata, relegata in un misero appartamentino sulle colline londinesi. Li il capanno degli attrezzi di un poeta diventa anche la sua stanza tutta per sé dove trovare rifugio e immaginare nuovi inizi.

Rock Jazz e dintorni a Torino. I Subsonica e i CCCP

GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Per l’Evergreen Fest alla Tesoriera si esibiscono i Principi.

Martedì. Al Blah Blah suonano i Slapshot.

Mercoledì. Debutta il Festival “Flowers” alla Lavanderia a Vapore del Parco della Certosa di Collegno, con il concerto rap di Salmo & Noyz Narcos. Al Blah Blah suonano i Raining  Nails.

Giovedì. Per “Flowers” a Collegno si esibiscono i CCCP. Al Blah Blah sono di scena gli Arcano 16. Al Cafè Neruda suona il Ballestrero Liberti duo. Al Kontiki inaugurazione del Festival Climax con l’esibizione dell’attivista musicista Lotta.

Venerdì. A “Flowers” si esibiscono i Subsonica con Bianco. Al Blah Blah sono di scena i Domani Martina. Alla Tesoriera per “Evergreen Fest” si esibisce Serena Brancale. Artico Festival a Bra, propone nel parco della Zizzolla,  Vasco Brondi preceduto da Lucio Corsi.

Sabato. Per “Flowers” suonano gli Idles.  Al Parco della Tesoriera per il “Green Fest” si esibisce Simone Campa & Orchestra  Terramadre. Per Artico Festival a Bra è di scena Ditonellapiaga.

Pier Luigi Fuggetta

Vicoforte: un pilone, un cacciatore, un grande Santuario

L’abbiamo visto tutti la mattina del 17 dicembre 2017 quando il portone del santuario si è aperto per ricevere la salma di Re Vittorio Emanuele III giunta da Alessandria d’Egitto mentre due giorni prima erano arrivate, da Montpellier, le spoglie della Regina Elena.
Da allora riposano in una cappella del famoso santuario di Vicoforte Mondovì, sulle colline del monregalese. Accanto a loro, nel santuario della Madonna, come viene anche chiamato l’edificio religioso, si trova la tomba del duca di Savoia Carlo Emanuele I a cui si deve la costruzione del tempio. Fu proprio la cerimonia della traslazione delle due salme a riaccendere le luci sulla grandiosità del santuario, costruito tra la fine del Cinquecento e i secoli successivi, che nelle intenzioni di Carlo Emanuele I avrebbe dovuto diventare il mausoleo di Casa Savoia, poi superato dalla basilica di Superga. In quei giorni i piemontesi riscoprirono la fama e la bellezza della grande chiesa di cui in genere si parla poco, si vede poco e che invece meriterebbe più attenzione. Il pilone votivo di cinque secoli fa è diventato un monumentale santuario, un capolavoro del barocco piemontese, con una straordinaria cupola ellittica, la più grande al mondo con questa particolare forma. Certamente non una “piccola chiesetta di campagna” come l’ha definita il giovane Emanuele Filiberto, per polemiche tutte interne alla famiglia. Al di là delle tombe di illustri personaggi è la storia stessa del santuario di Vicoforte, intrisa di leggenda, che affascina i visitatori che ancora oggi si recano da queste parti in pellegrinaggio. Tutto cominciò alla fine del Quattrocento attorno a un pilone con il ritratto della Madonna con il bambino: la presenza di un cacciatore, folle di pellegrini e tanta fede fanno da contorno alla vicenda. Si racconta che il titolare di una fornace costruì un pilone campestre con un affresco, opera di un pittore locale, che raffigurava la Madonna per avere il suo aiuto nella produzione di mattoni. Passarono molti decenni finché un giorno un cacciatore colpì per errore la sacra immagine nascosta dai rovi e dalla boscaglia, il cui corpo, secondo le voci popolari, cominciò a sanguinare. L’episodio miracoloso creò nella popolazione una devozione eccezionale. A quel tempo c’era molta povertà, si moriva facilmente di peste e di altre malattie e la gente dei paesi circostanti, venuta a conoscenza di quanto era accaduto, accorreva nei pressi del pilone per chiedere la protezione dal cielo. Da quel momento eventi insperati e prodigiosi cominciarono a moltiplicarsi. La peste risparmiò da un giorno all’altro la maggior parte dei cittadini della zona, meno persone si ammalarono e i decessi diminuirono. Un sacerdote di Vicoforte si interessò subito al caso e, per ringraziare la Madonna, fece costruire una cappella attorno al pilone che era stato abbandonato in un bosco.
La notizia dei miracoli si propagò rapidamente nelle valli, centinaia e poi migliaia di fedeli entusiasti raggiunsero in pellegrinaggio la nuova chiesetta fermandosi a pregare e a chiedere la grazia alla Madonna. Nacque un autentico movimento popolare di devozione che interessò comunità e confraternite provenienti da tutto il nord-ovest dell’Italia. Il pilone e la chiesetta divennero meta di pellegrinaggi. Anche la piccola Vico ne beneficiò in termini economici: l’afflusso di pellegrini sempre più numerosi, anche dall’estero, fu una vera benedizione per commercianti e bottegai e nuove strade furono tracciate nell’intero territorio per agevolare l’arrivo dei fedeli. Il pellegrino più illustre fu Carlo Emanuele I, duca di Savoia che, alla fine del Cinquecento, decise di edificare in quel luogo un grande tempio da dedicare alla Madonna di Vico con al centro il pilone in marmo, oggi ingrandito e abbellito, con l’immagine della Madonna. Anche la moglie del Duca, l’infanta Caterina Michela d’Asburgo, figlia di Filippo II, re di Spagna, e nipote di Carlo V, subì il fascino di ciò che stava accadendo e sparse la voce in gran parte dell’Europa. Carlo Emanuele I, che troneggia nel monumento davanti al santuario, morì prima della fine dei lavori e fu sepolto nella chiesa. La grandiosa cupola ellittica, alta 74 metri, verrà completata nel 1731. I lavori del santuario si bloccarono più volte e terminarono verso la fine dell’Ottocento quando vennero costruiti i campanili e le tre facciate. Il santuario di Vicoforte è aperto tutti i giorni dalle 8.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 19.00.                    Filippo Re

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: All’Egizio a vita – Brancati come davvero fu – Sto con Zucchetti – Lettere


All’Egizio a vita

Il ministro Sangiuliano alla scadenza di un mandato di nove anni, per cui cambiarono anche lo statuto intendeva, non potendoci più essere conferme, sostituire alla presidenza del Museo egizio la madamina amata dall’Avvocato sulla ribalta dalle Olimpiadi invernali 2006. Con più articoli e un appello si è formata una falange macedone dei conformisti a sostegno della signora per una proroga. In effetti si potrebbe pensare ad una conferma a vita della “signora delle mummie”. Forse prevedendo tra cent’anni di accogliere lei stessa in qualche sala del museo come attrazione museale?

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Brancati come davvero fu

Salvatore Vullo è appena uscito con un pregevole ed originale saggio su “Vitaliano Brancati. Scoprire e riscoprire il grande scrittore”, Morrone editore, con prefazione di Gianni  Firera. Si tratta di un libro non meramente celebrativo, ma capace di ricostruire la vita e l’opera di un personaggio inquieto del primo Novecento. Si parte dalla nascita e dalla formazione in Sicilia a cui resterà sempre legato, per poi analizzare la sua passione fascista come accadde a tanti Italiani che confusero il patriottismo con il nazionalismo.  Molti vissero quell’esperienza quasi senza accorgersene, mentre Brancati ne uscì a testa alta. Poi il libro pone l’accento sulla collaborazione all’ “Omnibus” di Longanesi dove Brancati conobbe Pannunzio di cui divenne collaboratore nel dopoguerra al “Mondo”. Viene ricordato il tenero e pur effimero amore che lo legò ad Anna Proclemer, il ritorno ad insegnare in Sicilia e, fatto molto importante, il rapporto ideale tra Brancati e il giovane Sciascia. Il siciliano Vullo così legato alla sua terra, ma così cosmopolita nei gusti e nelle idee, ci offre un profilo assai sottile e profondo di Brancati, ma anche della letteratura e del mondo siciliano. A me piace sottolineare come Brancati, che rimase un liberale dopo le frequentazioni romane, tornò a fare il professore a Caltanissetta senza tentare di diventare un intellettuale engagé come tanti. Soldati mi sottolineava il suo spirito libero nel contesto di una cultura che stava per essere egemonizzata manu militari dal pci di Alicata e Ingrao.

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Sto con Zucchetti
Il prof. Zucchetti è  un degno e qualificato  professore ordinario del Politecnico di Torino che ha espresso le sue simpatie per Putin su Fb. Ha anche corretto il tiro e cancellato il post. Oggi è fatto oggetto di un linciaggio violentissimo inaccettabile. C’è chi  ne richiede anche la rimozione da professore ordinario, una richiesta assurda perché dalla  cattedra vinta si può essere solo  rimossi in casi gravissimi e comprovati e con procedure chiare a tutela dell’ imputato. La inamovibilità dei professori non è un arcaico privilegio, ma è a tutela della libertà di insegnamento contro cui il potere e i faziosi possono avventarsi, inventandosi pretesti. La scienza va tutelata sempre. Questo in Occidente lasciando ai russi l’onta di aver rinchiuso nel ghetto Sacharov.
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LETTERE   scrivere a quaglieni @gmail.com

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La nuova Giunta regionale

 Ho visto che sono intervenuti ben due ministri per fare la Giunta regionale, decidendo gli assessori, promuovendo o punendo i candidati. Mi è sembrato un intervento da proconsoli romani o romaneschi che umilia l’autonomia della Regione e il Presidente cui spetta la scelta degli assessori. Lei cosa ne pensa? Benedetto Pianta

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Ho letto anch’io sui giornali. Una prassi davvero mai sperimentata prima. Presidenti come Ghigo, Bresso, Viglione, Calleri mai avrebbero accettato interventi così pesanti. Questa è molto più che partitocrazia e va oltre anche al famoso manuale Cencelli.

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Palazzo nuovo devastato

I contestatori filo palestinesi hanno lasciato dopo un mese di occupazione palazzo nuovo in condizioni pietose. Gli occupanti hanno anche sfregiato di scritti via Po appena ridipinta dai commercianti. A parte il fatto di non aver impedito l’occupazione o aver costretto i palestinesi a disoccupare il palazzo, qui occorre almeno fermezza da parte del rettore che ne esce molto male, e dalla Questura. I danni vanno rimborsati.    Elvio Cassini

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Concordo. È  mancata la fermezza e il rispetto della legge. Le autorità accademiche si sono astenute da un intervento doveroso, lasciando Palazzo nuovo in balia di se stesso. Rettori come Allara, Cavallo, Pelizzetti, Bertolino mai avrebbero ceduto così.