CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 553

“Vitamine Jazz” arriva a 140 concerti: i nuovi appuntamenti

Due nuovi eventi  la prossima settimana all’Ospedale Sant’Anna per la rassegna  arrivata al centoquarantesimo concerto e alla sua terza stagione, organizzata per la “Fondazione Medicina a Misura di Donna” e curata da Raimondo Cesa. I concerti avranno inizio dalle ore 10.00 nella sala Terzo Paradiso in via Ventimiglia 3 aperta al pubblico, dedicata alle pazienti e ai loro cari.

Martedì 10 dicembre “3CHIC ”

Le 3CHIC sono formate dalle performers
Marinella Locantore
Martha Umana
Cristina Kesia Geremias.
Riccardo Chiara chitarra
Le 3CHIC sono un trio vocale al femminile di Torino che grazie alle divertenti sonorità vintage farà riscoprire tante bellissime canzoni del passato e del presente con classe ed ironia!
Nel repertorio spaziano dagli anni 40 ( Andrew Sisters, Trio Lescano ecc.) allo swing italiano degli anni 50 e 60, dagli standard jazz al blues al rockabilly, fino ad arrivare a brani odierni arrangiati in chiave vintage.
Le 3CHIC si esibiscono cantando e danzando coreografie a tema e arricchendo la loro esibizione con cambi d’abito e costumi scintillanti!


Giovedì 12 dicembre sarà la volta del gruppo “Just in Trio”

Fabriana Flauret voce
Leonardo Rinaudo chitarra
Alberto Palumbo contrabbasso

Pop-Chic è il termine che definisce la loro musica. Contrabbasso, chitarra e voce si uniscono con lo scopo di creare atmosfere essenziali, allegre, ma di classe.
Dai Beatles a Sting passando per Ray Charles, Caro Emerald, senza disdegnare un po’ di sano Jazz. con i grandi classici dello swing…
L’essenzialità della musica, l’immediatezza del repertorio, l’eleganza dell’immagine.
La base ritmica, la pulsazione, il movimento, sono affidati al contrabbasso di Alberto Palumbo.
L’armonia, la ricerca dei suoni, i giochi sulle corde sono della chitarra di Leonardo Rinaudo.
La voce, libera di muoversi su questa essenzialità, capace di accarezzare e di graffiare è di Fabriana Flauret.

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Ayanta Barilli  “Un mare viola scuro”  -DeA Planeta-  euro 17,00

E’ la ricostruzione -tra memoir e romanzo- della vita di 4 donne (inclusa l’autrice), legate ad altrettanti luoghi; ma ricompone una sola storia, quella delle antenate e della famiglia della Barilli. Ed è un racconto bellissimo, a tratti tragico, sicuramente emozionante. Ayanta Barilli è figlia del noto giornalista, saggista e polemista, Fernando Sánchez Dragó, che si separò da Caterina Barilli (professoressa di Storia e Filosofia) ancora prima che Ayanta nascesse. Oggi la giornalista radiofonica italo-spagnola esordisce come romanziera con “Un mare viola scuro”, caso editoriale in Spagna, arrivato finalista al premio DeA Planeta. Sono personaggi straordinari le antenate di cui ricostruisce la vita risalendo indietro per 3 generazioni, a partire dalla fine dell’800 per arrivare al 2017. La sfortunata bisnonna Elvira, nata a Padova, figlia di un matrimonio infelice; sposa di Evaristo, soprannominato (non a caso) Belzebù che la fece rinchiudere nel manicomio di Colorno, dove finì per impazzire davvero. Sua figlia Angela che viene affidata al padre e cresce disperatamente senza amore, sola e incompresa. Ricostruendo la sua storia, Ayanta tocca i luoghi del ramo italiano della famiglia: Parma, Padova, Roma e Tellaro, in Liguria, che ha ispirato il titolo del libro ed era il luogo delle vacanze estive. Poi c’è la madre della scrittrice, Caterina, che lega la sua vita nomade a quella dell’intellettuale Fernando; però non regge povertà, tradimenti e vita precaria. Rimasta incinta, torna a Roma dalla madre, ma l’attende una morte prematura. Sua figlia Ayanta cresce con l’adorata nonna Angela e alla sua dipartita sente l’urgenza di riannodare i fili delle vite che l’hanno preceduta. Un lavoro di ricerca titanico: a colpi di diari, lettere, foto, documenti e continue sorprese. Tutto per riportare alla luce la memoria del passato. Perché è così che Ayanta è riuscita a conoscere meglio se stessa, le sue origini e ci ha regalato un romanzo indimenticabile.

 

Esi Edugyan  “Le avventure di Washington Black”  -Neri Pozza-  euro 18,00

L’autrice canadese, ma di origini ghanesi, è un astro nascente della letteratura nord americana con al suo attivo il precedente romanzo “Questo suono è una leggenda” ( storia di un jazzista di colore perseguitato dai nazisti). In “Le avventure di Washington Black” ci regala un altro personaggio a cui affezionarci e del quale seguire le peripezie. Scenario della storia è l’isola di Barbados nel 1830, in piena epoca schiavista. Wash ha 11 anni ed è nato schiavo; quando muore il suo padrone la piantagione di Faith viene ereditata dal nipote  Erasmus Wilde, e la vita del bambino sta per svoltare. Erasmus è freddo, spietato e considera gli schiavi meno di nulla. Però ha la brillante idea di cedere Wash come valletto al bizzarro fratello minore Christopher, detto Titch. Lui è di tutt’altra pasta: geniale, sognatore, democratico e rispettoso delle vite altrui. E’ un naturalista e scienziato: sogna di librarsi alto nel cielo a bordo di un pallone aerostatico che battezza “Nemboveliero”, per il quale cruciale è il peso. E parte proprio da queste misurazioni l’avventura di Washington Black. Il romanzo diventa epico e ci trascina con continui colpi di scena dai campi di canna da zucchero intrisi del sangue degli schiavi a  più emozionanti avventure che porteranno il fanciullo in altri lidi: da un remoto avamposto nell’Artico fino al deserto del Marocco. Wash potrà così scoprire che nel suo destino possono esserci non solo frustate e cattiveria, ma anche le chanches per una vita più libera e dignitosa, in cui differenze sociali e colore della pelle vengono bypassate dal rispetto per ogni essere umano.

 

Colson Whitehead  “I ragazzi  della Nickel”  -Mondadori- euro 18,50

E’ il nuovo attesissimo romanzo di Whitehead, vincitore del Premio Pulitzer e del National Book Award con “La ferrovia sotterranea” (2016). Come allora, parte dalla storia vera per approdare a un romanzo duro, che non fa sconti. Quella bruttissima e vergognosa del Sud segregazionista di metà 900, delle lotte civili guidate da Martin Luther King. La Nickel Academy del titolo è ispirata alla Arthur G. Dozier School for Boys di Marianna, in Florida: istituto di correzione in cui, tra 1900 e 2011 (quando fu chiusa) transitarono migliaia di ragazzini afroamericani, dagli 8 ai 20 anni. Scuola – riformatorio per soli maschi, in cui il piccolo delinquente andava trasformato in “uomo onesto”. In realtà era una prigione dove venivano maltrattati, torturati ed uccisi. Bastava davvero poco per finire lì dentro: essere di colore ed etichettato come “incorreggibile”; concetto elastico che oscillava dal furtarello alla fuga da un genitore violento, o semplicemente non avere una famiglia alle spalle. A finire in questo inferno è il protagonista Elwood Curtis.  Bravo ragazzino studioso e lavoratore, abbandonato a 6 anni dai genitori e cresciuto dalla nonna. La sua unica colpa è aver accettato un  passaggio per andare al college ed essere salito sull’auto sbagliata, perché rubata. Tra realtà e finzione, centrale è la Casa Bianca, edificio sotterraneo della scuola in cui gli studenti subivano abusi, frustate e tutto l’orrore possibile. Nel prologo del romanzo c’è il ritrovamento di cadaveri in un cimitero segreto, ed è il primo impatto che non si discosta da quello che accadde veramente. Gli abusi commessi in quel pozzo di dolore senza fondo vennero alla luce anni dopo la chiusura. Quando furono scoperte innumerevoli tombe anonime, i cui resti (seppelliti di nascosto 50 anni prima) rivelarono agli scienziati il martirio subito dai ragazzini: violenze fisiche con svariati oggetti contundenti e armi da fuoco. E ancora una volta Colson Whitehead, uno dei massimi scrittori contemporanei, fa centro. Attinge alle testimonianze dei pochi sopravvissuti e continua il suo percorso di riappropriazione dell’identità afroamericana, scavando nelle tragedie del passato per vivere un presente consapevole e più pacifico.

 

 

L’elegante signore tenta la truffa ma il passato ritorna vendicativo e inaspettato

Sugli schermi “L’inganno perfetto” con Ian McKellen e Helen Mirren

 

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

 

 

La cena è fissata in un elegante ristorante londinese. Brian ed Estelle si sono conosciuti tra le domande e le risposte di un sito per cuori solitari, accampano la ricerca di un rapporto che li accompagni negli anni, loro oggi sulla soglia degli ottanta. Adesso sono seduti lì l’uno di fronte all’altra e lì si confessano di aver mescolato un po’ le carte, a cominciare dalle loro identità. Si chiamano Roy e Betty, lui è vedovo, un figlio in Australia, lei una ex docente di Oxford: pronta, dopo la piacevolezza della serata, con il passare dei giorni, ad aprirgli il cuore e la casa. Anche il conto in banca, a piccoli passi, con qualche cenno di (falso) tentennamento immediatamente rientrato, mentre un nipote (nipote?) attento e solerte ficcanaso s’interessa non poco al nuovo venuto. Ma la verità dove sta con esattezza, è quella che vediamo? se, alzatosi da tavola, Roy si dirige nel traffico verso un locale di lap dance per concludere la serata. E se, dando sfogo a quella che sembra essere la sua professione preferita, continua a spremere a suon di truffe quanti s’imbattono fiduciosi in lui e in quanti fanno parte del suo gruppo senza scrupoli. Non c’è bisogno di aspettare troppo tempo per rendersi conto di quanto l’elegante e sostanziosa vedova attiri economicamente l’affascinante e raffinato signore con il suo bel carico di menzogne, con la sua esistenza zeppa di sotterfugi, lei estremante disponibile, piena d’affetto, recalcitrante ai maturi consigli di chi gli sta accanto e cerca di metterla sulle difensive. Mentre vedrà lo spettatore quanto proceda la carriera di Roy, che non disdegna le strade ultime dell’assassinio pur di veder concretizzato ogni suo disegno.

Fin qui il regista Bill Condon, addentrandosi con L’inganno perfetto nella fitta rete di certezze e di sospetti, costruita con saggezza a tavolino (il film è tratto dal romanzo omonimo di Nicholas Searle), la butta in commedia, un po’ “carica” ma pur sempre commedia; saggia le atmosfere e i toni soprattutto di un’unione che tira via tranquillamente e lascia scoperto il nervo malato dell’uomo (relegando forse con un certo squilibrio le intenzioni e il gioco nascosto di Betty): poi, inaspettatamente, un soggiorno berlinese scava nel passato e in maniera disordinata – con un bel primo piano irriverente della sorpresa – dà il via ad un lungo flashback che capovolge quanto è stato finora, avanzando in una materia buia che ha le pretese di abbracciare le motivazioni del presente ma che allo stesso tempo fa non poco a pugni con il tessuto cadenzato delle truffe. Tutto arriva troppo inaspettato, non giocato nelle premesse e nei risultati, forzato nel racconto, mentre un’altra finestra si apre sulla vendetta di Betty, nel cambiamento e nel vuoto della sua casa un tempo ospitale.

Su questo materiale franoso, che la sceneggiatura di Jeffrey Hatcher non riesce ad arginare, anche Condon rimane inevitabilmente coinvolto, deve vedersela con il pericolo dell’assurdo: per fortuna può contare sulle prove maiuscole di Ian McKellen (già perfetto suo collaboratore in Mr Holmes – Il mistero del caso irrisolto e soprattutto Demoni e dei sulla vita di James Whale, l’autore di Frankenstein) e di Helen Mirren, abili nel costruire la loro sottile lotta del gatto col topo, lui un misto di eleganza e crudeltà, lei pronta ad attendere il proprio momento di vendetta tra affabilità e sorrisi di gentile dama britannica. È una gara che non risparmia sfumature da grandi attori, certo il punto più alto di un film che nella propria struttura pecca di un qualche smarrimento.

La Sanguigna di Leonardo di nuovo esposta

Dal  prossimo 10 dicembre sarà possibile ammirare nuovamente l’Autoritratto di Leonardo da Vinci, la celebre “sanguigna” ospitata a Torino. Si potrà vedere nell’ambito della rassegna “Leonardo. Disegnare il futuro”,  fino all’8 marzo,  nelle sale della  Biblioteca Reale nella mostra “Il tempo di Leonardo. 1452 – 1519”, a cura dei Musei Reali, in chiusura dell’anno dedicato al 500° anniversario della morte del genio toscano.

Racconti magici: i libri del Natale

DEDICATI AL PERIODO PIU’ AMATO DELL’ANNO

Natale si avvicina, nelle città cominciano a brillare le luminarie, le vetrine dei locali sono decorate a festa, i negozi espongono oggetti adornati in rosso e oro.
Si inaugurano i mercatini al profumo di zucchero filato e cannella, l’atmosfera, nonostante il clima freddo e frizzante, è calorosa e fatata. Nessuno, o quasi, è immune all’arrivo di questa festa, è praticamente impossibile non essere coinvolti nella ricorrenza per eccezione e sebbene il suo lato consumista è ragguardevole e per certi versi più eloquente del significato religioso e tradizionale, il suo potere armonico e la sua capacità di rinsaldare i legami, anche se solo per pochi giorni, è indiscutibile.


Cosa ci aspettiamo, ma soprattutto cosa regaleremo ai nostri cari è un quesito che comincia a girovagare nella nostra mente molto tempo in anticipo. L’offerta è sconfinata, oggetti di ogni tipo, cibo e ovviamente tanta tecnologia. Fortunatamente anche le librerie in questo periodo sono prese d’assalto e per una volta la coda alle casse è un belvedere, la prova che le parole sulla carta sono ancora amate, che i libri sono ancora oggetto di desiderio.

Dopo aver fatto l’albero, abbellito la casa con decorazioni evocative, bevuto una cioccolata al profumo d’arancia e messo su una raccolta di canzoni natalizie, cosa c’è di più celebrativo di un libro sul Natale, di storie che si intrecciano tra calendari dell’Avvento e abeti profumati? I volumi dedicati a questa festa sono molti e ogni anno se ne aggiungono altrettanti, sia per bambini che per adulti: racconti, rime, fiabe, righe e pagine emozionanti ci fanno sentire e vivere più intensamente il periodo della natività più famosa, di Babbo Natale, del pungitopo e di Rudolph, la renna dal naso rosso. Tra i libri più famosi dedicati al Natale troviamo Il Canto di Natale di Charles Dickens, un bellissimo romanzo che racconta della trasformazione del vecchio e tirchio Ebenezer Scrooge, visitato da tre spiriti la notte di Natale. Il racconto rappresenta anche una dura critica allo sfruttamento del lavoro minorile ed un sollecito sociale alla povertà dilagante di quel tempo. Il nostro Gianni Rodari ne Le più belle storie di Natale si rivolge ai più piccoli con filastrocche e poesie, “la neve è bianca come il sale, la neve è fredda, la notte è nera, ma per i bambini è primavera” scriveva e ancora “se fossi io il mago di Natale farei spuntare un albero di Natale in ogni casa”.

Il Ricordo di Natale, di Truman Capote, narra con grande intensità di un bambino lontano dai genitori, un’anziana cugina, una grande casa di campagna nell’Alabama piena di parenti che “hanno potere su di noi, e ci fanno spesso piangere”. Rosamunde Pilcher, in Solstizio d’inverno, racconta la storia tra Oscar ed Elfrida che delusi dalle loro vite decidono ricominciare in Scozia lasciandosi tutto alle spalle. La Leggenda della Rosa di Natale è la Svezia delle fiabe, di quelle antiche che Selma Lagerlöf racconta suggestivamente. Una foresta che si trasforma in giardino, montagne e ghiacci accudite da una vecchietta che non si rassegna alla solitudine. Decisamente meno spensierato ma dedito invece ad una riflessione sul Natale e le sue contraddizioni, come la speculazione cinica nello scambio dei regali mascherato da bontà ed altruismo da parte delle aziende, troviamo I figli di Babbo Natale, di Italo Calvino, uno scenario fulvo-amaro dove anche il “regalo distruttivo” trova spazio a favore del freddo e sprezzante denaro. Tra le novità troviamo Natale a Torino, quindici racconti al Museo, edito da Neos: quindici racconti ambientati nel periodo natalizio ci trasportano nei musei di Torino e ci fanno vivere avventure inconsuete, all’insegna dell’arte e del crimine, della grande storia, quella dei libri, o delle piccole storie, quelle stampate nei ricordi di bambini e nonni.

 

Maria La Barbera

Sono la linea…

Poesia e illustrazione di Sara Sciammaro

 

Sono la linea
su cui sei stato in equilibrio
prima di cadere

Profumo d’incenso,
divani impolverati
e vecchi dischi
Confortevole compagnia,
per gli sguardi incrociati,
prima del mio superamento

Quanta immobilità
si nasconde dietro
al desiderio di libertà?
Preferirei svanire
o viaggiare sul treno
di un fugace pensiero

Ma rimango qui
ad essere un limite
per chi non ha coraggio

La sadica carceriera non permette che la sua eroina possa morire

“Misery” al Gobetti per la stagione dello Stabile sino a domenica 15 dicembre

 

William Goldman – celebre sceneggiatore di Butch Cassidy e Billy the Kid e Tutti gli uomini del presidente che gli valsero due premi Oscar, nel ’70 e nel ’77, nonché autore del Maratoneta divenuto opera cinematografica di Dustin Hoffman e John Schlesinger (1976), adattò per il palcoscenico Misery dal film di Rob Reiner (Oscar per Kathy Bates nel 1991) che a sua volta aveva le proprie salde radici nel romanzo di Stephen King: e Misery è la nuova regia di Filippo Dini, anche interprete, per il cartellone del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale che produce con Fondazione Teatro Due di Parma e il Teatro Nazionale di Genova. Radici, si diceva, che affondano nei primi anni Ottanta, ricordava King, quando in viaggio con la moglie su un aereo dell’American Airlines immaginò “di un popolare scrittore caduto nelle grinfie di una fan psicopatica, emarginata da una crescente paranoia, che abitava in una fattoria spersa chissà dove. La tizia aveva una stalla con del bestiame, compreso un cucciolo di scrofa, battezzato Misery in omaggio alla protagonista della serie di bestseller scollacciati firmati dal suo idolo”.

All’apertura del sipario, lo scrittore Paul Sheldon è già intrappolato in un minuscolo letto, una spalla lussata e le gambe ancor più malconce. In quelle condizioni lo ha raccolto Anne, dalla sua macchina ricoperta dalla neve, disastrata, inservibile, lo ha portato in casa sua, lo ha curato forte dell’esperienza di ex infermiera, l’ha chiuso in quella stessa solitudine, in quell’isolamento ricercato in cui essa stessa vive e sopravvive. Perché tutto questo? Perché Anne è “l’ammiratrice numero uno” dello scrittore, dal primo romanzo edito segue le avventure di Misery, la considera un’eroina, per cui quando viene a sapere che il prossimo libro sarà l’ultimo concepito da Paul e che per di più vedrà la morte dell’eroina come un definitivo cambio di registro verso altre esperienze, si ribella: obbligherà lo scrittore a mutare parere, con qualsiasi mezzo, lecito e illecito, in una prigionia che si perpetua per settimane, con debolissimi momenti di ribellioni subito cancellati, con parole aspre e con supplizi, in una scrittura da parte di Goldman non poche volte vittima della ripetitività (qualche taglio gioverebbe a dare respiro allo spettacolo), che scende nell’azione e nelle parola che l’uomo e la donna instaurano nella claustrofobia di quel chiuso spazio. Che la scenografa Laura Benzi, priva com’è delle ricchezze cinematografiche, poggia su una pedana girevole per farci respirare ora nella piccola entrata, nella cucina o all’esterno della casa per un paio di arrivi di uno sceriffo che comprende troppo tardi lo svolgimento di quella prigionia. Vince su quell’azione, che potrebbe ristagnare e andare a scontrarsi con l’attenzione dello spettatore seduto nelle poltrone del Gobetti, per altro pronto a gustarsi anche gli spunti umoristici che inaspettatamente si ritrovano nella serata, è l’attenta regia di Filippo Dini, che sfrutta al meglio il soffoco di quelle stanze e le incredibili “stranezze” della folle carceriera (che folle non si ritiene, affatto, anzi più che equilibrata e normale, più di una volta declama l’amore che la lega a quell’uomo), ce ne mostra i mezzi, gli oggetti di convincimento, le tangibili prove con cui fino all’ultimo avviluppa lo scrittore nelle proprie decisioni.

Soprattutto fa un gran lavoro di cesello sulle psicologie, sui comportamenti dei personaggi, il suo trascorrere tra dolore e rabbia e terrore, il suo continuo inventarsi un sorriso e un accondiscendere ai progetti altrui, vittima che gioca ogni momento a reagire; che sono il succo della serata ad opera di Arianna Scommegna, feroce e implacabile (il momento in cui spezza le caviglie al malcapitato è, teatralmente, da brivido), ritratto esatto dell’esasperazione affascinata che abbraccia la pagina scritta e chi la compone, padrona di quegli spazi e di quella vita, che s’è inventata un lodevole modo di procedere, che si mostra già fin dall’aprire e dal chiudere soprattutto le porte di casa, anch’essa pronta a disegnare momenti più “dolci”, quasi allineati ad una certa debolezza, e altri introdotti da urla e comandi, pronti a sfociare in azioni barbare e sanguinolente, rivoli di follia che lo spettatore attende ma che si rivelano ancor più concreti di quanto già ci si possa aspettare. Ancora da ricordare, a stretto obbligo, le musiche di Arturo Annecchino, che percorrono e arricchiscono con vera suspence le azioni dello spettacolo.

 

Elio Rabbione

 

Le immagini dello spettacolo sono di Alice Pavesi

Arriva in città il musical di Alice nel Paese delle Meraviglie

Tra gli eventi da non perdere in questo fine settimana, vi segnaliamo il musical Alice nel Paese delle Meraviglie!

Proprio nel giorno dell’Immacolata, l’8 dicembre 2019, al Teatro Nuova va in scena il musical Alice nel Paese delle Meraviglie.

Perché vedere il musical di Alice nel Paese delle Meraviglie

Tratto dall’omonimo romanzo di Lewis Carrol, il grande classico della letteratura mondiale prende una nuova forma nel musical prodotto dalla Compagnia delle Formiche. Un cast eccezionale, spettacolari colonne sonore e una scenografia imponente daranno vita alla celebre storia. E, proprio come nel Paese delle Meraviglie, le emozioni (e le sorprese!) sono garantite!

Se non avete preso impegni, vi consigliamo di perdervi con Alice, lasciandovi guidare nella tana del Bianconiglio. Incontrerete gatti che parlano, bruchi esistenzialisti e moltissimi altri personaggi.

Qui trovate i biglietti.

Quando

8 dicembre 2019, dalle 15:30 alle 19:30

Primo spettacolo alle 15.30 e secondo spettacolo alle 18.30

Dove

Teatro Nuovo

Corso Massimo d’Azeglio, 17Torino

 

Un sabato sera al Planetario per guardare la Luna

Torna al Planetario di Torino l’appuntamento dal titolo Segui la Luna, una serata per osservare il cielo autunnale e, soprattutto, la Luna nel tardo pomeriggio.
Rientra nell’insieme di appuntamenti dedicati al 50esimo anniversario dello sbarco dell’uomo sulla Luna.

Cosa prevede l’evento al Planetario

Il programma dell’evento prevede una visita libera del Museo interattivo e uno spettacolo dal titolo Apollo 11 nel Planetario. Ciliegina sulla torta sarà l’osservazione della Luna, permessa grazie al telescopio sulla terrazza del Museo. 

E visto che siamo in autunno inoltrato ormai, il Museo ha pronto un piano B in caso di cattivo tempo: l’attività di osservazione lunare sarà sostituita da uno spettacolo con approfondimenti dedicati a Luna.

Tutte le informazioni

Dove e quando

7 dicembre 2019, dalle 19:00 alle 21:00

INFINI.TO – Museo dello spazio e Planetario Digitale

I biglietti della serata sono disponibili qui.

Scoprire i cantautori all’Unitre

Dal Piemonte

Due grandi cantautori, durante il corso di musica all’Unitre di Casale Monferrato, sono stati protagonisti di diverse approfondite lezioni tenute da Giorgio Belletti che ha riportato in vita Gianmaria Testa e Luigi Tenco attraverso precise ricostruzioni biografiche e significative testimonianze audiovisive.

Non famoso come Paolo Conte ma che in qualche modo gli può stare accanto, Gianmaria Testa (Cavallermaggiore 1958- Alba 2016) definito “Il cantante italiano che la Francia ci invidia” è stato ricordato sottolineandone la poliedrica personalità che lo ha consegnato a successi internazionali.


E’ bastato ascoltare alcuni brani di forte impegno sociale cantati con voce roca e vibrante oltre alla sincera semplice poesia di “Piccoli fiumi”, “Polvere di gesso”, “La tua voce” per cogliere l’alto livello di un cantautore dallo stile personalissimo e avvincente che ha intrecciato accenti di tango, habanera, bossa nova e jazz.

Più intimista, sommesso, intellettuale imbevuto di esistenzialismo e di poesia crepuscolare, fragile, seppur nei brani di protesta mostri un insolito fervore in nome della giustizia, della libertà e l’avversione alla guerra, Luigi Tenco(Cassine 1938- San Remo 1967) è stato ampiamente ricordato con belle emozionanti canzoni quali, tra le tante, “Se stasera sono qui”, “Lontano lontano”, “Mi sono innamorato di te “, “Vedrai vedrai” soffuse di malinconia, solitudine, rimpianto che hanno avuto il merito di rivoluzionare il modo di cantare i sentimenti con parole anticonvenzionali mai usate prima.

Attraverso collages audiovisivi, preparati dalla sapiente regia di Giorgio Belletti, è stato indagato ogni aspetto della vicenda umana e artistica del grande esponente della Scuola di Genova, che, come Fabrizio De Andre, Bruno Lauzi, Gino Paoli, ha portato le canzoni ad alto livello di spessore artistico tanto che, per sottolineare la differenza dalle banali canzonette, un giornalista del Corriere di Informazione definì, con una simpatica appropriata definizione, “Mica stupide”.

Ancora nel 1967 la differenza non fu capita se al festival sanremese furono preferite “ Io tu e le rose” e “La rivoluzione” senza premiare la superiorità di “Ciao amore ciao”.
A distanza di tempo, l’interessante lezione, è stata coinvolgente e illuminante sulla causa della cocente delusione di Tenco che ha visto in pochi minuti svanire il suo sogno ambizioso di educare il vasto pubblico alla canzone intelligente da non confinare esclusivamente nella nicchia.

L’ultimo scritto lasciato prima del suicidio ha documentato un atto di protesta talmente estremo da…… servire a chiarire le idee a qualcuno ….
Sicuramente al tragico gesto hanno concorso l’ipersensibilità, i traumi familiari, i sensi di colpa, il macerato compiacimento della solitudine, della sofferenza e della morte che lo avvicinano al clima dell’infelicità romantica ottocentesca, allo spleen del decadentismo e, in qualche modo, alla tipologia dell’artista maudit che tanto affascina da farlo entrare nel mito.

Giuliana Romano Bussola