CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 552

La Gazzetta del Popolo, in mostra 135 anni di storia

“La storia del giornalismo, non soltanto torinese ma nazionale, scorre nelle pagine e nelle testimonianze della Gazzetta che vediamo in questa mostra. Non possiamo permettere che un patrimonio storico e culturale di questo genere vada disperso: troviamo una sede che possa ospitare questi preziosi materiali”

Con questo appello Luca Rolandi, giornalista e curatore del progetto, ha concluso la presentazione della mostra “Gazzetta del Popolo 135 anni tra storia, giornalismo, cultura” che si è aperta il 18 aprile alla presenza di numerosi giornalisti, grafici, fotografi che lavorarono in quel giornale.  

La mostra storica sul quotidiano torinese che per 135 anni, dal 1848 al 1983, ha raccontato l’attualità italiana è stata introdotta dagli interventi dei molti soggetti che hanno partecipato alla realizzazione del progetto: il presidente del Consiglio regionale del Piemonte, Sergio Soave e Alessandro Bollo presidente e direttore del Polo del ‘900, Daniela Orta responsabile ricerche Museo Nazionale del Risorgimento, Alberto Sinigagliapresidente Ordine dei giornalisti del Piemonte, Stefano Tallia Associazione Stampa Subalpina, Gianfranco Morgando Fondazione Donat-Cattin, Iole Scamuzzi e Mauro Forno Università di Torino. La realizzazione della mostra è stata possibile grazie alla collaborazione di: Consiglio regionale del Piemonte, Museo Nazionale del Risorgimento, Polo del ‘900, Fondazione Donat-Cattin, Ordine dei Giornalisti, Centro Pestelli, Museo della stampa di Mondovì, Archivio storico della Città di Torino, Università di Torino e la preziosa raccolta del collezionista Giorgio Coraglia. La mostra “Gazzetta del Popolo. 135 anni tra storia, giornalismo, cultura” – a ingresso gratuito – è articolata in tre sezioni storiche e tematiche:

Al MUSEO NAZIONALE DEL RISORGIMENTO dall’anno della fondazione nel 1848 fino all’intervento dell’Italia nella Grande Guerra nel 1915. In esposizione litografie, prime pagine, bozzetti, inserti, caricature, oggetti che documentano i primi 67 anni di vita del giornale.  

Orario: sempre aperto dalle 10 alle 18 (ultimo ingresso ore 17). Chiuso lunedì 6 e 13 maggio.

Chiusura della mostra: 19 maggio 2019.

PALAZZO LASCARIS gli anni dal 1916 al 1945, il periodo in cui il giornale era allineato con il governo fascista, fino alla Gazzetta d’Italia. In esposizione le pagine del Diorama letterario, i supplementi tematici, le vignette satiriche. Una parte è dedicata alla crisi del giornale del 1974 che portò alla prima sospensione della tiratura, crisi in cui il Consiglio regionale del Piemonte ebbe un importante ruolo di mediazione svolto dal presidente Aldo Viglione.

Orario: dal lunedì al venerdì 9 – 17. Chiuso nei giorni festivi.

Chiusura della mostra: 6 maggio 2019.

Al POLO DEL ‘900 il periodo tra il 1946 e il 1983. Sono presentate le interviste a chi lavorò alla Gazzetta tra gli anni ‘60 e ‘80, le prime pagine relative ai grandi eventi dal 1945 al 1983, i documenti delle crisi aziendali del 1974, 1981 e del 1983 e il periodo dell’autogestione.

Orario: dal martedì alla domenica 10-18, giovedì 14-22. Lunedì chiuso 

Chiusura della mostra: 19 maggio 2019

In tutte le tre sedi sono presentati video con le interviste a 15 tra giornalisti e grafici, le immagini storiche concesse dalla Teche Rai e dall’Archivio cinematografico della Resistenza sull’inaugurazione della sede in corso Valdocco del 1930, le gite sociali e la crociera con i lettori, il lavoro alla Gazzetta negli anni ’60. Il catalogo della mostra, coordinato da Alicubi, raccoglie i contributi di: Sergio Soave, Claudio Donat-Cattin, Alberto Sinigaglia, Luca Rolandi, Umberto Levra, Mauro Forno, Bartolo Gariglio, Iole Scamuzzi, Dino Aloi, Ezio Mauro, Giampaolo Boetti, Piero Bianucci, Salvatore Tropea, Gian Mario Ricciardi, Beppe Fossati, Cesare Martinetti, Cenzino Mussa, Giampiero Gramaglia, Lorenzo Gigli, Franco Piccinelli. Tre momenti di approfondimento arricchiscono il progetto culturale anche in occasione della Giornata della Libertà di Stampa:

Giovedì 2 maggio, alle 21, al Teatro Vittoria (via Gramsci 4 a Torino), lo spettacolo teatrale “NELLIE BLY – a cosa servono le donne” mette in scena la storia di Elizabeth Jane Cochran, in arte Nellie Bly. Giornalista d’inchiesta statunitense di fine ‘800. Ingresso libero con prenotazione obbligatoria, mail: liberipensatoripaulvalery.com   tel. 349.7808023 – 340.2254582

Lunedì 6 maggio dall 9 alle 13, si svolgerà a Palazzo Lascaris (via Alfieri 15 a Torino) un convegno dal titolo: “LIBERI DI INFORMARE? Dalla Gazzetta del Popolo al City Journalism”, rivolto al pubblico ed ai giornalisti iscritti alla piattaforma Sigef.

Martedì 14 maggio alle 18, nella sede del Coworking Copernico in corso Valdocco 3 a Torino – negli stessi spazi occupati fino al 1981 dalla Gazzetta del Popolo – si terrà un incontro con i testimoni del tempo dal titolo: “LA CASA DELLA GAZZETTA DEL POPOLO: una storia da raccontare”.

 

La prima immagine pittorica del mercato di "Porta Pila"

Giovanni Michele Graneri. Piazza del mercato delle Frutta a Torino”

“Contornata da grandi Fabbriche con Portici uniformi, disegno del Cavaliere D. Filippo Juvarra. Vi si fa il Mercato d’ogni sorta di frutti, Pesci, e Butiro all’ingrosso ed al minuto. Da un lato di essa si vendono li Panni lini usati, e nuovi”: correva l’anno 1753 e tal Gaspare Craveri, nella sua “Guida de’ forestieri per la real città di Torino”, così descriveva l’allora Piazza del Mercato (ancora in nuce) di Porta Palazzo, il grande spazio pubblico progettato, a partire dal 1716, dall’architetto Filippo Juvarra sul luogo esatto dal quale entrarono in città nel settembre del 1706 il duca Vittorio Amedeo II e il cugino Eugenio di Savoia-Soissons, dopo la vittoriosa battaglia contro i Francesi. Descrizione secondo il lessico del tempo, quella di Craveri, confermata in chiave pittorica dall’olio su tela realizzato, solo tre anni dopo nel 1756, da Giovanni Michele Graneri (Torino 1708 – 1762), titolato per l’appunto “Piazza del mercato delle Frutta a Torino” e di recente entrato– dopo vari passaggi nell’ambito del collezionismo privato – a far parte delle Collezioni del torinese “Museo Accorsi-Ometto”. Ritrovata nell’autunno scorso ed acquistata dalla Fondazione di via Po, cui fa capo l’omonimo Museo, la tela – la più antica raffigurante l’area mercatale di Porta Palazzo, per i torinesi “Porta Pila” – è dunque oggi esposta al pubblico e visibile nel normale percorso museale. Allievo di Pietro Domenico Olivero, in allora a Torino fra i più importanti pittori legati alla scena di genere d’origine seicentesca (i cosiddetti “bamboccianti”), Graneri realizzò, negli anni Cinquanta del Settecento, quattro tele rappresentanti quattro popolari mercati torinesi: oltre alla citata “Piazza del mercato delle Frutta” raffigurante Porta Palazzo, il “Mercato in piazza San Carlo a Torino” con il suo pendant del 1752, il “Mercato al Borgo del pallone” ( entrambi acquistati nel 1931 dallo stesso Pietro Accorsi per il Museo Civico subalpino ) e la “Piazza delle Erbe a Torino con il mercato e l’estrazione del lotto”, anch’essa datata 1756 e oggi conservata al “John and Mable Ringling Museum of Art” di Sarasota in Florida. “Quattro opere – ipotizza Luca Mana, responsabile delle Collezioni del Museo – che probabilmente dovevano essere esposte insieme all’interno di Palazzo Civico, per mostrare i diversi aspetti, divertenti e realistici, dei contemporanei mercati cittadini”. Quasi certamente ispirato da un’incisione del 1749 di Giovanni Battista Borra, architetto e disegnatore piemontese – fra gli allievi di maggior talento di Bernardo Antonio Vittone – il dipinto acquisito ed esposto per la prima volta al pubblico dal “Museo Accorsi-Ometto” rappresenta una preziosità non da poco per la storia di Torino e dell’arte torinese. “L’opera di una qualità pittorica molto alta – sottolinea ancora Mana – è sicuramente la più antica e attendibile rappresentazione della piazza e del primo nucleo di quello che nell’Ottocento diventerà poi il mercato di Porta Palazzo”. Ben visibili sulla tela sono anche i monumenti e le architetture che, al tempo, era ancora possibile ammirare dal centro della piazza: da sinistra a destra, la cupola e il campanile della Basilica Mauriziana, la chiesa di San Rocco, l’alta Torre Civica (abbattuta dai Francesi a inizi Ottocento) e la cella campanaria di San Domenico. In primo piano, sfila invece la perfetta teoria dei palazzi porticati che il messinese Juvarra progettò quale scenografico ingresso settentrionale alla capitale sabauda, mentre nel cuore della piazza vive, attraverso una minuta e certosina descrizione scenica, una sorta di “presepe laico”, come ancora Mana definisce quel vivace teatrino della più varia umanità torinese del Settecento, in cui all’unisono si muovono figure colorate, venditori di frutta e verdura o di stoffe e panni nuovi e usati, mamme con bambini, mendicanti e orfanelli intenti a chiedere l’elemosina, uomini elegantemente vestiti e poveri diavoli squinternati e rattoppati alla bell’e meglio, accanto a guardie impegnate nell’arresto d’una donna di malaffare e divertiti cantastorie. Tutto il mondo d’allora. Di campagna e di città. In quell’angolo di mercato torinese destinato a diventare, qual è oggi, il più grande mercato all’aperto d’Europa.

Gianni Milani

“Giovanni Michele Graneri. Piazza del mercato delle Frutta a Torino”
Museo Accorsi-Ometto, via Po 55, Torino; tel. 011/837688 o www.fondazioneaccorsi-ometto.it
Orari: mart. – ven. 10/13 e 14/18; sab. – dom. e festivi 10/13 e 14/19

Nelle immagini
– Giovanni Michele Graneri: “Piazza del mercato delle Frutta a Torino (Porta Palazzo)”, olio su tela, 1756
– Giovanni Battista Borra: “Piazza del mercato di Porta Palazzo a Torino”, acquaforte, 1749
– Giovanni Michele Graneri: “Mercato in piazza San Carlo a Torino”, olio su tela, 1752
– Giovanni Michele Graneri: Mercato al Borgo del Pallone”, olio su tela, 1752
 

Oro bianco, porcellane in mostra a Vinovo

Ancora due weekend, oltre al giorno di Pasquetta e al 25 aprile, per ammirare al Castello della Rovere di Vinovo le porcellane della Reale Manifattura di Vinovo nella mostra “Oro bianco, la ricerca della bellezza”
Sono esposte per la prima volta, tra le mura del castello, nel luogo dove furono create, oltre 200 porcellane e materiali provenienti da collezioni private, dalle raccolte di Palazzo Madama-Museo Civico d’Arte Antica e del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, dall’Archivio di Stato di Torino e dall’Archivio Storico di Torino. La manifattura di Vinovo fu l’unica in Piemonte a essere fondata sotto l’egida della monarchia sabauda tanto da potersi fregiare del titolo di “Regia Fabbrica di Porcellane”. Fu aperta nel 1776 nel Castello di Vinovo affidato dal Re all’Ordine Mauriziano, grazie all’ingegnosità di un torinese, Giovanni Vittorio Brodel e di un ceramista di Strasburgo Pierre Antoine Hannong la cui conoscenza dell’impasto segreto della porcellana lo aveva condotto alla manifattura di Sèvres e poi a fondare le prime fabbriche di porcellana dura. Nella fabbrica di Vinovo era impiegato un gruppo di lavoratori francesi, tedeschi e italiani, che in pochi anni portarono la produzione a livelli di grande qualità. Tuttavia alcune difficoltà bloccarono le attività nel 1779 ma furono riprese l’anno successivo dal medico e chimico torinese Vittorio Amedeo Gioanetti che rilanciò la produzione mettendo a disposizione le proprie conoscenze nel settore chimico e geologico. Alla sua morte nel 1815 gli subentrò Giovanni Lomello, suo stretto collaboratore, il quale però non riuscì a replicare il successo ottenuto sotto la direzione Gioanetti e la manifattura chiuse definitivamente nel 1822. Un percorso espositivo guida i visitatori in cinque sezioni che ripercorrono cronologicamente i tre periodi di produzione dal 1776 al 1822 con la gestione Hannong- Brodel, quella di Gioanetti e infine quella di Lomello. La visita della mostra offre l’opportunità di dare un’occhiata al Castello della Rovere. È infatti visibile per la prima volta il ciclo dipinto con stemmi del Cinquecento recentemente restaurato nella torre nord del Castello mentre sono ancora in lavorazione le pareti su cui sono emerse importanti testimonianze storico-artistiche. Inoltre possono essere ammirati nel chiostro del castello gli affreschi di notevole valore artistico che decoravano la fascia superiore del primo ordine di arcate. La mostra è stata realizzata anche grazie al contributo della Compagnia di San Paolo ed è stata coordinata dal Comune di Vinovo, dallo storico vinovese Massimiliano Brunetto e dall’Associazione Amici del Castello. È aperta al pubblico ancora sabato 20 aprile ore 9.30/12.30 e 14.30/19.00, è chiusa il giorno di Pasqua e riapre lunedi 22 aprile (Pasquetta) con orario continuato 10-19, il 25 e 26 aprile (14.30-19), il 27 e il 28 aprile, giorno di chiusura.

Filippo Re


 

Notre – Dame, una mostra a Torino

 L’esposizione torinese diventa un omaggio a questo simbolo storico e religioso che speriamo possa rinascere dopo l’incendio
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In mostra a Palazzo Madama sculture gotiche appartenute alla grande cattedrale parigina
SABATO 19 APRILE INGRESSO GRATUITO IN SEGNO DI SOLIDARIETA’
Architettura gotica per eccellenza, voluta dal vescovo di Parigi Maurice de Sully che fece partire i lavori per la sua edificazione nel 1160, la Cattedrale di Notre – Dame fa rivivere un pezzo importante e drammatico della sua storia nella “Sala Stemmi” di Palazzo Madama, a Torino, dove fino al 30 settembre prossimo, si possono ammirare quattro “teste in pietra” realizzate per la facciata della Cattedrale (che negli intenti del vescovo doveva sostituire, con un’ampiezza di ben cinque navate, due preesistenti basiliche rispettivamente del V e dell’VIII secolo) e concesse in prestito dal Musée de Cluny – Musée National du Moyen Age di Parigi che, come il Museo Civico d’ Arte Antica di Palazzo Madama, fa parte della Rete Europea dei Musei di Arte Medievale. Curata da Simonetta Castronovo, la mostra (“mostra-dossier”, innovativa e multimediale) accende i riflettori dell’arte e della storia su quattro opere di altissima qualità esecutiva, testimonianze preziose della scultura medievale europea e, in particolare, di quel “classicismo” o “naturalismo gotico” (secondo la definizione dello storico dell’arte Cesare Gnudi) che tanto influenzò, alla fine del Duecento, anche artisti del Gotico italiano, da Giotto a Nicola e a Giovanni Pisano o ad Arnolfo di Cambio. Quattro teste, si diceva. Dal portale dell’Incoronazione della Vergine (1200 – 1215), sulla facciata occidentale di “Notre– Dame”, proviene la “Testa d’Angelo”, mentre dal portale del braccio settentrionale del transetto, che nel Duecento immetteva nel chiostro della Cattedrale, provengono la “Testa di Re Mago”, la “Testa di uomo barbuto” e la “Testa di figura femminile” (allegoria di una virtù teologale), tutte realizzate fra il 1250 e il 1258 da Jean de Chelles. A presentarle al pubblico, é un coinvolgente allestimento audiovisivo, realizzato da Leandro Agostini, fatto di proiezioni e voci fuori campo che animano le quattro “teste”, raccontandone la storia e il destino che, in parte, tristemente le accomunò a molte altre opere della Cattedrale parigina, fatte rimuovere fra il 1793 e il 1794, all’epoca della Rivoluzione Francese, dal Comitato di Salute Pubblica guidato da Robespierre, in quanto considerate simbolo della feudalità, della monarchia – Luigi XVI e Maria Antonietta erano stati ghigliottinati all’inizio del ’93– e della religione. Rimosse, molte irrimediabilmente distrutte, ben 120 sculture furono a lungo abbandonate sul sagrato della Chiesa per essere poi cedute a impresari cittadini come materiale da costruzione. Solo una trentina d’anni dopo, in pieno clima neo-gotico ( e in virtù pur anche della “denuncia” sottilmente fatta propria da Victor Hugo nel suo “Notre Dame de Paris”, pubblicato nel 1831) fu posto in piena luce il disastro perpetrato ai danni della Cattedrale e lo stato di assoluto degrado di quella “vasta sinfonia di pietra” per cui si palesavano ormai inderogabili e imponenti lavori di restauro. Lavori che vennero condotti, fra il 1845 e il 1864, dagli architetti Eugène Viollet-le-Duc e Jean-Baptiste Lassus, che per realizzare le nuove sculture dovettero basarsi su disegni e incisioni antiche raffiguranti i portali, imitando il linguaggio delle sculture gotiche coeve di Chartres, Reims e Amiens. Ma il destino (provvido questa volta) bussò ancora una volta alle porte della storia. E, nel 1977, molte delle sculture originali di “Notre-Dame”, comprese le quattro opere esposte oggi a Palazzo Madama, furono rinvenute durante lavori di restauro alle fondamenta dell’ “Hotel Moreau” a Parigi, sede della Banque Francaise du Commerce Extérieur, che poi decise di donarle allo Stato per essere in seguito depositate al Musée de Cluny. Che le conserva dal 1980.

Gianni Milani

“Notre – Dame de Paris. Sculture gotiche dalla grande cattedrale”
Palazzo Madama – Sala Stemmi, piazza Castello, Torino; tel. 011/4433501 o www.palazzomadamatorino.it
Fino al 30 settembre
Orari: dal lun. alla dom. 10/18, chiuso il martedì
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Nelle foto

– “Testa di uomo barbuto”, 1250-1258; Photo (C) RMN-Grand Palais, Michel Urtaldo
– “Testa di Re Mago”, 1250-1258; Photo (C) RMN-Grand Palais, Michel Urtaldo
– “Testa femminile”, 1250-1258; Photo (C) RMN-Grand Palais, Michel Urtaldo
– “Testa d’Angelo”, 1210-1215  ca.; Photo (C) RMN-Grand Palais, Franck Raux

Leonardo Da Vinci. Disegnare il futuro

Dal celeberrimo “Autoritratto” al “Codice sul volo”, dalla giovinezza alla piena maturità, rivive alla “Sabauda” di Torino il mito del Genio dei Geni

Fra le icone più celebri nella storia dell’arte mondiale, ritorna a calcare le scene quel sublime “Autoritratto”, disegno a sanguigna su carta, databile intorno al 1515-1517, realizzato dal Maestro di Vinci in Francia e oggi conservato (dopo essere passato attraverso tre secoli di misteriose peripezie per trovare pace fra le collezioni di Carlo Alberto di Savoia) nel caveau della Biblioteca Reale di Torino. Lo conosciamo bene, quel volto. E, sempre, è un vortice infinito di emozioni. Da toglierti il fiato. Volto segnato dal tempo, lunghi capelli e lunga barba, sguardo accigliato leggermente piegato a destra e solchi profondi sul viso; che quell’immagine sia proprio il ritratto di sé “da vecchio” eseguito da Leonardo Da Vinci o, come vuole il leonardista americano Louis Waldman, il ritratto dello zio Francesco o del padre ser Piero o ancora di un saggio del passato (Pitagora o Demostene) poco importa. Ciò che ch’é certo è, invece, il suo essere fulcro naturale e primo attore – ancora una volta – della rassegna “Leonardo da Vinci. Disegnare il futuro”, ospitata nelle “Sale Palatine” della torinese Galleria Sabauda, nell’ambito delle molte iniziative pensate e progettate – non solo a Torino, ma a livello internazionale – per celebrare i 500 anni trascorsi dalla scomparsa (il 2 maggio del 1519 ad Amboise, in Francia) del Genio dei Geni, fra i massimi archetipi dell’uomo “universale” proprio del Rinascimento, in moto perenne fra arte, scienza, letteratura e mirabolanti ardite peregrinazioni del pensiero, teso in tal senso (ecco il titolo della mostra) a cavalcare il presente solo per guadagnare spazi e creazioni di visionaria futuribilità. Di certo fra gli eventi più importanti organizzati per il Cinquecentenario, la mostra torinese, organizzata dai Musei Reali con l’Associazione Metamorfosi (in collaborazione con il Politecnico e l’Università di Torino), é curata da Enrica Pagella, Francesco Paolo Di Teodoro e Paola Salvi. Complessivamente sono una cinquantina le opere esposte diverse per soggetto e ispirazione e databili all’incirca fra il 1480 ed il 1515; il percorso ruota intorno al nucleo di disegni autografi di Leonardo conservati alla Biblioteca Reale di Torino, comprendente tredici fogli acquistati dal re Carlo Alberto nel 1839, oltre al celebre “Codice sul volo degli uccelli” donato da Teodoro Sabachnikoff al re Umberto I nel 1893. Insieme all’“Autoritratto” – posto in dialogo con altri realizzati da artisti contemporanei come Luigi Ontani, Salvo e Alberto Savinio – si possono ammirare, fra i disegni, i “nudi” per la “Battaglia d’Anghiari” (ca. 1505), i “carri d’assalto”, i “cavalli” per i monumenti Sforza e Trivulzio e lo straordinario studio per l’angelo della “Vergine delle Rocce” noto come “Testa di fanciulla”, per lo storico dell’arte Bernard Berenson, “il disegno più bello del mondo”. Disegni- capolavoro che si confrontano con le opere di altri Maestri del tempo, dai fiorentini Andrea Del Verrocchio (di cui Leonardo fu allievo a Firenze) e Pollaiolo, ai lombardi Bramante e Boltraffio, fino a Michelangelo e a Raffaello. “La scuola del mondo”: come Benvenuto Cellini definì i tre disegni, che oggi troviamo riuniti in mostra, per la “Battaglia di Cascina” di Michelangelo, per la “Battaglia di Anghiari” di Leonardo e per i “nudi” di Raffaello provenienti da Oxford. Altra notevole “chicca” in esposizione è il “Codice Trivulziano”, il quaderno, concesso in prestito – per la prima volta dopo il 1935 – dalla Biblioteca Trivulziana di Milano e sul quale l’eclettico artista (“il pittore non è laudabile -scriveva lo stesso Leonardo – se non è universale”) annotò i suoi pensieri e le sue riflessioni sul lessico. Articolata in sette sezioni (dall’eredità dell’arte antica all’esplorazione dell’anatomia e al confronto fra arte e poesia, fino allo spazio centrale dedicato all’“Autoritratto” e ancora allo studio dei volti e a quello sul volo), la rassegna subalpina tocca, con curiosa intelligenza, anche un tema finora inesplorato e sviluppato nell’ultima sezione titolata “Leonardo e il Piemonte”, con le citazioni dei luoghi presenti negli scritti di Leonardo – suggestive le annotazioni sul variare del colore del cielo durante un’ascesa al Monte Rosa o “Monboso” – e che mostra, quale disegno catalizzatore, il foglio del “Codice Atlantico” con un sorvolo lungo il corso del Naviglio di Ivrea. Dunque, anche il “piemontese” Leonardo. Pure, sotto questo aspetto indubbiamente intrigante, ci guida la mostra alla “Subalpina”. Che a corollario presenta numerose altre iniziative fra le quali una rassegna interdisciplinare ispirata all’universalità dell’artista a cura dell’Ateneo torinese (dal 7 maggio al 18 giugno) e la mostra “Leonardo. Tecnica e territorio”, a cura del Politecnico di Torino e allestita (fino al 14 luglio) all’interno del Castello del Valentino. Per info: www.leonardoatorino.it

Gianni Milani

 
“Leonardo Da Vinci. Disegnare il futuro”
Musei Reali-Sale Palatine della Galleria Sabauda, piazzetta Reale 1, Torino; tel. 011/5211106 o www.museireali.beniculturali.it
Fino al 14 luglio
Orari: dal mart. alla dom. 8,30/19,30
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Nelle foto

– “Autoritratto”, sanguigna su carta, 1515-1517
– “Studi di carri d’assalto”, penna e inchiostro su carta, ca. 1485
– “Testa di fanciulla”, punta metallica e lumeggiature di biacca su carta ocra chiaro, ca. 1483-1485
– Particolare della mostra
– Particolare della mostra

 
 
 
 
 

Il racconto di una terra meravigliosa

È stata presentata martedì 16 aprile nella sala Cavour del Circolo dei lettori di Torino, l’edizione 2019 del magazine annuale IL PIEMONTE racconto di una terra meravigliosa. La rivista edita da Metropolis, 240 pagine a colori interamente tradotta in inglese, sarà presente nelle edicole e librerie del Piemonte per tutto l’anno. “L’edizione 2019 de Il Piemonte sarà davvero…una regione in tour per un anno intero – spiega il direttore editoriale Andrea Cenni – parteciperà alle fiere di Mosca, Londra e Rimini e ad altre missioni nel resto del mondo e sarà da subito disponibile su Amazon.” Presenti all’incontro insieme al direttore responsabile Guido Barosio, alcuni tra gli scrittori, giornalisti e fotografi che hanno partecipato alla realizzazione del magazine: Gian Paolo Ormezzano, Darwin Pastorin, Adriano Bacchella, Rocco Moliterni, Rosalba Graglia e Paolo Viberti. Presenti anche numerosi esponenti del mondo della cultura, della politica e dell’economia piemontese. “Nell’epoca della massima velocità delle informazioni, crediamo che IL PIEMONTE possa rappresentare un momento di approfondimento qualificato, piacevole per i lettori e utile per la promozione del nostro territorio.

Premio Lattes Grinzane: Murakami vincitore della sezione "La Quercia"

Fra i cinque scrittori finalisti per “Il Germoglio”, due gli italiani: il palermitano Roberto Alajmo e il torinese Alessandro Perissinotto

Sono stati annunciati a Cuneo, presso la sede della Fondazione CRC, ente che collabora e sostiene il Premio per il triennio 2017 2019, i nomi dei finalisti e del vincitore assoluto del Premio Lattes Grinzane 2019, organizzato dalla Fondazione Bottari Lattes e giunto, quest’anno, alla sua IX edizione. 

Allo scrittore giapponese Haruki Murakami , edito in Italia da Einaudi (tradotto da Antonietta Pastore e Giorgio Amitrano), è andato il Premio per la sezione La Quercia, intitolata a Mario Lattes (editore, pittore, scrittore, scomparso nel 2001) e dedicata a un autore internazionale che abbia saputo raccogliere nel corso del tempo condivisi apprezzamenti di critica e di pubblico. Murakami sarà in Italia venerdì 11 ottobre, per tenere una lectio magistralis (ore 18, Teatro Sociale di Alba), e sabato 12 ottobre, per ricevere il riconoscimento durante la cerimonia di premiazione (ore 16.30, Castello di Grinzane Cavour). Ingresso libero, fino a esaurimento posti.
 
Finalisti del Premio per la sezione Il Germoglio, il riconoscimento internazionale che fa concorrere insieme autori italiani e stranieri, dedicato ai migliori libri di narrativa pubblicati nell’ultimo anno, sono stati invece dichiarati: Roberto Alajmo con “L’estate del ’78″ (Sellerio), Jean Echenoz (Francia) con “Inviata speciale” (Adelphi, traduzione di Federica e Lorenza Di Lella), Yewande Omotoso (Sud Africa) con “La signora della porta accanto” (66thand2nd, traduzione di Natalia Stabilini), Alessandro Perissinotto con “Il silenzio della collina” (Mondadori) e Christoph Ransmayr (Austria) con “Cox o Il corso del tempo” (Feltrinelli, traduzione di Margherita Carbonaro).

Sabato 12 ottobre i cinque autori incontreranno pubblico e studenti (ore 10, Fondazione Bottari Lattes a Monforte d’Alba) per ricevere il riconoscimento. Il vincitore sarà proclamato nel corso della cerimonia di premiazione, sulla base dei voti degli studenti delle giurie scolastiche (ore 16.30, Castello di Grinzane Cavour). Ingresso libero, fino ad esaurimento posti.

“La proposta di quest’anno premia una varietà di esperienze narrative che toccano generi e stili differenti dalla Francia al Sud Africa, dallAustria allItalia presentando un contrastato e sfaccettato rapporto tra natura e civiltà”, commenta la Giuria Tecnica del Premio, presieduta da Gian Luigi Beccaria. “Dal giallo locale che scava nel passato (Perissinotto), al romanzo storico raffinato (Ransmayr), dalla spy story di humor nero (Echenoz), alla memoria familiare (Alajmo), fino ai ritratti femminili sullo sfondo della questione razziale (Omotoso)”.

Per quanto riguarda Haruhi Murakami, vincitore de La Quercia, autore di culto a livello mondiale, tradotto in circa cinquanta lingue e autore di best seller venduti in milioni di copie, si può dire sia “lo scrittore che più ha contribuito ad avvicinare il Giappone ai lettori occidentali”, spiegano ancora i Giurati, che precisano: “Fin dagli esordi, alla fine degli anni Settanta, egli esce dalla cornice della tradizione letteraria giapponese creando un suo mondo narrativo originalissimo, tramite un linguaggio nuovo e comunicativo, molto vicino al parlato. La semplicità stilistica è un tramite per affrontare profondi temi esistenziali il rimpianto per il perduto, la ricerca di sé nell’assurdità di un’esistenza alienata, l’attrazione per l’aspetto magico e misterioso, del mondo e per toccare alcuni tasti dolenti del Giappone: le colpe storiche, le responsabilità politiche del passato e del presente. Caratteristica rilevante dei grandi romanzi di Murakami è la presenza di personaggi che conducono vite ordinarie (in cui l’ampia platea dei lettori immediatamente si identifica, al di là di ogni barriera culturale), ma nel seguito del racconto capita che la loro storia si venga di solito a trovare sospesa tra reale e irreale, coinvolta in eventi magici e inquietanti. Il brusco passaggio dalla realtà al sogno rappresenta pienamente lo smarrimento dell’essere umano contemporaneo di fronte a fenomeni sempre nuovi e incontrollabili. Lo sconfinamento in un universo parallelo tuttavia non è mai una fuga, ma discesa nel profondo di se stessi, alla ricerca di ciò che si cela nei recessi della nostra coscienza”.

Per ulteriori info: Fondazione Bottari Lattes, tel. 0173/789283 o organizzazione@fondazionebottarilattes.it

g. m.

Nelle foto
– Haruki Murakami
– Cover libri Haruki Murakami
– Cover libri finalisti

 

Marchisio spiega la musica Anni ‘60 al Circolo

Venerdì 19 aprile alle ore 18 presso il Circolo dei Lettori di Torino in via Bogino 9 (Sala Musica), il musicologo Giancarlo Marchisio, introdotto dallo scrittore Federico Audisio di Somma, terrà un incontro-conferenza dal titolo Territori inesplorati del garage rock in USA: musica e società tra rock & roll e psychedelia, 1965-1967.L’incontro si accentrerà sulla realtà musicale americana che venne a formarsi con l’impetuosa ondata della British Invasion e sul fenomeno delle bands “meteora” nell’ambito del genere garage rock americano tra il 1965 ed il 1967. Si esporrà il contesto sociale americano di quei tempi (con il suo leitmotiv del “movimento”), gli aspetti socio-psicologici dei concerti live, la dance clubs’ “frenzy” con riferimenti  ad alcune venues che furono terreno fertile per la nascita di miriadi di bands, in particolar modo nei generi garage/proto-punk. Si parlerà della realtà delle “Battles of the bands”, della funzione dei managers e degli intermediarii delle case discografiche di quei tempi e dei vari sottogeneri musicali rock in relazione alle aree geografiche (pacific, middle-west etc.), con riferimento alla traslazione che condusse il gusto musicale dal rock & roll all’avvento del movimento e del rock psichedelici

Per le donne (in nero) a Torino è già periodo di mele

La Madonna è emblema per eccellenza della femminilità, è donna idolo di purezza e giovinezza, porta con sé la forza della madre, infine è simbolo della serena accettazione degli eventi; per la settima uscita di donne (in nero) a Torino vediamo il dipinto olio su tela conservato ai Musei Reali di Torino, intitolato Madonna con bambino tra i santi Bobone e Eligio vescovo con angelo musicante del pittore italiano Gaudenzio Ferrari; sullo sfondo del quadro scelto, alberi di melo carichi di frutti

All’incrocio tra via XX Settembre e via G. Garibaldi a Torino ogni ultimo venerdì di ogni mese si trova il presidio di Donne in Nero. La manifestazione si svolge dalle ore 18 alle 19 e vede impegnate le volontarie della Casa delle Donne di Torino in una protesta silenziosa, discreta: uno striscione e del volantinaggio; le donne in nero di Torino protestano contro la guerra, contro la militarizzazione, chiedono che il ruolo della donna nei confronti dei conflitti armati sia ripensato e che le prospettive di pace non vengano distrutte, così come si impegnano affinché nessuna guerra sia dimenticata. La protesta è portata avanti tacitamente, senza propaganda; sul volantino le informazioni per sapere qualcosa del movimento nato inIsraele nel 1988, ciò che occorre per farsi un’idea e poi i contatti per continuare a seguire Donne In Nero, per partecipare. In generale Donne in Nero è un campanello che suona a memento della fragilità della pace. Ricorda delle responsabilità anche personali affinché la pace non sia perduta come spesso è accaduto quando si è dimentichi della rovina e dell’orrore che la guerra porta con sé. Le donne (in nero) di Torino, giocando sul significato, sono anche una raccolta di opere pittoriche accumunate da un particolare comune: la veste nera. Come i lettori della rivista ricorderanno abbiamo fin qui menzionato dipinti di donne ammantante di nero, a parte per la Madonna con Bambino di Ambrosius Bensonconservata a Palazzo Madama di cui abbiamo parlato nella sesta uscita. Ancora una volta dunque parliamo di un’opera che vede santa Maria indossare un mantello nero, realizzata all’incirca nel 1534. La Madonna con bambino tra i santi Bobone e Eligio vescovo con angelo musicante fa parte di un polittico di cui la predella si trova al Lowe Art di Coral Gabes in Florida.  La Madonna del Ferrari di cui trattiamo arriva da Casale Monferrato in provincia diAlessandria. L’opera anticamente è realizzata per la chiesa che un tempo sorgeva a pochi passi dal duomo di Casale, la chiesa di Santa Maria di Piazza, e ha dimensioni di circa un metro e sessanta per due metri e trenta di altezza. La particolarità che lo rende inconfondibile a nostro avviso sono le frasche sullo sfondo, costituite da meli in frutto. La freschezza dei meli può far pensare ad un luogo ai piedi di un crepaccio, con funzione di nicchia e, per così dire, di cassa di risonanza alla musica dell’angelo che si vede in primissimo piano e che regge uno strumento simile alla lira. La freschezza è anche nel contatto del Bambino con la mela gialla retta da sant’Eligio, santo il cui nome ha una doppia etimologia, quella latina che richiama la parola “elezione” e quella ebraica di “guida” e che è caratterizzato -nell’iconografia- dal bastone pastorale. San Bobone alla sinistra del quadro regge tra le mani una foglia di palma e una spada e è dipinto con l’aureola, segno indicativo della condizione di beatitudine. Curiosamente infine si nota, spuntare alle spalle di sant’Eligio, il muso di un cavallo con i finimenti. La Madonna, in breve, ha un manto nero che vira al blu a complemento del risvolto e della veste arancione e è ritratta nel mentre in cui tiene una guancia appoggiata teneramente sul capo del bambin Gesù. Nella prossima uscita il trittico tempera e oro su tavola, di Giovanni Martino Spanzotti, Resta connesso!

Ellie

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https://www.museireali.beniculturali.it/opere/madonna-bambino-santi-bobone-ed-eligio-angelo/

Poemes des Chateaux

La raccolta di poesie ermetiche d’amore di Fabio Castelli

Si intitola “Poemes des Chateaux” il libro di poesie prevalentemente amorose composte da Fabio Castelli, medico ortopedico nato in provincia di Sondrio, a Chiuroma attivo a Milano. Il titolo è un gioco dparole basato sul suo cognome (Castelli/Chateaux)capace, peròal tempo stesso, di evocare il mondo cavalleresco dei castelliin cui la cortesia rappresentava il nucleo centrale dellesperienza amorosa. La donna era, allora, al centro della società cavallerescaall’interno di una concezione romantico-sentimentale dell’amorecosiccome essa risulta essere la figura centrale di questa raccolta poetica. Fabio Castelli la dedica alla madre Estella, morta dopo averlo partorito, alla sua musa ed ai suoi quattro figli perché si possano innamorare della poesia della vita”. Significativa una citazione del filosofo Nietzsche con cui l’autore fa precedere le sue poesie di carattere ermetico: “C’è sempre un grado di pazzia nell’amore, così come c’è sempre un grado di logica nella pazzia”.Il tema dell’anima viene indagato con molta sensibilità dall’autore,accanto a quello dell’amore, che giunge, come ben esemplificato nella lirica intitolata “Regina”, in silenzio, capace poi dimaterializzarsi nello spazio, appunto, dell’animaIl sentimento amoroso partecipa degli elementi della natura, come avviene nella lirica intitolata “Deserto”, in cui di un amore passato non rimangono fiori né frutti, ma “deserto riarso/ scavato aldestinoLa persona che ama si identifica nellelemento naturale del fiumecapace di germogliare a nuova vita e ad aprirsi a sentimenti rinnovati.L’amore è poi anche esemplificato dalla metafora del navigare negli occhi dell’amata che, come tutti gli occhi, rappresentano lo specchio dell‘anima, come nella lirica “Il navigar/negli/occhi/tuoi/di sterminata/tenerezza/il cuore/accende”.La metrica serrata e lermetismo sono gli strumenti con cui Fabio Castelli riesce con efficacia, senza fronzoli e con un linguaggio che si spinge verso il minimalismo, a cogliere il sentimento amoroso in tutte le sue sfaccettaturesottolineandone la sua universalità e la stretta connessione con la natura.

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Mara Martellotta