CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 545

Vita e morte di Cleonice Tomassetti

Presentazione del libro di Nino Chiovini giovedì 5 marzo a Cuneo

Giovedì 5 marzo, alle 17,30 nel Museo Casa Galimberti di Cuneo ( piazza Tancredi Galimberti, 6) verrà presentato il libro di Nino Chiovini “Classe IIIB.Cleonice Tomassetti, vita e morte”, edito dalla verbanese Tararà.

Nel corso dell’evento, promosso dal Comune di Cuneo e curato da Maria Silvia Caffari e Franca Giordano, verranno proposte anche le letture dal testo teatrale “Cleonice” portato in scena dalla compagnia Il Teatrino al forno del pane “Giorgio Buridan”. Cleonice Tomassetti, detta Nice, venne fucilata dai nazisti il 20 giugno del ’44 a Fondotoce (Vb) . Aveva 33 anni e morì, unica donna, insieme ad altri 41 antifascisti. Penultima di sei fratelli, era nata il 4 novembre 1911 a Petrella Salto, nella frazione di Capradosso, un villaggio sulle montagne tra il Lazio e l’Abruzzo. Donna di straordinarie scelte, dal suo piccolo  paese andò  a Roma e in seguito a Milano e sulle sponde piemontesi del lago Maggiore, nell’ultima scelta che la condurrà alla morte: unirsi ai combattenti per la libertà. La fotografia del corteo dei martiri di Fondotoce la ritrae in prima fila. Sono 42 uomini e una donna che vanno a morire. I nazifascisti li fanno sfilare sul lungolago di Intra e poi, paese per paese, fino al luogo della fucilazione. Due prigionieri, davanti, reggono un cartello: “Sono questi i liberatori d’Italia oppure sono i banditi?”. Cleonice è in mezzo, sotto la scritta. Uno solo dei 43 si salverà, ferito. Carlo Suzzi, sopravvisse per miracolo,tornò a unirsi ai partigiani della divisione “Valdossola” e scelse il nome di battaglia “Quarantatré”; e poté testimoniare come questa donna straordinaria si comportò: “Bisognava vedere il coraggio di questa ragazza, che durante il percorso ripeteva a tutti: “Mostriamo a questi signori come noi sappiamo morire”. E lei per prima è caduta da eroe”. Carlo Suzzi, l’allora diciottenne sopravvissuto alla fucilazione, è scomparso all’età di 91 anni, nel luglio 2017.

Marco Travaglini

I libri più letti e commentati a Febbraio 2020

Ecco i  tre libri più letti e discussi in questo mese di febbraio nel gruppo FB Un libro tira l’altro, ovvero il passaparola dei libri 

 

Sono Il Manicomio dei bambini, saggio di Alberto Gaino che ripercorre la storia delle istituzioni psico-pedagogiche e fa riflettere su molti aspetti della storia più recente del nostro paese; i recenti fatti legati alla paura di epidemie hanno riacceso i riflettori su L’ombra dello scorpione, classico romanzo di Stephen King  e al terzo posto troviamo La straniera, di Claudia Durastanti, romanzo che, pur essendo molto presente nelle discussioni, non sembra convincere i nostri lettori.

Per questo mese, la libreria Empatia di Teramo consiglia la lettura di Il nostro desiderio è senza nome di Mark Fisher (Minimum Fax), “perché in quasi ogni pagina del critico radicale inglese si trova uno spunto, un’intuizione genuina sulla nostra società e sul modo così sinistro in cui stiamo scegliendo di portarla avanti”; Kintu di Jennifer Nansubuga Makumbi (66thand2nd), romanzo epico che racconta l’ Uganda, fra tradizioni e racconti orali, dal sapore dei poemi omerici con  la magia della Storia infinita di Ende e la potenza del Conte di Montecristo.

 

Nel mese di San Valentino, i nostri lettori hanno votato la migliore storia d’amore raccontata dalla letteratura e dalla narrativa e al primo posto del sondaggio troviamo quella tra Catherine e Haethcliff in Cime Tempestose, di Emily Bronte; seguono Louise e Will protagonisti di  Io prima di te, di JoJo Moyes e infine la lunga passione di Florentino e Fermina nel classico L’amore ai tempi del colera, di Gabriel Garcia Marquez.

 

Per la serie: Time’s List of the 100 Best Novels, ovvero i cento romanzi più importanti del secolo XX, scritti in inglese e selezionati dai critici letterari per la rivista Times, questo mese noi abbiamo discusso di tre capolavori della letteratura inglese contemporanea:  il celebre romanzo storico di Robert Graves Io Claudio, l’arguto e cinico ritratto di maggiordomo di E vissero felici di Henry Green e del recente premio Nobel Kazuo Ishiguro con Non lasciarmi.

 

Per questo mese è tutto, ci rileggeremo il mese prossimo!

 

Podio del mese:

Il Manicomio dei bambini, di Alberto Gaino (Edizioni Gruppo Abele) – L’ombra dello scorpione, King (Sperling & Kupfer) –  La straniera, di Claudia Durastanti (La Nave di Teseo).

 

I consigli del libraio: Il nostro desiderio è senza nomeFisher (Minimum Fax) – Kintu Nansubuga Makumbi (66thand2nd).

Nel mese di San Valentino:

Cime Tempestose, di Emily Bronte; Io prima di te, di JoJo Moyes – L’amore ai tempi del colera, di Gabriel Garcia Marquez.

 

Time’s List of the 100 Best Novels  :

Io ClaudioGraves (Bompiani) – E vissero felici, Green (Longanesi) – Non lasciarmi, Ishiguro (Einaudi)

 

Testi di Valentina Leoni

grafica e impaginazione di Claudio Cantini redazione@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

Fontana dei Mesi: marzo e aprile e… il Barocco

Marzo leva la mano sinistra: accenna un gesto di saluto. Come la primavera, attesa da tutti a marzo, arriva, sicura di sé, tra persone che stanno aspettando il suo ritorno. Come sapete, per questa uscita sulla Fontana dei Mesi di Torino, la rubrica dedicata ad analizzare le dodici statue allegorie dei mesi a fattezze femminili che compongono la corona della Fontana al parco del Valentino, più belle che mai dopo la fine dei lavori di restauro del marzo scorso (2019), tratteremo del mese di marzo

Gli appassionati più fedeli sono informati già dalla scorsa uscita, dedicata all’Impressionismo e alla statua del mese di febbraio; questa volta, nel post edito da iltorinese.it sulla fine del secondo mese dell’anno (quest’anno bisestile), trattiamo di due statue. Si parla dunque della statua di marzo, dicevamo, una donna che ha una certa musica e che leva una mano in cenno di saluto, ma anche di quella di aprile che raffigura una giovane esuberante e sfrontata, atteggiamento una volta tipico -parlando allegoricamente- del mese di aprile nel corso della primavera.

Oggidì i cambiamenti climatici fanno saltare tutte le consuetudini a riguardo del cambio delle stagioni, tuttavia non è vano ricordare come stavano le cose prima, quando ancora si poteva fare affidamento sul tempo per programmare cose, siano esse semine, raccolti, vacanze, serate conviviali all’aperto, gite per mare o montagna e chi più ne ha più ne metta, se non altro per fare un paragone sia esso positivo o negativo. Ai lettori più curiosi non sarà sfuggito il fatto che per la rubrica di questo mese è annunciato il Barocco. La corrente artistica che lega le statue e l’arte ha una buona ragione per essere scelta tra le tante che la storiografia artistica annovera come strumenti possibili per interpretare l’arte nel coso dei secoli.

Come di solito, non è fatta alcuna pretesa di assolutezza, il legame tra le statue e le correnti artistiche è puramente finzionale e è da prendersi -su buona dritta- come una cosa del tutto speculativa e del tutto evanescente, si potrebbe dire di fantasia. Piuttosto è bene ricordare che la Fontana dei Mesi anche detta “di Ceppi” è stata inaugurata nel xix secolo per la precisione nel 1898, in occasione dell’Esposizione nazionale e che oltre alle dodici statue dell’arco discendente esterno, vi sono all’interno dei giochi d’acqua altre statue, allegorie dei fiumi del Piemonte, di cui si è avuto modo approfondire in precedenza. Detto questo vediamo perché si potrebbe associare il Barocco a questo tratto della fontana.

 

Il barocco inizia negli anni trenta del xvii secolo, come la primavera inizia nel mese di marzo, ma non proprio all’inizio, piuttosto il 21 del mese dato l’equinozio, e come per la corrente artistica i dipinti sono via via più riconoscibili come certamente appartenenti a quel periodo anche nelle statue della Ceppi si nota che le statue primaverili si discostano da quelle invernali sul piano espressivo, per arrivare al forte separazione che si ha tra la fulgida pienezza delle estive e la riservatezza delle invernali.

Descrivere una tendenza tra le statue dei mesi in rapporto alla stagione a cui appartengono è fattibile in modo -direi- evidente e così prendendo in considerazione la diade marzo-aprile, tenendo inoltre come pulce nell’orecchio il Barocco, corrente artistica caratterizzata da uno spazio plurale, in altri termine dal fatto che in uno stesso quadro i barocchi propongono più scene compresenti, iniziamo teoreticamente a collocare l’insieme delle statue nelle loro stagioni, creando quattro gruppi di statue dialogicamente connessi; in relazione tra loro grazie a quelle che rappresentano i mesi di equinozio e di solstizio (in questo caso marzo) e attraverso quelle subito seguenti (qui si ha aprile) per scoprire un tratto caratteristico della stagione che in questo frangente è la rinascita, il ritorno, il riconoscimento, la vita nell’al di qua. La primavera è alle porte, anche se qualcuno dice che quest’anno l’inverno non si è sentito affatto, in ogni caso sarà bene prepararsi e godersi consapevolmente il periodo.

Elettra Nicodemi

 

 

Un lungo percorso attraverso il “Divisionismo”, tra le nevi di Segantini e le istanze sociali di Pellizza e Longoni

Sino al 5 aprile nelle sale del Castello Visconteo di Novara

Alla Triennale milanese del 1891 risale l’atto di nascita del Divisionismo, allorché vengono esposti Le due madri di Giovanni Segantini e Maternità di Gaetano Previati, una derivazione tecnica del neoimpressionismo e per molti versi consanguineo di quel pointillisme che accresceva da pochi anni il proprio successo Oltralpe con le opere di Georges Seurat (la Grande Jatte) e di Paul Signac (Le port de Saint-Tropez).

Il nostro non certo da ascrivere ad un vero e proprio movimento pittorico, non ne ha mai avuto l’aria, dal momento che nessuno tra i suoi rappresentanti ha mai sfoderato l’ardire di mettere su carta un manifesto artistico: per cui per lui si può siglare una definizione che suoni “fenomeno artistico”, con tutto quel che di ribelle si possa coccolare all’interno nei confronti di un passato più o meno recente (anche la Scapigliatura andava già messa in soffitta).

Tecnicamente, il Pointillisme dei cugini francesi trattava i colori complementari accostandoli sulla tela attraverso una serie di puntini e scartando le pennellate, una visuale che abbracciava non soltanto un intendimento pittorico ma altresì un interesse scientifico: considerando il raggiungimento della scomposizione del colore, nell’obbedienza delle ultime acquisizioni scientifiche, e il suo totale assorbimento a livello retinico. Dovrà in altre parole essere la retina dell’osservatore a riconsiderare la lettura di un oggetto, i suoi toni coloristici, quelle sfumature che derivano da un tale percorso “per punti”, che ci appariranno nettamente individuabili se quegli oggetti verranno osservati da vicino, mentre tenderanno all’uniformità se visti di lontano (di “…una funzione intellettiva sulle forme e i colori del vero” parlava Previati).

Il Divisionismo italiano – con la sua culla nel Nord d’Italia, grazie soprattutto al sostegno di Vittore Grubicy de Dragon, mercante d’arte, critico, pubblicista e ancora pittore, che con il fratello Alberto gestisce dal 1876 una galleria d’arte a Milano – scavalcherà i punti degli artisti francesi per rivolgersi al tratteggio, ad una serie di tratti allineati, di filamenti di colore ripiegati su se stessi, arabescati, spiralati, pronti in una calma posatura a seguire l’andamento circolare dell’oggetto. In tale andamento ondivago, a tratti sognante, dove gli artisti intravedono la vita, troveranno spazio non solo gli ariosi scenari colti tra pianure e montagne, tra casolari e distese innevate ma pure le componenti personali e no della religiosità come i momenti drammatici della vita quotidiana e le rivendicazioni sociali, quei fermenti di socialismo che sempre più andavano invadendo le necessità di una classe popolare in ristrettezze o povertà e che Pellizza da Volpedo o Plinio Nomellini o ancora Previati mettevano in primo piano come i personaggi principali e irrinunciabili di molte loro opere.

Come raccogliendo all’indietro un filo di nozioni e di ricordi, a questo e a molto altro ancora si pensava nei giorni addietro (non contaminati dal Coronavirus che chiude e serra anche mostre e musei) nell’attraversare quegli spazi chiari e pieni di luce del Castello Visconteo di Novara in cui sino al 5 aprile (una proroga?) è ospitata la mostra Divisionismo. La rivoluzione della luce, con tutto il suo prezioso carico di suggestioni, curata da Annie-Paule Quinsac, tra i primi storici dell’arte ad essersi dedicata al Divisionismo fin dal termine degli anni Sessanta, un passato e un presente carichi di esposizioni e fondamentali pubblicazioni, una mostra che vede la promozione del Comune di Novara e dell’Associazione METS Percorsi d’Arte con i patrocini della Commissione Europea e con il sostegno, tra gli altri, di Banco BPM quale main sponsor.

Circa settanta opere suddivise in otto sezioni, ad introdurre il vasto percorso, a pian terreno del palazzo, quel capolavoro che è Maternità (1890-91) di Previati, i sei angeli a fare da languido riparo alla Vergine che allatta, mentre un reticolo di fili sottili di colori s’inerpica lungo l’altezza della tela (l’opera fu la “più controversa e derisa” della Prima Triennale di Brera dove la critica non era ancora pronta ad accettare un misticismo veicolato dalla nuova tecnica), esempio di una certa solitudine pittorica dell’artista, “irriducibilmente antirealista sin dagli esordi”, che fa sua una visione simbolista scaturita “dal mito, da un’interpretazione visionaria della storia o dall’iconografia cristiana”, ben lontana dalla visione di Segantini che amò al contrario percepire una ben più precisa radice naturalistica, dichiaratamente panica.

Un prologo, un’isola a sé che apre a nuovi orizzonti, può essere considerata la Pensierosa di Tranquillo Cremona (1872-73), ma accanto trovano immediatamente posto titoli del decennio successivo, La partita alle bocce (1885) di Angelo Morbelli – la bellezza dello slancio del giocatore, il secondo piano del paesaggio affondato tra le colline dell’alessandrino, gli amici e gli spettatori al riparo ombroso, il tessuto filamentoso che s’impone in tutta la sua stesura -, il ricamo prepotente del ramo di pesco che avanza sulle due monache nelle Capinere (1883) di Emilio Longoni e soprattutto la crudele istantanea, fermata in pieno abbandono, delle Fumatrici di hashish (1887) di Previati (suo anche, in una sala successiva, stupefacente e nuovo nell’impostazione, Le tre Marie ai piedi della Croce del 1888). Come una moderna istantanea, potente nel proprio taglio fotografico, finisce con l’essere la ribellione sociale dell’operaio nell’Oratore dello sciopero (1891) di Longoni, autore ancora capace di mettere in primo piano le nuove istanze con una personale visione, semplice e immediata al tempo stesso, della differenza di classi, con Riflessioni di un affamato, un ragazzo che, in un finissimo gioco di luci del giorno, cattura attraverso la vetrina opaca di un caffè la ricchezza di una coppia benestante.

La mostra è un omaggio altresì a Pellizza da Volpedo, una sala ne raccoglie cinque opere fondamentali nel suo percorso d’artista, per tutte La processione (1893-95) e Sul fienile pensato nell’estate del 1892, uno stacco netto tra luce e ombra, una meditazione sulla morte che accompagna gli ultimi istanti di un uomo su di un semplice giaciglio di paglia, ancora i filamenti di colori complementari che occupano lo spazio in controluce, alle spalle nel bagliore quasi accecante la continuità della vita, tra la vegetazione e la geometria delle case assolate. Come è un omaggio ai paesaggi innevati di Giacomo Segantini – ma con lui hanno anche indagato intorno ai chiarori delle bianche e vaste distese Cesare Maggi e Matteo Olivero, Morbelli e Pellizza e Tominetti -, sarebbe sufficiente il celebre Savognino sotto la neve (1890) con la sua lunga distesa di case ariose contro la montagna e quel mantello candido che lascia trasparire tutta le tecnica del Divisionismo, su cui s’imprimono le ali nere che rimandano a van Gogh, unione simbolica di vitalismo e di presagi di morte.

Tappe di armonie, di chiaroscuri, di voci diverse, di colori che s’allineano e che portano ai primi decenni del nuovo secolo, il Novecento, il secolo dei grandi conflitti: un quadro di Plinio Nomellini, sullo sfondo, quasi al termine dell’esposizione, quel Baci di sole che “è un inno alla gioia di vivere”, un inno alla calura estiva e al rigoglio della vegetazione al cui interno l’autore immerge la moglie ed il figlio Vittorio, tra lo scorrere dell’acqua e la riva, tra studiati giochi di luci che si liberano in chiazze dal folto delle piante, in un alternarsi continuo e frenetico di luci e di ombre, occasione per Nomellini per allontanarsi dai suoi compagni di viaggio e tornare per citazioni al Renoir del Déjeuner des Canotiers o al Monet che ritrae i giardini di Giverny: “è una pittura che si affida al colore come cromatismo, luce e trascrizione dei piani, anche se lo scopo è di esprimere un senso panico della natura nella più pura valenza dannunziana”.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini

Gaetano Previati, “Maternità” 1890 – 1891, olio su tela, 175,5 x 412 cm, firmato in basso a destra, Banco BPM

Emilio Longoni, “Riflessioni di un affamato. Contrasti sociali” 1894, olio su tela, 190 x 155 cm, firmato in basso a destra, Museo del Territorio Biellese, Biella

Giovanni Segantini, “Savognino sotto la neve”, non datato (1890), olio su tela, 35 x 50 cm, firmato e dedicato “All’intelligente in arte Luigi Dell’Acqua”, coll. privata

Plinio Nomellini, “Baci di sole” 1908, olio su tela, 93 x 119 cm, Galleria d’Arte Moderna Paolo e Adele Giannoni, Novara

 

Parma e Saluzzo insieme nel segno di Bodoni

Saluzzo e le Terre del Monviso insieme alla Capitale italiana della cultura 2020 nel segno del grande tipografo di cui il 26 febbraio ricorrono 280 anni dalla nascita. Primo appuntamento con la mostra “Bodoni à rebours – The dazzling beauty” del fotografo parmigiano Lucio Rossi

 

Prende il via sotto il segno di Giambattista Bodoni nel giorno dei sui 280 anni la collaborazione tra le città di Saluzzo e di Parma siglato nel 2019 da un protocollo di che guarda agli eventi dell’anno in cui la città emiliana è Capitale italiana della cultura.

Ci sono infatti molteplici ragioni per instaurare un duraturo dialogo tra i due territori. Li uniscono infatti i nomi non solo di Giambattista Bodoni, ma anche di Carlo Alberto dalla Chiesa e di Magda Olivero. Li lega un peculiare vincolo culturale di stampo e lingua francese.

Il primo tassello è la mostra fotografica Bodoni à rebours – The dazzling beauty che racconta le terre di Bodoni, incisore, tipografo, editore nato a Saluzzo il 26 febbraio 1740 e morto a Parma nel 1813. Apprese l’arte tipografica nella piccola officina del padre, poi si recò a Roma come compositore nella stamperia di Propaganda Fide, quindi passò a Parma, invitato dal duca a fondare e a dirigere la Stamperia Reale. A Parma restò sino alla morte, divenendo celebre per l’incisione di nuovi caratteri e per le molte splendide edizioni che pubblicò. Dapprima stampò coi caratteri di P.-S. Fournier, ma nel 1771 diede un primo saggio di caratteri suoi, che a poco a poco perfezionò fino a giungere al famoso Manuale tipografico (post. 1818).

Saluzzo, l’Antica Capitale del Marchesato, e il suo territorio, sono ancora oggi scrigno dell’eredità culturale di Bodoni, come della manualità e artigianalità che vi stanno dietro. A Saluzzo vi sono la Biblioteca Storica che ha saputo gestire al meglio il materiale antico preservato e manifestazioni che annualmente raccontano Antiquariato e Artigianato, proponendo un continuo confronto tra passato e futuro.

A narrare questa storia sarà l’immagine: il fotografo parmigiano Lucio Rossi ha raccontato le Terre del Monviso attraverso migliaia di scatti; 250 di questi divengono una mostra che a partire dall’8 maggio a Saluzzo aprirà le sue porte per narrare un territorio attraverso i volti, le emergenze architettoniche e paesaggistiche, le strade e i passi alpini.

 

La mostra fotografica rappresenterà un saggio di un reportage fotografico di enormi proporzioni che Lucio Rossi ha realizzato, nel territorio intorno al Monviso, durante l’estate del 2019. Quattro categorie di immagini restituiranno l’ambiente in cui Bodoni vide la luce (con particolare riguardo alle montagne), i volti della gente, la storia artistica ed architettonica del Marchesato di Saluzzo con cui egli potè venire in contatto e che, possiamo presumere, ne influenzò il gusto. In particolare, sarà la verticalità degli orizzonti al centro delle scelte, poiché proprio la verticalità dei tipi bodoniani ne rappresenta un elemento fortemente distintivo, oltre che l’origine del dazzling effect che a tale peculiare, elegantissimo stile si associa. La quarta sezione si chiamerà bodoniana e rappresenterà gli elementi che più da vicino raccontano il legame del nostro illustre, comune concittadino con la sua petite patrie: le immagini della casa natale, del convento dei gesuiti dove studiò (oggi casa comunale), dei monumenti medievali e rinascimentali che poterono impressionare la sua estetica, si alterneranno in uno zibaldone di rimandi che affondano le radici nella storia tra Italia e Francia di questo rapporto.

 

La mostra fa parte di Start/storia e arte Saluzzo, un mese di appuntamenti in cui la città diventa capitale dell’Arte di ogni tempo: Arte contemporanea, Artigianato e Antiquariato (dal 24 aprile al 31 maggio 2020).

La mostra Bodoni à rebours – The dazzling beauty con le immagini di Lucio Rossi in autunno si sposterà a Parma, all’interno delle iniziative per la Capitale italiana della cultura 2020.

 

La collaborazione prosegue poi con la musica: in occasione della Festa della Musica (21 giugno), dalle Terres Monviso giungerà la musica occitana per lanciare Occit’amo Festival 2020.

Inoltre in programma appuntamenti di carattere enogastronomico, con l’incontro di produzioni che nel Parmense come nel Saluzzese (sempre rappresentato da TERRES MONVISO) presentano motivi di interesse: erbe e miele, arte casearia, norcineria e vini.

La verità di Craxi in un romanzo più vero dei saggi

Parigi – Hammamet”, thriller sino ad oggi inedito, pubblicato recentissimamente da Mondadori, a cura della Fondazione Craxi, è un romanzo di finzione narrativa, ma che presenta per certi versi fatti veritieri o comunque verosimili…

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La verità di Craxi in un romanzo più “vero” dei saggi

Cavalli, costumi e dimore

“La riscoperta della ‘Fiera di Saluzzo’ (sec. XVII)’ di Carlo Pittara

In mostra alla GAM di Torino, l’opera maestosa dell’artista torinese che fondò la Scuola di Rivara. Fino al 13 aprile 2020


Imponente. Magnifica. Di straordinaria e minuziosa resa realistica, dopo trentotto anni dall’ultima esposizione, nell’estate del 1981 a Palazzo Madama (nell’ambito della mostra “Alfredo D’Andrade. Tutela e restauro”) torna a mettersi in mostra la maestosa “Fiera di Saluzzo (sec. XVII)”, presentata per la prima volta da Carlo Pittara (Torino, 1835 – Rivara, 1891) nel 1880 alla IV Esposizione Nazionale di Belle Arti di Torino, acquistata in allora dal barone Ignazio Weil-Weiss e solo nel 1917 donata da uno dei figli del barone alla GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino. Dalle dimensioni monumentali ( 4,08 metri di altezza per 8,11 di larghezza), la tela – una sorta di grande affresco, “se non addirittura la premonizione di una visione da cinemascope” – aveva richiesto circa due anni di lavoro e un lungo processo creativo, di cui purtroppo non si conoscono studi preparatori né bozzetti. Tema della composizione, è l’affollata rappresentazione di una fiera seicentesca ambientata poco fuori le mura di Saluzzo, dove assoluti prim’attori ( accanto ai soggetti umani, al paesaggio montano con quello stupendo Monviso sullo sfondo e agli edifici cittadini) sono in ispecie gli animali, molteplici e curiosi e perfino stravaganti nell’immagine e nella postura scelta dall’artista. All’indomani dell’esposizione a Palazzo Madama, il dipinto fu immediatamente avvolto su rullo e riposto nei depositi della GAM, che oggi (e fino al 13 aprile 2020) la ripropone alla visione pubblica in una mostra davvero eccellente, curata da Virginia Bertone e che vuole essere un’occasione di riscoperta, studio e approfondimento per indagare ancora una volta sulle motivazioni della grande raffigurazione.

In più “l’esposizione del dipinto – dicono gli organizzatori – ha permesso di verificare le sue condizioni conservative e a tale scopo è stato realizzato un nuovo telaio in sostituzione di quello non più utilizzabile del 1981”. Torinese (da molti ricordato come “pittore animalista” e seguace fedelissimo della “prosa del vero”), sicuramente fra i maggiori artisti dell’Ottocento piemontese, “narratore pacato, di bel respiro” secondo il grande Marziano Bernardi, Pittara si formò inizialmente alla scuola di Giuseppe Camino, per perfezionarsi in seguito nell’atelier ginevrino del “pittore di animali” Jean Charles Ferdinand Humbert e a Parigi, dove strinse forti rapporti di amicizia con artisti della Scuola di Barbizon, come Charle Jacque e Constant Troyon. E in mostra alla GAM, troviamo una ventina di opere del Pittara, che ben documentano questa sua formazione inderogabilmente improntata all’assoluta fedeltà al vero naturale, alla pittura d’impronta francese en plein air – non di rado accompagnata alla proposta di tematiche sociali mai gridate ma profondamente sentite, come ne “Le imposte anticipate” del 1865 – fino agli anni della Scuola (o piccolo Cenacolo) di Rivara, in Canavese, dove ogni estate, per un ventennio, si trovò a lavorare fianco a fianco con artisti come Ernesto Bertea e Vittorio Avondo insieme a quelli della cosiddetta Scuola Grigia Ligure, primi fra tutti Ernesto Rayper e il portoghese Alfredo D’Andrade. Fulcro centrale della mostra, capace di stregarti e immobilizzarti lì davanti a tempo pressoché indeterminato, resta comunque la sua sorprendente “Fiera” saluzzese del Seicento: una grande parata a scala naturale di cavalieri, personaggi in costume e moltissimi animali dalle specie più strane e diverse, dalle capre ai bovini, dai cavalli di razza a quelli da tiro, dagli animali da cortile ai cani, fino alla scimmietta asiatica ritratta sulla spalla di un giovane con lo scopo di attrarre l’attenzione sulla merce di un pittoresco venditore di chincaglieria. Al dipinto è stato affiancato anche un grande grafico che permette di individuare gli edifici e le dimore saluzzesi del tempo.

A concludere il percorso è una sezione dedicata all’Esposizione Nazionale del 1880 che propone i diversi acquisti della Città di Torino per il Museo Civico, come “La deposizione di Papa Silverio” del senese Cesare Maccari, fino a quadri facenti oggi parte delle collezioni GAM quali la “Fiera di animali a Moncalieri” di Felice Cerruti Bauduc, il singolare soggetto dell’ormai anziano Francesco Gonin, “Il primo cavallo domato dall’uomo” e “Le nubi”, ultima fatica di Antonio Fontanesi, ignorato ed escluso dalle premiazioni.

Gianni Milani

“Cavalli, costumi e dimore. La riscoperta della ‘Fiera di Saluzzo (sec. XVII)’ di Carlo Pittara”
GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 0114429518 o www.gamtorino.it
Fino al 13 aprile 2020
Orari: da mart. a dom. 10/18, lun. chiuso

 

Nelle foto

– Carlo Pittara: “Fiera di Saluzzo (sec. XVII)”, olio su tela, 1880
– Felice Cerruti Bauduc: “Fiera di animali a Moncalieri”, olio su tela, 1880
– Francesco Gonin: “Il primo cavallo domato dall’uomo”, olio su tela, 1880
– Antonio Fontanesi: “Le nubi”, olio su tela, 1880

 

Al via i lavori di costruzione a Omegna del museo dedicato a Gianni Rodari

Sono iniziati mercoledì 26 febbraio i lavori di sgombero dei locali situati in via Carrobbio a Omegna, destinati ad ospitare la sede del  primo Museo in Italia dedicato a Gianni Rodari, del quale ricorre quest’anno il centenario della nascita

Così come annunciato dall’amministrazione del capoluogo del lago d’Orta e dallo studio di architettura  Bianchetti, che ha in carico il progetto “Omegna Città della Creatività” finanziato dalla Fondazione Cariplo, i lavori sono partiti come da cronoprogramma e termineranno in tempo per l’allestimento e l’inaugurazione della struttura, che avverrà il prossimo 23 ottobre, nel giorno esatto del compleanno di Gianni Rodari. Per Sara Rubinelli, assessore alla Cultura e all’Istruzione di Omegna “l’inizio di questi lavori segna un momento davvero importante per la città. Questo Museo, infatti, può rappresentare il primo passo perché da Omegna si dipani una “cultura” di rilevanza nazionale, non solo locale. Sono certa che gli omegnesi sapranno cogliere con orgoglio questo momento storico, reso possibile dal sostanziale apporto economico di Fondazione Cariplo e dal nostro impegno a favore di tutta la comunità”. 

M.Tr.

La “Biblioteca” di Mario Lattes

In mostra al Polo del ‘900 di Torino, gli acquerelli e i disegni realizzati da Lattes per la sua indimenticata Antologia scolastica

Fino a domenica 8 marzo / Fra i vecchi e impolverati armamentari scolastici che da anni custodisco su in soffitta, credo di averne ancora alcune copie. Parlo di “Biblioteca”, l’Antologia in tre volumi– utilizzata dal sottoscritto in anni, e per più anni, inesorabilmente (ahimè) trascorsi come docente di Materie Letterarie arruolato nella scuola media torinese – scritta dalle bravissime colleghe Rosanna Bissaca e Maria Paolella con fantasiose ma rigorose illustrazioni di Mario Lattes, raffinato pittore scrittore ed editore, pubblicata dal 1992 ( e in uso fino al 2010) dalla stessa casa editrice diretta da Lattes, negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale e fondata dal nonno Simone nel 1893.

Oggi scopro che quelle tavole – per la maggior parte mai esposte prima – fresche, delicate, semplici ma legate a filo doppio all’esigenza d’essere filologicamente aderenti al brano letterario interpretato con segni e colori, la Fondazione Bottari Lattes (nata nel 2009 proprio per tenere viva la memoria dell’artista), in collaborazione con S. Lattes & C. Editori, sotto la curatela di Francesco Poli, ha ben pensato di metterle in mostra, fino a domenica 8 marzo, al Polo del ‘900, in Palazzo San Daniele, via del Carmine 14, a Torino. Il che mi sembra assolutamente importante per cogliere i profondi legami che saldamente tenevano fermo Mario Lattes (Torino, 1923 – 2001) “fra l’anima letteraria e quella pittorica della sua ricerca creativa”.

Dal verde passo passo graduale de “L’infinito” leopardiano (riprodotto come “impresa sfrontata – scriveva lo stesso Lattes – da non aver quasi coraggio, poi, di metterci sotto il titolo di quei quindici versi”) all’inquietante (almeno un po’) nonsense di “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carrol fino a Mark Twain con “Le avventure di Tom Sawyer”, impegnato con l’amico di sempre Huck a scoprire il tesoro nascosto all’interno di una labirintica caverna e “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust o agli “Scacchi” che sono a volte memoria perturbante di Primo Levi: numerosi sono gli argomenti e i testi dei grandi autori classici cui Lattes ha saputo imprimere, attraverso l’originalità di un linguaggio pittorico e grafico profondamente istintivo e singolare, “una forte e originale anima visiva”.

Complessivamente in rassegna troviamo esposte un centinaio di illustrazioni, cinque dipinti e alcuni taccuini di appunti. Sono essi il frutto di un’ampia selezione fra le tavole originali (oltre cinquecento disegni, acquerelli e tecniche miste su tutti gli argomenti del programma scolastico, dalla poesia all’epica, dalla fiaba ai romanzi) realizzate per “Biblioteca” in diversi anni di lavoro e conservate presso la Lattes & C. Editori e la collezione pittorica e incisoria della Fondazione Bottari Lattes.

Sono immagini libere per essenza evocativa e narrativa – testimonianti l’immensa cultura letteraria e iconografica di Lattes – pur se attente e rispettose ai principi peculiari del testo e alla stessa funzione didattica dell’opera. “La mostra – spiega Francesco Poli – si sviluppa attraverso una serie di sezioni legate alle tematiche che caratterizzano le varie parti dei volumi. Per ciascuna di esse sono esposti gruppi di immagini originali, messi in relazione ad altri disegni su taccuini, incisioni o dipinti di Mario Lattes che si collegano agli stessi soggetti e tecniche pittoriche”; una naturale (pur se faticosa e tribolante) evoluzione del continuo appuntarsi visivo, per mania passione istinto grafico-riproduttivo, dei soggetti che le sue numerose e diversificate letture gli sollecitavano.

 

Scriveva lo stesso Lattes: “Su un album da disegno, su fogli foglietti cartoncini grossi così, sono venuto segnandomi le immagini suscitate dalle letture. Fiabe, racconti, pagine di romanzo, poesie. Per dare una visione figurale al testo scritto, o almeno evocarlo”. Fra parola, realtà e fantasia. In scritti che nel disegno ritrovano verità, altre verità possibili. O improbabili. Sogni. Eventi immaginari. Quelli forse impossibili da intuire e descrivere a parole. Solo a parole. Così com’è nella pagina letteraria.

Gianni Milani

“Biblioteca” di Mario Lattes
Polo del ‘900 – Palazzo San Daniele, via del Carmine 14, Torino. Info: tel. 011/19771755 o www.fondazionebottarilattes.it; le scuole potranno effettuare visite guidate gratuite su prenotazione a segreteria@spaziodonchisciotte.it
Fino a domenica 8 marzo
Orari: dal lun. alla dom. 10/19,30

 

Nelle foto

– “Alice nel paese delle meraviglie”
– “L’infinito”
– “Tom Sawyer e il tesoro nascosto”
– “Alla ricerca del tempo perduto”
– “Scacchi” da Primo Levi
– “Immagini fantastiche”

Un anno di grande cronaca nelle foto dell’Ansa

“PhotoAnsa 2019” Fino al 7 giugno. Bard (Aosta) Dalla tragedia finale del Ponte Morandi alle lotte ambientali di Greta: c’è tutto un anno di “grande cronaca” internazionale nelle foto esposte al Forte di Bard

 

Venerdì 28 giugno 2019, ore 9,37: dopo il suono, ripetuto tre volte, della sirena, bastano 6 secondi per portare a termine l’esplosione delle pile 10 e 11, quanto ancora resta del Ponte Morandi di Genova, tragicamente crollato la vigilia del Ferragosto di un anno prima, portandosi dietro quarantatre vite.

Architettura e presenza simbolo per i genovesi, l’immagine intensa e potente della sua definitiva demolizione, scattata con precisa sapienza tecnica e forte intensità emozionale – nell’accoppiata di occhio e cuore – dal fotoreporter genovese Luca Zennaro (lo stesso che qualche mese prima aveva donato a Papa Francesco, durante il viaggio aereo ad Abu Dhabi, la maglietta con il logo “Genova nel cuore”, insieme alla bandiera con la croce di San Giorgio e ad una lettera firmata dal sindaco di Genova, Bucci) è parte degli oltre cento scatti tratti dalla 15esima edizione del volume fotografico “PhotoAnsa” – che raccoglie 360 immagini, legate ai grandi fatti di attualità in Italia e nel mondo realizzate nel 2019 dai fotografi dell’Agenzia – ed esposte fino al 7 giugno al Forte di Bard, in Valle d’Aosta. La rassegna, proposta al pubblico in anteprima italiana e ideata e prodotta dall’Associazione Forte di Bard in sinergia con ANSA (la più prestigiosa Agenzia di Informazione del nostro Paese) “testimonia – afferma con giusto orgoglio Ornella Badery, presidente dell’ormai più importante polo culturale della Vallée e delle Alpi occidentali – l’autorevolezza che il Forte ha assunto in questi anni nel campo della Fotografia, in particolare nell’ambito del Fotogiornalismo”. Dodici le sezioni, corrispondenti alle tematiche trattate nel volume – presentato nel dicembre scorso al “Maxxi” di Roma – in cui si articola l’allestimento espositivo. Gli scatti spaziano e cavalcano gli eventi di cronaca più eterogenei, quelli che hanno indelebilmente segnato, nel bene e nel male, l’anno da poco trascorso.

Si va dalle elezioni europee che, per la prima volta, vedono una donna, Ursula von der Leyen, alla guida a Bruxelles della Commissione Ue all’ultimo atto del Ponte Morandi (di cui s’è detto), con tutto il carico di angoscia delle famiglie sfollate e della disperazione dei parenti delle vittime, fino a toccare l’orribile tragicità di quello scatto che vede padre e figlia morti abbracciati sul greto di un torrente al confine fra Messico e Stati Uniti nel tentativo di aggirare il muro fatto consolidare dal presidente americano Trump. Tragedia di migranti capace pur anche e per fortuna di trasformarsi nell’immagine giocosa e ironica, scattata il 28 luglio a Ciudad Juarez, da Luis Torres e raffigurante bambini che giocano sulle altalene installate dal designer californiano Ronald Rael proprio fra le sbarre del famigerato muro di Trump. E il racconto prosegue mirando all’Italia, dove dalla romagnola “Papeete Beach” ai palazzi della politica nella Capitale si consuma l’ingloriosa fine del governo giallo-verde e si assiste alla nascita della nuova coalizione Pd-5 Stelle, per poi virare oltralpe fino a una Parigi colpita al cuore in pochi mesi dalle violente manifestazioni dei Gilet gialli e dal terribile incendio della Cattedrale di Notre-Dame. Ma non c’è ombra di dubbio: il volto dominante dell’anno è quello della sedicenne svedese Greta Thunberg, capace di trascinare – con una forza che non capisci dove possa andarla a pescare – folle oceaniche di giovani (e non solo) radunati nelle piazze del mondo a manifestare contro l’immane distruzione perpetrata dall’uomo, dal tempo dei tempi, ai danni dell’ambiente. Di particolare interesse anche la sezione dedicata allo sport, con l’assegnazione a Milano – Cortina dei Giochi Invernali del 2026 e con l’esultanza della squadra di calcio femminile che, pur eliminata ai quarti di finale, vive e fa vivere a tutta l’Italia la sua esperienza ai Mondiali di Francia (7 giugno – 7 luglio) come una vittoria, in uno sport da sempre ritenuto territorio esclusivo dei maschi. Fino alla strepitosa Federica Pellegrini che, il 24 luglio, a quasi 31 anni, strappa la sua ottava medaglia d’oro nei 200 stile libero ai Mondiali di Nuoto di Gwangju in Corea del Sud. E l’Italia torna ad esultare.

Gianni Milani

“PhotoAnsa 2019”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II 85, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 7 giugno

Orari: giorni feriali 10/17 – sab. dom. e festivi 10/18; lun. chiuso. Dal 2 marzo l’apertura è prolungata di un’ora

Nelle foto
– Luca Zennaro, 28 giugno, Genova, demolizione controllata del Ponte Morandi
– Luis Torres, 28 luglio, Ciudad Juarez, bambini che giocano sulle altalene installate fra le sbarre del muro che divide Usa e Messico
– Zakaria Abdelkafi, 9 febbraio, Parigi, manifestazione dei Gilet gialli davanti alla Tour Eiffel
– Ian Langdson, 15 aprile, Parigi, la guglia di Notre-Dame crolla avvolta dalle fiamme