CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 545

I nuovi concerti di “Vitamine Jazz”

Gli appuntamenti della settimana all’Ospedale Sant’Anna per la rassegna già arrivata al centocinquantaquattresimo concerto e alla sua terza stagione, organizzata per la “Fondazione Medicina a Misura di Donna” e curata da Raimondo Cesa

 

I concerti avranno inizio dalle ore 10.00 nella sala Terzo Paradiso in via Ventimiglia 3 aperta al pubblico, dedicata alle pazienti e ai loro cari.

Martedì 21 gennaio “Trio Fabbrini Russo Borotti”

Monica Fabbrini voce
Pino Russo chitarra
Diego Borotti sax

Monica Fabbrini

 

Allieva di chitarra del maestro Maurizio Colonna.
Innumerevoli le performance in Gala’, concerti in tutta Europa, tra cui lavori di sonorizzazione per grandi convegni aziendali quali Fiat, Ferrero, Gancia (dal 2006 ad oggi) o istituzionali quali Convegno Nazionale Ordine degli Ingegneri nel 2010 al Palaisozaki di Torino.
Nel 2013 partecipa al Torino Jazz Festival, nella sezione Fringe, con il suo disco Moni’s Mood, al Piossasco Jazz Festival e alla manifestazione Jazz Acqua Dolce di Avigliana.
Nel 2014 partecipa nuovamente al Piossasco Jazz Festival, alla manifestazione Sale e Pepe di Collegno e al ChiusArte Jazz Festival di Chiusa Pesio. Insegnante di supporto durante masterclass fra le quali quella di Gege’ Telesforo.
Collabora con Con Alberto Marsico e Diego Borotti , con i quali pubblica il primo cd a proprio nome dal titolo ” Moni’s Mood, Alberto Mandarini, Luigi Tessarollo, Mattia Barbieri, Davide Liberti, Alessandro Minetto, Paolo Franciscone, Alberto Gurrisi, Gilson Silveira, Daniele Tione, Gianpaolo Petrini. Massimo Camarca, Daniel Bestonzo, Francesca Oliveri, Gianluca Guidi, Augusto Martelli, Gegè Telesforo

Pino Russo

Pino Russo, eclettico chitarrista, plurilaureato, compositore ed arrangiatore. Docente di Chitarra Jazz al Conservatorio Verdi di Torino, è stato una colonna portante del Centro Jazz ed in seguito fondatore della Jazz School Torino.
Vari i riconoscimenti e premi tra cui: Incroci Sonori Jazz 2008, Premio Mancinelli al Concorso Massimo Urbani 2009, Premio Migliore Rivisitazione Classica al Barezzi-Live 2009.Ha suonato per svariati eventi tra cui: XXIII Festival Jazz en Lima (Perù), Grenoble Jazz Festival, Praga Jazz Festival, Annecy Jazz Festival, Acoustic Guitar Meeting di Sarzana, Linguaggi Jazz, Torino Jazz Festival, Ivrea Euro Jazz Festival, Antidogma Musica. Soprannominato “L’orchestra a sei corde” per la concezione estremamente dinamica della produzione sonora e del “gesto” chitarristico. Nella sua lunga carriera ha sviluppato un’intensa ricerca timbrica sulla chitarra esplorando diverse sonorità musicali attraversando Jazz, Bossa-nova, Musica Mediterranea, Contemporanea e Contrappunto Bachiano.

Diego Borotti
L’attivita’ jazzistica lo porta a collaborare con molti jazzmen di fama internazionale tra cui Franco D’Andrea e Dado Moroni, Barney Kessel e John Patitucci, Steve Grossman ed Enrico Rava, Flavio Boltro e Francois Jeanneau, in innumerevoli club e festival di piu’ di 20 paesi europei e non, per oltre 2000 concerti.
Tra il ’90 ed il 2000 compone numerosi concerti , la sonorizzazione dell’esposizione europea del Whitney Museum di N.Y. con il Saxea 4tet, il concerto per coro rinascimentale, gregoriano e saxofono “Contrapunctum”, “Tam Tam” per il Teatro Regio di Torino con alcuni tra i piu’ grandi maestri di tamburo africani.Dal ’96 ad oggi dirige decine di jazz-festival e manifestazioni musicali tra cui “JAZZ IN TOWN ” edizioni ’97 e ’98 a Torino e Bologna,per la Philip Morris Companies, “JAZZ A PALAZZO” presso il Palazzo Reale di Torino nelle edizioni del 2001 e 2002, COCCHI JAZZ FESTIVAL TORINO 2012. E’ attualmente il condirettore artistico del TORINO JAZZ FESTIVAL.
Ha preso parte al World Summer Tour di Solomon Burke (2004-2006), durante il quale ha suonato con BB King al “RAY CHARLES MEMORIAL” di MONTREUX JAZZ FESTIVAL. Tra il 2005 ed il 2007 ha lavorato ai tour ed alle produzioni editoriali di Fiorella Mannoia, partecipando,tra le decine di concerti, al “Live 8” di Roma. Ha insegnato dal 2008 al 2010 “Jazz: Estetica e Tecnica dell’improvvisazione” presso il Conservatorio G. Cantelli di Novara.
Fonda nel 2012 con Pino Russo e Paolo Franciscone la JAZZ SCHOOL TORINO.

Giovedì 23 gennaio

Amedeo – Arnoldi – Nicola Trio

Ivano Amedeo pianoforte
Dante Arnoldi sax tenore
Claudio Nicola contrabbasso

Il gruppo nasce dal piacere di condividere tra musicisti e con gli ascoltatori le atmosfere dei grandi classici
del jazz, da Duke Ellington a Miles Davis passando per Sonny Rollins.
Gli Standards jazz costituiscono il cuore del genere e la lingua comune di tutti i jazzisti, di ogni provenienza e di ogni epoca. Il materiale, profondamente assimilato, viene restituito, elaborato attraverso le emozioni personali di ogni interprete rinnovandosi e ad ogni esecuzione in un ciclo infinito di rinascita.
Ivano Amedeo, piano, ha ereditato la passione per il jazz dal padre contrabbassista. Dopo gli studi con Aldo Rindone ha preso parte a numerose iniziative in campo musicale e jazzistico in particolare Avigliana Jazz Festival. Il segno caratteristico è la predilezione per le armonizazioni ricche e comunicative.
Per l’ occasione è accompagnato da Dante Arnoldi al sax tenore, membro stabile del gruppo “I CETRI” e Claudio Nicola, presente in varie formazioni sulla scena del jazz torinese da molti anni, al contrabbasso. L’idea è quella di “cullare” e “curare” con la musica le persone in ascolto.

Gli anni di liceo

Caleidoscopio rock USA Anni ’60

Impossibile contare il numero di bands americane degli anni Sessanta che nacquero e morirono entro gli anni di liceo, destinate a sciogliersi con le iscrizioni al college o con la chiamata in esercito

La spensieratezza degli anni della high school erano la linfa vitale perfetta per una fantasia musicale spontanea (anche se grezza), per l’incoscienza e per i sogni più ambiziosi e velleitari.

Per le bands di liceali qualsiasi posto era buono per esibirsi, si badava poco agli introiti, la necessità più urgente era il farsi conoscere, dimostrare la propria buona volontà sperando di attirare l’attenzione di qualche intermediario di case discografiche; non si poteva mai sapere dove potessero sbucare i talent-scout, magari perfino camuffati ai margini di feste di high-school proms o in teen dance clubs… o in qualche parlour di locali non necessariamente pensati per le esibizioni musicali, o in adult clubs di seconda o terza fascia. Ciò che importava era possedere una marcia in più, meglio se supportata da managers sufficientemente sfacciati e audaci, ma comunque ragionevoli. Un esempio riassuntivo di tutto ciò? La band The Strangers di Boston, meteore formatesi nel 1964 e scioltesi entro l’estate 1966, con il management di Rip Rapolla e John Gioioso. Tutti studenti di liceo, tre su quattro figli di immigrati italiani, Dan Gioioso (chit), Jimmy Chicos (chit), Tony Baglio (b), Joe Beddia (batt), seppero subito entrare nel giro delle feste universitarie di Boston, infilandosi strategicamente in vari frat parties ed esibizioni in M.I.T., Northeastern University e Boston University, grazie all’intraprendenza di Rip Rapolla. Era buona anche l’attività sul versante dei clubs (tra cui “Ebb Tide” e “The Novelty Lounge”) nell’area tra Boston, Revere, Somerville, Malden, Cambridge e Medford, la partecipazione a “Battles of the Bands” e l’esibizione come opening band (in un’occasione anche per James Brown). Il sound dei The Strangers er un mix di varie influenze, tra cui The Ventures, Beach Boys e Beatles e trovava senz’altro il suo habitat naturale nelle feste universitarie, nell’ambito delle quali furono possibili contatti per l’ingresso in sala di registrazione. L’occasione non tardò ad arrivare (sempre grazie all’iperattività del manager Rapolla) anche con il supporto di un paio di radio locali. Con l’etichetta Oriel uscì l’unico 45 giri della band, probabilmente nell’autunno 1965: “Lonely Star” [Gioioso] (341; side B: “What A Life” [Pires (Baglio) – Gioioso]), prodotto a Newton da Petrucci & Atwell e registrato con mezzi quasi di fortuna ed impianti ridotti al minimo indispensabile. L’esito dell’incisione non fu nulla di eccezionale e l’effetto sulle classifiche radiofoniche si dissolse piuttosto in fretta, con conseguente grande sconforto dei ragazzi. I mesi successivi trascorsero in fretta e già nel 1966 la band venne a sciogliersi in concomitanza con l’ingresso del bassista Tony Baglio al college (attualmente Baglio è direttore di produzione presso Greater Media/Boston). Ma i riflettori sugli anni di liceo dei The Strangers si sono riaccesi più di trent’anni dopo, quando il brano “What A Life” è stato ripescato nel 1998 in The Essential Pebbles Collection, vol. 1. La parabola era stata rapida… ma a volte può capitare, per qualche scherzo del destino, che qualcuno faccia riemergere quello che fu…

 

Gian Marchisio

 

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Il Monferrato e la Sicilia di Leocata

“Siam polvere di stelle”

La natura, le colline monferrine e le antiche rocche e i cavalieri siciliani nelle opere dell’artista in mostra a Casa Bertalero

Fino al 2 maggio – Alice Bel Colle (Alessandria)

E’ dedicata al fratello recentemente scomparso, Salvatore Vincenzo (per tutti solo Vincenzo, nome ereditato dal nonno), la mostra che Pippo Leocata presenta ad Alice Bel Colle nel Monferrato alessandrino, all’interno degli storici spazi di Casa Bertalero, struttura turistico-polifunzionale essenzialmente vocata al comparto enologico e splendidamente inserita al centro del triangolo Acqui Terme – Canelli – Nizza Monferrato. Vincenzo di mestiere faceva il professore di chimica a Cesena. Ma scriveva anche poesie, che firmava con lo pseudonimo di “Salvin” (per rispetto ai due nomi consegnatigli in sorte); liriche di forte carica emozionale, le sue, in cui le ragioni della scienza sapevano mirabilmente piegarsi ai misteri dell’anima. Come in quel “Siam polvere di stelle”, fra le sue ultime poesie, una sorta di testamento e riflessione spirituale maturata con mille interrogativi negli ultimi giorni di vita e amorevolmente fatta sua dal fratello pittore di Torino per titolare la mostra ospitata a Casa Bertalero e farne immagine – guida della stessa rassegna. Scriveva Vincenzo: “Vorrei librarmi in alto lassù / e toccare con mano quello spicchio di luna in cielo…Vorrei vagare alla deriva del tempo / spingermi oltre i limiti degli spazi siderali / giungere alla fine dell’infinito all’ultimo lembo / E scoprire che in realtà / ‘Siam polvere di stelle’”. La pochezza di un’intera vita che se ne va. Pur se ricca di fatti e di volti, di lacrime e di amori, di gioie e tristezze, di vittorie e sconfitte. Una miniera di storie nella storia unica e irripetibile di un uomo. Stardust. Solo “polvere di stelle”. Molecole infinitesimali di un mondo che ci sfugge e di un “oltre” che ci atterrisce nell’impenetrabile oscurità del suo mistero.

E Vincenzo, per il fratello Pippo, l’artista di famiglia, può essere allora una di quelle quattro figurine appena appena abbozzate, due si tengono per mano ( Pippo e Vincenzo?), che sotto un bluastro spicchio di luna arrancano per geometriche zolle di terra, che paiono celare mostruose parvenze vitali e inghiottire più che proteggere, verso alte rocche e castelli oscurati da cieli poveri di speranza. Gli stessi di “Tramontata è la luna” che, in tecnica mista su carta e pur con tonalità diverse e ancor più inquietanti, Pippo Leocata ricompone in segno e colore, per dar forma attraverso i versi tradotti dall’amato Quasimodo alla raffinata e malinconica riflessione notturna della sensualissima Saffo. Pittura e poesia. Binomio frequente nelle ultime prove del pittore. La seconda che dà voce e corpo alla prima. E la prima che s’immerge senza ostacoli nei versi e nelle parole dei poeti più cari: da Quasimodo a Montale a Pavese. Di grande suggestione, su questa linea, la pavesiana “Vigna” che “sale sul dorso di un colle/fino a incidersi nel cielo”. Sono le colline di Langa, Roero e Monferrato (Patrimonio Unesco dell’Umanità) che s’incontrano in mostra e rendono più dolce e lieve, nei quadri di Leocata, le vulcaniche natie colline della sua Adrano (l’antica Adranon), colonia greca di Corinto alle falde dell’Etna, dove, nel 344 a. C., i guerrieri di Timoleonte da Taormina sconfissero quelli di Iceta da Lentini, liberando gli Adraniti dalla dominazione siracusana. Così raccontano Plutarco e Diodoro Siculo. Storia e Mito.

Che sempre ritornano nell’opera dell’artista (ormai torinese da una vita e allievo, negli anni Sessanta, di Carlo Mollino alla Facoltà di Architettura del Politecnico subalpino), sotto forma di battaglie, guerrieri, cavalli e cavalieri – ne troviamo anche in sculture di legno e argilla all’ingresso di Casa Bertalero – armati di lance, scudi e coriacee armature. In un groviglio meditato ma irrequieto di segni e colori, che sa di antico mestiere e di accademia pur se incantato da guizzi e libertà creative del tutto singolari e di trascinante carica emotiva. Capace di violare le leggi cosmiche. E chissà? Di arrivare fin lassù. Per mano ancora a Vincenzo. Pippo e il “fratellone”. Oggi come ieri. In fondo, “non morirà nessuno, morire poi perché? Dicono che siamo tutti polvere di stelle”. Versi dall’ultimo singolo di Luciano Ligabue. Che Vincenzo, insieme a Pippo, avrebbe approvato. Sicuramente.

Gianni Milani

“Siam polvere di stelle”

Casa Bertalero, Regione Stazione 19, Alice Bel Colle (Alessandria); tel. 0144/745705 – info@casabertalero.it

Fino al 2 maggio

Orari: dal mart. al sab. 8,30/12,30 e 14,30/18,30, dom. su appuntamento

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Nelle foto

– “Siam polvere di stelle”, tecnica mista su carta, 2019
– “Tramontata é la luna”, tecnica mista su carta, 2019
– “La vigna”, olio  su tela, 2017
– “Paesaggio del Monferrato”, olio su tela, 2005
– “Rivisitazione”, tecnica mista su carta, 2018

Scene di violenza coniugale. Atto finale

Una produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale /Teatro di Dioniso /PAV con il supporto della Fondazione Nuovi Mecenati – fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea nell’ambito di Fabulamundi Playwriting Europe – Beyond Borders

Il 20 gennaio va in scena, in prima nazionale (repliche fino al 31.01.2020) presso la Galleria d’Arte Franco Noero, in Piazza Carignano 2, a Torino, per la stagione del Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale, SCENE DI VIOLENZA CONIUGALE. ATTO FINALE del drammaturgo franco-inglese Gérard Watkins, nella traduzione di Monica Capuani, con la regia di Elena Serra. In scena Roberto Corradino (Pascal Frontin), Clio Cipolletta (Annie Bardel), Aron Tewelde (Liam Merinol), Annamaria Troisi (Rachida Hammad) e Elena Serra (Agnes Pertuis).

Per la prima volta presentata in Italia, l’opera di Watkins è costituita da un testo duro, gelido, incalzante che affronta il tema della violenza sulle donne mettendo sotto la lente di ingrandimento i processi mentali e comportamentali di vittima e carnefice.
La regista Elena Serra realizza per il testo di Watkins una regia immersiva nello spazio fisico di un vero appartamento, a cui è ammesso un ridotto numero di spettatori, e ciò che accade sotto gli occhi di chi guarda è la costruzione metaforica di una gabbia all’interno della quale ci si ritrova inconsapevolmente prigionieri.

Protagonisti quattro personaggi appartenenti a mondi e ceti, culture e religioni differenti:
Liam fugge da un’adolescenza tormentata nella provincia per stabilirsi a Parigi e incontra Rachida, che cerca di sfuggire al clima soffocante della sua famiglia. Annie sta cercando lavoro a Parigi, sperando di poter così riavere con sé le figlie che vivono coi nonni in campagna e incontra Pascal, fotografo molto tormentato e affascinante. Le due coppie, che si incrociano una sola volta nel corso della visita ad un appartamento al cui affitto sono entrambe interessate, finiranno poi col trovare ciascuna un appartamento arredato in cui cominceranno la convivenza a due.
A partire da questo momento la violenza si insinuerà nei rapporti fino deflagrare in gesti di assoluta brutalità.

Il testo nasce dal desiderio di Gérard Watkins di lavorare sul tema della violenza contro le donne; una pratica ereditata dal diritto del più forte che si ripresenta con frequenza drammatica quando la donna afferma il suo ruolo in una società dove la dominazione maschile continua, tuttavia, ad essere la regola. La scrittura si immerge nel cuore del soggetto con tutti i mezzi del teatro per definirlo e comprenderlo senza censure, descrivendo con sconcertante lucidità l’evoluzione del pensiero e del comportamento dei personaggi.

La scrittura propone uno spaccato di quotidianità dove i personaggi, totalmente verosimili, e la ricerca minuziosa del contesto in cui questi si muovono, fornisce l’opportunità di confrontarsi con un testo che affonda le sue radici nella vita che si stratifica nelle nostre città dove convergono, accanto al tema principale, istanze sociali, economiche e razziali sempre più violente.

Grazie all’impegno del Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale, SCENE DI VIOLENZA CONIUGALE. ATTO FINALE debutta nel gennaio 2020, all’interno dei locali della Galleria Franco Noero nella sua forma compiuta.

La regia si è concentrata soprattutto sugli aspetti inespressi del testo, ovvero quelli che coinvolgono il ruolo e le reazioni del pubblico, perché se è forse scontato il comportamento delle vittime e dei carnefici lo è assai meno quello dei testimoni. La domanda fondamentale diventa quindi “che cosa faccio io di fronte a tutto questo?” In un contesto culturale che fa della violenza domestica show televisivo e che tende a consolidare l’iconografia della donna-vittima sacrificale, Elena Serra si interroga su come scardinare un meccanismo di spettacolo che rischia di alimentare la spirale del sopruso e riconosce nello spettatore la potenziale risorsa di salvezza.

 

Maria La Barbera

Grandi prove di Pierobon e Marescotti con spericolate intromissioni nel dramma di Cecov

“Zio Vanja” in scena sino al 26 gennaio al Carignano per la stagione dello Stabile torinese

Al termine “adattamento” (come rivisitazione o riscrittura), coniato per i palcoscenici di oggi, c’è sempre da guardare con un certo sospetto.

Ovvero fiutare con mille cautele l’operato e la piena libertà di questo o quel drammaturgo, di questo o quel regista, che s’avventano su di un testo, più o meno vicino a noi nel tempo, per modificarlo e allinearlo alla nostra epoca, per piegarlo alle proprie esigenze. Sino a sconvolgerlo. Snaturando quel che sinora è stato dalla sua stesura, giocando freneticamente con accadimenti e personaggi, costruendo strade nuove che poco (quando a volte nulla del tutto) hanno a che fare con ll pensiero antico dell’autore. Detto questo, non è che si intenda rimanere abbarbicati, in occasioni che lo consentano, ad un ferreo passato e nella memoria c’è posto per esempi che hanno saputo conservare una certa classicità pur collegata ad uno sguardo rivolto al presente.

Chi scrive – alla chiusura del sipario su questo Zio Vanja messo in scena per il Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale dalla giovane regista ungherese Kriszta Székely, aiutata nel fragoroso sconquasso da Ármin Szabò-Székely, quasi quarantenne, nome di punta del teatro europeo e una delle anime del teatro Katona di Budapest – ha conservato dei forti sospetti. Non certo su quell’acquario (una semplice cucina con tavolo e sei sedie, un frigorifero e un pianoforte, ci entreranno tante bottiglie e un pc), su quella camera della tortura, su quel trasparente parallelepipedo (la scena porta la firma di Renàtò Cseh) che imprigiona e soffoca più che significativamente i vari personaggi (e quella boccata d’aria, negli intervalli al termine di una scena, che si godono sulle sedie messe a lato del palcoscenico, accresce quel senso di ricercata e ritrovata libertà) o sull’eccellente gioco di luci ed acustico (metallico, innaturale, sghembo) proposto rispettivamente da Pasquale Mari e Claudio Tortorici come non certo sui costumi moderni. I sospetti nascono dallo svolgimento fuorviato dell’impalcatura drammaturgica, dalle intromissioni, dalle esasperazioni e dagli accanimenti di alcuni comportamenti, dal linguaggio e dall’erotismo messa in bella mostra, dalla nuova costruzione di dialoghi capaci persino di mettere in ombra o di cancellare quello spinoso tappeto di mala esistenza che percorre tutto quanto il testo cecoviano.

Che mantiene, per carità di dio, il proprio svolgimento, racchiuso tra i rumori della campagna nella calura estiva e l’infelice e rassegnato – ma allo stesso tempo detto da chi guarda ad un certo futuro – monologo finale di Sonia (“Bisogna vivere! Noi vivremo, zio Vanja, vivremo una lunga sequela di giorni, di interminabili sere”), abituata da sempre ad amministrare la tenuta con l’aiuto dello zio, nell’opaco della propria esistenza (“lo spazio dei desideri è occupato dalla meschinità spietata del quotidiano e dalla memoria delle occasioni perdute”, spiega la regista e vale per tutti): allineando momento dopo momento l’arrivo di Serebrjakov, professore in pensione ed emblema di mediocrità, con la sua seconda moglie, Elena, affascinante agli occhi di ogni maschio che circoli per casa, la passione di Vanja e le sue speranze ormai da tempo crollate, la notte di lui e di Astrov, il medico di famiglia, tra cameratismo e forti ubriacature, il bacio di Astrov a Elena e Vanja che li scorge, la decisione di vendere la tenuta ed i colpi di pistola, la vita che si riassesta nel torpore e nell’infelicità di sempre.

Che ha fatto allora la giovane, ardita Székely? Ha fatto di Serebrjakov un presuntuoso e vuoto regista di film votati al fallimento, e la disfatta personale che si riversa sulla famiglia e i dialoghi sono derivati dal mondo della celluloide; ha fatto di Vanja non soltanto un avvilito e un vinto ma un molestatore seriale ai danni della malmaritata Elena, di Astrov un bellimbusto dichiarato, anche lui con i suoi inarrestabili pruriti, che se già Cecov ne faceva un campione d’ecologia adesso s’avvicina allo spettatore per (Greta docet) intrattenerlo assai più del dovuto sul riscaldamento globale, sul depauperamento delle coste nei decenni a venire, con quelle di Malta che perderanno il 24% e con le greche che saranno assottigliate del 16%; ha annacquato la notte di bisboccia con il vecchio Teleghin a sbraitare in un ridotto slip e ha fatto di una riunione di famiglia per chiarirsi le idee una furiosa riunione di condominio dove si fronteggiano quelli che mai hanno pagato gli affitti e quanti da sempre si sobbarcano ogni spesa. Incursioni spropositate, stravolgimenti fuori misura. Ad inseguire debordanti personalismi, riletture del tutto in bilico. Allora l’attenzione va pressoché completa agli attori, a Paolo Pierobon soprattutto e a Ivano Marescotti, legati a nodo doppio con le direttive della Székely ma capaci di rendere robustamente e in prima persona i loro personaggi, di Vanja e di Serebrjakov. Come da sempre mi è piaciuta Beatrice Vecchione, con la sua Sonia più abituata a fare e a dirigere che non a guardarsi vivere. Con loro Lucrezia Guidone, Ivan Alovisio, Ariella Reggio che nemmeno le tempeste riuscirebbero a smuovere dalla venerazione per il genero fallito, Franco Ravera e Federica Fabiani, per gli applausi di un pubblico tra l’attento e il disorientato.

Elio Rabbione

 

(foto Andrea Macchia)

Incontri illuminanti con l’arte contemporanea

Porte aperte alla GAM di Torino e incontro con Luca Pannoli a conclusione del progetto inserito in “Luci d’Artista”

Sabato 18 e domenica 19 gennaio

Saranno due giornate di grande festa all’insegna dell’arte contemporanea, nelle sue varie espressioni e nella sua potenzialità di parlare e suggerire creatività e forza inventiva ai ragazzi e ai giovani, quelle organizzate sabato e domenica, 18 e 19 gennaio prossimi, presso il Dipartimento Educazione GAM (in via Magenta 31, a Torino), a conclusione del progetto “Segni Segnali Simboli”, seconda edizione di “Incontri illuminanti con l’arte contemporanea – Luci d’Artista” promossa dalla Città di Torino e dalla Circoscrizione V.

Il progetto, ispirato all’opera “L’amore non fa rumore” del visual artist torinese (fondatore dello studio multidisciplinare “ONDESIGN”) Luca Pannoli, quest’anno collocata in piazza Montale per “Luci d’artista”, ha visto coinvolti più di mille bambini e ragazzi tra scuole primarie e secondarie della Città di Torino, che hanno partecipato, tra il mese di ottobre e gennaio, alle proposte del Dipartimento Educazione GAM (con l’attività IN-VESTE), alle Attività Educative e Formative del PAV Parco Arte Vivente (con il progetto GREEN PARADE) e alle attività performative proposte da Stalker Teatro/Officine Caos.

Gli esiti dei laboratori, seguiti dai ragazzi con grande interesse e attiva partecipazione, saranno sono esposti in una specifica mostra allestita negli spazi della GAM in via Magenta.

 

Il programma delle due giornate:


Sabato 18 gennaio 2020 ore 10 – Sala 1 GAM – via Magenta, 31

“INCONTRO ILLUMINANTE” CON LUCA PANNOLI

L’artista, autore dell’opera “L’amore non fa rumore” (incentrata sui “rapporti realtà/finzione, segno/messaggio e identità/memoria quali emblemi della contemporaneità”) e il direttore della GAM, Riccardo Passoni, saranno a disposizione del pubblico in un dialogo aperto ad  impressioni e contributi relativi all’esperienza. Al termine inaugurazione della mostra con la presenza dell’Assessora comunale alla Cultura Francesca Leon e del Presidente della Circoscrizione V Marco Novello. Evento aperto a tutti.

 

Sabato e domenica ore 15 – Area Education GAM – Via Magenta, 31

“PERFORMANCE GREEN PARADE. Segni, Segnali e Simboli della natura senza voce”

A cura delle AEF/PAV Parco d’Arte Vivente

Sabato e domenica dalle 10 alle 18 – Area Education GAM – Via Magenta, 31

“MOSTRA ILLUMINANTE \ DIP.ED. GAM, AEF/PAV E STALKER TEATRO”

Per condividere i risultati positivi del percorso di avvicinamento all’Arte Contemporanea, le famiglie dei ragazzi e bambini che hanno partecipato alle attività sono invitate alla GAM, secondo un calendario concordato, con ingresso gratuito al museo. In programma, una grande festa che prevede un percorso alla scoperta di alcune opere della Collezione Permanente individuate durante il progetto, e l’esposizione degli elaborati prodotti dagli studenti durante gli incontri alla GAM, al PAV – Parco Arte Vivente e alle Officine CAOS con StalkerTeatro.

 

Info GAM-Galleria civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429630 o www.gamtorino.it / infogamdidattica@fondazionetorinomusei.it

 

g.m.

 

Nelle foto
– Festa illuminante in piazza Montale
– Alcuni gruppi di ragazzi partecipanti al progetto

Un “Matrimonio segreto” in versione contemporanea

Il duo Nagele-Pizzi propone il  dramma di Cimarosa, in un allestimento  raffinato, al teatro Regio di Torino

 

“Il matrimonio segreto” di Domenico Cimarosa è in scena al teatro Regio di Torino da mercoledì 15 gennaio alle 20.

Rappresentato per la prima volta nel  febbraio1792 al Burgtheater di Vienna, questo è tra i pochi drammi giocosi ad essere entrato nel repertorio dei più famosi teatri europei, affascinando artisti come Goethe, Stendhal ed il filosofo Nietzsche. Nonostante al giorno d’oggi venga eseguito meno, continua tuttavia ad essere considerat uno degli esempi più felici della produzione operistica della scuola napoletana settecentesca, cui Cimarosa apparteneva, insieme a Piccinini e Paisiello. “Il Matrimonio segreto” propone un perfetto schema sia geometrico sia musicale, in cui i sei personaggi sono distribuiti in un perfetto equilibrio fra tre voci maschili e tre femminili.

Il capolavoro di Cimarosa viene proposto nell’allestimento raffinato e contemporaneo del regista Pier Luigi Pizzi, che ha debuttato la scorsa estate al Festival della valle d’Itria. L’opera settecentesca risulta attualizzata in modo coinvolgente e giocoso, senza, tuttavia, essere stravolta, ma resa, invece, in modo molto naturale nello sviluppo della tematica dell’inganno degli affetti. “Il matrimonio segreto” risulta, così, l’anello di congiunzione tra l’opera comica di Mozart, da una parte, e Rossini ed il romanticismo, dall’altra, con un perfetto ingranaggio teatrale ed una brillante vena melodica.

Dirige l’orchestra del Teatro Regio di Torino Nikolas Nagele. Il giovane cast è formato da Carolina Lippi nei panni della primadonna, Marco Filippi Romano in quelli di Geronimo, Alasdair Kent in quelli di Paolino, Markus Werba interpreta il ruolo del conte Robinson, Fidalma ed Elisetta sono, rispettivamente, interpretate da Monica Bacelli ed Eleonora Bellocci.

 

Mara Martellotta

 

(foto M. Bursuc)

Al MEF opere dalla collezione di Ernesto Esposito

“Me Two. Some people / Brasil!”

“Some People”: fino al 26 gennaio 2020
“Brasil!”: dal 30 ottobre 2019 al 16 febbraio 2020


Lui, Ernesto Esposito (napoletano, classe ’52) è oggi nel gotha dei shoes designer italiani, celebre per le sue collaborazioni nella haute couture internazionale, ma é anche (attenzione!) uno dei più importanti e poliedrici collezionisti d’arte contemporanea del nostro Paese. Tanto che la sua raccolta, iniziata negli anni Ottanta (attraverso un’ instancabile ricerca presso le Gallerie più influenti del settore e l’amicizia personale con i massimi nomi dell’avanguardia mondiale, da Cy Twombly a Joseph Beuys, fino a Robert Rauschenberg o a Andy Warhol o a Helmut Newton, solo per citarne alcuni), è oggi riconosciuta come una fra le più interessanti sul piano internazionale ed è stata, per questo, esposta in vari musei europei ed americani. Ebbene, fino al 16 febbraio 2020, della “collezione Esposito” potrà goderne – prima volta sotto la Mole – anche il pubblico torinese. Il merito va al MEF-Museo Ettore Fico di via Cigna a Torino che, nei suoi spazi, ospita la mostra dal titolo riassuntivo “Me Two” (parafrasi per assonanza della famosa “me too”, frase coniata nel 2017 in forma di hashtag e che da allora ha segnato una svolta contro lo stolking femminile) in cui si presentano, in due momenti espositivi differenziati nel tempo e nei contenuti (oltreché nei titoli ) un centinaio di opere raccolte negli anni dal grande stilista- collezionista partenopeo. “Some people”, il titolo della prima rassegna, oggi allestita al piano terreno del Museo fino al 26 gennaio del prossimo anno e che, dal 30 ottobre, si affiancherà alla seconda titolata “Brasil!” esposta al primo piano, in occasione di “Artissima”.

Curata da Andrea Busto, “Some people” raccoglie circa ottanta fra fotografie originali e stampe vintage anche di grandi dimensioni, che documentano l’intero sviluppo della ricerca fotografica d’avanguardia, con firme che vanno da Von Gloeden a Mapplethorpe, da Helmut Newton e Bruce Weber, fino a Cindy Sherman, Thomas Ruff, Wolfgang Tillmans, Thomas Struth e Andy Warhol. “Se l’incontro con Jack Pierson – sottolinea Busto – è diventato una sorta di collaborazione ‘sul campo’, altre opere rappresentano invece una metafora esistenziale, come una sorta di partecipazione a un club, a una congregazione, a un gruppo identitario, a una setta, in cui gli adepti si riconoscono e si apprezzano identificandosi per sensibilità ed estetica comune”. Obiettivo: “Raccontare, attraverso lo sguardo acuto del collezionista appassionato, come da mera forma documentaria la fotografia si sia affermata a linguaggio autonomo parallelo alla pittura, alla scultura, al disegno e come da sempre sia in dialogo, anche conflittuale, con le altre discipline artistiche”. Lo scopo che sta alla base di “Brasil!” (la seconda mostra inserita in “Me Two”, dal 30 ottobre prossimo al 16 febbraio 2020 e il cui titolo è un esplicito riferimento all’omonimo film di Terry Gilliam del 1985) è invece quello di proporsi come un focus sulle ultime generazioni di artisti brasiliani, che hanno segnato una svolta nel panorama dell’arte contemporanea internazionale, ponendosi come una vera e propria scuola e corrente. Una ventina gli artisti rappresentati in rassegna, i cui lavori sono legati alla produzione degli ultimi vent’anni e che sono “cartina al tornasole – scrive la curatrice Elsa Ravazzolo Botner – dei cambiamenti e delle criticità epocali…La loro sensibilità converge nella produzione di opere non solo estetiche ma, soprattutto, dense di problematiche politiche ed economiche”. “I profumi della terra e dei fiori – ancora Ravazzolo Botner – la ‘saudade’ della bossa nova e il brio eccitante della samba, l’improbabile architettura delle favelas e la razionalità della capitale Brasilia, disegnata da Oscar Niemayer, si mescolano e si confondono attraverso la specificità dei materiali utilizzati dagli artisti che sono desunti direttamente dalla natura e dalla produzione industriale”: le spezie per Ernesto Neto, la terra e il legno per Matheus Rocha Pita, così come i semplici oggetti di uso comune quali righelli, orologi e numeri in vinile per le installazioni di Cildo Meireles o amache o stoviglie o pentole per Opavivarà!

Gianni Milani

“Me Two. Some people / Brasil!”
MEF-Museo Ettore Fico, via Cigna 114, Torino; tel. 011/853065 o www.museofico.it
“Some people”: fino al 26 gennaio 2020 / “Brasil!”: dal 30 ottobre 2019 al 16 febbraio 2020
Orari: merc. – dom. 11/19; lun. e mart. chiuso

Nelle foto

Da “Some people”

– Andy Warhol: “Ernesto Esposito”, 1987, courtesy Ernesto Esposito
– Robert Mapplethorpe: “Ken Moody”, 1983
– Ryan Mendoza: “Cheerleader in Former Soviet State Building”, Moscow, 2017
Da “Brasil!”
– Cildo Meireles:”Fontes”, 1992

Arteinfiera, le prime anticipazioni

Dal Piemonte / Eventi culturali

Con la 74° fiera di San Giuseppe a Casale Monferrato  si inaugurerà la 26° edizione di Arteinfiera, mostra d’ arte contemporanea curata ed ideata dall’artista e critico d’arte Piergiorgio Panelli

Prosegue con successo questo momento di contaminazione fra le  novità di una fiera generica e l’arte contemporanea a dimostrazione di come il bello possa essere emozionante su varie tematiche e linguaggi. Nel 1995 quando nasce storicamente il progetto infatti l’idea principale è stata quella di creare un incontro quasi casuale fra l’arte ed il pubblico di una fiera non specialistica cercando emozioni spontanee. Nel tempo sono cosi stati allestiti spazi con quasi 250 artisti dai linguaggi più diversi , pittura, scultura, installazioni, video arte, fumetto , performance, con artisti del territorio ma anche con artisti di livello nazionale o giovani artisti che nel tempo sono diventati riconosciuti maestri. Il titolo di questa edizione sarà ” Dissolvenze liquide” un titolo che sarà poi spiegato nel testo introduttivo al depliant della mostra che conterrà anche le immagini delle opere degli artisti che sarà sponsorizzato dalla ditta Magnoberta di Casale Monferrato. Fra gli artisti selezionati  troviamo in questa edizione Rita Bo, Leo Ippolito, Anne Conway, Cecilia Prete, Livio Degiovanni, Paolo Viola ed altri. Il progetto come sempre sarà patrocinato dall’assessorato alle manifestazioni del Comune di Casale Monferrato.

Una notte all’Officina della Scrittura, tra aperitivo e cocktail bar

All’Officina della Scrittura una visita notturna che vale la pena non perdere. 

Il Club Silencio è un’associazione culturale il cui obiettivo è quello di valorizzare e promuovere il patrimonio storico-culturale dei musei e degli edifici storici d’Italia attraverso l’organizzazione di iniziative serali. 

L’appuntamento è per mercoledì 15 gennaio: il Club Silencio è lieto di invitarvi a scoprire il primo museo al mondo dedicato alla cultura del segno. Dove, in un perfetto mix di tecnologia e tradizione, si produce la prima vera stilografica italiana: l’Aurora. 

La visita guidata all’Officina della Scrittura

La visita guidata accompagnerà il pubblico alla scoperta del Museo della Scrittura, per ripercorrere attraverso tecnologia e tradizione la storia della scrittura. Sarà inoltre possibile visitare la mostra temporanea “Aurora eterna” (visitabile solo fino al 31 gennaio), per ripercorrere i 100 anni del marchio attraverso più di 50 opere d’arte e di design; e la mostra “Un tasto italiano, Remington e Cesare Verona a Torino”, un percorso alla scoperta della famosa macchina da scrivere e dell’uomo che l’ha importata in Italia. 

L’aperitivo con cocktail bar sarà servito nella Sala dei Mestieri. La serata sarà accompagnata dalla selezione musicale di Luca Barral. 

Nel tour i visitatori potranno vedere il processo produttivo delle iconiche stilografiche e ci sarà anche un Laboratorio di Scrittura nel quale gli ospiti potranno provare un’ampia scelta di penne Aurora, fino ad individuare il pennino ideale per la propria grafia.

Un evento totalmente plastic free

Club Silencio si impegna nella lotta alla plastica “usa e getta”. Per dare un piccolo contributo alla salvaguardia dell’ambiente l’Associazione Club Silencio ha deciso di inserire bicchieri di plastica riutilizzabili. Tutto il materiale riciclabile è realizzato in collaborazione con #GreenTo sulla scia della campagna #PlasticFree. 

Dove e quando

Mercoledì 15 gennaio 2020

dalle ore 19:30 alle ore 00:00

Officina della Scrittura, Strada da Bertolla all’Abbadia di Stura 200, 10156 Torino 

Sito ufficiale