CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 540

Il Premio InediTO in diretta Facebook

Martedì 26 gennaio ore 18:00 si svolgerà la diretta dalla pagina Facebook del Premio InediTO – Colline di Torino per promuovere e presentare il nuovo bando 2021 della ventesima edizione la cui corsa per iscriversi si concluderà il 31 gennaio.

Parteciperanno all’evento streaming Antonella GiordanoLaura Pompeo e Tiziana Siragusa, assessori alla cultura dei comuni di ChieriMoncalieri e Chivasso aderenti all’iniziativa, Cecilia Cognigni, responsabile delle Biblioteche Civiche Torinesi in rappresentanza della Città di Torino, Laura Prunello, della Biblioteca “Alda Merini” di Rivoli, il direttore del premio Valerio Vigliaturo, alcuni componenti della giuria presieduta da Margherita Oggero e formata da: Milo De Angelis, Maria Grazia Calandrone, Enrica Tesio, Sacha Naspini, Marco Lupo, Valentina Maini, Michela Marzano, Massimo Morasso, Elisabetta Pozzi, Emiliano Bronzino, Alice Filippi, Paolo Mitton, Teresa De Sio, Willie Peyote.

Attraverso il format “Da inedito a edito, percorsi verso la pubblicazione e la produzione” (che a causa dell’emergenza sanitaria non è stato possibile realizzare nelle varie sedi delle biblioteche), interverranno alcuni autori premiati nelle scorse edizioni che hanno pubblicato o prodotto le loro opere grazie al premio che non abbandona i vincitori al loro destino, ma li sostiene e accompagna nel mondo dell’editoria e dello spettacolo grazie al montepremi di 7.000 euro e ai premi speciali come “InediTO Young” in collaborazione con Aurora Penne e L’Officina della Scrittura, “InediTO Ritrovato” assegnato a un’opera inedita di uno scrittore non vivente, “Alexander Langer” e “Giovanni Arpino” in collaborazione con la Città di Torino e i consiglieri comunali Federico Mensio e Marco Chessa, “Borgate Dal Vivo” in collaborazione con il festival, “Routes Méditerranéennes” in collaborazione con l’UJCE (Unione Giornalisti e Comunicatori Europei), conferito a un’opera che descriva storie e migrazioni sulle strade del Mare Nostrum.

La diretta  si svolgerà grazie al supporto tecnico del Festival Internazionale di Letteratura “I luoghi delle Parole” di Chivasso diretto da Diego Bionda, partner del premio.

Per il bando completo consultare:

Il “Giorno della Memoria” dedicato alle donne nella Shoah

“Come rane d’inverno” Allestimento alla “Soms” di Racconigi, visitabile online dal 27 gennaio

“…Considerate se questa è una donna/ Senza capelli e senza nome/ Senza più forza di ricordare/ Vuoti gli occhi e freddo il grembo/ Come una rana d’inverno…”: da questi versi, ispirati all’antica preghiera della liturgia ebraica dello “Shemà” e parte della poesia introduttiva alle pagine – le più celebri dedicate all’inferno di Auschwitz- di “Se questo è un uomo”, scritte da Primo Levi e pubblicate per la prima volta nel ’47 dall’editrice “De Silva”, deriva l’allestimento prodotto dall’Associazione Culturale “Progetto Cantoregi” e visitabile online in occasione del “Giorno della Memoria” dal 27 gennaio prossimo. Allestito alla “Soms”, ex Società Operaia di Mutuo Soccorso di Racconigi ( oggi sede della stessa Associazione ), il lavoro scenico sarà visitabile grazie al video pubblicato sul sito web progettocantoregi.it, sulla pagina Facebook di Progetto Cantoregi e sul sito del Comune di Racconigi. A muovere il racconto sarà, in tutto e per tutto, la figura femminile. Le donne della Shoah cui il progetto è specificamente dedicato. Esseri umani, privati dalla pazzoide ferocia nazista d’ogni umanità e identità, che Primo Levi equiparava nelle sfatte forme alle “rane d’inverno”, vittime di una prigionia fatta di fame, freddo, percosse, violenze e umiliazioni. Cose. Oggetti. Stracci. Rifiuti. Destinati allo sterminio, all’impietosa eliminazione. Senza colpe, se non quella di rappresentare la “diversità”. L’essere “altro” dalla nobile, e destinata a dominare il mondo, stirpe ariana. Le toccanti e drammatiche testimonianze di donne, spesso ancora bambine o giovani ragazze, che sono state internate nei campi di concentramento, o di intellettuali, che hanno urlato e urlano contro gli orrori dell’Olocausto, scorreranno sullo schermo della “Soms” e, ancora oggi, saranno un grido silenzioso contro i soprusi dell’uomo sull’uomo.

Urla. Parole che bruciano i cuori. Prive d’odio. Lanciate al vento come forte messaggio di memoria. Per non dimenticare. Quelle, tra le altre, di Anna Frank, Etty Hillesum, Edith Bruck, Liliana Segre, Hannah Arendt, Irène Némirovsky, Nelly Sachs, Gitta Sereny, Simone Weil, Elisa Springer, Joyce Lussu e Lidia Rolfi.
“L’installazione – spiega il presidente di ‘Progetto Cantoregi’ Marco Pautasso – trae ispirazione dai versi della nota poesia di Primo Levi, ed è dedicato alle donne nella Shoah, alla condizione femminile all’interno dei lager, alla specificità del loro vissuto. Non c’è volontà di guardare la Shoah da una prospettiva di genere, perché non esiste una gerarchia nella sofferenza. Ma queste testimonianze hanno contribuito ad allargare e arricchire l’ambito della nostra riflessione, la visione e comprensione di quanto è accaduto, anche nelle sue atrocità più efferate”.

In scena, tra il palco e la platea, si stagliano gli oggetti tristemente simbolici dell’inferno concetrazionario, che rappresentano gli effetti personali o domestici sottratti all’identità e alla dignità di tante donne: scarpe, indumenti, cappotti, sciarpe e foulard, libri, pettini, valigie, bambole, posate e anche capelli. Memorie di vite annullate. Memorie da non cancellare. Perché “questo è stato”.
Info: 335.8482321 – 338.3157459 – www.progettocantoregi.it – info@progettocantoregi.i Fb Progetto Cantoregi – Tw @cantoregi – IG Progetto Cantoregi.

 

Nelle foto (dal sito “encyclopedia.ushmm.org“):
– Prigioniere nelle cave del lager di Plaszow  (Polonia), 1944
– Donne sopravvissute al lager, dopo la liberazione di Auschwitz, 1945
– Anna Frank
– Etty Hillesum

Riapriamo subito le sale teatrali e che l’Italia della canzonetta non possa vincere

Ah, le canzonette! Che poi, come cantava qualcuno, sono solo canzonette, non dovrebbero disturbare. E invece no, a quelle canzonette si costruiscono piedistalli – seppure con temporanei e fragili basi d’argilla -, tutt’intorno si confezionano serate televisive, per darci divertimento, dicono loro, zeppe dei soliti nomi che di tanto in tanto, gellificati e stratamponati, per esempio in un Sistina ridotto a studio televisivo, spremono la lacrima per quei “colleghi cui l’annus horribilis ha impedito e continua a impedire di lavorare, noi siamo qui anche per loro”.

Mentre un velo sottile sottile di ipocrisia cala sul teleschermo. E i flashmob in piazza si sprecano, inascoltati. Piedistalli intorno ai quali l’Italietta della canzone trova il suo miglior momento, da anni (siamo arrivati al settantesimo appuntamento, tra alti e bassi, tra successoni salva Rai e cali d’ascolto su cui arrabattarsi il giorno dopo), a Sanremo, nelle più o meno tiepide giornate di febbraio, quest’anno slungate ai primi di marzo, non si sa mai. Perché quei piedistalli sono il meccanismo annuale che non si può inceppare né scavalcare, perché su di essi fiorisce un’industria – sponsor docet -, ricca e salvifica,  di cui non si può tacere, in grado di riempire di linfa nuova le casse della tivù. E allora ben vengano Orietta Berti, trasportata lì dalle personali altezze filosofiche alla corte di Fazio, e il rap e il resto della corte dei prescelti a riscattare con le loro ugole questo tempo gramo, ben vengano le performance del signor Lauro De Marinis, “in arte” Achille Lauro, presenza ricercata (imposta?) e insostituibile, capace di scalare inimmaginabili vette con le sue Rolls Royce o i suoi Me ne frego come con le sue tutine trasparenti. Show must go on ci insegnano d’oltreoceano, il carrozzone deve andare avanti diciamo noi.

In questo periodo di ordini e contrordini, di riunioni e di giuramenti del tipo “andrà tutto bene”, di pacche sulle spalle tra gli amiconi Amadeus e Fiorello e di telefonate all’alba a cercare soluzioni dell’ultima ora, di spazi esterni tipo navi da crociera confezionati ad hoc per la salute pubblica, quel che non riusciamo a mandar giù è l’uso del teatro Ariston, che le sue porte si spalanchino – al di là del solito ritornello “dopo aver preso tutte le precauzioni del caso” e del proclama ingannatore e di comodo “noi dobbiamo portare nelle case allegria e leggerezza”- per cinque sere, che s’inventino un circa quattrocento figuranti, contrattualizzati e con tanto di tamponi per ogni tranquillità, e che la galleria se ne resti lì svuotata di tutto e di tutti.

Un panorama triste, diciamo noi, tra attività che cessano, tra le barzellette dei seicento euro tirati a mille che arrivano quando arrivano, con il contagocce (a proposito, anche a quei semisconosciuti canterini – o attori in erba come a quelli che in erba non sono più, che le bollette continuano a pagarle – che non hanno ancora ben chiaro che faccia abbia il successo), tra i vaccini che si macchiano di ritardi e i conti che non tornano, tra le crisi senza fine del governo, tra questo mostro che finirà col mettere troppi in ginocchio. Ah no, Sanremo non si tocca, dicono al contrario in Rai, quel festival s’ha da fare e “senza pubblico e il suo calore”, come ci tiene a precisare Iva Zanicchi, “sarebbe molto triste”. D’accordissimo. Mentre i francesi con tutta la loro grandeur, dopo che hanno fatto della Croisette un deserto lo scorso maggio, pensano di far slittare Cannes e il suo festival a luglio, con ogni gesto scaramantico, decente e no, mentre gli inglesi, azzannati da una brexit che costringe gli artisti a casa loro, hanno per il secondo anno fatto una croce sul festival di Glastonbury, mentre anche il carnevale di Rio rimetterà in soffitta bauli e paillettes.

D’accordissimo con la Iva nazionale. E’ come farsi servire una bella puttanesca e vedersi arrivare una pasta in bianco. E’ l’Ariston in quanto teatro che non mi sta bene. Che la Rai riesca ad imporre il suo diktat. Che per cinque giorni lì dentro esistano le luci, le voci, gli affanni, il sudore, le proposte, i sentimenti, le riuscite e i fallimenti: mentre tutti gli altri teatri italiani, abolita ogni scala di grandezze e di valori, restano polverosamente chiusi. Non mi sta bene che nell’arcobaleno di colori rosso arancione giallo, che nello srotolìo di notturni DCPM, di riunioni nel cuor della notte per salvare la patria, nessuno (ma Franceschini dov’è? ha una voce, qualche proposta al proposito? o lo sentiamo far festa e inneggiare alla cultura dell’Italia soltanto quando a Pompei trovano un galletto dipinto in un thermopolium di duemila anni fa?) si sia per un attimo messo le mani nei capelli e, folgorato, abbia gridato “oddio, abbiamo anche i teatri e i cinema che da un anno non riaprono, abbiamo i set spenti e le compagnie che non si possono formare, abbiamo un enorme pacchettone di film che non possono uscire e che finiscono per la contentezza di pochi su qualche piattaforma, abbiamo gli attori a spasso!”, fregandosene di quanto la sala e il grande schermo siano ancora, alla faccia delle più recenti tecnologie, il mezzo più “bello” (ma ognuno si scelga l’aggettivo che più gli piace) per godersi un film e il palcoscenico, con tutta la sua polvere, trascinata giù da secoli di arte e di storia, di una Vita che non si può far finta che non esista, uno dei luoghi più vitali e significativi che ci possano essere. Gabriele Lavia accusava ieri dalle colonne del Messaggero “la morte del teatro” e definiva “una volgarità” questo affannarsi di troppi intorno all’appuntamento rivierasco. E se non è morte, è una lunga insopportabile agonia. Lo streaming, vabbè, ma è come visitare gli angoli più singolari del mondo standocene stancamente a casa, magari davanti al piattino dei cioccolatini, davanti a qualche sito.

“Latitante” ha definito il ministro “alla Cultura” nei giorni scorsi Emma Dante, regista teatrale e lirica, una delle punte d’eccellenza di casa nostra, dalle pagine dei social, “se si decide di fare Sanremo con il publico, si riaprono i teatri e i cinema. E’ pacifico”. La prosa morta, il cinema affossato, il balletto in solaio, i concerti nella totale ombra, è doveroso, umano, coerente cercare un orizzonte di luce. Con l’Ariston di Sanremo. Dopo l’Ariston di Sanremo. Le ha fatto eco Manuela Kustermann, nome storico del teatro, oggi responsabile del Vascello di Roma: “Se il festival di Sanremo apre al pubblico, mobilitiamoci, scendiamo in piazza. Ci sentiamo mortificati, dimenticati. Si parla di turismo, mai di cultura, mai di teatro. E’ vergognoso che da mesi il ministro Franceschini sia latitante, non dica nulla, non si esponga”. Il teatro deve riprendere vita, con tutte le precauzioni, i teatri e i teatranti devono sentirsi di nuovo vivi, vedere riaffermato quel posto che gli spetta, ben oltre le canzonette. Non è più tempo di panem et circenses, i miseri ristori e il  festival canterino della nostra epoca, non è più tempo di girare la faccia dall’altra parte. Altrimenti non sarà soltanto la morte del Teatro. La Commissione di Vigilanza ha convocato per domani martedì il direttore di Raiuno, Stefano Coletta, vedremo che avrà da dire e quali decisioni verranno prese.

Elio Rabbione

Il concerto del Teatro Regio per il Giorno della Memoria

Mercoledì 27 Gennaio 2021 ore 11 e ore 18 Streaming gratuito su www.teatroregio.torino.it

 «Se il teatro si chiude in se stesso e non incide nelle problematiche della comunità, non assolve la sua funzione, la sua missione sociale di istituzione culturale», così Rosanna Purchia, Commissario straordinario del Teatro Regio, esprime la visione che anima l’impegno del Teatro per i ragazzi e i giovani e anticipa la ripartenza della Stagione educational che si inaugura con il Concerto per il Giorno della Memoria mercoledì 27 Gennaio in un doppio appuntamento alle ore 11 (per i ragazzi delle scuole superiori) e alle 18 in streaming gratuito su www.teatroregio.torino.it.
Ogni 27 gennaio si celebra il “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici nei campi di concentramento. La simbolica data rimanda al 27 gennaio del 1945, quando i primi soldati sovietici entrarono ad Auschwitz e resero pubblico l’atroce scempio perpetrato dal regime nazista.
Il Teatro Regio, che da anni partecipa alle iniziative dedicate dalla Città di Torino al Giorno della Memoria, quest’anno propone un concerto di cui è protagonista assoluto il Coro Teatro Regio Torino diretto dal Maestro Andrea Secchi. Il concerto sarà introdotto da Sebastian F. Schwarz, Direttore artistico del Teatro.
Il programma è interamente dedicato a Viktor Ullmann, compositore, direttore d’orchestra e pianista austriaco, ebreo di origini slesiane. Il Coro del Regio esegue Dieci brani yiddish ed ebraici per coro, che prevede: due canti cassidici per coro femminile Hal’a, jarden (Scorri, fiume Giordano) e Ura, ura, Jissrael (Avanti, Israele!); tre canti yiddish per coro maschile As der Rebe elimelech (Quando il rabbino Elimelech), Scha schtil (Shhh, silenzio!) e Fregt di welt (Il mondo si domanda); tre canti yiddish per coro femminile Jome, Jome (Jome, Jome), Du solst nischt gejn (Non dovresti andare) e Du Mejdele (A te, bella fanciulla); due canti ebraici per coro misto Anu olim (arza) (Torniamo a casa) e Elijahu hanaawi (Elia il profeta).
Allievo di Zemlinsky e Schönberg, Viktor Ullmann (1898-1944) negli anni giovanili condusse una brillante carriera musicale. Nel 1942 venne trasferito nel campo di concentramento di Theresienstadt, dove, in qualità di Responsabile dello Studio per la Nuova Musica, ebbe modo di scrivere e rappresentare numerose composizioni di vari generi. Il 16 ottobre 1944 fu trasferito nel campo di concentramento di Auschwitz, dove morì due giorni dopo.
I dieci brani proposti sono arrangiamenti per coro a cappella di canzoni ebraiche, yiddish e cassidiche composti in quel luogo, che lo stesso Ullmann definì uno stimolo, non un impedimento, alle proprie attività musicali: «in nessun modo ci siamo seduti sulle sponde dei fiumi di Babilonia a piangere; il nostro rispetto per l’Arte era commensurato alla nostra voglia di vivere; sono convinto che tutti coloro, nella vita come nell’arte, che lottano per imporre un ordine al Caos, saranno d’accordo con me». Il concerto resterà disponibile sul sito del Teatro Regio per chiunque desideri rivederlo e riascoltarlo.

Alla Gipsoteca di Casale l’eredità artistica di Bistolfi

Leonardo Bistolfi: finalizzato l’accordo tra famiglia e Comune.  Il sindaco Federico Riboldi: «Grazie alla fiducia della famiglia, l’importante patrimonio artistico sarà a disposizione del grande pubblico» 

A 88 anni dalla morte, il percorso artistico del grande scultore Leonardo Bistolfi si riunisce e si ricompone nella sua città natale: Casale Monferrato. Dopo la scomparsa dell’ultimo erede, Andrea, nel giugno del 2019, la vedova Vanda Martelli Bistolfi aveva intrapreso un dialogo con il Comune per una nuova collocazione della collezione, individuata al Museo Civico, e in particolare alla Gipsoteca Bistolfi, che, con la firma dei giorni scorsi, diventa proprietario e custode dell’importante patrimonio artistico e documentale appartenuto al celebre scultore.

La firma ufficiale sull’atto di donazione è stata posta martedì 19 gennaio a Torino da parte del sindaco Federico Riboldi e della signora Vanda Martelli, sotto la supervisione del notaio Marina Aceto.

Al Comune di Casale Monferrato giungerà così il patrimonio artistico della famiglia Bistolfi, costituito da sculture, dipinti, disegni, opere grafiche, taccuini, materiali d’archivio e libri, tutti provenienti direttamente dallo studio dello scultore che morì nel 1933 e le cui spoglie sono tumulate nel famedio del cimitero monumentale della città.

Numerosi sono stati i contatti intercorsi nei mesi scorsi tra l’Amministrazione Comunale, il Museo e la signora Martelli al fine di giungere a questo importante obiettivo. Fondamentale è stata anche l’inventariazione analitica dei beni affidata a Sandra Berresford, professoressa, studiosa ed esperta del settore, nonché apprezzata e indiscussa conoscitrice del percorso artistico di Leonardo Bistolfi.

Quella di martedì è comunque solo la formalizzazione di un percorso che ha sempre legato la città di Casale Monferrato, in particolare il Museo, e la famiglia Bistolfi: risale infatti al 1984 la primissima mostra dedicata allo scultore, iniziativa che aveva dato l’avvio allo studio delle opere, alla pubblicazione di un catalogo e a una campagna di restauri. A seguire, nel 1995 la prima donazione di opere d’arte per volontà di Andrea, in occasione dell’apertura del Museo Civico, per poi consolidarsi nel 2001 con l’aggiunta di nuove opere destinate alla quinta sala della Gipsoteca.

I coniugi Bistolfi, inoltre, non mancavano di essere presenti a Casale Monferrato nelle varie occasioni ufficiali: inaugurazioni di mostre, convegni, presentazioni.

Le dichiarazioni

Il sindaco Federico Riboldi: «L’amministrazione è grata e riconoscente alla signora Bistolfi della fiducia riposta nei confronti della città di Casale Monferrato, e in particolare al Museo Civico, e per aver aperto le porte della sua abitazione che hanno conservato finora con tanta cura e devozione ogni minima testimonianza proveniente dallo studio dello scultore».

Il vicesindaco Emanuele Capra: «Riteniamo questa donazione, che implementa e completa la collezione del Museo, di enorme importanza per la nostra Amministrazione, che ha tra i suoi obbiettivi quello di dare a Bistolfi la giusta valorizzazione affinché diventi uno dei principali motivi di richiamo del turismo culturale».

L’Assessore alla Cultura, Gigliola Fracchia: «Con questa donazione la nostra Gipsoteca e la nostra città potranno diventare il polo per gli studi e gli approfondimenti sulla vita artistica di uno dei più importanti scultori simbolisti d’Italia, capace con le sue opere di abbellire e arricchire piazze, teatri, palazzi e cimiteri in tutto il Mondo».

La conservatrice del Museo Civico – Gipsoteca Leonardo Bistolfi, Alessandra Montanera: «È questa un’occasione straordinaria. I materiali che verranno conferiti al Museo di Casale Monferrato rappresentano un’eredità culturale unica, che permetterà di riunire in un solo luogo oggetti preziosi che consentiranno di approfondire il percorso artistico e umano di questo grande artista, concorrendo alla valorizzazione della sua figura. L’acquisizione, il trasferimento e le prime operazioni volte alla tutela e alla conservazione di questo prezioso giacimento culturale, saranno programmate per renderlo il prima possibile accessibile e fruibile a tutti».

La collezione

La collezione che giungerà a Casale Monferrato consiste in opere di diretta produzione di Leonardo Bistolfi: 20 terrecotte e terrecrude, 9 opere in metallo, 20 in plastilina, 170 sculture in gesso, una in marmo, una cinquantina di medaglie in gesso e una quarantina di monete in metallo, una vastissima collezione di disegni di vario formato racchiusi in album e cartelle, 50 dipinti di formato medio e piccolo, 35 taccuini, miscellanea e memorabilia, corrispondenza da e a Bistolfi e l’archivio famigliare. A questo notevole corpus di opere si aggiungono altri materiali di artisti a lui contemporanei: sculture, dipinti, opere grafiche, una vasta biblioteca e una raccolta di riviste d’epoca.

La Gipsoteca oggi

La Gipsoteca di Leonardo Bistolfi (Casale Monferrato, 1859 – La Loggia, Torino 1933), ospita, al pian terreno del Museo Civico, oltre centosettanta opere tra terrecotte, disegni, plastiline, bozzetti e modelli in gesso, alcuni marmi e bronzi provenienti dalla donazione del banchiere casalese Camillo Venesio del 1958 e integrati, in seguito, con donazioni e opere in deposito dalla famiglia Bistolfi.

Tali materiali permettono di comprendere le diverse fasi del procedimento artistico di Bistolfi, uno dei maggiori interpreti, a livello internazionale, del Simbolismo: dal bozzetto in terracotta in cui lo scultore fissava con immediatezza la prima intuizione, al successivo bozzetto in gesso, al modello definitivo che concretizzava l’idea finale e costituiva l’effettiva realizzazione dell’opera, prima della sua trasposizione in marmo e bronzo.

Le opere esposte documentano l’articolato percorso artistico di Bistolfi: dagli esordi che lo legano alle esperienze lombarde coeve della Scapigliatura – Gli amanti (1883) –  intervallate da piccoli gruppi di gusto verista – Il boaro (1885) – fino all’elaborazione di un linguaggio proprio, in cui figura e simbolo daranno vita a una personalissima poetica che troverà riscontro in numerose committenze private e pubbliche, molte di queste legate alla scultura funeraria e celebrativa.

Sarà La sfinge (1890) per il Monumento funerario Pansa di Cuneo a consacrarlo scultore simbolista, a cui seguiranno opere memorabili come Il dolore confortato dalle memorie (1898) o Il funerale di una vergine (1899) o ancora Resurrezione (1902) e La Croce (1899). Ma di Bistolfi sono altrettanto noti i  monumenti celebrativi, realizzati per Giovanni Segantini (1899), Giuseppe Zanardelli (1908), Cesare Lombroso (1921), Giosuè Carducci (1908-1928) e quelli per Giuseppe Garibaldi (1908 e 1928), a cui si aggiungono numerosi ritratti e targhe commemorative.

La Gipsoteca domani

La ricezione dei materiali a Casale Monferrato, che avverrà a lotti con ditte specializzate  nel settore del trasporto di opere d’arte e sotto la supervisione del personale museale,  prevede la collocazione iniziale in locali di deposito. Si verificherà lo stato conservativo e le modalità idonee per la corretta conservazione, oltre agli interventi di manutenzione, attraverso la collaborazione della competente Soprintendenza.

Si procederà quindi all’esecuzione di una campagna fotografica ad alta risoluzione e alla digitalizzazione dei materiali cartacei che verrà utilizzata non solo a uso interno del Museo, ma resa disponibile anche attraverso la consultazione online, con modalità di accesso controllate.

Il futuro della Gipsoteca, quindi, sarà quello non solo di sala espositiva, ma di luogo di riferimento per gli studi su Leonardo Bistolfi, a cui ci si potrà rivolgere per la consultazione degli archivi dello scultore. È inoltre in cantiere un progetto digitale di geolocalizzazione delle opere dell’artista collocate sul territorio italiano: tale operazione interessa musei, cimiteri, palazzi storici, enti pubblici e privati a cui il Museo ha chiesto la collaborazione al fine di creare una mappatura elettronica, che verrà resa disponibile sul sito web. Uno strumento turistico, ma anche di approfondimento, che permetterà di mettere in dialogo il monumento realizzato e il modello in gesso o il bozzetto preparatorio o il disegno conservato in Museo.

In attesa di dare attuazione ai progetti di effettiva valorizzazione della Gipsoteca, che oltre a prevedere un intervento di parziale ristrutturazione dei locali attuali non escludono la creazione di un vero e proprio museo dedicato, si stanno valutando le modalità per rendere immediatamente fruibili al pubblico le opere donate: si potranno predisporre esposizioni parziali o a rotazione, la creazione di eventi di valorizzazione, l’inserimento di alcune opere nel percorso espositivo della Gipsoteca o l’istituzione di un “deposito aperto”, oltre alla completa messa a disposizione della collezione ai visitatori tramite strumenti multimediali.

Leonardo Bistolfi

Leonardo Bistolfi nasce a Casale Monferrato il 15 marzo del 1859 da Giovanni, di professione intagliatore e scultore ligneo, e da Angela Amisano. Ottiene nel 1874 una borsa di studio dal Comune di Casale Monferrato per frequentare l’Accademia di Brera a Milano. Condivide con i compagni di studi Segantini, Previati, Sottocornola il clima scapigliato della città lombarda. Desiderando studiare con lo scultore Odoardo Tabacchi si trasferisce a Torino, e da subito partecipa alle annuali Esposizioni della Società Promotrice di Belle Arti presentando piccoli gruppi di ispirazione verista (Boaro, Piove, Terzetto).

La sua originale interpretazione della poetica del simbolismo (di cui Bistolfi è considerato il maggior scultore europeo) trova espressione nei grandi monumenti funerari. Sono dell’ultimo decennio degli anni Novanta La sfinge a Cuneo, La bellezza della morte a Borgo San Dalmazzo, Il dolore confortato dalle memorie a Torino e il grande monumento commemorativo per Giovanni Segantini, La bellezza liberata dalla materia, che verrà eretto a Saint-Moritz nel 1906.

In questo periodo entra a far parte di numerosi circoli culturali torinesi condividendo le idee socialiste di Giovanni Cena e l’approccio alla scienza positivista di Cesare Lombroso.

È promotore, e in seguito vicepresidente, dell’importantissima Esposizione d’Arte Decorativa Moderna tenutasi a Torino nel 1902, per la quale fornirà anche il disegno del manifesto.

Alla VI Esposizione Internazionale della Città di Venezia del 1905 gli viene dedicata una sala personale in cui espone oltre venti opere, tra cui il gesso del grandioso portale per la cappella Hierschel De Minerbi, Il funerale di una vergine. In quell’occasione ottiene la medaglia d’oro per la scultura. Giunge nel 1908 l’incarico, affidatogli “per chiara fama”, dal Comune di Bologna per commemorare, con un imponente gruppo marmoreo, il poeta Carducci.

L’opera terrà lo scultore impegnato per circa vent’anni. Segue il gruppo de Il sacrificio per il Monumento a Vittorio Emanuele II di Roma. Precedentemente Bistolfi era stato nominato nella commissione per il progetto del monumento ma si era subito dimesso per contrasti sull’impostazione complessiva dell’opera.

Sono degli anni Venti lo straordinario Monumento a Garibaldi a Savona, il Monumento ai Caduti di Casale Monferrato e quello per i Caduti di Torino. Di quest’ultima opera esegue i bozzetti e parte dei modelli ma il sopraggiungere della morte, nel settembre del 1933, gli impedirà di portarla a termine.

Contatti e riferimenti

Museo Civico e Gipsoteca Leonardo Bistolfi

Via Cavour, 5 – Casale Monferrato

www.comune.casale-monferrato.al.it/museo

www.comune.casale-monferrato.al.it/gipsoteca-bistolfi

museo@comune.casale-monferrato.al.it

 

 

“Vivolibro.it” Prosegue la campagna di crowdfunding

Per la nuova piattaforma digitale promossa dalla “Fondazione Bottari Lattes. Fino al 4 febbraio. Monforte d’Alba (Cuneo)

Nella mano sinistra la “minaccia” della mannaia, nella destra la poesia di un libro. Dietro, appesi in parete in bella fila, invitanti salami.

E al centro il volto simpaticamente pacioso e mite di Bruno al bancone di macelleria del suo market. E poi i sorrisi coinvolgenti della signora Graziella, dei farmacisti Lucia e Paolo e dei gastronomi Rosanna e Francesco. Tutti stringono in mano, e ben in vista, un libro. Non influencer di grido. Ma semplicissimi cittadini, donne e uomini, di Monforte d’Alba. Sono loro, e con loro tanti altri, i promoter della campagna di crowdfunding promossa, fino a giovedì 4 febbraio, dalla “Fondazione Bottari Lattes” (nata nel 2009 a Monforte d’Alba per volontà di Caterina Bottari Lattes) al fine di realizzare la nuova piattaforma digitale vivolibro.it che collega in un’unica rete studenti e insegnanti, principalmente delle scuole elementari di Piemonte e Liguria, attraverso progetti dedicati al confronto con i grandi testi della letteratura per l’infanzia messi in gioco fra lettura, teatro, canto ed arti visive. La piattaforma “é uno spazio digitale – affermano i responsabili – capace di raccogliere competenze e processi, tessere relazioni fra scuole, territori e enti culturali, promuovere la lettura come mezzo di inclusione culturale e sociale. E’ uno strumento di dialogo a servizio della scuola, degli enti culturali, degli operatori didattici, delle Istituzioni del territorio, delle famiglie e di tutti coloro che credono nella lettura quale atto di crescita”. Due le principali sezioni in cui si articola: “Narrazioni” e “Laboratori”.

La prima mette a sistema i contenuti di dieci anni di “Vivolibro”, un progetto corale della “Fondazione Bottari Lattes” che ha saputo nelle sue cinque edizioni biennali (a partire dal 2011) portare a Monforte d’Alba, nel cuore delle terre patrimonio Unesco, oltre diecimila studenti, insegnanti e operatori didattici, mettendoli in relazione – fra spettacoli, reading e laboratori didattici – con i grandi classici della letteratura per ragazzi. La sezione “Laboratori”, dà invece voce alle progettualità di approccio alla lettura e alla letteratura, con particolare attenzione all’evoluzione delle pratiche di analisi del testo scritto, per fornire a studenti, insegnanti e a coloro che operano nella didattica uno strumento accessibile e aggiornato.

Il donatore potrà decidere la cifra da versare per contribuire alla realizzazione del progetto, a partire da 10 euro. In base all’entità della donazione riceverà, oltre al ringraziamento sul wall digitale dedicato a “Vivolibro”, un premio simbolico: uno o due libri in omaggio dalla selezione del “Premio Lattes Grinzane”, la partecipazione ad un laboratorio didattico o posti riservati in occasione della Cerimonia di Premiazione del “Premio Lattes Grinzane”. La campagna di crowdfunding vivolibro.it tra scuole e lettura è realizzata nell’ambito del progetto “Crowdfunding 2020. Nuove risorse per dare fiducia al Terzo Settore” promosso dalla “Fondazione CRC” in collaborazione con “Rete del Dono”.
Per contribuire alla campagna: https://www.retedeldono.it/it/fondazione-bottari-lattes/vivolibro
Per sapere di più su “Vivolibro” http://fondazionebottarilattes.it/vivolibro/
g. m.

Itinerario (di danza) per una possibile salvezza

FONDAZIONE EGRI per la DANZA diretta da Susanna Egri e Raphael Bianco

#IPUNTIHOME SOCIETY Mercoledì 27 gennaio 2021 ore 19 COMPAGNIA EGRIBIANCODANZA

ITINERARIO PER UNA POSSIBILE SALVEZZA

Primo appuntamento dell’anno con #IPUNTIHOME della Fondazione Egri per la danza, la stagione totalmente virtuale nata in temporanea sostituzione alla tradizionale stagione IPUNTIDANZA, con la nuova sezione #IPUNTIHOME SOCIETY che propone una selezione di balletti della Compagnia EgriBiancoDanza legati a tre giornate di interesse internazionale.

La sezione #IPUNTIHOME SOCIETY nasce da una riflessione della Fondazione Egri, da anni impegnata nell’indagine su temi legati alla società e i suoi cambiamenti, per portare sul web i propri pensieri e le proprie proposte, cercando di mantenere aperta la possibilità di un dialogo vivo su temi che ci coinvolgono tutti e nella prospettiva di poter dare nuovamente valore alla vita condivisa, a quella società che stiamo vedendo cambiare sotto i nostri occhi.

Itinerario per una possibile salvezza è il secondo dei tre spettacoli, in programma mercoledì 27 gennaio alle ore 19 in occasione della Giornata Mondiale della Memoria. Ultimo appuntamento sarà lunedì 8 marzo 2021 sempre alle ore 19 con APPARIZIONE #3 per celebrare la Giornata Internazionale della Donna.

Tutti i video in programma saranno trasmessi in prima visione sul Canale YouTube della Compagnia EgriBiancoDanza https://youtube.com/c/CompagniaEgriBiancoDanza e saranno fruibili per 48 ore.

Durante la serata che la Compagnia EgriBiancoDanza dedica alla Giornata Mondiale della Memoria, Raphael Bianco intervista in esclusiva Susanna Egri che riflette e dialoga con il coreografo sul suo percorso artistico attraverso un momento storico tanto drammatico e complesso e sul valore della danza quale espressione di libertà in ogni epoca.

Il video di Itinerario per una possibile salvezza sarà preceduto dall’intervento di Chiara Uberti, collaboratrice dell’Associazione della Casa della Resistenza di Verbania, con la quale la Fondazione Egri collabora da un anno per presentare all’interno degli spazi del museo eventi performativi legati alla Memoria dei tragici eventi passati.

Lo spettacolo è stato scelto in occasione della Giornata della Memoria per  sottolineare le inquietanti contraddizioni che possono emergere all’interno di una comunità oppressa che, per garantire la propria sopravvivenza vede gli individui eliminarsi, annientarsi e allearsi vicendevolmente, individui che mai si sarebbero sfiorati e incontrati.

Originariamente programmato per essere presentato all’interno degli spazi della Casa della Resistenza sarà trasmesso on line, visto che la situazione sanitaria attualmente non lo rende possibile.

Itinerario è uno spettacolo ideato per un percorso itinerante, commissionato per la prima volta dal Fringe Festival di Napoli 2013 per la Galleria Borbonica. In scena, oltre ai 4 danzatori, 3 musicisti accompagnano i movimenti con improvvisazioni sonore e percussive.

Questa coreografia avrebbe coinvolto lo spettatore in prima persona in un percorso di ricerca spaziale ponendolo di fronte a delle scelte per trovare egli stesso una nuova dimensione di vita e di libertà. Quattro uomini fuggono, si inseguono, si aggrediscono, si sostengono e si alleano vicendevolmente tra loro. Una performance volutamente misteriosa nella quale i quattro personaggi conducono se stessi e il pubblico a ricercare uno spazio vitale, mossi dal desiderio di raggiungere una dimensione di libertà, quiete, lontani da qualsiasi violenza.

Mattarte, dove antiquariato e arte si sposano

Arte e antiquariato trovano un perfetto connubio in Piemonte presso la galleria d’Arte e Antichità Mattarte, a Verolengo, amata anche da Philippe Daverio

Le botteghe d’arte costituiscono oggi una perla rara, ma esistono ancora. Ci sono regioni che ne sono più ricche, come la Toscana, ma anche il Piemonte non ne è da meno. A Verolengo ne assiste una, Mattarte, che vanta un passato storico, essendo nata nel lontano 1896 dall’idea del fondatore Giovanni Matta, proseguita da Giuseppe Matta e divenuta poi una realtà maggiormente vasta con il discendente Giovanni Matta, che ingrandi’ l’azienda, dimostrandosi sensibile ai cambiamenti della sua epoca, del mercato e delle sempre più forti esigenze avvertite dalla clientela.

Mattarte è sempre riuscita a non tradire mai quel binomio cui si è ispirato il suo fondatore, costituito da arte e antiquariato, che, nel suo caso, sono assolutamente sinonimi. L’oggetto d’antiquariato deve, infatti, saper rievocare l’arte degli antichi minusieri, degli orafi, dei pittori che, nelle loro botteghe, erano in grado di far rivivere i segreti del loro antico mestiere.

Così Mattarte, con la sua elegante galleria espositiva situata a Verolengo, dimostra ancora una volta che l’antiquariato può essere, tutt’oggi, una scelta attuale, sempre di classe, capace di coniugare l’amore per l’arte all’investimento.

Nella sua sede di Verolengo  si possono ammirare molti esemplari di mobili antichi, tra cui cassettoni trumeaux, secretaire, commode, scrittoi, consolle, accanto a dipinti, arazzi, tappeti antichi, soprammobili, piatti, orologi di rara preziosità,  sculture in terracotta, lampadari, caminetti e statue. Gli stili dei mobili spaziano da quello Luigi XV a quello Impero; non mancano esemplari realizzati dall’Alta Scuola dei Maestri Minusieri Parigini dell’inizio dell’Ottocento e altri mobili appartenenti allaManifattura Piemontese del XVII secolo o di manifattura Lombardo-Veneta, risalenti al Seicento e simili, per forma e intarsi, ad alcuni presenti al Museo del Castello Sforzesco di Milano.

Mattarte ha, inoltre, differenziato negli anni la sua attività fornendo anche ai clienti un supporto nella valutazione delle opere d’arte e degli oggetti antichi. Chi lo desiderasse può, infatti, rivolgere via mail una richiesta per conoscere il valore, lo stile e la provenienza degli oggetti posseduti e, eventualmente, affidarne la vendita al negozio di Antichità. Tale valutazione verrà effettuata da un perito e esperto d’arte del Tribunale e della CCIAA di Torino e consulente tecnico del giudice.

I servizi che il negozio offre sono poi comprensivi di certificati di autenticazione, perizie sugli oggetti d’arte, aste di beni mobiliari e giudiziarie,  e restauri, in quanto Matta Antichità vanta una convenzione con primari istituti che si distinguono nel campo del restauro. I beni che vengono affidati in vendita a Mattarte sono poipresentati nella galleria espositiva di Verolengo e nelle aste cuiessa partecipa periodicamente nel Nord Italia.

Mattarte partecipa anche a diverse fiere d’antiquariato e lo scorso anno, nel febbraio 2020, ha presentato le sue opere di antiquariatoalla rassegna Modenantiquaria, vedendo anche la partecipazionenel suo stand dello storico e critico d’arte Philippe Daverio, recentemente scomparso. Quest’anno Modenantiquaria ritornerà dal 10 al 18 aprile prossimo.

Mattarte

Via Torino 12, 10038 Verolengo (Torino)

Info@mattarte.it

Tel 0119149177

Mara Martellotta 

Audrey, icona di stile e angelo dei diseredati

20 gennaio 1993. Si spegneva a Tolochenaz, in Svizzera, Audrey Hepburn, icona di stile e di classe. Il suo mito ancora oggi continua a vivere e, a differenza di molte altre attrici, la Hepburn conserva intatto il suo fascino, influenzando le giovani generazioni che continuano a eleggerla a modello di bellezza.

Audrey Kathleen Ruston Hepburn disse un giorno al figlio Sean Ferrer “Se dovessi scrivere una biografia, la incomincerei così: Sono nata a Bruxelles, in Belgio, il 4 maggio 1929… e sono morta sei settimane dopo”. Per un attacco di pertosse, infatti, la piccola Audrey smise per qualche istante di respirare, situazione alla quale sua madre pose rimedio con una bella sculacciata e con qualche preghiera.

La Hepburn non riteneva la propria vita interessante. La sua infanzia fu scandita dall’abbandono del padre e dalla guerra. L’Olanda, dove viveva, subì, infatti, una delle occupazioni più lunghe: fu uno dei primi Paesi a essere invaso e uno degli ultimi a essere liberato. Come tanti altri bambini diede il proprio contributo alla Resistenza, trasportando messaggi segreti e come tanti altri bambini rimase profondamente colpita dalla deportazione di intere famiglie di ebrei. “Ho visto famiglie intere con bambini e neonati ammucchiati in vagoni bestiame, treni con grandi vagoni di legno e solo una piccola apertura sul tetto (…) Tutti gli incubi che mi hanno ossessionato successivamente erano legati a queste scene” confesserà Audrey anni dopo.
E poi ancora “La guerra mi ha lasciato in eredità una profonda consapevolezza delle sofferenze umane e spero che molti giovani non la debbano conoscere mai. Le cose che ho visto durante l’Occupazione mi hanno resa molto realista nei confronti della vita e da allora ho continuato a esserlo. Sono uscita dalla guerra riconoscente di essere in vita e cosciente che le relazioni umane sono la cosa più importante, molto più importante della ricchezza, del cibo, del lusso, della carriera o di qualunque altra cosa si possa citare”.

Dopo la Liberazione Audrey trascorse tre anni a Amsterdam continuando a dedicarsi ai suoi studi di danza e nel 1948 si trasferì a Londra. Fu qui che dovette abbandonare il sogno di diventare ballerina a causa della sua altezza (1 metro e 71) e della malnutrizione sofferta nel periodo della guerra e divenne attrice. Audrey iniziò così a dare vita a quei personaggi che sono diventati immortali: per Colette fu l’incarnazione della sua Gigi, per Billy Wilder Anna in “Vacanze Romane” e Sabrina, fu Holly Golightly in Colazione da Tiffany, interpretò “My Fair Lady”, “Cenerentola a Parigi”, “Sciarada” Dal 1967 in poi lavorò in maniera molto sporadica, aveva deciso di dedicarsi ai figli, alla famiglia. “A un certo punto della mia vita ho dovuto fare una scelta. Perdere alcuni fil o perdere i miei figli” dichiarò.


Ma la sua immagine era già entrata nella storia del cinema e dell’eleganza, sinonimo di grazia e di una bellezza nuova, diversa: occhi grandi, sopracciglia spesse, esile e eterea, eppure più vicina e raggiungibile delle altre.  La vita della Hepburn venne scandita da quelle che si possono definire due grandi avventure: entrambe affrontate con impegno, serietà, grande forza: la sua carriera cinematografica e il suo ruolo di Ambasciatrice dell’Unicef, iniziato nel 1988, una missione nella quale l’attrice concentrò tutte le proprie forze fisiche e morali.

La sua ultima missione sul campo fu in Somalia, la più dolorosa e la più importante: la Hepburn diede voce a chi era ignorato e costrinse la comunità internazionale a fare alcuni passi, anche se tardivi, nella direzione giusta per tentare di fermare il perpetrarsi di atrocità e di morti. Quando, al suo ritorno dalla Somalia, le fu chiesto quale pensasse fosse il ruolo della politica rispose così:

“La politica è una cosa molto difficile da capire per me, perché i suoi meccanismi sono così complessi. La politica, per definizione, dovrebbe essere per la gente, per il benessere di tutti. “Umanitario” significa “a favore degli esseri umani”. Idealmente la politica dovrebbe dare risposte alla sofferenza umana. Questo è il mio sogno. Ecco perché uso questo esempio che probabilmente resterà unico nella storia: sono gli aiuti umanitari a tenere a galla la Somalia. Penso che forse, col tempo, ci possa essere un’umanizzazione della politica. Sogno il giorno in cui saranno la stessa cosa. E questa è una delle ragioni per cui ho insistito per venire in Somalia, non perché io sia in grado di fare molto, ma perché i testimoni non sono mai abbastanza. Se ce ne potrà essere anche uno solo in più, e parlare per conto di quei bambini ne sarà valsa la pena”.

Il pensiero della sofferenza, di quello che Doestoevskij definì “il dolore dei bambini” la accompagnò fino alla morte, causata da un cancro allo stomaco. Le sue ultime parole furono dedicate a loro: “Non riesco a capire perché tutta questa sofferenza… per i bambini”.  La bambina abbandonata dal padre che aveva assistito a tutto il dolore della guerra continuava, nonostante tutto, a cercare risposte e forse rimedi a quello che continuerà a restare un interrogativo senza giustificazione: “Perché i bambini soffrono?”.
Fu il figlio Sean a scegliere Tolochenaz come luogo per il definitivo riposo di sua madre e così racconta: “Riattraversai il villaggio fino al Comune. Il Sindaco era un vecchio amico. Mi guardò e capì subito perché fossi lì. Tirò fuori un vecchio libro da uno scaffale e guardammo insieme la mappa del cimitero. Indicai il lotto 63 sulla piccola mappa. Mi disse che sarebbe costato 275 franchi svizzeri e che sarebbe rimasto nostro per i prossimi 500 anni. Gli chiesi: <<E quanto costerebbe averlo sempre?>>. Mi guardò di nuovo e disse: <<Sarebbero 350 franchi>>. Pensai tra me quanto fosse bello che in questo piccolo villaggio di ottocento anni, il prezzo dell’eternità fosse soltanto 75 franchi”.

Barbara Castellaro