CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 540

Da Mozart a Piazzolla: musica e solidarietà

La pianista Rita Cucè e il Quartetto del Teatro Regio di Torino, con la partecipazione straordinaria del violinista Alessandro Quarta, protagonisti di un concerto benefico per la ricostruzione dell’Istituto Nelio Biondi di Camerino distrutto dal sisma 2016

A Torino la grande musica diventa solidarietà: giovedì 6 giugno alle ore 20.30, il Piccolo Regio Puccini di Torino ospita “Da Mozart a Piazzolla”, un concerto benefico che vede protagonisti la pianista Rita Cucè e il Quartetto del Teatro Regio di Torino, con la partecipazione straordinaria del violinista Alessandro Quarta.Un viaggio pieno di note che partendo dal Concerto per pianoforte n. 14 in mi bemolle maggiore, K. 449 di Wolfgang Amadeus Mozart, maestro che trova in Rita Cucè una delle sue interpreti più sensibili, arriverà fino alle atmosfere del tango di Astor Piazzolla con Alessandro Quarta che proporrà brani del compositore argentino quali Chau Paris, Oblivion, La Muerte del Angel, Jeanne y Paul, Fracanapa, Libertango.

Questa di Torino è la quinta tappa del progetto “Da Kabul a Camerino – In viaggio con Rita Cucé” finalizzato alla raccolta di fondi per la ricostruzione dell’Istituto Nelio Biondi di Camerino, distrutto dal sisma del 2016.

Il progetto ideato e promosso dell’associazione UnAltroPremio-Festiv’Art2.0, in accordo con il Comune di Camerino, nasce dall’esperienza maturata dalla pianista Rita Cucè, nel programma “Afghanistan back to the music” voluto nel 2005 da Marco Braghero dell’Associazione Peacewaves International Network che ebbe tra i suoi sostenitori il Teatro Regio di Torino.

Naturale che in questa occasione, l’Associazione Peacewaves International Network abbia saputo coinvolgere partner come il Consiglio Regionale, la Fondazione CRT e il Teatro Regio di Torino.

Comune capofila del progetto “Da Kabul a Camerino” è Arezzo “Città della Musica” e sostenitori sono i comuni di Bolsena e Ascoli Piceno e la Fondazione Festival Puccini di Torre del Lago.

Dopo Torino il concerto “Da Mozart a Piazzolla”, verrà offerto alla città di Camerino in un appuntamento che avrà luogo il prossimo 10 giugno nell’aula magna del Polo Liceale della città marchigiana. Media partner è CLASSICA HD.

Informazioni: Biglietteria: tel 011 8815241; Teatro Regio – p.zza Castello 215

Ingresso 20 euro – Ridotto 15 euro

Online www.vivaticket.it

L’incasso sarà devoluto al progetto “Da Kabul a Camerino” per la ricostruzione dell’Istituto Musicale Nelio Biondi

Michele Lovisolo. Narrare con i colori

Il mondo pulito e colorato di Michele, in mostra all’Associazione Artistico-Culturale “TeArt” di Torino
 
In parete, fra i 24 lavori esposti, c’è un acchiappante – vorticoso ma assolutamente equilibrato – “Spruzzi di fiori rossi”, realizzato in ecoline nel 2016. Il dipinto è una piacevolissima esplosione di colori. Fiori esplosi, per l’appunto, che nell’aria hanno lasciato correre e librarsi in libertà cromie intense, bizzarre, improbabili, folletti divertiti e divertenti; una pagina di “scrittura automatica”, generata dall’improvvisazione, dalla casualità e dall’estro, assolutamente libera dall’urgenza del segno o di linee che, se ci sono, altro non sono che “punti – come diceva Paul Klee – andati a fare una passeggiata”. Del 2017 sono, invece, una ponderata, scolastica “Natura morta” e una “Rosa rosa in vaso”: tecniche miste dove il segno rivaleggia con il colore, essenziali, precise e accurate nella definizione della forma. Ecco, la mostra del giovane Michele Lovisolo, ospitata negli spazi dell’Associazione Artistico-Culturale “TeArt” di via Giotto a Torino, è un incessante alternarsi di “momenti” affidati alla pura voce e alla suggestiva magia del colore, attraverso cui Michele confida a noi (e a sé stesso) l’emozione di un attimo – o di una vita – capace di stupirti anzi che no, ad altri di impeccabile e composto rigore narrativo, in cui passano ritratti ( delizioso l’“Autoritratto” del 2014), paesaggi e perfino dotte “citazioni” con cui faticosamente cimentarsi e trarre poi inesorabilmente i conti: da Malevich al “Pagliaccio” di Picasso o al “Pino sul mare” di Carrà accanto alle “Donne e uccelli al chiaro di luna” di Mirò così come all’“Ombrellone bianco” di Aime. In quest’ottica va letta e gustata la rassegna dedicata dalla “TeArt” a Michele, che dal 2002 segue con grande interesse e profitto le premurose lezioni di Anna Borgna, da anni fra le protagoniste della scena artistica torinese e ottima maestra, capace di coinvolgere appieno in quel gioco dell’arte a lei perfettamente noto in tutti i suoi risvolti e segreti, mettendo insieme e passando in eredità, a quanti a lei s’affidano, rigore e fantasia, l’essenzialità dei passi base del mestiere, non meno che la libertà di muoversi in piena autonomia aprendo le ali ai moniti – anche ai più estrosi – della creatività e della fantasia. E in tal senso, passi da gigante li leggiamo senz’ombra di dubbio anche nelle più recenti opere di Michele, che già nel 2012 aveva esposto nell’Associazione di via Giotto con una personale che bene titolava “Scintille di emozioni”. Le stesse, in fondo, filtrate attraverso cifre stilistiche indubbiamente più mature e consapevoli, che oggi ritroviamo in quella strepitosa tempesta cromatica– brillante intuizione creativa – che è il “Cerchio di colori”, collage di pittura del 2017. Singolare nella sua totale anarchia compositiva. Altra cosa dal “Prugno a San Martino” o da altre pagine paesistiche, dove il racconto segue invece parametri pittorici ben precisi, pur senza rinunciare all’inconscia volontà di raccontare “mondi” attinti dal reale ma trasformati “in altro” dalla purezza e dalla sensibilità di un cuore grande grande. Sono i “mondi” di Michele. Mondi buoni, perfetti e gentili. Forse sogni. Sogni trasferiti in pittura. Ideali. Per lui. E per noi. Diceva Van Gogh: “Sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno”. Ora, non so se Michele sia solito sognarsi con colori e pennelli in mano, ma certo i suoi dipinti portano ben impresse, al loro interno, le suggestioni di sogni belli. Lontani anni luce dalle tristezze e dalle brutture del vivere reale.

Gianni Milani

“Michele Lovisolo. Narrare con i colori”
Associazione Artistico-Culturale “TeArt”, via Giotto 14, Torino; tel. 011/6966422
Fino all’11 giugno
Orari: dal mart. al sab. 17/19
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Nelle foto

– “Spruzzi di fiori rossi”, ecoline a spruzzo, 2016
– “Rosa rosa in vaso”, tecnica mista, 2017
– “Cerchio di colori”, collage di pittura, 2017
– “Prugno a San Martino”, acrilico, 2016

 

Michele Pellegrino. Persone

Rocciosi ritratti e gente d’Alta Langa negli scatti esposti allo “Spazio Don Chisciotte” di Torino
 
A coprirgli il capo, un fazzoletto sbrigativamente annodato ai quattro angoli; sotto, un volto segnato dalla corsa del tempo, che parla la lingua di fatiche impietose, pesante eredità di antiche miserie. Una sigaretta, o ciò che di essa resta, fra le labbra, trattenuta da dita magre e nodose. Gli occhi bassi. Fermi in pensieri senza corpo. “Valle Pesio 1969”: è un miracolo di forte impatto emozionale e straordinaria poesia, l’immagine-guida (il contadino, l’uomo senz’età) della mostra dedicata dalla Fondazione Bottari Lattes (in collaborazione con la Fondazione CRC) nelle sale del suo torinese “Spazio Don Chisciotte”, a Michele Pellegrino, fotografo cuneese originario di Chiusa Pesio, dove nasce nel 1934 e da dove ha inizio, nel ’67 – dopo una vita fatta di mille mestieri, il primo a soli nove anni come pastore e servitore di cascina – la sua avventura artistica da libero e assoluto autodidatta nel campo della fotografia. “Quando iniziai a fotografare – annota, con una buona e rara dose di umiltà, lo stesso Pellegrino in uno dei tanti libri pubblicati – capii subito che l’apparecchio fotografico sarebbe stato per me uno strumento di apprendimento… D’altra parte si sa che gli innamoramenti tardivi stravolgono spesso la realtà ed io, in quel momento non sfuggivo alla regola…Mi rendevo conto che era relativamente facile sedurre lo spettatore con delle belle immagini sentimentali, mentre era molto più difficile realizzare nel tempo un progetto per raccontare una storia”. Difficile certo, ma non impossibile per un montanaro dalla testa dura qual era e qual è Michele Pellegrino, che proprio della sua montagna, di quel mondo d’Alta Langa che meglio conosceva e che più amava, fa il soggetto chiave, il motore di partenza, del suo nuovo mestiere di fotografo. Erano gli anni Settanta, gli anni dell’ “esodo” che vedevano spopolarsi le borgate e le vallate del Cuneese e la gente, i giovani soprattutto, migrare verso la pianura, attratti dalle ammalianti sirene della città e della fabbrica. E proprio quel mondo, quelle terre abbandonate, in cui il tempo sembrava di colpo essersi fermato per cristallizzarsi così com’era in inviolabili desolanti eternità, diventa il suo “profondo Nord”. Quello che ritroviamo negli oltre trenta scatti in bianco e nero in mostra allo “Spazio Don Chisciotte”, in quelle “Persone” (come recita il titolo della rassegna) per le quali sempre – lo scriveva un altro grande cantore di Langa – “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”. Ecco allora i ritratti dei mezzadri di pianura e quelli dei montanari delle alture, immagini di quasi tutte le Vallate del Cuneese, poveri interni di case rimaste miseramente immutate negli anni, la grande nevicata a Chiusa Pesio, il lavoro e gli attimi di riposo, i giorni di festa e delle cerimonie, così come momenti di intensa riflessione religiosa con i frati e le suore di clausura e la toccante figura della “Passionista” intenta a baciare i piedi al Cristo crocefisso. In parete troviamo dunque il vissuto della quotidianità, in tempi e luoghi ben definiti, mai tuttavia “provinciali” e basta. Poiché quei luoghi e quelle immagini rimandano sempre a un percorso interiore dell’anima e sempre riflettono – come scriveva Enzo Biffi Gentili, in occasione di una recente mostra di Pellegrino a Cuneo, organizzata dalla Fondazione CRC, cui il fotografo nell’ambito del progetto Donare ha devoluto l’intero Archivio – “la sua visione concettuale e complessiva del mondo”. In alcuni casi, in un mix ideale di realtà e fantasia. E in un’ottica di visionario simbolismo, cui possono ascriversi alcune curiose inaspettate immagini di sensuali nudi femminili chiamati ad accompagnarsi con spensierata ironia alla prorompente sensualità del mondo naturale. Inserita nel programma di “Fo.To – Fotografi a Torino”, la grande kermesse fotografica promossa dal MEF – Museo Ettore Fico in corso fino al prossimo 16 giugno (www.fotografi-a-torino.it), la mostra di Michele Pellegrino allo “Spazio Don Chisciotte” è accompagnata da “Storie”, una speciale monografia sull’intera opera dell’artista edita da “Skira” e arricchita da testi critici di Enzo Biffi Gentili e Walter Guadagnini.

Gianni Milani

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“Michele Pellegrino. Persone”
Spazio Don Chisciotte – Fondazione Bottari Lattes, via della Rocca 37/b, Torino; tel. 011/19771751 o www.fondazionebottarilattes.it
Fino al 15 giugno
Orari: dal mart. al sab. 10,30/12,30 – 15/19  
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Nelle foto:

– “Valle Pesio”, 1969
– “Chiusa di Pesio”, 1969
– “Valle Grande, Vernante”, 1973
– “Monastero di Ovada – Passionista”, 1973
– “Lurisia Terme”, primi anni ’70
– “Corsaglia”, 1970

Il Duomo, cuore pulsante della cristianità torinese

Intorno al Duomo di Torino vibra il cuore pulsante della religiosità torinese; al suo interno si trova, infatti, custodita una delle reliquie più preziose della Cristianità, la Sacra Sindone. È inoltre l’esempio più significativo dell’arte rinascimentale nel capoluogo sabaudo. Meriterebbe, certo, un’attenzione maggiore da parte della Città di Torino nella sua segnalazione nei confronti dei turisti, che spesso incontrano difficoltà nel riuscire a dirigersi verso la sua sede, piazza San Giovanni. Il Duomo si presenta in stile rinascimentale già a partire dalla sua facciata esterna, realizzata in marmo bianco e recante tre portali, di cui quello centrale sormontato da un timpano di pregio. Sulla sua sinistra si eleva la Torre campanaria, realizzata intorno al 1470. In realtà l’attuale edificio rinascimentale sorge sul sito in cui in epoca paleocristiana, verso la fine del IV secolo d.C., erano state edificate tre chiese, sotto l’episcopato di San Massimo. Erano state in origine concepite come tre basiliche contigue e comunicanti, dedicate a San Giovanni Battista, a Maria Vergine ed a Gesù Cristo Salvatore. Per volontà dell’allora vescovo di Torino, il cardinale Domenico della Rovere, all’epoca residente a Roma presso il Papato, si decise nel 1490 la demolizione delle tre chiese preesistenti e l’edificazione di una nuova cattedrale su progetto dell’architetto toscano Amedeo da Settignano, già attivo nei cantieri pontifici. La cattedrale divenne, così, il primo modello rinascimentale in Piemonte, ad imitazione delle fabbriche romane del tempo.
La sua prima pietra fu posta nel 1491 dall’allora reggente Bianca di Monferrato e fu consacrata il 21 settembre 1505. A rendere il Duomo di Torino un unicum è sicuramente la presenza, al suo interno, della cappella della Sacra Sindone, tornata di recente al suo antico splendore, dopo i gravi danneggiamenti dovuti ad un tremendo incendio, scoppiato tra l’ 11 ed il 12 aprile 1997.
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Il lenzuolo della Sacra Sindone si salvò miracolosamente in quanto era momentaneamente custodito all’esterno della Cappella, nel coro della Cattedrale. La cappella, realizzata dall’abate Guarino Guarini nel Seicento, non poteva essere luogo più adatto, proprio nel cuore del Duomo di Torino, per accogliere il Sacro lino che conserva la doppia immagine del corpo dell’uomo crocifisso che, per la Chiesa Cattolica, è Cristo. Nella cappella della Sindone si entrava, un tempo, calpestando stelle bronzee che contrassegnano il pavimento tra pareti scandite da statue e pilastri corinzi. Questo ingresso è momentaneamente impercorribile. Alla Cappella, dal momento della sua riapertura, si accede soltanto passando da Palazzo Reale, ma ci si augura che presto si possa ripercorrere questo cammino. Oggi i visitatori, infatti, per accedere alla Cappella della Sindone, percorrono la stessa galleria utilizzata un tempo dai sovrani sabaudi, essendo la Cappella della Sindone posta alla stessa altezza degli appartamenti del re. Guarini ed i suoi committenti probabilmente vollero usare la metamatica e la scienza per raccontare l’inspiegabile, attraverso figure geometriche perfette, il cerchio, i triangoli, con alla base misure tracciate sul numero 3 e sui suoi multipli. L’interno del Duomo merita sicuramente una visita accurata in quanto il suo impianto basilicale, a croce latina ed a tre navate, reca elementi gotici che vengono a completare l’impianto della facciata risultante, invece, rinascimentale, ma in marmo bianco (il che risulta un’anomalia rispetto agli edifici coevi realizzati in mattoni). Merita soffermarsi lungo le cappelle laterali che ospitano altari devozionali; in corrispondenza del secondo altare della navata destra si può ammirare il polittico della Compagnia dei Calzolai di Martino Spanzotti e Defendente Ferrari.
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Nella terza cappella laterale, dedicata a Sant’Antonio Abate ed a San Massimo, primo vescovo di Torino, sono conservate le spoglie del beato Pier Giorgio Frassati, esempio straordinario di virtù cristiane. Nel braccio sinistro del transetto i visitatori possono ammirare la Tribuna Reale, uno spazio rialzato riservato alla famiglia reale durante le funzioni religiose, fatta erigere nel 1583 dal sovrano Carlo Emanuele I ed ampliata nel 1777 da Ignazio Perucca, su disegno dell’architetto Francesco Martinez, nipote di Filippo Juvarra. Di interesse anche la cripta, che era in realtà una chiesa sottorreanea che funzionò   provvisoriamente al posto delle originarie tre chiese abbattute. Il campanile del Duomo, dedicato a Sant’Andrea, era in origine una torre campanaria che assunse poi il ruolo di campanile dopo l’interramento delle tre preesistenti chiese paleocristiane. Ora vi si può accedere tramite una galleria, a sua volta accessibile dal Museo diocesano. Un’altra bellezza racchiusa nel Duomo è rappresentata dal suo organo a trasmissione meccanica, la cui costruzione risale al 1874 ad opera di Giacomo Vegezzi-Bossi e successivamente ampliato, ai primi del Novecento, da Carlo Vegezzi -Bossi. Lo strumento ha due tastiere, 56 registri per un totale di 3498 canne, 4 manici e 5 somieri. Presso il Duomo di Torino ha sede l’Accademia della Cattedrale di San Giovanni, associazione che persegue quale obiettivo principale la diffusione della cultura nelle sue svariate espressioni, musicale, artistica e scientifica, sotto tutte le forme e con un’attenzione particolare alla valenza turistica. Presidente dell’Accademia è il Parroco del Duomo, don Carlo Franco. Direttore ospite principale dei Virtuosi della Cattedrale di San Giovanni è il Maestro Antonmario Semolini.
 

Mara Martellotta

L’amante siriano

Martedì 4 giugno alle  ore 18. Caffè Roberto  Via Garibaldi, 30  Torino  
 
Prendendo spunto dalla narrazione dell’incontro tra una giornalista francese e un intellettuale siriano il confronto tra civiltà e culture, tra Oriente e Occidente, fornisce l’occasione di analizzare le ricchezze e le difficoltà a cui vanno incontro i rapporti multiculturali. Rosita Ferrato dialoga con Roberto Tricarico e l’editore Silvia Maria Ramasso.  Letture di Elena Cascino. Il romanzo è edito da  Neos edizioni.

L'amante siriano

Martedì 4 giugno alle  ore 18. Caffè Roberto  Via Garibaldi, 30  Torino  
 
Prendendo spunto dalla narrazione dell’incontro tra una giornalista francese e un intellettuale siriano il confronto tra civiltà e culture, tra Oriente e Occidente, fornisce l’occasione di analizzare le ricchezze e le difficoltà a cui vanno incontro i rapporti multiculturali. Rosita Ferrato dialoga con Roberto Tricarico e l’editore Silvia Maria Ramasso.  Letture di Elena Cascino. Il romanzo è edito da  Neos edizioni.

Sfumature di donne di scienza al Giacosa di Ivrea

“Sfumature di donne di scienza” è il monologo teatrale che andrà in scena al Teatro Giocosa di Ivrea martedì 4 giugno alle 21. Lo spettacolo, a ingresso libero, vedrà sul palco Sara d’Amario, attrice di teatro diplomatasi al Teatro Stabile di Torino, volto noto del cinema italiano e degli sceneggiati televisivi. Un viaggio nel tempo, dal tono leggero e divertente, in compagnia di venti scienziate che hanno rivoluzionato il mondo della matematica, della fisica, della filosofia, della filosofia e tanti altri “mondi”. Dall’attrice e inventrice Hedy Lamarr, passando da Spazia, Sophie Germani, viaggiando dal tempo delle “streghe” a quello delle prime laureate, dal fascino dell’atomo a quello del DNA, fino ai giorni nostri e agli ultimi Nobel. In scena le vite di queste donne di scienza, le loro famiglie, gli studi e le difficoltà, la curiosità e la formidabile tenacia. Lo spettacolo diventa un mezzo per mettere sotto i riflettori la presenza e l’attività concreta delle donne nel mondo scientifico. La drammaturgia non segue un preciso ordine cronologico, proponendo collegamenti inaspettati e divertenti tra queste venti vite straordinarie. Il tono non è mai polemico o discriminatorio nei confronti degli uomini e non a caso, in tutta la pièce, vengono citati padri, mariti, colleghi che hanno saputo superare le abitudini mentali della loro epoca ed i pregiudizi, sostenendo e riconoscendo i talenti e di meriti di queste donne. Un modo per rappresentare, senza edulcorare la realtà o nascondere gli episodi negativi, come quella non è stata – e non è ancora – la “normalità” ma piuttosto un’eccezione. Il monologo “Sfumature di donne di scienza” serve a dimostrare come le donne siano capaci di farsi strada e ottenere successi importanti in campo scientifico e nelle materie “dure” come matematica, fisica, chimica. Una comunicazione che crea un intrattenimento in scena, traducendo in modo accattivante l’importanza della dimensione umana di donne che, spesso ancora oggi nell’ombra, fanno tanto per il progresso di tutta la società.

M.Tr.

L’isola del libro

Rubrica settimanale sulle novità in libreria

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Jonathan Dee “I provinciali”   – Fazi –   euro 20,00

 

E’ uno spaccato della provincia americana, sospesa tra la tragedia dell’11 settembre e la crisi economica del 2008, l’ultimo romanzo di Jonathan Dee. Scrittore nato a New York nel 1962, laureato a Yale ed uno dei protagonisti del “New journalism”, collaboratore di testate prestigiose come il “New York Times Magazine”, “Harper’s”, editor della “Paris Review”, docente di scrittura alla Columbia University e alla New School. Al suo attivo ha 7 romanzi, tra i quali “I privilegiati” che è stato finalista al Premio Pulitzer 2011. “I provinciali” è lo spietato affresco di miserie e virtù degli abitanti di una cittadina, Howland nel Massachussets. Un lucido racconto dell’egoismo che ben si ricollega anche all’attuale clima politico della società… non solo americana. Inizia con il giovane Mark Firth, imprenditore edile di belle speranze, ma scarso senso degli affari. Ingenuamente ha affidato tutti i suoi risparmi ad un oscuro consulente finanziario che ha aggirato anche altri sprovveduti, poi si è volatilizzato col cospicuo malloppo. Altro che investimento vincente a più zeri! Mark è stato praticamente mandato in rovina. Cerca di risollevarsi ristrutturando la casa di Philip Hadi, broker miliardario arricchitosi con gli hedge funds (fondi speculativi), che dopo l’11 settembre è convinto che New York non sia più sicura. Decide così di trasferirsi con la famiglia nella tranquilla cittadina di provincia, e rimette a nuovo la sua tenuta a poca distanza da quella di Mark. Hadi ha velleità politiche e si candida alla carica di sindaco. In campagna elettorale promette di proteggere i cittadini dall’aumento delle tasse e si professa incorruttibile perché già ricco di suo. Ma le cose non saranno così semplici: la cittadinanza resterà divisa tra i sostenitori che lo adorano e i detrattori che invece lo odiano. Una carrellata di personaggi alle prese con la confusione della vita. Dal fratello di Mark, Gerry, immobiliarista dal cuore arido, alla sorella insegnante che imbastisce una relazione amorosa col padre di una sua allieva…e poi altri abitanti sospettosi nei confronti dei turisti e di chi viene da fuori…  Jonathan Dee, cresciuto tra New York e una cittadina simile a quella del romanzo, sa di cosa parla e soprattutto ne scrive benissimo. Ci si appassiona alle vicende dei singoli personaggi, spesso di classi diverse e in rotta di collisione, con tensioni che rischiano di degenerare in modo incontrollabile. E’ un po’ anche il disincantato ritratto dell’odierna società, in cui il divario sociale ed economico tra ricchi, ceto medio e poveri si è allargato in modo preoccupante, generando sentimenti rancorosi pronti ad esplodere. Una lettura appassionante.

 

 

Rita dalla Chiesa “Mi salvo da sola”   – Mondadori – euro 18,00

 

Non ha bisogno di presentazioni Rita dalla Chiesa, giornalista, conduttrice e volto noto della Tv, figlia del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa trucidato dalla Mafia a Palermo nel 1982, ex moglie del conduttore più amato del piccolo schermo, Fabrizio Frizzi, scomparso l’anno scorso.

Però per capire più a fondo il suo carattere, imparare come ha affrontato i grandi dolori della sua vita, gestito gli affetti, la carriera ed il tempo che passa, vale la pena leggere il suo libro “Mi salvo da sola”. Una sorta di memoir di poco più di 200 pagine scritte magnificamente in cui condensa e ripercorre la sua storia: tra lutti, successo, affetti, popolarità, ma anche tradimenti pesanti da metabolizzare. Invece della solita dedica ha scritto: “Dedicato alle onde della mia vita, che mi hanno sempre aiutata a tornare a riva”. Un inizio bellissimo che apre il libro a una data ben precisa: quel maledetto 3 settembre 1982 a Palermo in cui la mafia tese un agguato a suo padre e lo crivellò di colpi insieme alla giovanissima 2° moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo. Momenti allucinanti che fanno parte della storia più buia del nostro paese, in cui emersero chiaramente ambiguità e connivenze della classe politica, ma anche la forza di un popolo fatto di persone per bene. Momenti in cui i tre fratelli dalla Chiesa (Rita, Nando e Simona) dimostrarono dignità, coraggio e coerenza nel non stringere le mani dei politici che avevano lasciato solo il Generale e sancito così la sua condanna a morte. Poi nel libro ci sono gli anni successivi e la resilienza dell’autrice nell’affrontare il divorzio, crescere sua figlia Giulia praticamente da sola, i primi successi televisivi, la corte serrata che le fece Fabrizio Frizzi più giovane di 10 anni, ma con una maturità che oltrepassava i dati anagrafici. Poi Rita dalla Chiesa racconta anche lo strappo dalla trasmissione Mediaset di grande successo “Forum”, la fine del suo matrimonio con Frizzi e il loro legame comunque inossidabile, anche quando il conduttore sposerà la giovane concorrente di Miss Italia, Carlotta Padovan. Frangente in cui l’autrice dimostra tutta la sua sensibilità e intelligenza nel fare un passo indietro e lasciare spazio alla nuova coppia. Poi ci sono altri capitoli di vita, altri dolori e momenti invece di serenità in riva al mare, e tanto altro ancora che lascio a voi scoprire….,

 

 

Susie Orman Schnell “Le ragazze di New York”   – Feltrinelli – euro 15,00

 

Scorre con leggerezza questo romanzo della scrittrice americana, cresciuta a Los Angeles, laureata alla University di Pennsylvania, collaboratrice di grandi testate (tra le quali “The New York Times” e “The Huffington Post”), che oggi vive con il marito e i tre figli vicino a New York. Nel libro racconta la storia di due donne che a 70 anni di distanza lottano per costruirsi una carriera e conquistare l’indipendenza, senza però dover necessariamente rinunciare agli affetti più cari. Ci si appassiona alle vicende che coinvolgono la giovane Charlotte Friedman che aspira a diventare pubblicitaria negli anni 40, quando al massimo le donne arrivavano alla scrivania di segretarie. E’ combattuta tra le aspettative del rigido padre che la vorrebbe nel negozio di famiglia (che tra l’altro sta soccombendo alla concorrenza), gli studi, e il concorso da Miss Subway che in quegli anni eleggeva mensilmente una giovane bellezza come testimonial pubblicitaria dell’azienda dei trasporti di New York. L’altra protagonista è invece dei giorni nostri, si chiama Olivia e anche lei cerca di farsi strada nel mondo estremamente competitivo della pubblicità, segretamente attratta dal suo capo. L’agenzia per cui lavora concorre ad una gara per aggiudicarsi come cliente nientemeno che la metropolitana della Big Apple. Olivia avrà la brillante idea di ripescare le bellezze di Miss Subway e, senza saperlo, finisce per intersecare con la sua traiettoria di vita quelle di alcune protagoniste del celebre concorso del 1949. Scoprirà che, in un certo senso, anche se in un contesto più moderno, la sua battaglia per il successo nel lavoro e la realizzazione nel privato, non è poi tanto diversa da quella delle ragazze dei tempi andati. E in mezzo, a capitoli alternati, la Schnell racconta tante pagine di vita di Charlotte e Olivia, tra delusioni e tradimenti, coraggio e determinazione, resilienza e capacità di superare ostacoli e disfatte… e tanto altro ancora. Due belle lezioni di autostima e tenacia.

L'isola del libro

Rubrica settimanale sulle novità in libreria
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Jonathan Dee “I provinciali”   – Fazi –   euro 20,00
 
E’ uno spaccato della provincia americana, sospesa tra la tragedia dell’11 settembre e la crisi economica del 2008, l’ultimo romanzo di Jonathan Dee. Scrittore nato a New York nel 1962, laureato a Yale ed uno dei protagonisti del “New journalism”, collaboratore di testate prestigiose come il “New York Times Magazine”, “Harper’s”, editor della “Paris Review”, docente di scrittura alla Columbia University e alla New School. Al suo attivo ha 7 romanzi, tra i quali “I privilegiati” che è stato finalista al Premio Pulitzer 2011. “I provinciali” è lo spietato affresco di miserie e virtù degli abitanti di una cittadina, Howland nel Massachussets. Un lucido racconto dell’egoismo che ben si ricollega anche all’attuale clima politico della società… non solo americana. Inizia con il giovane Mark Firth, imprenditore edile di belle speranze, ma scarso senso degli affari. Ingenuamente ha affidato tutti i suoi risparmi ad un oscuro consulente finanziario che ha aggirato anche altri sprovveduti, poi si è volatilizzato col cospicuo malloppo. Altro che investimento vincente a più zeri! Mark è stato praticamente mandato in rovina. Cerca di risollevarsi ristrutturando la casa di Philip Hadi, broker miliardario arricchitosi con gli hedge funds (fondi speculativi), che dopo l’11 settembre è convinto che New York non sia più sicura. Decide così di trasferirsi con la famiglia nella tranquilla cittadina di provincia, e rimette a nuovo la sua tenuta a poca distanza da quella di Mark. Hadi ha velleità politiche e si candida alla carica di sindaco. In campagna elettorale promette di proteggere i cittadini dall’aumento delle tasse e si professa incorruttibile perché già ricco di suo. Ma le cose non saranno così semplici: la cittadinanza resterà divisa tra i sostenitori che lo adorano e i detrattori che invece lo odiano. Una carrellata di personaggi alle prese con la confusione della vita. Dal fratello di Mark, Gerry, immobiliarista dal cuore arido, alla sorella insegnante che imbastisce una relazione amorosa col padre di una sua allieva…e poi altri abitanti sospettosi nei confronti dei turisti e di chi viene da fuori…  Jonathan Dee, cresciuto tra New York e una cittadina simile a quella del romanzo, sa di cosa parla e soprattutto ne scrive benissimo. Ci si appassiona alle vicende dei singoli personaggi, spesso di classi diverse e in rotta di collisione, con tensioni che rischiano di degenerare in modo incontrollabile. E’ un po’ anche il disincantato ritratto dell’odierna società, in cui il divario sociale ed economico tra ricchi, ceto medio e poveri si è allargato in modo preoccupante, generando sentimenti rancorosi pronti ad esplodere. Una lettura appassionante.
 
 
Rita dalla Chiesa “Mi salvo da sola”   – Mondadori – euro 18,00
 
Non ha bisogno di presentazioni Rita dalla Chiesa, giornalista, conduttrice e volto noto della Tv, figlia del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa trucidato dalla Mafia a Palermo nel 1982, ex moglie del conduttore più amato del piccolo schermo, Fabrizio Frizzi, scomparso l’anno scorso.
Però per capire più a fondo il suo carattere, imparare come ha affrontato i grandi dolori della sua vita, gestito gli affetti, la carriera ed il tempo che passa, vale la pena leggere il suo libro “Mi salvo da sola”. Una sorta di memoir di poco più di 200 pagine scritte magnificamente in cui condensa e ripercorre la sua storia: tra lutti, successo, affetti, popolarità, ma anche tradimenti pesanti da metabolizzare. Invece della solita dedica ha scritto: “Dedicato alle onde della mia vita, che mi hanno sempre aiutata a tornare a riva”. Un inizio bellissimo che apre il libro a una data ben precisa: quel maledetto 3 settembre 1982 a Palermo in cui la mafia tese un agguato a suo padre e lo crivellò di colpi insieme alla giovanissima 2° moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo. Momenti allucinanti che fanno parte della storia più buia del nostro paese, in cui emersero chiaramente ambiguità e connivenze della classe politica, ma anche la forza di un popolo fatto di persone per bene. Momenti in cui i tre fratelli dalla Chiesa (Rita, Nando e Simona) dimostrarono dignità, coraggio e coerenza nel non stringere le mani dei politici che avevano lasciato solo il Generale e sancito così la sua condanna a morte. Poi nel libro ci sono gli anni successivi e la resilienza dell’autrice nell’affrontare il divorzio, crescere sua figlia Giulia praticamente da sola, i primi successi televisivi, la corte serrata che le fece Fabrizio Frizzi più giovane di 10 anni, ma con una maturità che oltrepassava i dati anagrafici. Poi Rita dalla Chiesa racconta anche lo strappo dalla trasmissione Mediaset di grande successo “Forum”, la fine del suo matrimonio con Frizzi e il loro legame comunque inossidabile, anche quando il conduttore sposerà la giovane concorrente di Miss Italia, Carlotta Padovan. Frangente in cui l’autrice dimostra tutta la sua sensibilità e intelligenza nel fare un passo indietro e lasciare spazio alla nuova coppia. Poi ci sono altri capitoli di vita, altri dolori e momenti invece di serenità in riva al mare, e tanto altro ancora che lascio a voi scoprire….,
 
 
Susie Orman Schnell “Le ragazze di New York”   – Feltrinelli – euro 15,00
 
Scorre con leggerezza questo romanzo della scrittrice americana, cresciuta a Los Angeles, laureata alla University di Pennsylvania, collaboratrice di grandi testate (tra le quali “The New York Times” e “The Huffington Post”), che oggi vive con il marito e i tre figli vicino a New York. Nel libro racconta la storia di due donne che a 70 anni di distanza lottano per costruirsi una carriera e conquistare l’indipendenza, senza però dover necessariamente rinunciare agli affetti più cari. Ci si appassiona alle vicende che coinvolgono la giovane Charlotte Friedman che aspira a diventare pubblicitaria negli anni 40, quando al massimo le donne arrivavano alla scrivania di segretarie. E’ combattuta tra le aspettative del rigido padre che la vorrebbe nel negozio di famiglia (che tra l’altro sta soccombendo alla concorrenza), gli studi, e il concorso da Miss Subway che in quegli anni eleggeva mensilmente una giovane bellezza come testimonial pubblicitaria dell’azienda dei trasporti di New York. L’altra protagonista è invece dei giorni nostri, si chiama Olivia e anche lei cerca di farsi strada nel mondo estremamente competitivo della pubblicità, segretamente attratta dal suo capo. L’agenzia per cui lavora concorre ad una gara per aggiudicarsi come cliente nientemeno che la metropolitana della Big Apple. Olivia avrà la brillante idea di ripescare le bellezze di Miss Subway e, senza saperlo, finisce per intersecare con la sua traiettoria di vita quelle di alcune protagoniste del celebre concorso del 1949. Scoprirà che, in un certo senso, anche se in un contesto più moderno, la sua battaglia per il successo nel lavoro e la realizzazione nel privato, non è poi tanto diversa da quella delle ragazze dei tempi andati. E in mezzo, a capitoli alternati, la Schnell racconta tante pagine di vita di Charlotte e Olivia, tra delusioni e tradimenti, coraggio e determinazione, resilienza e capacità di superare ostacoli e disfatte… e tanto altro ancora. Due belle lezioni di autostima e tenacia.

“Essere o non essere poveri” … una serata da grosso applauso!

Al teatro Astra e prossimamente al teatro Le Serre di Grugliasco, si è tenuto uno spettacolo offerto dalla Compagnia del Caffè di Sara Bagnato

Il teatro si presenta con la consueta immagine di ristrutturazione “volontaria” con alcune buone persone che accompagnano tutti coloro che ne hanno bisogno ai posti e attori in “divisa” scenica che camminano tra le file del teatro in mezzo alla gente che sta prendendo posto. Poi, l’inizio. Mi dispiace, ma non vi dirò cosa succede, né la trama, né le scene. Ma vi dirò di più.

Esistono professionisti del teatro che di questo vivono economicamente, e ci sono persone professionali che questo mestiere lo fanno bene pur non ricevendo compensi; e poi ci sono quelli della Compagnia del Caffè: bravi, professionali, umani e divertenti, tutti insieme e tutti su un palco.

La progressione delle scene appassiona il pubblico sulle movenze dei personaggi sul palco, e la bravura di ognuno esce piano piano in progressione. Sulle prime non si comprende che siano loro a cantare, e poi cominci a capire che sanno cantare e anche bene. E anche quando cominciano a recitare, comprendi che la bravura è anche quando non sono protagonisti, quando sembra che nessuno li guardi, quando sono parte integrante di una dimensione unica di più scene e su più fronti. Sono bravi anche a ballare e a far sorridere, che talvolta è perfino più difficile che fare ridere, perché il sorriso è un regalo sopraffino di coloro che sanno donare qualcosa agli altri.

Sara Bagnato, che è coautrice di questa “opera” della Compagnia del Caffè e vera fondatrice della stessa, dovrebbe ricevere un premio per la sua abilità di creare emozioni su un palco, pur se la sua vita professionale è altrove. Ma il suo cuore e la sua fantasia la portano in alto a scrivere, comporre e creare sensazioni gioiose da trasferire su un palcoscenico e, insieme ai suoi “amici” e “amiche” le trasmette al pubblico. Però, sinceramente, la sua “mano” nello scrivere e la sua abilità nel motivare un gruppo così vasto e variegato, meriterebbe sicuramente una considerazione dei piani alti del mondo dello spettacolo.

Io oso dire che lo spettacolo offerto dalla Compagnia del Caffè non ha nulla di meno di quelli più noti e altolocati dei palcoscenici più “blasonati”, anzi. Mi sovviene e ricordo la frase di un mio amico che diceva che i cantautori più bravi suonano nei pub perché la loro arte vuole raggiungere chi se lo merita, ma credo che la performance espressa dalla Compagnia del Caffè possa avere futuro in espansione.

Infatti, se questo spettacolo venisse portato in TV nulla sarebbe da eccepire. Gli attori che recitano, ballano e cantano non sono poi così tanti, e quelli che lo sanno fare bene … ancora meno. Ed è curioso vedere come molti siano racchiusi dentro la Compagnia del Caffè di Sara e dei suoi amici.

Ma, forse, la genuinità di queste recite ha sapore di altri tempi, dove tutto è reale e dove uno sgabello portato sul palco rende ricca la storia. Ma non è l’oggetto, è l’emozione di un gruppo che si vuole bene, che gioisce in scena e che “si sorride” appena può.

E in più c’è il lato umano: il ricavato delle serate non va agli artisti ma alle Onlus che sul territorio lavorano e nel mondo operano. Un segnale forte, forse in antitesi con i tempi ma che proprio per la sua validità deve essere segnalato.

Le parole stanno a zero. Ogni ingresso permette di fare beneficenza. E i prossimi spettacoli sono sulla pagina Facebook della Compagnia del Caffè.

Non sto facendo pubblicità, però se non ci andrete, avrete perso qualcosa di bello, avrete perso la nascita o la conferma di alcune stelle dello spettacolo teatrale, che magari non andranno avanti perché il lavoro non glielo permetterà, ma che, in questo momento donano gioia al pubblico che li vede e che alla fine li abbraccia, e, ai beneficiati dalle Onlus, un futuro a tutti coloro che un pochino anche grazie alla Compagnia del Caffè, potranno intravvedere la luce della speranza.

Se ci fosse una giustizia delle Muse, “Essere o non essere poveri” avrebbe diritto ad un posto in luoghi più ampi e confortevoli dei teatri cosiddetti minori, e i loro autori, attori e tutti coloro che non si vedono ma che lavorano nell’ombra, meriterebbero onori più abbondanti. Vederli recitare, cantare e ballare però non ha luogo, ha solo emozione che cresce dentro e che a fine spettacolo ti segue a casa con lo spirito più allegro e con qualche speranza in più.

Grazie Sara e grazie Compagnia del Caffè. Un grosso applauso!

Paolo Michieletto