CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 516

In viaggio sul van rosso

Caleidoscopio rock USA anni 60

Tra 1967 e 1969 lo si poteva vedere slittare persino sulla neve o sul ghiaccio di Youngstown in Ohio… quel van Ford Econoline “adattato”, color rosso mattone, con copricerchioni lisci, pittoreschi specchietti oblunghi e fiancata con caratteri giganteschi in bianco e azzurro.

All’interno ci trovavi i “Pifferai Magici” di quell’area di Rust Belt dalla vita sofferta, la Youngstown che tra anni Cinquanta e Sessanta era purtroppo nota anche come “Murdertown” o “Bomb City”, spesso pesantemente infiltrata ad ogni livello nelle amministrazioni dall’onda lunga dell’Italian Mob [“The Mob” secondo lo slang].

Sulla fiancata del van campeggiava la scritta “The Pied Pipers”, ma erano cosa ben diversa dall’omonimo gruppo vocale sorto a fine anni Trenta…

L’avventura della band era iniziata nel 1966, con l’entusiasmo di alcuni studenti della Cardinal Mooney High School: Les Moro (chit), Pete Pompura (b), Lenny Krispinsky (batt), guidati dal carisma magnetico e selvaggio di Dennis Sesonsky (V); quest’ultimo vantava una presenza scenica di grande impatto, in un connubio che prendeva ispirazione da Mick Jagger e James Brown, generando uno stile “Stones/R&B” insolito ed accattivante.

I gigs di certo non mancavano e l’area di azione sconfinava finanche in Pennsylvania, essendo Youngstown prossima alla Ohio Turnpike, corridoio preferenziale tra Chicago e Pittsburgh. Tuttavia i luoghi preferiti erano le ben note piste di pattinaggio su rotelle (i diffusi “roller rinks”, tra cui la Champion Rollarena), il mitico Idora Park (col celebre e storico ottovolante) e Willows Lake; comunque l’area battuta si estendeva soprattutto tra Youngstown, Warren, Middlefield, Columbiana in Ohio e tra Hermitage, New Castle e Mercer in Pennsylvania.

L’esordio in sala di registrazione non si fece attendere e nella seconda metà del 1966 uscì il primo 45 giri, composto da covers: “Hey Joe” (WAM 5948; side B: “Hold On I’m Coming” [Sam & David]), con etichetta WAM records di Youngstown; sulla radio locale WHOT fu un buon successo.

Nel 1967 alla band si aggiunse il chitarrista Rich Gula e si passò ad un altro step, un secondo 45 giri ma con brano originale: “Stay In My Life” [Moro – Sesonsky] (6710-HT-01; side B: “You Don’t Know Like I Know” [Sam & David]), su etichetta autoprodotta Hamlin Town; anche in questo caso girò parecchio su WHOT, con risultati migliori del precedente.

Trascorsa la fase delle incisioni, The Pied Pipers subirono una trasformazione significativa; i nuovi membri furono Brad Naples alla batteria (per Krispinsky) e Todd Stevenson alla chitarra (per Moro). Il raggio delle esibizioni si estese (anche grazie al van Ford rosso…) a sud Ohio fino ad Athens, oltre confine fino a Pittsburgh e cintura e ad ovest fino a Decatur e Fort Wayne (Indiana) in un periodo intenso durante il quale la band tornò a quattro elementi (uscì Pete Pompura, sostituito al basso da Stevenson).

Nel 1969 il sound subì le influenze psichedeliche allora molto frequenti e subentrò il chitarrista Dick [Richard] Belley proveniente dai The Human Bein[g]z; Richard Gula lasciò e la band cambiò il nome in The Pipers, esibendosi poi nell’aprile 1970 con gli emergenti concittadini Blue Ash e The Sound Barrier di Salem. Dopo tale evento si perdono le tracce del gruppo; dunque si presume che The Pipers entro la fine del 1970 si fossero ormai già sciolti.

 

Gian Marchisio

 

Ecco la triade vincente del “Premio Cesare Pavese 2019”

Per l’Editoria, la Traduzione e la Saggistica

Incontri e premiazione: sabato 26 e domenica 27 ottobre

Santo Stefano Belbo (Cuneo)

La traduttrice Susanna Basso, il linguista Giuseppe Patota e l’editrice Elisabetta Sgarbi sono i vincitori del Premio Cesare Pavese 2019, nato trentasei anni fa a Santo Stefano Belbo. Organizzato a partire da quest’anno dalla Fondazione Cesare Pavese, il riconoscimento si é rinnovato nella giuria, nelle sezioni in cui è suddiviso e negli appuntamenti proposti, per meglio rendere omaggio alla complessa figura di Pavese, che non fu solo grande scrittore, ma anche poetatraduttore, direttore editoriale e ideatore di una storica collana di saggi. “Il Premio Cesare Pavese è oggi un premio globale – spiega Gian Arturo Ferrari, che insieme a Claudio Marazzini, Giulia Boringhieri, Alberto Sinigaglia e Pierluigi Vaccaneo fa parte della giuria rinnovata – perché comprende tutte le ‘arti del libro’, fatta eccezione per quelle materiali, arti che hanno avuto in Cesare Pavese un rappresentante di statura altissima e soprattutto capace di praticarle e fonderle tutte insieme». Le nuove sezioni del Premio sono infatti, da quest’anno, dedicate all’Editoria e alla Traduzione, che vanno ad arricchire quelle dedicate alla Saggistica e alla Narrativa (in questa fase di transizione il premio per la Narrativa sarà assegnato dall’edizione 2020).

I tre vincitori incontreranno il pubblico e riceveranno il Premio domenica 27 ottobre, alle ore 10, a Santo Stefano Belbo, nell’Auditorium della Fondazione che ha sede nella Chiesa sconsacrata dei Santi Giacomo e Cristoforo (piazza Confraternita 1), in cui fu battezzato Cesare Pavese. A moderare l’incontro sarà la giornalista Chiara Buratti. Il Premio per la nuova sezione Editoria sarà consegnato a Elisabetta Sgarbi, editrice, direttrice artistica del Festival La Milanesiana, da lei stessa ideato, e regista cinematografica. Per venticinque anni in Bompiani, dove è stata direttore editoriale, nel 2015 fonda la casa editrice La Nave di Teseo, di cui è direttore generale e direttore editoriale, “rendendosi protagonista del più interessante fenomeno editoriale degli ultimi anni”. La sezione dedicata alla Traduzione vede, invece, vincitrice la torinese Susanna Basso, firma italiana di autori acclamati a livello mondiale come Ian McEwan, Alice Munro, Paul Auster, Julian Barnes, Elizabeth Strout, Martin Amis, Kazuo Ishiguro e Jane Austen, di cui sta traducendo l’opera completa. Dal 1987 collabora con la casa editrice Einaudi. A chiudere la triade, Premio per la Saggistica al napoletano Giuseppe Patota (professore ordinario di Linguistica Italiana presso l’Ateneo di Siena e Accademico della Crusca) per il saggio “La grande bellezza dell’italiano: il Rinascimento” (Laterza, 2019), una guida che esplora il fascino della lingua italiana attraverso tre grandi protagonisti del nostro Rinascimento: Pietro Bembo, Ludovico Ariosto e Niccolò Macchiavelli.

Il giorno precedente la cerimonia di premiazione, sabato 26 ottobre 2019, i vincitori visiteranno la Casa Natale di Cesare Pavese (via Cesare Pavese 20), per poi assistere, alle ore 17, all’incontro, aperto al pubblico, su Scienza e umanesimo: la nuova frontiera delle due culture”, presso l’Auditorium della Fondazione Cesare Pavese, condotto da Alberto Sinigaglia (presidente della Giuria nonché dell’Ordine dei Giornalisti di Piemonte e Valle d’Aosta), cui seguirà, alle ore 21,30, il concerto “Passeggiata musicale attraverso i secoli” con il Quintetto dell’Opera di Milano.

Il Premio renderà inoltre omaggio al suo fondatore, il professor Luigi Gatti, storico animatore del Cepam-Centro Pavesiano Museo Casa Natale, scomparso lo scorso gennaio e che per trentacinque anni ha organizzato il Premio, dirigendone la giuria. Sarà commemorato sempre nella giornata di sabato 26 ottobre alle ore 16 con un convegno dal titolo Cesare Pavese. La storia di un Premio”.

 

Info: Fondazione Cesare Pavese, piazza Confraternita 1, Santo Stefano Belbo (Cn), tel. 0141/840894 o www.fondazionecesarepavese.it

 

g.m.

 

Nelle foto
– Busto di Cesare Pavese nella casa natale di Santo Stefano Belbo
– Susanna Basso
– Giuseppe Patota
– Elisabetta Sgarbi

 

“Il senso della storia”, tre giorni di studi nel cuneese tra Mondovì e Saluzzo

Con tre appuntamenti – due a Mondovì, il 22 e 24 ottobre, e uno a Saluzzo, il 28 ottobre – si conclude con la sessione autunnale il Convegno organizzato dalla Delegazione di Cuneo dell’A.I.C.C. (Associazione Italiana Cultura Classica) su “Il senso della storia”, del quale si era tenuta nell’aprile scorso la sessione primaverile. L’evento è promosso in collaborazione con l’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo, la sezione monregalese dell’Anpi, le associazioni culturali Gli Spigolatori, il Centro Studi Monregalesi , l’Unidea e i Licei “Vasco-Beccaria-Govone” di Mondovì e “G.B.Bodoni” di Saluzzo. Per tre pomeriggi il convegno, patrocinato dalla Città di Mondovì, affronterà il tema del senso della storia da diversi esperti in una prospettiva multiculturale, privilegiando una trattazione che coniuga il rigore scientifico alla divulgazione, come è ormai consolidata tradizione. Questo il programma delle giornate:

Martedì 22 ottobre, Aula “Bruno” del Liceo “Vasco-Beccaria-Govone” -Piazza IV Novembre a Mondovì, ore 14.15 – 17.15; relazioni di M. MANGINI, Le lingue nella storia, la storia nelle lingue;L. BELLANI e D. CHIAPELLO, I Greci prima dei Greci; C. ROSSI, Il senso della storia intrinseco all’arte: tempi e tempeste.

Giovedì 24 ottobre, Aula “Bruno” del Liceo “Vasco-Beccaria-Govone” -Piazza IV Novembre a Mondovì, ore 14.15 – 17.15; relazioni di G. MONGARDI, Letteratura e storia in Irène Némirovsk;F. GIACOSA, Nel corpo della storia. Il vedere inquieto dell’arte;M. LEONE e M. RINAUDO, Storia e didattica della fisica: un rapporto problematico;L. MADDALONI, Storie a doppia elica.

Lunedì, 28 ottobre, Aula Magna Liceo Classico in via della Chiesa 13 a Saluzzo, ore 14.15 – 16,15; relazioni di A. FASSONE, Narrare la storia. La metodologia storica di Jerzy Topolski; D. VOINYTSKYI, La Russia tra le sfide del sec. XX.

Il Convegno, aperto a tutti gli interessati, ha valore di corso di aggiornamento per i Docenti, che possono iscriversi inviando una mail a formazione@iliceimondovi.edu.it.

M.Tr.

“Mistero Buffo”, il capolavoro di Dario Fo è di scena al Gobetti

Il regista Eugenio Allegri e l’attore Matthias Martelli fanno rivivere lo spettacolo del Premio Nobel

 

È stato il “Mistero Buffo”, capolavoro del Premio Nobel Dario Fo, ad aver inaugurato la nuova stagione del Teatro Gobetti, nell’ambito del Teatro Stabile di Torino, martedì 15 ottobre alle 19.30. La piece teatrale è stata presentata nella nuova edizione per i suoi cinquanta anni, con l’interpretazione di Matthias Martelli, per la regia di Eugenio Allegri. Il Mistero Buffo, portato in scena il primo ottobre 1969, dopo un primo assaggio, avvenuto il maggio precedente,alla Statale di Milano, sarebbe diventato la piece più famosa di Fo, rappresentata in oltre 5 mila allestimenti ed in tutto il mondo. “Misteri” era il termine con cui si definivano le sacre rappresentazioni medievali. “Mistero buffo”, che reca il sottotitolo di “Giullarata popolare del Quattrocento”, si colloca negli anni della contestazione, tra il ’68 ed il ’69, segnando non soltanto una svolta nella carriera di Dario Fo e Franca Rame, che abbracciano a partire da allora una compagnia-collettivo, seguendo circuiti alternativi ai convenzionali, ma diventa un testo portante nel panorama del teatro internazionale.

Una raccolta di monologhi, spesso composta da un ordine di brani sempre diversi, descrive   alcuni episodi ad argomento biblico, riproposti in chiave satirica ed esposti in un linguaggio che risulta una miscela di dialetti padani, il grammelot.

“Matthias ed io – spiega il regista Eugenio Allegri – abbiamo fatto un patto in base al quale il Mistero Buffo sarebbe stato lo stesso che avevo visto interpretare da Dario Fo a Torino, nel lontano 1974, nell’Aula Magna della Facoltà di Lettere a Palazzo Nuovo, proprio con quelle stesse “giullarate” e con la medesima veemenza artistica. Dopo la versione applaudita lo scorso anno a Londra, alla Print Room at the Coronet, quella che abbiamo allestito al teatro Gobetti, prodotta dal Teatro Stabile di Torino, vogliamo chiamarla “dei cinquanta anni”. “La nascita del giullare” e “La parpaia topola” sono brani presi in prestito dal “Fabulazzo osceno”, cui si aggiungono, di volta in volta, le Giullarate di Bonifacio VIII e quelle de “Il primo miracolo di Gesù”, che erano già presenti nella prima edizione, comunque riviste ed arricchite alla maniera dei commedianti dell’arte, i quali sono soliti rinnovare continuamente la propria abilità”.

In scena si destreggia da solo, con una bravura straordinaria, il pirotecnico Matthias Martelli, capace di passare dal pazzo comico alla poesia, fino all’approdo alla tragedia umana e sociale. La capacità di Martelli è quella di coinvolgere, con maestria, il pubblico nell’azione drammatica, senza ricorrere ad alcun trucco, toccando temi che riguardano la società civile ed il nostro tempo.

 

Mara Martellotta

Teatro Gobetti, da martedì 15 a domenica 27 ottobre 2019.

Via Gioacchino Rossini 8, Torino

Ore 19.30-20.45-15.30

 

(nella foto: Matthias Martelli – Photo credit Stefano Roggero)

Tff doc, protagonista il desiderio

Il Torino Film Festival annuncia alcune anticipazioni sulla sezione TFFdoc, che quest’anno prevede una selezione di film documentari dedicata al concetto di “desiderio”.

Partendo dall’etimologia del verbo “desiderare”, che in latino letteralmente significa “fissare attentamente le stelle”, è nello spazio tra “DE” e “SIDERÀRE”, tra il guardare le stelle e l’assenza di stelle dal cielo che si sta guardando, che il focus 2019 di TFFdoc trova la sua ragion d’essere.

Il cielo è, idealmente, lo schermo su cui saranno proiettati i film di TFFdoc/desiderio che inizierà con un assassinio: quello che De Sade fa del desiderio nel film di Albert Serra, LIBERTÈ. La realizzazione del desiderio elimina quello spazio tra prefisso e suffisso che permette alla libertà di esistere. In quello spazio, su quello schermo, agiranno durante il Torino Film Festival la determinazione capace di travolgere i generi di INDIANARA diretto da Aude Chevalier-Beaumel e Marcelo Barbosa; gli sguardi curiosi, surreali e insolenti di DELPHINE ET CAROLE, INSOUMUSES diretto da Callisto McNulty; i canti d’amore degli uomini di LONELY RIVERS diretto da Mauro Herce e dell’asino Yoda negli HOLY DAYS diretto da Narimane Mari; la tensione verso un’Europa che non è mai esistita in HEIMAT IST EIN RAUM AUS ZEIT diretto da Thomas Heise; il desiderio infinito di fidarsi dell’Altro che pervade MI SONO INNAMORATO DI PIPPA BACCA diretto da Simone Manetti.

 

DELPHINE ET CAROLE, INSOUMUSES di Callisto McNulty (Francia, 2019, 68’)

Delphine Seyrig e Carole Roussopoulos si incontrano nel 1974 a Parigi.

Carole aveva comprato la seconda videocamera arrivata in Francia nel 1969 (la prima se l’è accaparrata Godard), è impegnata politicamente documentando le lotte politiche del nascente Front Homosexuel d’Action Revolutionnaire o del Black Panther Party. Delphine è l’icona di Baci rubati (François Truffaut), di Pelle d’Asino (Jacques Démy) e di Jeanne Dielman (Chantal Akerman). Insieme, videocamera in mano, ingaggeranno battaglie radicali con insolenza, gioia, intransigenza e infinita ironia.

 

HEIMAT IST EIN RAUM AUS ZEIT di Thomas Heise (Germania/Austria, 2019, 218‘)

La storia di una famiglia attraversa il Novecento e si spinge all’inizio del XXI secolo. Una storia fatta di parole e silenzi, di primi amori e felicità perdute, di padri e madri, di figli e fratelli, di ferite e gioie, in un paesaggio, quello della Germania, sempre in transizione, da Est a Ovest, attraversato da desideri di mondi possibili mai realizzati.

 

HOLY DAYS di Narimane Mari (Algeria/Francia, 2019, 40’)

Michel, Saadi, Bilio, l’asino Yoda, delle scimmie, Julia. La natura gioca con la morte e un cinema originario si fa gesto d’amore capace di arrestarla. La regista di Les Haricots rouges (TFF2013) e di Le Fort des fous (TFF2017) cerca le origini del cinema e del desiderio.

 

INDIANARA di Aude Chevalier-Beaumel e Marcelo Barbosa (Brasile, 2019, 84’)

Indianara definisce se stessa una “puttana parlamentare, atea, anarchica e vegana”. Nata come Sergio Siqueira, decide molto presto di diventare donna e inventa il suo nome in omaggio alle origini indigene di sua madre e a Nara, un’amica transgender che la sostiene. Rivoluzionaria inclassificabile, fondatrice e animatrice di Casa Nem, un centro di accoglienza e sostegno per transgender a Rio de Janeiro, consigliera comunale insieme Marielle Franco, Indianara continua la sua lotta contro pregiudizi e il machismo nel Brasile di Bolsonaro.

 

LIBERTÈ di Albert Serra (Francia/Spagna/Portogallo, 2019, 132’)

1774, un gruppo di nobili libertini francesi in fuga dall’oscurantista Luigi XVI si ritrova in una radura tra Potsdam e Berlino e cerca l’aiuto e la protezione del Duca di Walchen (Helmut Berger), grande seduttore e libero pensatore, nel tentativo di venire accettati alla corte di Federico II di Prussia. Il loro scopo è quello di trovare un terreno fertile al libertinismo illuminista e un luogo dove il desiderio non sia costretto a seguire nessun’altra regola se non quella del piacere. Premio Speciale della Giuria di Un Certain Regard al Festival di Cannes. Albert Serra torna al Torino Film Festival dove vinse il Premio per il Miglior Film nel 2006 con il suo esordio al lungometraggio Honor de cavalleria.

 

LONELY RIVERS di Mauro Herce (Spagna, 2019, 28’)

Alcuni uomini di età differenti si ritrovano in una stanza. Non sappiamo chi siano, né dove siano, né perché siano lì. Cantano. “Oh, my love, my darling / I’ve hungered for your touch / A long, lonely time / And time goes by so slowly / And time can do so much…”

Mauro Herce aveva presentato in concorso a TFFdoc nel 2015 Dead Slow Ahead.

 

MI SONO INNAMORATO DI PIPPA BACCA di Simone Manetti (Italia, 2019, 76’)

Due donne, due artiste in abito da sposa. Un viaggio fino a Gerusalemme attraverso i paesi sconvolti dalle guerre. 6000 km da percorrere in autostop, per celebrare il matrimonio tra i popoli e dimostrare che dando fiducia al prossimo si riceve solo bene. Questo era l’intento di Pippa Bacca e Silvia Moro quando, l’8 marzo del 2008, sono partite da Milano con l’obiettivo di mettere in scena una performance nel segno della pace. Una performance artistica interrotta tragicamente dalla scomparsa di una delle due spose.

 

 

 

“Principle of Organization” vincitore al Premio Nazionale delle Arti 2019

Ci fu un tempo in cui ancora giace addormentato quel “c’era una volta”, il germoglio primordiale della creazione, il cui istinto di nascita generò una tradizione di mutamento. Fu quel primo input di spostamento di una presenza che permise la genesi del tempo, un suono veicolato nella forma di un’equazione di base.
A ricercare il segno primo che diede voce a tutto ciò che, esistendo, esprime spazio, è Pier Alfeo, un giovane di Molfetta (BA), che da poco ha compiuto il suo trentaquattresimo giro intorno al sole.
Vincitore per il primo posto della sezione “arti elettroniche”, concorrente al Premio Nazionale delle Arti 2019, presso l’Accademia Albertina (TO), la sua installazione, che sarà visibile in loco dal 14 ottobre al 17 novembre 2019, prevede un sistema di attribuzione di un timbro sonoro a quell’equazione di base, impercettibile a un semplice e umano ascolto.
Pier Alfeo ha studiato presso l’istituto scientifico tecnologico di Molfetta, al termine del quale decise di conferire alla sua formazione musicale da autodidatta, una definizione tecnica, trasferendosi dapprima a Rimini, Bologna, cercandosi e sperimentandosi anche a Milano e Berlino, per concludere il suo percorso a Bari, dove ha approfondito le sue conoscenze in conservatorio.
La propensione a tale partecipazione di conoscenza colse la sua ispirazione nella rappresentazione di una sinusoide, durante una lezione di fisica. Si tratta di un’onda dispiegata in un grafico, atta a indicare quante volte, in un’unità di tempo, la funzione si ripete. Quivi il fulcro del dispositivo, che potrete ancora ammirare e con cui avrete la possibilità di interagire.
La circolare organizzazione dell’installazione evoca la meditativa condizione di ascolto, un’ascensionale influenza reciproca di cause con il micro e con il macro, estrapolandone la timbrica impercettibile. E in tal modo convogliare il germe pentametrico del suono in un’ispirazione organica d’insieme, nella fusione tra visivo e visibile, nel binomio sintetico della percezione, unito alla fonte uditiva del segno.
Il dispositivo circonferenziale è la risultante di un’onda che si manifesta ai vertici della sua definizione, un linguaggio che si genera dal ribadirsi di un algoritmo,
esprimendone la sonorità nella computazione dei numeri. E nel vortice visibile del segno, si traduce la linfa geometrica del suono, calibrando la sua libra nella sinaptica migrazione dello spazio.
Procedono le convulsioni di un bit nel circolo mantrico della radice, si dice di come un grafo possa, nel limite della sua corteccia, racchiudere il circuito fertile della possibilità.
La finalità dell’artista si esprime in una duplice funzionalità: installare la genesi di nuovi linguaggi di generazione sonora e sensibilizzare all’ascolto, con l’emissione di suoni meditativi, verso il proprio e altrui micro modo di esistere.
Alessia Savoini

“Il pesce elettrico” e il Kurdistan

Ventitre anni fa, nell’aprile del 1996, usciva per Baldini & Castoldi , “Il pesce elettrico” di Enrico Fovanna, il primo e forse unico romanzo scritto da un italiano sul popolo curdo (premio Stresa 1996 e premio Festival Romanzo Esordiente, Salone del Libro di Torino 1997). Un mese prima dell’uscita del libro, Fovanna –  all’epoca trentaseienne, nato a Premosello in Val d’Ossola, nel nord del Piemonte – era stato arrestato dalla polizia turca a Diyarbakir. Curiosamente il libro racconta proprio la vicenda di Pietro, un reporter incarcerato da Ankara perché sospettato di collaborare con il Pkk, il Partito dei Lavoratori delKurdistan, movimento che si batte per la liberazione del popolo di quella che è stata definita “la più grande nazione al mondo senza stato”. In uno dei rari casi in cui la fantasia letteraria precede la realtà, il protagonista de “Il pesce elettrico”  –  inviato di guerra italiano –  scompare nel momento in  cui viene liberato – cinque anni dopo l’arresto – e lo fa mentre  tre colleghi del suo giornale (due uomini e una donna: Stefano, Alfredo e Barbara ) sono partiti con lo scopo di rintracciarlo.

In una Turchia meridionale, bruciata dal sole d’agosto, dopo cinque anni di assoluto silenzio, chi cercano ognuno dei tre? L’amico d’infanzia, il grande reporter o l’unico uomo mai amato? Inizia così una settimana di misteri nel Kurdistan. Lettere, enigmi, messaggi da decifrare e strane figure. Ogni incontro appare casuale, ma introduce al mistero di una realtà, quella curda, che sopravvive alla guerra più dimenticata del pianeta. La storia vira in giallo e si dipana davanti al lettore come un road-movie tra le strade e le coste della Turchia, fino a un finale a sorpresa. Il libro affronta un tema caldo, ora come ventitre anni fa. Anzi, ora più che mai dopo che curdi si sono battuti coraggiosamente contro i terroristi fondamentalisti dell’Isis ed oggi subiscono gli attacchi e le violenze della Turchia di Erdogan. I circa trenta milioni di curdi costituiscono uno dei più grandi gruppi etnici privi di un territorio nazionale. Per oltre un secolo molti di loro hanno lottato per un Kurdistan indipendente o perlomeno autonomo, con mezzi sia politici che militari. Tuttavia i governi degli stati che li ospitano si sono sempre opposti all’idea di uno Stato curdo e perfino alla concessione di un autonomia politica e culturale. Un territorio immenso, che si sviluppa nella parte settentrionale e nord-orientale della Mesopotamia,  la terra fra i due fiumi Tigri e Eufrate. Il territorio abitato dai curdi si trova prevalentemente in Turchia ma comprende vaste zone in Siria, Iraq, Iran, e in misura minore Armenia. Il Kurdistan turco,  che i curdi chiamano Bakur, protagonista del libro di Fovanna, è un vasto territorio che comprende la parte sud orientale della Turchia dal confine siriano fino all’Iran, dove vivono circa venti milioni di persone e ha il suo centro culturale e politico nella città di Diyarbakir, una vera e propria capitale simbolica del Kurdistan che conta quasi due milioni di abitanti. Ed è proprio lì che vene arrestato l’inviato de “Il Giorno”. La polvere del tempo, sui bei libri, non si posa mai e men che meno su “Il pesce elettrico” che Fernanda Pivano descrisse così: “Questi dialoghi sono maledettamente belli, sarebbero piaciuti a Hemingway”. E se lo disse lei, traduttrice di tutti i grandi scrittori americani, amica personale di Hemingway e musa dei poeti e dei cantanti della beat generation, non c’è ragione alcuna per farsi rodere dal dubbio.

Marco Travaglini

“Essenza di donna”

Di Massimo Gaggero
17-20 OTTOBRE
SAN MAURO TORINESE
SALA “ILARIA ALPI”
Via Martiri della Libertà, 150

Verrà inaugurata il 17 ottobre, alle 17.30, presso la sala “Ilaria Alpi” di via Martiri della Libertà, 150, a San Mauro Torinese, con il patrocinio del Comune, la mostra “Essenza di donna” dell’artista Massimo Gaggero. Curato dal critico d’arte dottoressa Carla Bertone, l’allestimento, con ingresso gratuito, resterà visitabile fino al 20 ottobre dalle 14 alle 19.
Si tratta di una ventina di quadri che rappresentano la donna nelle sue diverse espressioni e con profonda intensità. Il corpo femminile, nel tratto stilizzato e veloce di Gaggero, diventa, di volta in volta, dramma, sensualità, gioia, sogno, sentimento o incubo. Persino quando l’artista decide di toccare le corde più profonde della seduzione, la figura femminile, che fissa dritto negli occhi chi osserva il quadro, non è mai trattata con superficialità o volgarità. Essa resta protagonista consapevole del suo universo. Quasi la materializzazione di un sogno che si fa realtà proprio grazie alla capacità interpretativa del pittore.
Spiega Massimo Gaggero: “Le donne che ritraggono sono immagini che vengono a me dal mondo delle idee per prendere corpo e comunicare il loro messaggio, la loro emozione. La fase creativa, ogni volta, è come se fosse un rapporto d’amore con il soggetto che sto ritraendo. Mi abbandono a sensazioni e ispirazioni che sono loro stesse a suscitare. Le mie modelle immaginarie mi parlano, mi dicono con la voce dell’anima come vogliono essere dipinte. La figura di donna che ricorre nei miei quadri, seppure nelle più diverse interpretazioni, è sempre esile ma profondamente femminile. Con forme procaci, evidenti, ma mai rifatta. Non amo e non ritraggo la femminilità artificiosa”.
Nato a Torino il 12 giugno 1957, residente a Pino Torinese dall’età di sei anni, Massimo Gaggero, dopo la maturità scientifica, si forma frequentando per qualche tempo l’Accademia Albertina per poi passare alla scuola di Arte applicata e Design di Torino presso cui si diploma con il massimo dei voti. L’artista, nei primi anni ’80, ha frequentato i corsi del Royal College University of Arts di Londra che, all’epoca, rappresentava un unicum a livello internazionale. Designer di fama, dopo varie esperienza anche nel mondo della pubblicità, Gaggero, all’incirca dal 2011, ha deciso di trasformare completamente il suo stile rivolgendo la sua ricerca alla bellezza femminile quale ideale di umanità e amore universale.
Il suo tratto ricorda la forza onirica di Vincent Van Gogh o le atmosfere vive e vivaci della pop art. Lo stile veloce e l’uso sapiente delle macchie, a volte istintuale concretizzazione di un’arte che nasce dall’io più profondo, possono far pensare ad una rielaborazione dello stile impressionista in chiave moderna. L’angoscia e il dolore in alcune delle opere più drammatiche può far pensare allo stile di Edvard Munch. Del resto è l’artista stesso a raccontare, con profonda consapevolezza ed empatia, di aver conosciuto, passeggiando di notte attraverso le vie cittadine, il lato oscuro della dimensione metropolitana con tutti i drammi e le più tristi condizioni di alcune fasce della società.
In molte opere la tecnica mista è una sapiente alchimia artistica per portare l’osservatore all’interno del sogno dell’autore che, di volta in volta, può suscitare una gamma di emozioni sempre diverse e sorprendenti. Gaggero, che ha iniziato a dipinge a soli sedici anni, utilizza, di volta in volta, acquerello, pastelli, pennarelli, colori ad olio e tutte le possibili soluzioni pittoriche.
Visitare la mostra prevista a San Mauro significa affrontare un viaggio nell’animo femminile. Essa offre la possibilità di leggere sguardi ed emozioni che passano direttamente dagli occhi dei soggetti dipinti all’animo di chi osserva.

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Dice l’Assessore comunale alla Cultura Giulia Guazzora: 《Ospitiamo con entusiasmo una mostra che ha come filo conduttore il complesso mondo femminile in tutte le sue declinazioni, sottolineando l’attenzione e la sensibilità del nostro Comune nei confronti di un tema, già al centro di altre iniziative, di cui non si parla mai abbastanza, un mondo fatto di sfumature e continue evoluzioni.  Agli organizzatori porgo un sentito ringraziamento per questa proposta culturale, con l’augurio di una buona riuscita di questa esposizione》.
Dopo la mostra a San Mauro, Gaggero proporrà un ulteriore evento artistico da non perdere che si terrà dall’8 al 23 novembre presso la biblioteca “Angelo Caselle” di Pino Torinese, dal lunedì al sabato, secondo gli orari della biblioteca. In quel caso si tratterà una antologica dei diversi periodi artistici e avrà come titolo “Visioni”. Per informazioni sulle opere contattare i numeri 333/8540529 oppure 334/1181435.

Artisti da tutto il mondo all’Accademia Albertina

Al via  il Fisad, Festival Internazionale Scuole d’Arte e Design Fisad Building a new world, eventi promossi dal Miur. Esposte le opere degli allievi di 56 scuole d’arte universitarie da tutto il mondo, nelle sedi dell’Accademia Albertina. La giuria del PNA assegnerà un premio per ognuna delle 10 sezioni, la giuria FISAD assegnerà 3 premi ai migliori artisti e l’Assessorato alle politiche giovanili della Città, il premio Torino Creativa ad un giovane artista. Infine, a cura della Fondazione Cecilia Gilardi ONLUS, sarà attribuita una residenza d’artista ad un promettente giovane dell’Accademia di Torino.

“La città sotterranea di Pietro Micca. Ieri e oggi”

Mercoledì 16 ottobre alle ore 17 a Palazzo Cisterna di Via Maria Vittoria 12 il Generale franco Cravarezza , Direttore del Museo Pietro Micca, terrà una conferenza di presentazione del museo Pietro Micca e del suo patrimonio dal titolo “La città sotterranea di Pietro Micca. Ieri e oggi” propedeutica anche  alla visita guidata dello stesso museo , delle sue gallerie e dell’Area archeologica della Cittadella. L’incontro si colloca in concomitanza con il 313 ° Anniversario dell’assedio di Torino del 1706 ,conclusosi con la battaglia del 7 settembre, nella quale le truppe austro-piemontesi, guidate da Vittorio Amedeo II e dal principe Eugenio di Savoia, respinsero definitivamente gli assedianti francesi e spagnoli. La conferenza, organizzata dall’Associazione culturale Cromie ,ha il patrocinio della Città Metropolitana di Torino. L’ingresso è libero.

Museo Pietro Micca

Associazione Amici Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino

Assoarma Torino