Nuove opere destinate al “Contemporaneo” e la sinuosa immaginifica linearità delle opere del bolognese Ontani
Doppia inaugurazione nei giorni scorsi alla “GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea” di Torino. Con la prima si é inteso presentare il nuovo allestimento delle Collezioni permanenti del “Contemporaneo” alla luce di un rafforzato percorso che mette in mostra 56 opere (molte delle quali mai esposte negli ultimi anni, se non per brevi periodi) a firma di 33 grandi artisti di diverse generazioni, appartenenti alla più blasonata scena artistica dell’avanguardia internazionale: dalla serba naturalizzata statunitense Marina Abramovic, la “nonna della performance art” (sua autodefinizione), al sudafricano William Kentridge, al cubano Kcho, fino al britannico Liam Gillick, solo per citarne alcuni. La seconda, dal titolo “Luigi Ontani. Alam Jiwa & Vanitas”, ha invece focalizzato l’attenzione su oltre 130 opere su carta alle quali l’artista settantottenne di Vergato ha rimesso mano negli ultimi due anni. La personale di Ontani, visitabile fino al 30 gennaio del prossimo anno, a cura di Elena Volpato, è un “meraviglioso” gioiello di istrionica fantasia che non poteva che trovare spazio nella “Wunderkammer” del Museo di via Magegenta.
Partiamo dalla prima, che finalmente, sotto la regia di Riccardo Passoni, direttore della “GAM”, ha permesso di mettere in bella vista opere che da tempo bussavano alle porte per incontrare il grande pubblico. Opere di notevole rilievo facenti riferimento alla storia di recenti acquisizioni e giunte in Museo negli ultimi vent’anni attraverso diversi canali: dalle scelte effettuate ad “Artissima” o nell’ambito delle acquisizioni annuali, entrambe rese possibili grazie al contributo determinante della “Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT”, oltre a doni e acquisti mirati. In ogni caso la rassegna è anche preziosa testimonianza di come la “GAM” abbia perseguito negli anni un lodevole percorso di internazionalizzazione, avviato nel 1948 con l’acquisizione di “Dans mon Pays” di Marc Chagall alla “Biennale di Venezia”, per poi proseguire
coerentemente nei decenni successivi, come già dimostrato con la mostra “Strangers. Tra informale e pop dalle collezioni GAM”, realizzata nel 2012. Non solo. Se infatti, fino a pochi decenni fa, era normale, in certo senso, aprirsi in primis all’arte parigina e a quella americana, negli ultimi 25-30 anni nella collezione GAM sono altresì entrate, accanto ad opere di provenienza europea, altre arrivate da culture e linguaggi espressivi estremamente diversi – dalla Cina, da Cuba e dall’Africa ad esempio – ormai itineranti e ampiamente accolte nel più sofisticato circuito artistico globale.
“Nell’antologia che abbiamo proposto in questa esposizione – sottolinea Riccardo Passoni – possiamo in concreto verificare i tanti stimoli portanti di una certa ricerca, senza che vi corrispondano una geografia specifica o uno stile di riferimento. Vi sono rappresentazioni che evocano una narrazione, conclusa o in sospensione (Marina Abramović, Hannah Starkey); la tradizione e la cura (Chen Zhen); gli affioramenti del rimosso (William Kentridge, Tracey Moffatt); il dramma della storia e delle sue cicatrici, in una dimensione ideologica (Alfredo Jaar). E ancora: emergono la messa a fuoco di una dimensione favolistica o leggendaria (Mark Dion, Matt Collishaw), a contrasto con lo sguardo sull’inammissibile, la dura necessità del ricordo (Christian Boltanski); o il recupero di certi spazi mentali, di alienazione (Ilya e Emlia Kabakov) o di incursioni sul paranormale (Marcos Lutyens, Laurent Grasso).
Con “Alam Jiwa & Vanitas” Luigi Ontani porta in mostra 130 opere su carta, che sono una rivisitazione pittorica di disegni a china realizzati fra gli anni Ottanta e Novanta: un affascinate “microcosmo intriso del suo immaginario”, cui già ci aveva abituato con i celebri “tableaux vivants” e con la “Stanza delle Similitudini”. Qui si aggiungono estranianti elementi di “sacro” e “profano”, cui non poco deve avere influito il suo ritiro a Bali durante il periodo del lockdown. “Anche questa mostra – scrive Elena Volpato – è un ambiente-mondo attraversato da un’unica ghirlanda allegorica di innumerevoli figure e significati, sacri e profani, della cultura d’Oriente e d’Occidente”. Il tutto sotto il segno della “Natura dell’anima” (come recita il titolo dal balinese) e della “Vanità”. Segni da scoprire “come una cifra nascosta, tra le sinuose linee dell’opera di Ontani”.
Gianni Milani
“Una collezione senza confini”/”Luigi Ontani. Alam Jiwa & Vanitas”
GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta, Torino; tel. 011/4429523 o www.gamtorino.it
Orari: mart. merc. ven. sab. e dom. 10/18; giov. 13/21. Lun. chiuso
Nelle foto
– Luigi Ontani: “Alam Jiwa & Vanitas” ChinAcquerello, 2021
– Marina Abramovic: “The Comunicator” tecnica mista, 2012
– Liam Gillic: “Loaded Bay”, tecnica mista, 2006
– William Kentridge: “City of Moscow”, arazzo in lana di mohair tessuta a mano, 2009
E’ stato davvero un piacere per me intervistare Giancarla Tiralongo e partecipare alla presentazione del suo libro,
Il 16 novembre 1840 Balzac annunciava a Madame Hanska: “A partire dal momento in cui riceverete questa lettera, scrivetemi al seguente indirizzo: M. de Breugnol, rue Basse n.19, Passy, vicino a Parigi. Sono là, nascosto per qualche tempo (…) Ho dovuto spostarmi molto rapidamente e devo restare là”. Per la sua casa di rue de Batailles, a Chaillot, dove aveva vissuto tra il 1835 e il 1838, aveva utilizzato uno pseudonimo femminile, “Veuve Durande”, “Vedova Durande”, mentre per Passy è diventato Monsieur de Breugnol.
“La mia opera ha la sua geografia come ha la sua genealogia e le sue famiglie, i suoi luoghi e le sue cose, i suoi personaggi e i suoi fatti; come ha il suo stemma, i suoi nobili e i suoi borghesi, i suoi artigiani e i suoi popolani, i suoi politici e i suoi dandys, i suoi eserciti e infine tutto il suo mondo” scrive Balzac. La morte prematura, avvenuta a soli 51 anni, ha impedito a Balzac di unificare l’opera e, probabilmente, di effettuare altre revisioni, altre correzioni.
Le singole vite si trasformano nelle vite degli altri, nelle vite di tutti, nelle nostre vite ed è facile per il lettore ritrovare un po’ di sé nei personaggi e nella complessità delle loro relazioni esattamente come in tutti loro è fortissima l’influenza dell’autore. Scriveva, infatti, Charles Baudelaire: “Insomma in Balzac ciascuno, anche le portinaie, ha del genio. Tutte le anime sono piene fino al collo di volontà…”.
pronuncia al cimitière du Père Lachaise.






Un climatologo, di quelli che vanno oggi per la maggiore, volto noto della Tv. E un attore comico, anche lui di ampia notorietà e forte richiamo. Luca Mercalli e Giobbe Covatta. Sono loro i prossimi ospiti della rassegna “CuneiForme 2021”, realizzata dall’Associazione Culturale “Progetto Cantoregi” e da “Le Terre dei Savoia”, dedicata quest’anno al tema di assoluta attualità del “riCostruire”. Primo appuntamento, il prossimo venerdì 5 novembre, con Luca Mercalli, climatologo torinese, classe ’66, presidente della “Società Meteorologica Italiana” e docente di “Sostenibilità Ambientale” (materia che lui stesso sperimenta ogni giorno in prima persona “vivendo in una casa a energia solare, viaggiando in auto elettrica e coltivando l’orto”) presso l’“Università di Torino-SSST”, in Svizzera e in Francia. Mercalli terrà al Teatro “Politeama” di Bra ( piazza Carlo Alberto 23, ore 18,30) una lezione dal titolo “Noi e l’ambiente”, incentrata sul tema attualissimo dell’“emergenza climatica”. Com’è cambiata la nostra relazione con l’ambiente? Come “riCostruire” un rapporto sano e rispettoso con l’ambiente, l’ecosistema, il clima? Sono alcune delle domande a cui la lezione di Mercalli darà sicuramente convincenti risposte. L’incontro, aperto al pubblico e gratuito, è realizzato in collaborazione con la Città di Bra.
Si trascurava l’Alto Medioevo forse per non perdere troppo tempo con dei barbari sanguinari che uccidevano solo e si comportavano in modo selvaggio, per esempio strappando con le mani la carne da mangiare, divorando il cibo come animali, un po’ come si vede nei film. Ebbene, oggi sappiamo qualcosa di più. Teodorico e la sua corte gota erano tutt’altro che barbari e già 1500 anni fa mangiavano a tavola con forchette, cucchiai e coltelli. Usavano le posate, perbacco, come noi.
appartenessero a un personaggio così importante.
sparisce e tra le rovine gli studiosi trovano anche sette delicatissimi cucchiai insieme a un piccolo piatto. Inizialmente si parla di “tesoretto bizantino” ma ulteriori più dettagliati studi datano quel prezioso materiale all’epoca di re Teodorico che sigla il manico di un cucchiaio. Una firma reale tutta speciale con una croce e sei lettere.
La kermesse di arte contemporanea e ‘in programma all’Oval di Torino da venerdì 5 a domenica 7 novembre.