CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 506

Con Piemonte dal Vivo il Black Friday è sul palco

Per il terzo anno la Fondazione Piemonte dal Vivo promuove “Black Friday a Teatro”, offrendo al pubblico una vasta gamma di nomi e spettacoli teatrali d’alta qualità, in promozione – dal 29 novembre al 1° dicembre – a prezzi ridottissimi per chiunque acquisti online.

L’iniziativa si inserisce tra le azioni messe in atto da Piemonte dal Vivo per incrementare e stimolare l’accesso degli spettatori alla vasta gamma di proposte multidisciplinari sostenute dal circuito regionale. Questo, infatti, uno degli obiettivi verso cui tende l’attività della Fondazione, che – in collaborazione con gli enti locali – si occupa di diffondere nei teatri piemontesi spettacoli realizzati dalle più qualificate compagnie regionali, nazionali e internazionali, programmando quasi 900 repliche in un anno, in oltre 70 comuni, per un totale di 158 palcoscenici calcati.

Le proposte selezionate per il Black Friday spaziano da piccole tournée a date singole, per un ventaglio di offerte multidisciplinari tra prosa, danza e circo.

Fausto Coppi. L’affollata solitudine del campione di Gian Luca Favetto è un racconto a più voci in parole e musica per celebrare a cent’anni dalla nascita il grande sportivo. Lo spettacolo è in tournée in Piemonte, giovedì 5 dicembre allo Spazio Kor di Asti; venerdì 6 dicembre al Teatro San Francesco di Alessandria; sabato 7 dicembre al Teatro della Parrocchia di Cumiana; martedì 10 dicembre al Teatro Toselli di Cuneo.

Il silenzio grande con Stefania Rocca e Massimiliano Gallo, per la regia di Alessandro Gassman, porta in scena la complessità dei rapporti familiari, martedì 3 dicembre al Teatro Civico di Vercelli e mercoledì 4 dicembre al Teatro Concordia di Venaria.

La parrucca con Maria Amelia Monti e Roberto Turchetta, dal testo di Natalia Ginzburg, è una commedia comica, drammatica e vera, in cui il personaggio femminile a tratti ricorda la figura dell’autrice, venerdì 6 dicembre al Teatro Sociale di Valenza.

In Happy Hour i due interpreti-danzatori Mauro Paccagnella e Alessandro Bernardeschi ripercorrono, attraverso 10 coreografie e un dialogo costante e diretto con il pubblico, le loro vite e i loro ricordi di teenagers cresciuti negli anni ‘70 in Italia, sabato 7 dicembre al Café Muller di Torino.

Cyrano dans la lune di Deriva Clun è una storia dai risvolti a volte comici, altre volte tristi, con in scena due clown-attori sabato 7 dicembre allo Spazio Centro Fiere Montexpo/Moncirco di Montiglio d’Asti.

I due gemelli, liberamente tratto dal testo goldoniano, viene reinterpretato da Jurij Ferrini su testo di Natalino Balasso giovedì 12 dicembre al Teatro Sociale di Pinerolo.

AgGREGazioni di e con Claudio ‘Greg’ Gregori è in scena sabato 14 dicembre al Teatro Magnetto di Almese (To). Greg come solista si misura nel suo primo monologo tratto dall’omonimo libro e trasformato in pièce teatrale.

La Bella Addormentata, incredibile capolavoro del balletto classico, viene portato in scena dal Balletto di Mosca – Russian Classical Ballet, sabato 14 dicembre al Teatro Il Maggiore di Verbania.

La Locandiera è una interpretazione della celebre commedia di Goldoni da parte dell’Accademia dei Folli, domenica 15 dicembre al Teatro Pertini di Orbassano (To).

Vertigo Christmas Show con Cirko Vertigo è il consueto appuntamento natalizio, nello chapiteau di Grugliasco, domenica 29 dicembre al Teatro Le Serre.

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Il sogno di Battiston, una favola che è un piccolo capolavoro narrativo

Il successo italiano al 37° TFF

È tratto da un recente fatto di cronaca Dio esiste, il suo nome è Petrunya – presentato con successo all’ultima Berlinale – della regista macedone Teona Strugar Mitevska, una produzione che raggruppa Belgio/Slovenia/Croazia/Francia e Macedonia, presentato nella sezione “Festa Mobile” e in uscita sugli schermi il 12 dicembre. Un titolo che rientra a pieno diritto nel vasto discorso della violenza sulle donne, che allo stesso tempo s’allontana dall’abuso sessuale per dirci quanto ogni pregiudizio coltivi il germe della pericolosità e quanto una società sia ancora radicalmente legata a ferree e antiche tradizioni, poste ciecamente in campo civile come in quello religioso. La lotta di una donna, Petrunya, una “bruttina stagionata”, disoccupata e con una laurea in storia, obbligata a dover combattere giorno dopo giorno contro una madre che la sminuisce con i suoi giudizi negativi. Dopo l’ultimo colloquio di lavoro andato male, con l’eventuale datore a dirle che non sa che farsene di lei come segretaria e senza giri di parole che è brutta e non se la scoperebbe mai, Petrunya s’incrocia sulle rive di un fiume con una cerimonia ortodossa, in cui una croce di legno, gettata nelle acque dal pope, assicurerebbe un anno di prosperità a chi la raccolga: e a raccoglierla è Petrunya, in un atto istintivo, immediato, in mezzo ad un gruppo folto e agguerrito di uomini. Che non ci sta, per il fatto che la tradizione vuole che soltanto i maschi gareggino per recuperare la croce, da sempre, e sono insulti e aggressioni e fughe mentre intervengono autorità religiose e civili, interrogatori contro la donna (la donna macedone e di oggi, e non soltanto) nel continuo tentativo di quelle autorità di barcamenarsi come ben sanno, tra ipocrisie e infondatezze, mentre il popolo becero fuori cerca di irrompere nella stazione di polizia. E una giornalista televisiva, a dover combattere la propria crisi familiare e a prendere a cuore il destino della protagonista. Alla quale quel calvario di soprusi è umanamente utile per far propria la decisione del cambiamento, attraverso la lotta cui si prepara, in casa e fuori. Migliore nella prima parte e destinato a stagnare per qualche tratto man mano che deve districarsi lungo la serie degli interrogatori, nel chiuso delle stanze, Petrunya, che ha al centro la bella prova della combattiva Zorica Nusheva, è comunque nelle mani della Mitevska un film che raggiunge appieno i propri scopi di rivolta e riesce a costruire una pagina nuova intorno alla “povertà” della donna balcanica.

Se siamo dalle parti della banalità per quanto riguarda Wet season firmato da Anthony Chen (Singapore/Taiwan, in concorso al 37° TFF) – insegnante di cinese, di perenne malinconia, malvista e presa in giro da colleghi e studenti, marito assente e sbadato, suocero da imboccare e accudire, incrocia allievo più che affettuoso identificandolo con quel figlio che non ha mai avuto, timide resistenze e innamoramento, incontro clandestino, monsoni perennemente in agguato e gran disco del sole nel finale a ricordarci che una nuova età può sempre nascere: con tutta probabilità un momento di stanchezza per i selezionatori -, ancora dal concorso (unico rappresentante per l’Italia) balza su bello pimpante Il grande passo, opera seconda, dopo Finchè c’è prosecco c’è speranza del ’17, di Antonio Padovan (scritta con Marco Pettenello), che ha il grosso pregio di essere una bellissima favola pronta a guardare tra le facce e i territori disseminati intorno a Rovigo al cinema di Mazzacurati, non disdegnando di sognare in grande, alla Spielberg (e le musiche di Pino Donaggio a volte paiono John Williams); e quello di risparmiarci, per un titolo almeno, tutti i drammi e il drammume, le lacrime e le infelicità che invadono la terra e le nostre diverse società, di tenerci fuori dai pensieri che ci stringono ogni giorno più forte e di farlo con intelligenza, con stupore autentico, con sorrisi ben distribuiti, con una buona dose di follia che in fin dei conti non guasta. Insomma, una piccola innocente rivelazione. Ci dice di Mario, spirito strampalato, Luna Storta lo chiamano in paese, del suo continuo guardare a quel grande e bianco disco notturno, lui lassù ci vuole andare, lui il missile che lo porterà lassù lo prepara davvero. Non che il primo tentativo gli riesca senza intoppi, un gran fuoco alla partenza e procura un incendio che distrugge i campi dei vicino: e allora da Roma, dove gestisce con la madre un negozio di ferramenta, arriva il fratello con i piedi ben saldi a terra, il Mario, quasi mai visto, fratello per parte di padre, un tale che s’è fatto una nuova famiglia e che di loro non s’è mai occupato (ma quanto Dario ha creduto in lui!), un fratello che vuole essere un aiuto immediato perché Luna Storta non sia messo in una casa di cura. Ben raccontato, dando libero sfogo alla fantasia e alla disubbidienza, al realismo imposto e al desiderio di evasione, alla fuga (ma quanto somigliano alle illustrazioni di un vecchio Pinocchio quei due poliziotti che tentano di fermare Dario!), Padovan regala con il suo piccolo circo del Nord-Est un’opera matura, ambiziosa pur nella leggerezza del racconto, forte di quel sogno che sorregge l’esistenza di molti. A Giuseppe Battiston è sufficiente un sospiro, una brevissima pausa, un movimento impercettibile degli occhi per costruire dei veri e propri momenti geniali, Stefano Fresi lo tallona con il suo corpo massiccio, un monumento alla positività, al propositivo: una coppia che qualcuno finalmente ha legato in un bell’esempio di cinema alto.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini, di seguito: Zorica Nusheva, interprete di “Dio esiste, il suo nome è Petrunya”; la furia dei monsoni in “Wet season”; Giuseppe Battiston e Stefano Fresi, i due fratelli di “Il grande passo”, opera seconda diretta da Antonio Padovan

Malinpensa by Telaccia, cromaticità e dinamismo

 Artisti in mostra fino al 30 novembre prossimo alla galleria in corso Inghilterra

 

Dinamismo e cromaticita’. Questo il binomio che contraddistingue le opere dei quattro artisti ospitati in mostra fino al 30 novembre prossimo nella galleria d’arte torinese Malinpensa by Telaccia (in corso Inghilterra 51 ). Sono Emanuele Biagioni, Giovanni Mangia, Renzo Sbolci e Lorenzo Sabbatini.

Un sottile fil rouge unisce questi quattro pittori, che si diversificano per età e provenienza geografica, ed è costituito dalla cromaticita’ delle loro opere, accompagnata ad un gusto tonale capace di esprimere sulla tela, con tecniche diverse, emozioni vibranti.

Emanuele Biagioni, artista lucchese, realizza sulla tela efficaci effetti di luci ed ombre, che acquistano una rilevanza tecnica ed una puntuale raffigurazione. L’artista ama ritrarre scorci notturni e scene urbane in cui i rari riflessi chiaroscurali diventano dinamici e vengono sostenuti da una resa formale di rilevante interesse artistico. La scelta dello sfondo scuro, non di facile esecuzione, attribuisce al tessuto una cromaticita’ ricca di estro e portatrice di un linguaggio autonomo.

Di carattere più surreale sono le opere dell’artista Lorenzo Sabbatini, capace di liberare, attraverso la fantasia, una forte carica simbolica, accompagnata da una non trascurabile  valenza spirituale. Le figure delle sue tele dialogano sospese in una dimensione a metà tra realtà e sogno, indagando anche il mistero riguardante l’esistenza umana. Equilibrio strutturale,  trasparenza del colore, movimento dei bianchi e neri, accompagnati agli azzurri, danno vita ad una raffigurazione che risulta riflessiva e comunicativa.

La produzione dell’artista Giovanni Mangia, originario di Collepasso, in provincia di Lecce, ma con studi universitari e laurea in Architettura a Firenze, si concentra, invece, su una tecnica dell’acrilico su tela e collage di vari tessuti, capace di dimostrare una magistrale padronanza tecnica. Fantasia, ispirazione e contenuto si intrecciano nelle sue composizioni, che uniscono la tecnica ad una forte carica espressiva. Giovanni Mangia, in età giovanile, da universitario  frequentò a Fiesole lo studio del professor architetto Giovanni Michelucci, coltivando contemporaneamente la sua passione artistica, partecipando anche a personali e concorsi in Italia ed all’estero. La sua opera è il risultato di una indagine piuttosto approfondita, in cui la luce ha un ruolo fondamentale insieme al colore, la prima quale simbolo di energia, il secondo quale fonte di ispirazione.

Infine, in mostra, l’opera dell’artista livornese Renzo Sbolci, ormai di casa a Ferrara, che si serve delle superfici in legno, sapientemente sagomate ed impreziosite dall’uso di matite e di pastelli cerosi, che gli permettono di raggiungere risultati molto felici sia dal punto di vista tecnico sia per quanto riguarda gli effetti estetici. Le cromie e le suggestive vibrazioni simboliche nei suoi dipinti vengono arricchite grazie ad un effetto tridimensionale piuttosto originale; il segno grafico incisivo che contraddistingue le sue opere si affianca ad un impianto geometrico capace di tradurre tutta una gamma di piani, di volumi e di linee in continua mutazione. L’artista, con l’uso del legno nelle sue opere tridimensionali, gioca con il pieno ed il vuoto e con i pastelli passati sui tasselli dei non-mosaici.

Nelle sue opere Renzo Sbolci compie, così, una sorta di viaggio cosmico, reso ancora più evidente dalla mutazione della sua stesura materica.

Mara Martellotta

Pensare con le mani. Primo Levi a teatro

Lettura scenica 

27-28 Novembre 2019 – Teatro Baretti, Torino
con Marina Bassani, Lorenzo Bartoli, Francesco Barbieri

 

A luglio sono cento anni dalla nascita di Primo Levi e Marina Bassani, attrice e regista, ha voluto
sottolineare un aspetto centrale nel lavoro di questo scrittore e scienziato: il tema del lavoro.
Il suo recital si intitola Pensare con le mani, e percorre il tema del lavoro attraverso le pagine più alte
della sua opera, tra cui La chiave a stella, la Tregua e Se questo è un uomo, inoltre comprende alcuni
importanti passi delle sue interviste e alcune sue poesie ; il lavoro, nel pensiero di Primo Levi, è un
momento fondamentale, di creazione, di libertà, di immaginazione, di condivisione, di comunicazione,
di danza, di teatro, di diplomazia, di umorismo, un momento dove l’uomo pensa e in questo senso è una
visione rivoluzionaria, in quanto, attraverso il lavoro, l’uomo finalmente può dirsi un mensch, cioè un vero
essere umano.
Ma soprattutto, come dice il titolo, il lavoro è il ritorno al lavoro come impegno fisico e insieme intellettuale,
dove il corpo e i cinque sensi hanno un ruolo fondamentale .
Il recital è condotto da due attori, Marina Bassani e Lorenzo Bartoli, della scuola Filodrammatici e
Teatro Stabile di Torino, ed è accompagnato da un delicatissimo clarinetto, che sottolinea le atmosfere
via via infernali o paradisiache del percorso poetico.

“Duo Rolando Casagrande” e “Frag duo” per Vitamine Jazz

Due nuovi appuntamenti al Sant’Anna per la rassegna “Vitamine Jazz” arrivata alla sua terza stagione, organizzata per la “Fondazione Medicina a Misura di Donna” e curata da Raimondo Cesa.

I concerti avranno inizio dalle ore 10.00 nella sala Terzo Paradiso, aperta al pubblico, in via Ventimiglia 3.

Martedì 26 novembre “Duo Rolando Casagrande”
Nino Rolando pianoforte e fisarmonica – Livia Casagrande voce

Concerto dedicato alla canzone francese d’ autore. Brani classici del repertorio di Edith Piaf, di Yves Montand, Charles Trenet e del Bal Musette saranno eseguiti al piano e alla fisarmonica da Nino Rolando e interpretati dalla vocalist Livia Casagrande.
Nino Rolando è pianista a 360°: il suo repertorio spazia dalla musica leggera alla classica al Jazz. Ha collaborato con jazzisti come il contrabbassista Nando Amedeo e il sassofonista Gianni Basso.
Livia Casagrande ha cantato con vari musicisti fra cui Gianni Negro, Aldo Rindone, Guido Canavese. Ha collaborato con Raimondo Cesa cantando nei suoi spettacoli “Barrelhouse Blues”, “Killers” e “Cité Ciné”.

Giovedì 28 novembre sarà la volta del “Frag Duo”
Francesca Chiofalo pianoforte e voce – Agnese Garufi sassofono

Il duo di musica da camera è costituito dal M° Francesca Chiofalo al Pianoforte e dal M° Agnese Garufi al Sassofono. Formatosi nel 2017, il duo Chiofalo – Garufi si è esibito presso associazioni culturali, teatri, palazzi storici in ambito nazionale dalla Sicilia al Piemonte e festival prestigiosi come il Torino Chamber Music Festival.
Entrambe appassionate di musica da camera, le due musiciste si sono incontrate con l’intenzione di intraprendere una ricerca sonora ed artistica volta a percorrere nuovi sentieri in ambito musicale, prediligendo un repertorio orientato verso le opere classiche del Novecento. Scopo del duo è avvicinare le opere classiche contemporanee e moderne ad un pubblico non uso ad esse con semplicità, raffinatezza e sensibilità interpretativa.
Francesca Chiofalo, al pianoforte, si è formata al Conservatorio di Pavia dedicandosi dapprima al canto, poi al pianoforte. Si è stabilita a Torino cinque anni fa e qui si dedica all’attività concertistica sia come pianista solista che in formazioni strumentali e porta avanti la sua carriera di insegnante di pianoforte in scuole pubbliche e private, proponendo repertori che spaziano dalla musica classica alla contemporanea.
Agnese Garufi ha una formazione itinerante tra diversi conservatori: prima a Messina, poi a Roma, Berlino ed infine Torino. Ha conseguito i Diplomi Accademici in Sassofono ed in Didattica della musica ed è abilitata all’insegnamento dello strumento alle scuole medie, dove lavora nella prima metà della giornata. La restante parte è dedicata ai sassofoni ed all’attività concertistica per lo più in gruppi di musica da camera ed orchestre.

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Luca Di Fulvio “La figlia della libertà” -Rizzoli-   euro 19,50

E’ uno dei romanzi più belli letti ultimamente. E’ dello scrittore e sceneggiatore romano Luca Di Fulvio, che scrive magnificamente e vi appassionerà per oltre 600 pagine con questo romanzo che ha il respiro dei grandi classici ottocenteschi. E’ la storia di tre giovani che scappano dalla miseria dei loro paesi d’origine e nei primi anni del 900 arrivano a Buenos Aires in Argentina. Raechel nel 1912 abbandona le steppe polacche dell’Impero Russo dove il destino le ha assegnato una matrigna crudele, convinta così di poter coronare il suo sogno di scrivere. Rosetta è un’altra orfana 20enne dalla bellezza mozzafiato, scappa da Alcamo in Sicilia dove il Barone del luogo le ha praticamente usurpato la terra e l’ha anche fatta violentare dai suoi sgherri. Poi sempre dalla Sicilia e dai tentacoli   di Cosa Nostra sta fuggendo il giovane Rocco, personaggio di grandissimo carattere.

Tre destini che convergono in una Buenos Aires straripante di profughi che nei miserabili conventillos (case popolari poverissime in cui vivevano stipate più famiglie) trovavano un primo approdo: molti erano italiani e venivano sfruttati in tutti i modi possibili. Nel 1912 la capitale argentina è un crogiuolo di bordelli, bische e fabbriche in cui il lavoro ha ritmi disumani. A pagare il prezzo più alto sono sopratutto le donne che finiscono ingurgitate nel mercato di carne della prostituzione, spesso picchiate, sfregiate, uccise. E’ li che, con l’inganno, la Sociedad Israelita De Soccorros Mutuos Varsovia trasferisce Raechel e Rosetta, reclutate in Europa con il miraggio di matrimoni con ricchi ebrei porteni. Passioni, faide, ribellione, coraggio, amori, violenza e riscatto riempiono le pagine di questo romanzo. E vi trascinerà tra colpi di scena continui, personaggi malvagi, ma anche anime buone, in un crescendo in cui vi appassionerete alle peripezie dei tre giovani sullo sfondo di una pagina importante dell’emigrazione italiana in Sud America.

 

Lia Piano “Planimetria di una famiglia felice” -Bompiani-   euro 15,00

Questa è la famiglia che molti di noi vorrebbero avere: colta, libera, divertente, piena di animali   scorrazzanti, un po’sopra le righe, estrosa. Di fatto….geniale. Un luogo ideale in cui crescere e formarsi una personalità in grado di affrontare il mondo con le armi giuste. Magnifico e brillante è questo esordio letterario della terzogenita figlia dell’archistar e senatore Renzo Piano, del quale scopriamo anche tante particolarità (che non vi anticipo).

Tutto inizia nella seconda metà degli anni 70, quando il padre ha poco più di 40 anni, la madre 30, e dopo aver cambiato ben 3 nazioni in 10 anni, decidono di sedentarizzarsi a Genova. Comprano casa e si stabiliscono con i 3 figli piccoli, ritenendo sia giunta l’ora di diventare “una famiglia normale”…concetto per loro un po’ aleatorio e da definire in corso d’opera. Lia è la “nana” di casa, ha 6 anni e deve vedersela con i fratelli maggiori: Marco alle prese con i turbamenti della pubertà e Gioele afflitto dalla balbuzie e pericolosamente appassionato di chimica.

A colorire ulteriormente il quadro c’è la folkloristica tata Maria che si ostina a parlare in stretto dialetto calabrese. Poi ci si mettono anche insegnanti vari e un’assistente sociale. Per molti aspetti questa famiglia “perdutamente felice” ricorda   quella descritta nei suoi libri dal naturalista britannico Gerald Durrell “La mia famiglia e altri animali”. Perché nel giardino e nelle stanze di casa Piano imperversano allegramente cani, criceti e…meraviglia delle meraviglie, nel giro di tre giorni si schiudono 50 uova. Ed ecco altrettanti pulcini, che crescono liberi e finiscono per diventare 50 galline sculettanti. E’ anche questa la bellezza di questa famiglia anarchica in cui ognuno è stimolato a creare un progetto di pollaio, a trovare nomi propri per ogni pennuto, e dove i cartelli affissi sulle porte intimano “vietato vietare”. Lia Piano racconta una scia luminosa di aneddoti, divertenti – tra realtà e fantasia- raccontati con uno humor travolgente. Deus ex machina di quest’infanzia incantata è il geniale architetto Renzo Piano che costruisce in casa una barca e, insieme alla bellissima e divertente prima moglie, stimola continuamente i figli a risolvere sempre brillantemente ogni fase della crescita. Un libro che è autentica boccata d’aria pura.

 

Alafair Burke “Sorelle sbagliate” -Piemme-   euro 19,50

Un omicidio, due sorelle che più diverse non potrebbero essere, un figlio conteso e qualche scheletro negli armadi. Sono questi gli ingredienti principali dell’ultimo thriller scritto dalla cinquantenne Alafair Burke. E in questo caso il Dna non mente dal momento che è la figlia del giallista di fama James Lee Burke. In più è un avvocato, docente di diritto penale e vanta una notevole esperienza che distilla sapientemente nelle pagine del libro. Tutto inizia con l’assassinio dell’avvocato di grido Adam Macintosh, nella sua casa negli Hamptons. Non un uomo qualunque, bensì il marito di entrambe le sorelle. Prima ha sposato Nicky, scapestrata, inaffidabile, che beve un po’ troppo e sbanda nella vita. I due hanno un figlio, Ethan, ma quando Adam decide di divorziare non si fa scrupoli a screditate in ogni modo Nicky per portarle via il piccolo. In un secondo tempo sposa Chloe, la sorella di Nicky. Un altro mondo, perché Chloe è una donna di successo, precisa e maniaca del controllo. Vive a New York dove dirige un’importante rivista di moda e cresce Ethan con grandissimo senso di responsabilità, come fosse suo figlio. Quella di Adam, Chloe ed Ethan sembra la famiglia perfetta, ma l’assassinio spalanca la porta su un baratro insospettabile. Nulla è come sembra, tutto è rimesso in discussione. Non anticipo nulla ma state pronti a continui colpi di scena, indagini serrate, segreti inconfessabili e una nuova messa a fuoco del rapporto tra le due sorelle.

“Sii anche tu la donna che vorresti vedere nel mondo”

Il 26 novembre al Borgo Medievale

Spettacolo sulle protagoniste dimenticate dalla storia

 

Martedì 26 novembre, alle ore 19.30, la Compagnia delle donne itineranti va in scena al Borgo Medievale, in sala Ozegna, con lo spettacolo “Sii anche tu la donna che vorresti vedere nel mondo”. Uno show che unisce la prosa alla lirica, la danza alla moda, per ripercorrere la vita di alcune delle protagoniste del passato che scontano una condanna all’oblio, estromesse dalla storia ufficiale per il solo fatto di essere donne, ma che con le loro gesta hanno influenzato le epoche in cui hanno vissuto.

Uno show di arti performative, introdotto dalla presentatrice Germana Turolla, in cui lo spettatore sarà condotto in un viaggio nel tempo, ricordando figure femminili troppo spesso dimenticate. Tra cui Veronica Franco.

Ed è proprio quest’ultima, la cortigiana del Cinquecento veneziano, ad aver ispirato la scrittrice Tamara Brazzi, già autrice del romanzo “Veronica ed Io” (La Valigia Rossa edizioni), nell’idea di riscoprire in uno spettacolo le donne del tempo. Alla Franco è dedicata una collana, un “Gioiello del tempo, realizzata a mano da Arte moda Artigianato di Antonetta Passione e Maria Angotti: si chiama “Veronica” ed è gialla, colore scelto dalla scrittrice  come simbolo della forza delle donne.

“Risvegliare l’attenzione sulle donne del passato – spiega Tamara Brazzisignifica creare modelli positivi a cui le giovani generazioni possono guardare. Sono protagoniste di cui si conosce poco o nulla, considerate marginali e non degne di essere studiate nei libri di storia. Portarle in scena – prosegue l’autrice – vuol dire restituire, una volta di più, alla conoscenza del pubblico donne di talento che hanno saputo affermarsi nonostante le avversità”.

 

(foto M. Bursuc)

 

“Soldati’s day” al Tff

 IL 37° TORINO FILM FESTIVAL RICORDA MARIO SOLDATI NEL VENTENNALE DELLA SUA SCOMPARSA  CON UNA GIORNATA DI TESTIMONIANZE, INCONTRI E PROIEZIONI


Lunedì 25 novembre il Torino Film Festival dedica una giornata a Mario Soldati che si articolerà in una successione di proiezioni e interventi dalle ore 13.00 fino alla sera, nella sala 3 del Cinema Massimo che, dallo scorso anno, si chiama appunto “Sala Soldati”.

Un “Soldati’s Day” per ricordare a vent’anni dalla scomparsa lo scrittore, regista, sceneggiatore, autore televisivo e viaggiatore che si sviluppa come racconto della sua fisionomia complessa e completa di autore: oltre a tre dei suoi film maggiori (Malombra, Fuga in Franciae La provinciale), verranno proiettati spezzoni ed episodi delle sue serie televisive, delle sue inchieste giornalistiche, delle sue interviste.
Si inizia alle 13.00 con la proiezione de La provinciale, lungometraggio sceneggiato insieme a Giorgio Bassani e primo film ispirato a un romanzo di Moravia: un melò modernista che rappresenta una delle vette del cinema di Soldati. La giornata continua con Viaggio nella valle del Po alla ricerca di cibi genuini, la trasmissione a puntate del 1957 nella quale in pratica Soldati inventò la “televisione culinaria,” cui sono abbinati lo “spin-off” Pranzo di Natale, nel quale l’autore interroga amici non romani sui loro usi alimentari natalizi, e il montaggio realizzato da Rai Movie che rievoca la popolarità del Soldati televisivo. Poi, due puntate dell’irresistibile serie Chi legge? (ancora un viaggio, da sud a nord, chiedendo agli italiani, ancora talvolta analfabeti, le loro letture preferite) e il bellissimo documentario Un’ora con Mario Soldati, dove l’autore si racconta, tra ricordi, amici e luoghi del cuore. Alle 19.45 verrà proiettato Fuga in Francia, che racconta le vicende di un gerarca fascista durante i giorni della caduta del regime. Chiude la giornata la proiezione alle 22.15 di Malombra, ispirato dal romanzo di Fogazzaro: un’incursione nel fantastico che rimanda alla tradizione gotica, quasi un ghost story girata sulle rive del lago di Como.

Le proiezioni sono intervallate dagli interventi di familiari, amici, studiosi, esponenti del mondo della cultura che porteranno la loro testimonianza sull’autore. Interverranno nel corso della giornata: Anna Cardini Soldati (Archivio Mario Soldati), Emiliano Morreale (Sapienza università di Roma), Carlo Petrini (Slow Food), Mariapaola Pierini (DAMS Torino), Pier Franco Quaglieni (Centro Pannunzio) e Sergio Toffetti.

La Giornata è organizzata in collaborazione con Rai Teche, Rai Movie, Cristaldi Film, Museo Nazionale del Cinema di Torino e Dams dell’Università di Torino, nella cui sede si terrà, il giorno dopo, un convegno di studi sull’autore e con Sapienza Università di Roma: presso l’Auditorium G. Quazza, infatti, martedì 26 novembre dalle ore 9.00, avrà luogo il seminario di studi “Mario Soldati: letteratura, cinema e dintorni” al quale interverranno Steve Della Casa, Bruno Falcetto, Giuliana Galvagno, Emanuela Martini, Paolo Mereghetti, Emiliano Morreale, Mariapaola Pierini, Franco Prono, Gabriele Rigola, Sergio Toffetti e Federica Villa.

Il premio “Adriana Prolo” a Lorenzo Ventavoli

Sabato 23 novembre al Cinema Massimo l’Associazione Museo Nazionale del Cinema ha assegnato il Premio Adriana Prolo a Lorenzo Ventavoli, uomo di cinema a tutto campo : esercente, distributore, produttore, sceneggiatore, attore, critico, storico del cinema e organizzatore culturale.

E’ stato in particolare il fondatore del Cinema Romano e dell’ Eliseo, le cui sale furono le prime ad essere riconosciute come sale d’essai a livello nazionale; inoltre è stato Presidente del Museo Nazionale del Cinema, l’artefice della riapertura del Cinema Massimo nel 1989, nonché Presidente dell’Associazione Cinema Giovani, che ha fondato e gestito per molti anni il Torino Film Festival. Il premio è stato consegnato dal laudatore Sandro Casazza, ex Presidente del Museo del Cinema. “Uomo generoso, eclettico, un po’ sabaudo, un po’ dandy, un po’ stile bella époque. Mi ha sempre stupito di lui la sua naturalezza, ad esempio quando lo vidi strappare personalmente i biglietti al botteghino di uno dei suoi cinema […] Tra i suoi luoghi preferiti il Cerea, dove ha praticato e pratica tuttora il canottaggio e il Rocciamelone, ma io, genovese e amante del mare, non condividevo la sua passione per la montagna. Ha rappresentato una delle più importanti figure di riferimento per il Cinema di Torino e non solo “. Nel corso della premiazione è stata presentata la rivista Mondo Niovo, a cura di Caterina Taricano, Vittorio Sclaverani e Matteo Pollone, che ha dedicato l’ultimo numero al premiato. Una particolare e sentita dedica l’ha mandata attraverso un video Nanni Moretti. Riproduciamo di seguito le sue affermazioni. “ Se tutti in Italia avessero la memoria di Lorenzo Ventavoli, non sarebbe questo un Paese tramortito da un’amnesia collettivache impedisce di ricordare la nostra storia e le nostre radici. Se tutti gli sportivi fossero tenaci e costanti come Lorenzo Ventavoli, alle Olimpiadi vinceremmo più medaglie d’oro della Cina e degli Stati Uniti. Se tutti i cittadini fossero come il cittadino Lorenzo Ventavoli, il nostro sarebbe un Paese migliore e le persone avrebbero coscienza dei loro doveri ma anche dei loro diritti.

 

Se tutti gli esercenti cinematografici fossero come Lorenzo Ventavoli, beh, il cinema sarebbe un luogo non contro il pubblico ma per il pubblico e non ci sarebbero crisi del cinema e crisi delle sale. Se tutti avessero la cultura di Lorenzo Ventavoli, non ci sarebbe in Italia il trionfo compiaciuto dell’ignoranza. Lunga vita e tanti premi a Lorenzo Ventavoli ! “ Tra il pubblico Steve Della Casa, autore con Ventavoli della pubblicazione “ Una passeggiata di 100 anni di Cinema “, Mimmo Calopresti , regista di “ Preferisco il rumore del mare “ in cui recita lo stesso Ventavoli, Fiorenzo Alfieri, Paolo Manera . Lorenzo Ventavoli ha poi preso la parola, dicendosi imbarazzato per questa sorta di celebrazione a lui dedicata, “che francamente penso eccessiva, ma allo stesso tempo mi occorre ringraziare doverosamente così tanti amici e conoscenti ”. Alla premiazione è seguita la proiezione del film “ Troppo tardi l’ho conosciuta” (1939), unico film di Emanuele Caracciolo, ucciso alle Fosse Ardeatine. La pellicola, che si riteneva perduta , è stata ritrovata casualmente nel 2003 a Cuneo dallo stesso Ventavoli.

Mauro Reverberi

L’affaire Dreyfus, un dramma per raccontare non soltanto il passato

“L’ufficiale e la spia” di Roman Polanski

 

Pianeta Cinema a cura di Elio Rabbione

 

 

La macchina da presa, avanzando lentamente, racchiude in uno sguardo totale il vasto spiazzo dell’Ecole militaire di Parigi, nella mattina fredda del 5 gennaio 1895, per racchiudersi sull’ufficiale che strappa i gradi dall’uniforme di Alfred Dreyfus e ne spezza la sciabola. È la condanna di un tribunale e di una classe politica nei confronti di un capitano dell’esercito francese, alsaziano di Mulhouse, di origini ebree, per alto tradimento nell’aver trasmesso informazioni militari ad un corrispondente tedesco, è il suo invio all’isola del Diavolo, tra abbandoni e soprusi: è l’inizio bellissimo dell’ultimo film di Roman Polanski, J’accuse, che nel titolo italiano – L’ufficiale e la spia – riprende quello del romanzo di Robert Harris (già felice collaboratore del regista polacco una decina di anni fa per L’uomo nell’ombra) che con lui firma la sceneggiatura: ponendo al centro del dramma non il condannato, bensì il tenente colonnello Georges Picquart, all’inizio dalla parte dell’accusa poi colui che, nella ricerca continua di una verità che sempre più scricchiolava con il verdetto nella quotidiana certezza del continuare dell’invio di notizie al “nemico”, cercherà in ogni modo di ristabilirne l’innocenza.

L’affaire, nato e sviluppatosi in un clima di distruttivo antisemitismo (i roghi dei libri, le vetrine con le scritte “morte agli ebrei” mandate in frantumi legano strettamente quanto accadde a cavallo tra la fine di quel secolo e l’inizio e l’espandersi del successivo, tra gli anni Trenta e Quaranta), spaccò la nazione francese fino al 1906 in colpevolisti ed innocentisti, tra revisioni e processi, i primi soprattutto rappresentanti dell’esercito, le alte sfere e i ministri legati ad esse, ormai consapevoli dell’errore compiuto ma ben decisi a non lasciar distruggere il castello di menzogne costruito, alimentandolo semmai con altre false prove, con connivenze, con una drammatica farsa; gli altri appartenenti al mondo degli scrittori (non soltanto Èmile Zola con il suo J’accuse pubblicato su L’aurore nel ’98, che lo costrinse a fuggire in Inghilterra per evitare un anno di carcere, ma pure Gide e Proust) e degli artisti (Manet), il mondo che è quello di Picquart, deciso a mettersi contro i suoi stessi superiori, a rischiare la carriera e anche la vita, a subire il carcere pur di riportare totalmente allo scoperto la verità. La ristabilirà: ma ad un Dreyfus, reintegrato nel proprio ruolo, negherà il riconoscimento di un grado maggiore e quegli anni trascorsi sull’isola, pedine entrambi di un meccanismo che ha le proprie leggi e le mantiene.

 

È un’opera davvero bella, estremamente matura, solidamente costruita L’ufficiale e la spia, il film dell’ebreo polacco Polanski più avvincente di questi ultimi anni, struggente nella ricchezza del racconto, bruciante per la forza con cui affronta temi che ancora oggi ci toccano da vicino, costruisce con perfetto realismo l’intera vicenda e ci lascia scoprire tutti i simboli di cui l’arricchisce (la polvere e la sporcizia che invadono gli uffici di cui Picquart prende possesso, la disattenzione del vecchio custode). Affronta il pubblico e il privato, Polanski, arrivato agli 86 anni di età, e si pone con le proprie origini e con la sua storia al centro della vicenda come individuo avversato dal destino, come per un attimo, in alta uniforme, lo si scorge tra un elegante gruppo di militari, facendosi allo stesso tempo accusato e accusatore. Costruisce un’epoca perfettamente nelle scenografie di Jean Rabasse (le tante stanze, i tavolini dei caffè, c’è anche spazio per un soleggiato dèjeuner sur l’herbe), sceglie dalla Comedie Française un gruppo di attori cui affida i volti dei militari ed il risultato è splendido, sfaccettato, la fotografia di Pawel Edelman cerca sapientemente i colori grigi di Parigi. Dispone di due attori in grado di offrire due alte prove di recitazione, Jean Dujardin (Picquart) che esprime in maniera umana e solida tutta la caparbietà della propria ricerca e Louis Garrel (un esempio perfetto di trucco e di invecchiamento) che è un Dreyfus pronto a raccogliere in sé non soltanto la propria tragedia ma quella di un popolo intero.