|
||||||
|
Il 28 ottobre 2020, alle ore 21, la Sala conferenze della biblioteca “Nicolò e Paola Francone” di Chieri ( in via Vittorio emanuele II,1) ospiterà la conferenza del prof. Bruno Maida, storico dell’ Università di Torino, dal titolo Marcia su Roma e dintorni.
L’evento, introdotto e moderato dallo storico Enrico Manera, fa parte degli incontri del ciclo Il rosso e il nero a cura dell’Istoreto in collaborazione con l’Archivio Storico e la Biblioteca della città di Chieri. L’iniziativa ha ottenuto il sostegno del Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale.
A partire dalla recente pubblicazione del volume La nascita del fascismo a Torino (Adduci, Berruti e Maida, Edizioni del Capricorno 2019) l’incontro si propone di approfondire storia e interpretazioni dell’avvento e del consolidamento del regime fascista in relazione alla crisi dello stato liberale e alle profonde trasformazioni del dopoguerra, con particolare attenzione alla questione della violenza.
Il programma riprende il progetto sospeso durante l’emergenza Covid della primavera scorsa e si svolgerà senza pubblico, in modalità di videoconferenza.
Ecco di seguito il link per collegarsi alla conferenza tramite la piattaforma zoom (https://www.comune.chieri.to.it/biblioteca/marcia-roma).
MarcoTravaglini
Enrico Mazzone è nato e cresciuto a Torino, leva 1982. Ha frequentato il liceo Scientifico e l’Accademia Albertina sotto la cattedra di Scenografia Teatrale. Lo intervistiamo per conoscere i dettagli del protetto che sta realizzando: una tela gigante, da lui disegnata, di 97 metri per 4, dedicata alla Divina Commedia.

1 Con l’amica Liliana, in visita da Alba
2 Particolare del disegno (cielo di Venere)

Da De Chirico a Andy Warhol, fino alla “Gibigianna” di Gallizio e al pop-concettuale di Paolini
Diciannove spazi concepiti secondo un nuovo iter espositivo “che intende restituire la centralità all’opera d’arte”. E un look decisamente rinnovato, con ambienti ridisegnati e ridefiniti “per permettere il confronto e consentire il paragone necessario tra opera e opera”: dal 26 settembre scorso alla GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino va in scena il nuovo allestimento del Novecento storico – fra nuove acquisizioni e opere che riemergono dal caveau, le preziose “stanze del tesoro” come le chiamava il grande fotografo Mauro Fiorese – curato dallo stesso direttore del Museo di via Magenta, Riccardo Passoni.
Un allestimento che vuole, ancor meglio di prima, rimarcare il “primato dell’opera”, privilegiando “un taglio storico-artistico, ma anche dando il giusto rilievo alla storia delle collezioni civiche nel panorama artistico torinese, nazionale e internazionale”. Una composita e corposa, ma già sfiorata dalle metafisiche suggestioni dell’enigma, “Natura morta con salame” opera di Giorgio De Chirico, datata 1919, apre il percorso espostivo in una prima sala che accanto al maestro di Volo, vede riunite opere di Giorgio Morandi (le sue tarde ed essenziali “Nature Morte”) e di Filippo De Pisis; tre figure fra quelle che maggiormente hanno influito sull’arte italiana e internazionale del Novecento. Godibilissima e fascinosa premessa a quanto, sala dopo sala, ci scorre dinanzi attraverso capolavori che vanno dalle “Avanguardie storiche” – con le opere di Umberto Boccioni, Gino Severini, Giacomo Balla, Enrico Prampolini, Otto Dix, Max Ernst, Paul Klee e Francis Picabia – fino alla Torino dell’arte fra le due guerre mondiali (con le opere dei “Sei”) e alla riscoperta di Amedeo Modigliani (“La ragazza rossa” arrivata al Museo in occasione del Centenario dell’Unità d’Italia) e alla sua forte influenza, anche attraverso gli studi di Lionello Venturi, proprio sugli artisti subalpini dell’epoca.
Seguono, in un’avventura di passi e funambolici salti della memoria e della mente, le sezioni dedicate all’“Arte astratta italiana” in cui troviamo le tracce indelebili lasciate da grandi maestri, quali Fausto Melotti, Osvaldo Licini e la “Scultura astratta” del ’34 di Lucio Fontana, accanto alle sorprendenti acquisizioni di arte internazionale nel periodo post bellico che portano le firme di Marc Chagall (con il piccolo, magico “Dans mon pays” del ’43), la drammatica grafia di Hans Hartung, fino alle magie creative di Pierre Soulages, Tal Coat, Pablo Picasso e la sinteticità plastica di Jean Arp o quella più aggressiva di Eduardo Chillida. Dall’astratto all’“Informale” degli anni Cinquanta: di sala in sala si ha l’impressione netta che l’Arte del Novecento non potesse che compiere queste strane e meravigliose giravolte. Con passaggi di testimone fortemente legati fra loro. Quasi inevitabili. Eredi scontati gli uni degli altri. Dall’“Informale di segno” di Carla Accardi, Giuseppe Capogrossi e Antonio Sanfilippo si scivola dunque, senza troppi sussulti, alle libere visioni paesistiche di Renato Birolli, Ennio Morlotti e Vasco Bendini fino al linguaggio più vigoroso di Emilio Vedova e all’originale coinvolgimento dei torinesi Piero Ruggeri, Sergio Saroni, Giacomo Soffiantino e Paola Levi Montalcini.
Di qui il passo breve al “facile linguaggio” del “New Dada” e della “Pop Art” italiana e straniera – con le ingegnose creazioni di Piero Manzoni, Louise Nevelson, Yves Klein e Andy Warhol, assicurato in rassegna per 80milioni – fino all’esperienza dell“Arte Povera”, teorizzata nel ’67 da Germano Celant e solo nel ’70 approdata nelle sale di un Museo. Guarda caso, proprio alla nostra GAM. Dove troviamo la totale anarchia estetica e l’uso libero di materiali, i più eterodossi, di Pier Paolo Calzolari, Mario Merz, Giuseppe Penone via via fino a Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto e Gilberto Zorio. Sale personali sono infine e doverosamente dedicate, per il ruolo da loro svolto nell’indicare strade nuove e magistrali nell’evoluzione del percorso artistico nazionale e internazionale, a Felice Casorati, ad Arturo Martini, ad Alberto Burri e a Lucio Fontana. Autentiche chicche, poste in lodevole evidenza dal nuovo allestimento espositivo, il ciclo narrativo “favolistico” della “Gibigianna” dell’albese Pinot Gallizio e l’apparente fragilità del “Requiem” di Giulio Paolini, artista che ha saputo saggiamente indicarci “l’esigenza di mantenere sempre un rapporto necessitante con la storia dell’arte, i suoi segni e richiami, e il loro valore per una vivificazione concettuale della forma”.
Gianni Milani
“Il primato dell’opera”
GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it
Orari: giov. e ven. 12/19, sab. e dom. 10/19
Nelle foto

In mostra alla GAM di Torino. Fino al 21 febbraio 2021
Decisivo l’incontro e l’imput, arrivatogli dall’estroso gallerista tedesco Gerry Schum, di produrre un video. S’era alla fine degli anni ’60 e l’artista (che aveva cominciato ad esporre nel ’67 alla galleria “Christian Stein” di Torino) aveva già realizzato nel ’68 il lavoro fotografico “Gemelli”, un doppio autoritratto in fotomontaggio – la propria immagine riprodotta in due figure simili ma non identiche che si tengono per mano – dove la “dimensione esistenziale” andava a intrecciarsi con quella artistica “attraverso una scissione del sé”.
L’anno seguente Alighiero Boetti (Torino, 1940 – Roma, 1994), fra i grandi nomi dell’Arte Povera e in seguito di quella Concettuale, si era concentrato sulla “reiterazione del gesto”, fra ossessione e meditazione Zen, sulle orme di quella curiosità per l’esotismo in generale, ereditata dall’avo Giovan Battista Boetti (1743 – 94), missionario demenicano di Mossul, convertitosi all’esoterismo persiano e al sufismo. Ne era nata l’opera “Cimento dell’armonia e dell’invenzione”, paziente ricalco a matita di numerosi fogli di carta quadrettata, una sorta di rituale eseguito registrando i suoni prodotti. Esperienze basilari e di svolta per l’eclettica produzione artistica di Boetti, esaltate dall’invito di Schum, che l’artista accettò trovando ancor più nella produzione video la strada idonea per accentuare quel “tema del doppio”, la ricerca dell’identità e della scissione di sé, che diventerà tema centrale del suo essere artista, del suo essere a un tempo operatore e oggetto del fare arte. Situazione che s’appalesa nitidamente nei video realizzati da Boetti e in visione, fino al 21 febbraio del prossimo anno, alla GAM di Torino, come terzo appuntamento del ciclo espositivo, a cura di Elena Volpato, nato dalla collaborazione fra l’“Archivio Storico della Biennale di Venezia” e la “VideotecaGAM”. “Ogni oggetto del mondo – affermava Boetti – ha almeno due vite”, cui riferirsi e confrontarsi sul piano artistico. Ma anche esistenziale e filosofico. Concetto tanto forte da indurlo a sdoppiare il proprio nome in “Alighiero e Boetti”, mettendo in crisi l’identità dell’artista stesso. “Alighiero – spiegava ancora l’artista – è la parte più infantile, più estrema, che domina le cose famigliari. Boetti, per il solo fatto di essere un cognome, è già un’astrazione, è già un concetto”. Doppia identità, intreccio di vite inscindibili l’una dall’altra. Messaggio chiave del primo video presentato in mostra, “Senza titolo” del 1970, parte della raccolta “Identifications” di Gerry Schum. Boetti volge le spalle alla telecamera e il suo corpo è trasformato in un “segno nero verticale” sul muro bianco posto al centro dell’inquadratura. Le sue mani iniziano a scrivere contemporaneamente, verso destra e verso sinistra, la sequenza dei giorni della settimana, a partire dal giovedì fin dove la lunghezza delle braccia aperte gli consente di arrivare. “In un’unica azione Boetti intreccia il tempo e il doppio, i due aspetti fondamentali del linguaggio video e al contempo del suo lavoro”. Negli stessi mesi aveva realizzato un’immagine fotografica di sé scattata dall’alto, “Due mani e una matita”, in cui stringe una matita posata sul bianco del foglio, “come
apice di un triangolo da cui lasciar scaturire il mondo”. E immagine che, in doppia riproduzione, avrebbe caratterizzato molte sue opere successive; posta, in forma rovesciata, in alto e in basso “come a chiudere e ad aprire lo spazio immaginativo del foglio o della tela”. L’ossessione del “doppio”. Che Boetti vuole trasmettere anche in uno dei suoi più noti ritratti fotografici: “Strumento musicale” del 1970, scattato da Paolo Mussat Sartor e presente in mostra. L’artista vi appare con le mani posate sui due manici simmetrici di un curioso banjo ambidestro che con la sua cassa circolare e il doppio ponticello circoscrive al centro della visione un ideale ombelico sonoro da cui si immagina possano scaturire due diverse musiche speculari, “due flussi di suoni che si dipartono dall’abisso del tempo”. In chiusura, la rassegna presenta il video “Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo”, realizzato da Boetti nel 1974 e parte delle raccolte dall’“Archivio Storico della Biennale” di Venezia. L’opera offre, a quattro anni di distanza, una riflessione speculare del primo video, mutandone esclusivamente la frase scritta dall’artista. Che affermava: “È incontrovertibile che una cellula si divida in due, poi in quattro e così via; che noi abbiamo due gambe, due braccia e due occhi e così via; che lo specchio raddoppi le immagini; che l’uomo abbia fondato tutta la sua esistenza su una serie di modelli binari, compresi i computer; che il linguaggio proceda per coppie di termini contrapposti. […] È evidente che questo concetto della coppia è uno degli elementi archetipi fondamentali della nostra cultura”.
Gianni Milani
“Alighiero Boetti”
VideotecaGAM, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it
Fino al 21 febbraio 2021
Orari: giov. e ven. 12/19, sab. e dom. 10/19
In ottemperanza al DPCM del 24 ottobre 2020 del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro della Salute, relativo alle “Misure urgenti per il contenimento del contagio da COVID-19 sull’intero territorio nazionale”, e a tutela della salute degli spettatori vengono sospesi gli spettacoli del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale in programma da lunedì 26 ottobre a martedì 24 novembre 2020.
Pertanto non andranno in scena i seguenti spettacoli precedentemente programmati nella Stagione 2020/2021 dello Stabile di Torino:
al Teatro Carignano
_ LA CASA DI BERNARDA ALBA di Federico García Lorca, regia di Leonardo Lidi. Le repliche erano previste fino all’8 novembre 2020
_PEACHUM. UN’OPERA DA TRE SOLDI scritto e diretto da Fausto Paravidino. Programmato dal 10 al 22 novembre 2020
al Teatro Gobetti
_I DUE GEMELLI libero adattamento di Natalino Balasso da I due gemelli veneziani di Carlo Goldoni, regia di Jurij Ferrini, in programma dal 27 ottobre all’8 novembre 2020
_LA PARRUCCA da La parrucca e Paese di mare di Natalia Ginzburg, regia Antonio Zavatteri, in cartellone dal 10 al 15 novembre 2020
_I 20 ANNI DI RADIO CLANDESTINA scritto, diretto e interpretato da Ascanio Celestini. Le repliche erano previste dal 17 al 22 novembre 2020
Viene annullata la replica di martedì 24 novembre, mentre restano programmate le recite previste dal 25 al 29 novembre 2020 degli spettacoli:
_ALESSANDRO BARICCO LEGGE NOVECENTO made by Alessandro Baricco, Tommaso Arosio, Eleonora De Leo, Nicola Tescari.
_LA SIGNORINA FELICITA OVVERO LA FELICITÀ uno spettacolo di Lorena Senestro, regia Massimo Betti Merlin.
Vengono inoltre cancellati gli appuntamenti di RETROSCENA programmati al Teatro Gobetti in data:
_mercoledì 11 novembre 2020, ore 17,30, incontro con Fausto Paravadino e gli attori della compagnia dello spettacolo PEACHUM. UN’OPERA DA TRE SOLDI
_mercoledì 18 novembre 2020, ore 17,30, incontro con Ascanio Celestini su I 20 ANNI DI RADIO CLANDESTINA ROMA, LE FOSSE ARDEATINE, LA MEMORIA
Gli spettatori potranno chiedere il rimborso o la sostituzione dei propri biglietti a partire da martedì 27 ottobre presso la Biglietteria (Teatro Carignano, piazza Carignano 6).
Per informazioni: tel. +39 011 5169555 – biglietteria@teatrostabiletorino.it
Costituzione, una città da salvare
In un racconto per bambini il valori del “libro” più importante della nazione
Imparare ad amare la Costituzione, ad apprezzarne i valori, a capirne i significati, a provare la necessità di impegnarsi e lottare per difenderli vivendo un avventura . In sintesi è questo il senso del libro di Barbara Quaglia “Costituzione: una città da salvare”, edito da Edizioni Vallescrivia.
Un racconto per bambini che ci fa vedere la Costituzione in un modo diverso dal solito: come la città in cui viviamo, con i suoi quartieri, i suoi parchi, i suoi pericoli. Le parole della Costituzione irrompono nella vita di questa città immaginaria, minacciata da una banda di malfattori che vorrebbero soffocare libertà e diritti, imponendo le proprie regole. Come fare, allora, a tutelare i principi fondamentali, i doveri inderogabili e i diritti inviolabili come libertà, uguaglianza, istruzione, tutela dell’ambiente, pace, giustizia, dignità? Può un piccolo libro aiutare a comprendere le regole più importanti della Costituzione, la nostra “carta d’identità”, quell’insieme di diritti e doveri che ogni individuo è tenuto a rispettare?
Con una giusta dose di fantasia e immaginazione non sarà difficile immedesimarsi nell’avventura di Martino, Sebastiano, Barbara, Sarah e il cane Max, impegnati con coraggio nella difesa della città di Costituzione, quando le buone regole che la governano vengono minacciate dal malvagio Fuorilegge e dalla sua banda dedita al crimine, al disordine e alla violazione degli altrui diritti. Scorrendo le pagine del racconto di Barbara Quaglia è naturale seguire i consigli del saggio nonno e delle maestre di scuola, affiancando i protagonisti nella lotta contro il gigante Disuguaglianza, re Schiavitù, il generale Inquinamento e tutti i cattivissimi fino all’orribile Fuorilegge. Riusciranno nell’impresa, portando serenità e pace nella città di Costituzione? Per conoscere l’esito dell’avventura non resta che leggerla, ovviamente. L’autrice, avvocatessa specializzata in diritto del lavoro che l’ha scritta allo scopo di trasmettere ai suoi figli Sebastiano e Martino il suo amore per i diritti e la giustizia, si è cimentata con successo nella difficile impresa di insegnare con delicatezza ai più piccoli il compito di lottare per difendere sempre i diritti sanciti dalla Costituzione. In questi giorni si celebra il centenario di Gianni Rodari.
Il grande scrittore nato a Omegna, sul lago d’Orta, considerava le fiabe come il più grande serbatoio di storie attraverso cui bambini e bambine potessero sviluppare la loro fantasia, educando le loro giovani menti. La fiaba è capace di rispondere ai quesiti più rilevanti e profondi collocandoli all’interno di una cornice interpretativa accessibile ai bambini. In questo modo si riesce a nutrirne la fantasia e l’immaginario, conducendoli in percorsi narrativi assai audaci e divergenti, orientandone il pensiero verso un orizzonte di speranza e di miglioramento. Rodari sottolineava quanto vi fosse di “umanamente produttivo nella fiaba”, sempre “pronta per darci una mano a immaginare il futuro che altri vorrebbero semplicemente farci subire”.E’ ciò che coerentemente ha fatto Barbara Quaglia con questo libro consigliato per approcciare con lievità a dei temi così importanti per la nostra vita in comune mettendosi dalla parte dei bambini. Un buon modo per ricordare il valore del “libro” più importante del nostro Paese spiegandolo ai bambini con somma semplicità e accuratezza per imparare a conoscerlo e rispettarlo.
Marco Travaglini
Un romanzo di indagine psicologica della scrittrice torinese Laura Graziano, quanto mai attuale in tempi di Covid
“Io ero te“. Questo il titolo del romanzo della scrittrice torinese Laura Graziano (AlbratrosEditore), incentrato sul rapporto tra individuo e società, tema tanto più attuale in un’epoca come quella di Covid che stiamo vivendo, dai mesi del lockdown in poi.
Il libro è incentrato sulla figura del protagonista, di cui viene descritta la vita interiore, attraverso un susseguirsi di lettere,suddivise in blocchi, seguendo lo schema tipico di una composizione musicale. La mente del protagonista è abitata da pensieri ossessivi, cui si aggiunge, però, uno sguardo piuttosto lucido sul mondo che lo circonda. Fin dall’infanzia, egli si è sentito un estraneo tra persone tutte eguali. Il destinatario dei suoi scritti, ritenuti deliranti, è un medico dalla vita apparentemente perfetta, il suo terapeuta. Tra una missiva e l’altra si dipanano scorci di vita apparentemente banali, quelli del medico, che stridono con quelli del protagonista, capace di vivere ogni attimo con una intensità tale da consentirgli di sollevarsi dalla mera realtà in cui vivono gli esseri che lo circondano. Nel romanzo parole di odio si mescolano ad altre d’amore, il sarcasmo e l’ironia si uniscono a minacce di morte, in un costante crescendo di emozioni, che approdano poi ad un finale inaspettato.
L’autrice ha voluto delineare, attraverso questo libro, il ritratto di un individuo che non si sente parte della comunità, non condividendone i valori, e che compie, per questo motivo, una ricerca identitaria, mettendo in discussione tutto ciò che noi intendiamo per normalità. Il rapporto con il suo terapeuta si complica in quanto il protagonista del romanzo incolpera’ dei suoi pensieri ossessivi o stesso terapeutica che lo aveva in cura.
Questo libro è stato di recente oggetto di una conferenza, tenutasi lo scorso 28 settembre nel Duomo di Torino, alla presenza dell’autrice Laura Graziano, di Valter Gentili, psicologo fondatore della ScuolaEmotivia, e di Ivan Raimondi, vicedirettore della Pastorale della Salute della Diocesi di Torino, con letture accompagnate al pianoforte dal parroco del Duomo, don Carlo Franco, e dalla voce dell’attore Paolo Bergonzi.
Mara Martellotta
“Una pazza felicità”. La strana umanità “a pezzi” dell’artista in mostra alla galleria “metroquadro” di Torino. Fino al 14 novembre
Ha talento e originalità creativa da vendere, Daniele Galliano. E che bello il titolo dato alla sua mostra ospitata a Torino da Marco Sassone, nella galleria “metroquadro” di corso San Maurizio, fino al prossimo 14 novembre. “Una pazza felicità”: bene prezioso (la felicità, pur se “pazza”), di cui tutti abbiamo un gran bosogno. Sempre. E oggi più che mai. Dati i tempi di ansiogena emergenza sanitaria. E dunque titolo cui l’artista vuole anche affidare un certo potere acquietante o addirittura esorcizzante rispetto alla brutta aria che tira? L’interpretazione può anche starci, ma quel ch’é certo è che quel titolo nasce in tempi non sospetti e servì a Galliano un anno fa per definire la sua ultima serie pittorica (“Una pazza felicità”, per l’appunto), prodotta insieme ad un’altra dal titolo “Let’s Go” ed entrambe esposte nel 2019 in anteprima nelle Fiere di “ArtMiami”e “Artefiera Bologna”. La tappa successiva avrebbe dovuto essere alla “metroquadro” di Torino.
Tappa annullata, causa lockdown. E oggi fortunatamente recuperata. Pinerolese di nascita, classe 61, Daniele Galliano vive oggi a Torino con studio nella Barriera di Milano. Autodidatta, s’è fatto totalmente da solo (di qui il grande talento di cui si diceva prima), con impegno e fatica e grinta, studiando i grandi maestri e la storia dell’arte moderna e contemporanea. Oggi suoi dipinti fanno parte di alcune fra le principali collezioni pubbliche e private, come la GAM di Torino, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto e la Unicredit Art Collection di Milano. Numerose anche le sue collaborazioni con musicisti, regisi e scrittori. In queste ultime opere presentate in mostra si sbizzarrisce alla grande con una componente che da sempre lo affascina e lo attrae: la folla, l’assembramento (oggi bruttissime parole!), i riti collettivi di un’umanità sfuggente, che si muove e fluttua nel blu del mare o procede, cerca strada, s’arrampica negli spazi terapeutici di cascate fumanti, ispirategli – pare– dalle Terme di Saturnia. In “Let’s Go” i bagnanti si muovono perfino goffi in spazi immobili di mare blu, senza un minimo accenno d’onda o di vitalità marina. Tutto è statico. Cristallizzato nel tempo. I corpi fuoriescono dall’acqua “a pezzi”.”Una metafora della vita – spiega Galliano – dove tutti galleggiamo in una dimensione che non padroneggiamo e ne usciamo inevitabilmente fatti a pezzi”. E’ un’umanità che spesso si ignora o va per conto suo verso confini (o ipotesi di confini) misteriosi, in una pittura spesso definita “fotografica”, che può allocarsi, senza mai escludere autonome originalità creative, nell’ambito dei cosiddetti “nuovi realismi” degli anni ’90, con storiche citazioni al ritrattismo degli “outsider” britannici degli anni ’60 e ’70, da Lucian Freud a Francis Bacon, così come – sia pure in maniera assai più moderata – al tratto pesantemente sarcastico e violentodi Otto Dix. Molto lontano il segno iperrealistico, per Galliano si può invece parlare – come scriveva il grande teorico dell’arte, Mario Perniola – di “iporealismo”per quel suo tratto distintivo che è il “blurring” (lo sfocato), tecnica che all’alta definizione oppone la bassa definizione. L’immagine fuori fuoco. La sua “è una visione che oscilla fra la miopia e il sogno, che sacrifica i dettagli a favore di una visibilità ridotta, senza profondità di campo”. Al centro dei suoi mondi, sempre la folla, amore che parte dal ’94 con la mostra “Narcotica, frenetica, smaniosa, eccitante”, viaggio nella notte torinese che verrà rievocata anni dopo nel libro “La guerra dei Murazzi” di Enrico Remmert.
Una passione, uno stato d’animo, motivo di ispirazione che lo porterà anche a interessanti sperimentazioni tecniche con esiti di imponente valenza astratta (in mostra il grande – di dimensioni, ma anche per cifra stilistica- “Do you remember” del 2019) e, in anni precedenti, nel 2016, allaproduzione della serie “Anything”, dove figure, oggetti, auto, icone e quant’altro si schiacciano l’una all’altra per recuperare millimetri di spazio. Il tutto in una narrazione “abbandonata al caos stesso da cui è stata generata e che diventa esso stesso protagonista dell’opera”. In mostra anche alcuni oli su tavola del 2019, ispirati a temi vagamente erotici su cui, negli anni passati, Galliano aveva parecchio lavorato e anche in modo assolutamente disinibito.
Qui abbiamo un normalissimo nudo femminile esposto ai benefici effetti del sole e un paio di gambe, che spuntano da una (peccaminosa?) lingerie nera, sopra un paio di scarpe rosse con tacchi a spillo.Ancora “pezzi” di corpo. Immagini piacevoli. Gradevoli. Conenute nei limiti del “comune senso del pudore”. Espressione, immagino, sempre rifuggita e rifiutata dal “libero” Galliano.
Gianni Milani
“Una pazza felicità”
Galleria “metroquadro”, corso San Maurizio 73/F, Torino; tel. 328/4820897 o www.metroquadroarte.com
Fino al 14 novembre
Orari: marc. – sab. 16/19, lun. e mart. su appuntamento
***
Nelle foto
“Sul più bello”, anteprima torinese
Mercoledì 21 ottobre il Cinema Massaua di Torino ha ospitato l’anteprima nazionale del film “ Sul più bello “ di Alice Filippi , prodotto dalla Eagle Pictures.
Si tratta di una teen dramedy, girata a Torino e Venaria con il sostegno della Film Commission Torino Piemonte, i cui protagonisti principali sono i giovanissimi Ludovica Francesconi ( Marta ) e Giuseppe Maggio ( Arturo ). E’ la storia di Marta, ragazza bruttina, affetta da una grave malattia genetica, che, nonostante tutto, ha un carattere combattivo e travolgente.
Come ogni ragazza della sua età sogna il grande amore , ma lei non si accontenta e prima che la sua malattia degeneri, vuole sentirsi dire “ Ti amo “ da un ragazzo bello, il più bello di tutti.
I suoi amici e coinquilini, che per lei sono la sua famiglia, fanno il possibile per dissuaderla dal puntare troppo in alto. Finchè ad una festa Marta vede Arturo , bello, sicuro di sé e per lei completamente inarrivabile. In altre parole, la preda perfetta. Ma, mentre i fedeli amici si preparano a gestire la sua ennesima delusione, Marta sente che stavolta le cose andranno in maniera diversa… La pellicola, opera prima di Alice Filippi, dopo la realizzazione del documentario “ ’78 – Vai piano ma vinci “, nominato ai David di Donatello 2018, è stata anche ospitata nell’ambito della recente Festa di Roma.
“La storia – ha dichiarato la regista – mi è piaciuta fin da subito, lavorare con un cast giovane è stato davvero stimolante. E’ una storia positiva, che rispecchia il mio carattere, infatti vedo sempre il lato positivo nelle cose. C’è un fil rouge che collega il mio documentario a questo film. Anche in quell’occasione si partiva da una situazione negativa , ma alla fine era una storia di un ragazzo che ce l’ha fatta ( qui i si tratta di una ragazza), una storia di libertà, di chi combatte per ottenere un obiettivo. La lezione è che la scelta finale è sempre la nostra, tutti hanno una scelta.
A Torino mi trovo sempre bene sia per il bellissimo rapporto con la Film Commission sia perchè qui mi sento in famiglia, circondata dall’affetto di tanti cari amici”.
Helen Alterio
Foto VBS50