CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 489

La postura del consenso

MOSTRE, SPETTACOLI E DISCUSSIONI SULLA VIOLENZA DI GENERE AL CAP10100     “Postura in quanto è necessaria un’azione attiva da parte delle donne, che si pongano protagoniste decisionali delle loro vite; consenso perché bisogna necessariamente porsi all’interno di un contesto e in tale terreno far valere le proprie volontà”

Dal 24 al 26 settembre, l’emergente co-direttore artistico e organizzatore di eventi Luca Pellegrinelli ha istituito al Cap10100 (corso Moncalieri 18) il suo primo festival tutto al femminile: una rassegna in cui discutere su temi vivi e ancora troppo incombenti e insoluti quali violenza di genere, discriminazione di genere, differenze di genere, oltre a offrire la concreta occasione di dare voce a chi sta combattendo una lotta senza armi, ma con il solo mezzo della libera espressione, propria dell’arte. Donne di qualsiasi età, partecipi ognuna del proprio momento storico, esibiranno in un susseguirsi di eventi i loro prodotti artistici: mostre fotografiche del femminismo oggi (fotografa Isabel Rodriguez) e dei primi movimenti femministi (Liliana Branchesi), spettacoli teatrali, mercatini di poesia e oggettistica femminile, concerti live, conferenze con associazioni del territorio (tra cui Archivio delle Donne in Piemonte e Dueditanelcuore), rapsodie di versi, lettere private e interviste.

Luogo di sensibilizzazione e spazio d’arte, centro culturale sulle rive del fiume Po, l’intento è di creare una sinergia, un nuovo flusso di coscienza generazionale che possa apportare un reale cambiamento in questo mondo pieno di ferite.

Questa sera, giovedì 24 settembre, il gruppo filosofico torinese Rifrazioni, accompagnato da un gruppo orchestrale, proporrà al pubblico un evento simpodiale, in cui poter dibattere, in un colloquio simmetrico e orizzontale, sulle tematiche proprie del movimento femminista.
L’ingresso è gratuito, preferibilmente su prenotazione.

Venerdì 25 settembre, associazioni e personalità del territorio, quali Centro Studi e documentazione del pensiero femminile, l’Influencer Due dita nel cuore e Valentina Gallo, direttrice del Cap10100, convoglieranno il dibattito sul tema in una conferenza.
Alle 21.00 andrà in scena Clitemnestra o del crimine, monologo a cura di Viren Beltramo della compagnia GenoveseBeltramo, uno spettacolo di denuncia esplicita e cruda.

Sabato 26 settembre, la giornata tramonterà il suo sole nel culmine del Festival: a concludere l’evento sarà Decomposizioni, una rapsodia di versi, lettere private e interviste, tratte da produzioni e biografie di Anna Sexton, Alda Merini e Maria Fuxa. Tre poetesse che hanno vissuto la realtà ospedaliera psichiatrica, le loro parole restituiranno alle nuove generazioni la storia di molte donne, vissute o in seno all’amore di nuove donne.

Per informazioni e prenotazioni, consultare il seguente link: https://www.facebook.com/events/312304949872801

Tutti gli spazi saranno gestiti secondo la norma Covid-19.

Alessia Savoini

Il Museo Pietro Micca alle Giornate europee del patrimonio

Sabato 26 e domenica 27 settembre anche il museo Pietro Micca partecipa alle Giornate Europee del Patrimonio, sul tema “Patrimonio e informazione. Imparare per la vita per richiamare i benefici che derivano dalla esperienza culturale e dalla trasmissione delle conoscenze tra le generazioni.

Il museo Pietro Micca e i suoi siti collegati del Pastiss e del Rivellino degli Invalidi invitano a condividere il loro patrimonio sotterraneo, storico, artistico e valoriale.

INGRESSO GRATUITO E A PRENOTAZIONE

  • museo Pietro Micca aperto in entrambe le giornate di sabato 26 e domenica 27 settembre nell’orario 10,30 – 12,30 e 14,30 – 16,30 (ultimo ingresso)

  • domenica 27 settembre orario:15-19

Area archeologica del Rivellino degli Invalidi di corso Galileo Ferrari 14 e Fortezza del Pastiss di via Papacino 1

Per informazioni e prenotazioni: 011 0116 7580 e info@museopietromicca.it

Sito: www.museopietromicca.it

“Il meglio deve ancora venire”, tra commedia e dramma

Pianeta Cinema a cura di Elio Rabbione   Due uomini, un’amicizia e lo spettro della malattia

 

Una lacrima e un sorriso, è sufficiente calibrare bene le due cose. E i nostri cugini d’Oltralpe sono solitamente dei maestri nell’affrontare il lato buio e quello solare dell’esistenza, sanno preparare con saggezza gli ingredienti e dare il giusto sapore alle loro salse (cinematografiche), i momenti di riflessione e di tristi consapevolezze si insinuano con un giusto peso in quello che è un generale tessuto di divertimento.

Nomi e titoli non mancherebbero, anche il binomio amicizia maschile/malattia segnerebbe i suoi esempi ad effetto (Quasi amici insegna, lo spagnolo Truman si assesta nella zona dei piccoli capolavori). Tra quanti concorrono al successo, la coppia Matthieu Delaporte e Alexandre De La Patelière, gli autori di Le prénom, da noi Cena tra amici che Francesca Archibugi rifece italianamente come Il nome del figlio. Bersagli pieni, felicissimi di interpretazione e regia. Oggi sfornano Il meglio deve ancora venire, dove mi sa che hanno sbagliato qualcosa nell’impianto generale, nella scrittura non sempre all’altezza, nelle scelte tragiche o di commedia cui affidarsi.

Arthur e César si conoscono dai tempi della scuola, un’amicizia che dura da una vita intera, al di là delle scelte, degli stili, dei caratteri completamente diversi e forse complementari (pensate, in campo buddy movie, i campioni Jack Lemmon e Walter Matthau): tanto il primo, ricercatore medico, è metodico, attento alle più piccole pieghe delle sue giornate, uno sguardo continuo ai dettagli, divorziato dalla moglie e con una figlia che mal lo sopporta quanto l’altro vive della sua etichetta di tombeur de femmes, scavezzacollo ed eccessivo, ogni giornata da reinventare e stravivere, felice e leggero come pochi al mondo. Un giorno una radiografia al torace da parte di César denuncia una grave malattia, pochi mesi di vita, la morte: ma, per uno sfacciato e clamoroso equivoco, uno scambio di nomi sulla cartella clinica, César “sa” che il malato terminale è  Arthur. A poco a poco nasce una verità sempre da confessare, ma pure momenti che lo impediscono, l’arrivo di questo o di quello, un appuntamento cui è impossibile dire di no, una cosa qualunque che reclama la propria importanza. Ma l’amicizia è forte (“quel che definisce l’amicizia e che manca all’amore è la certezza” si scolpisce ad un certo punto) e César decide di trascorrere più tempo che può con l’amico. I desideri, gli ultimi forse, vanno esauditi, un viaggio si può ben fare, un consulto ad un luminare lontanissimo anche, il rapporto con un padre, muto e logoro, va aggiustato prima che sia troppo tardi. Nella lunga catena dei malintesi che scena dopo scena si viene formando – sempre al riparo da ogni pietismo -, soprattutto nella prima parte del film, qualcosa si sfilaccia, si perde tra una frase e l’altra, tra un’invenzione (poco felice e pasticciata) e la successiva, non sempre la scrittura rende giustizia all’idea che dovrebbe attraversare la storia intera, rischiando l’appiattimento e pure una noia inaspettata, caricandosi altresì di una lunghezza che andrebbe decisamente sfrondata. Magari cancellando quell’aria di sovrappeso dei due protagonisti (Fabrice Luchini e Patrick Bruel, che si giocano il film sempre sullo stesso tono, simpatico sì ma tiepidamente lineare e che ricordiamo in altre occasioni ben più brillanti e convincenti, mentre le apparizioni femminili stanno lì a dire tutto e niente, senza svolgimento). Imboccando la storia la via del dramma, e tentando di risistemarsi, mentre si corre verso il finale, quando l’infelice verità viene a galla e rischia di rovinare la lunga amicizia.

“Paratissima Talents” I 14 artisti più talentuosi in mostra al Galoppatoio

All’ex Accademia Artiglieria di Torino. Dal 24 settembre all’11 ottobre

Talento ne hanno da vendere. Insieme a capacità tecniche, creative e poetiche cristallizzate in opere che guardano in particolare alla ricca e variegata sfera del “contemporaneo” in un mix di grande suggestione e piacevolezza.

Sono i 14 artisti emergenti e più talentuosi premiati nella 15^ edizione di “Paratissima 2019” (la Fiera Internazionale degli Artisti Indipendenti organizzata da PRS-Paratissima Art Production sotto la direzione artistica di Francesca Canfora) svoltasi a Torino durante la settimana dell’arte contemporanea fra ottobre e novembre dell’anno passato. Selezionati fra i 338 partecipanti, questi magnifici 14 sono oggi riuniti nella mostra “Paratissima Talents” in programma da giovedì 24 settembre a domenica 11 ottobre negli spazi dell’ex Accademia Artiglieria, di Piazzetta Accademia Militare (dietro piazza Castello), a Torino.

Ad affiancarli, in apertura di rassegna, gli orsi monumentali dell’installazione “Convivium”, firmata da “Cracking Art”, il movimento artistico fondato ufficialmente a Biella nel 2001, noto in tutto il mondo per il forte impegno ecologista e per la creazione di installazioni urbane caratterizzate dall’utilizzo di opere raffiguranti animali (motivo ispiratore, in questo caso, il famoso M49, l’orso balzato alle cronache per le ripetute scorrerie in Trentino) realizzate in plastica rigenerabile colorata. A seguire, il complesso e coinvolgente iter espositivo ci presenta “Ambienti” di Eleonora Gugliotta, in cui il Padiglione “Charcot” dell’Ospedale Psichiatrico di Volterra viene rielaborato attraverso una sottile stratificazione di fili multicolore intrecciati a costituire “architetture tessili” che “lo traslano in una dimensione onirica e immaginifica”. Nodi e intrecci che sono anche base operativa dell’“Origine del mondo”, il grande sovradimensionato arazzo rosso di Grazia Inserillo, nato dal sapiente uso dell’uncinetto, magma di intensa cromia che nelle sue forme intende racchiudere, secondo l’intenzione della giovane artista palermitana, “riflessioni e istanze legate alla posizione della donna nella società contemporanea, alla propria terra e alla matrice sociale in cui vive”.

Ed è ancora un “filo rosso” quello che unisce e talvolta divide la “Ghost Family” di Letaz (Luigi Leto), mentre Valeria Secchi presenta l’autoritratto “Don’t trust the imitations”, parte di un progetto in cui l’artista sarda rielabora l’ossessione dei social, del selfie, reinterpretando con marcata ironia il rapporto fra “identità” e “virtuale”. Realtà ormai parte irrinunciabile del nostro quotidiano. Tutte da meditare anche le fotografie in bianco e nero di Carlotta Marchigiano così come i paesaggi naturali (pianeti vaganti in dimensioni “altre”) di Ilaria Franza o le essenziali sculture “di tendenza intimista” prodotte dalla cosentina Deborah Graziano con materiali eterogenei (dal gesso al pellame alla cera d’api) e l’installazione ispirata all’emozionale “tematica del nido” di Margherita Levo Rosenberg, psichiatra alessandrina specializzata in arteterapia. In “Ecosistema emotivo”, Gabriella Gastaldi Ferragatta ci presenta una serie di mezzi busti in vasi di vetro, in cui elementi organici – terra, acqua, fiori, piante e radici – si integrano perfettamente ai corpi a testimoniare la perfetta indissolubilità fra l’uomo e tutto quanto in natura lo circonda. Simbolici e visionari sono anche i “soggetti mitolgici”, “semidei decaduti” che nel progetto di rielaborazione grafica di Giuseppe Mascheroni trovano “un nuovo e più che mai attuale campo d’azione”.

A chiudere la rassegna le sculture antropomorfe di Marcello Silvestre raffiguranti immaginifici spazi urbani ispirati a “Le Città Invisibili” di Italo Calvino, accanto all’allegorica composizione di 240 volti di Salvatore Allibrio, all’opera del torinese ErreDueO ispirata al romanzo di fantascienza “Elsewhen” dello scrittore americano Robert A. Heinlein e all’intervento grafico – materico del messicano Oscar Brum su datate fotografie scattate dal nonno negli anni Settanta e rielaborate con colore, inchiostro, foglia d’oro e le stesse muffe e funghi cresciuti naturalmente sugli scatti di nonno Alfredo. Obiettivo, “contestualizzare i soggetti in un’atmosfera interdimensionale, ridefinendo la loro esistenza in chiave contemporanea”.

Gianni Milani

“Paratissima Talents”
“ARTiglieria”, piazzetta Accademia Militare 3, Torino
Dal 24 settembre all’11 ottobre
Orari: dal lun. al ven. 14,30/18,30 , sab. e dom. 10,30/18,30

 

Nelle foto

– Cracking Art: “Convivium”
– Eleonora Gugliotta: “Ambienti”
– Grazia Inserillo: “Origine del mondo”
– Valeria Secchi: “Don’t trust the imitations”
– Gabriella Gastaldi Ferragatta: “Ecosistema emotivo”

Arriva a Racconigi il “Galeone Liceo”

Presentazione del nuovo libro di Isabella Garavagno e Duccio Chiapello Giovedì 24 settembre, ore 21 Racconigi (Cn)

Pensieri e parole di travolgente attualità. “Quella scuola l’avevamo odiata come una prigione. Ma quell’anno, più che un gigante marino, ci sembrò una scialuppa di salvataggio.

Qualcosa a cui aggrapparsi forte, anche se solo per quel tratto ormai breve di un mare chiamato vita”. A farli loro, questi pensieri e parole, sono i quindici allievi sopravvissuti ai cinque anni di una classe ormai in “zona Cesarini”, con la prova della Maturità all’orizzonte e “alla resa dei conti con l’accelerazione del tempo, le fragilità dell’anima, le ragioni del cuore e gli imperativi dell’orgoglio, la repulsione e l’attaccamento verso una scuola che a volte è musa e spesso è matrigna”. E sullo sfondo delle loro vite, i docenti – alcuni insondabili, altri stregati dalla loro stessa immaginazione – un professore di filosofia che cerca di dimostrare quanto sia difficile disobbedire davvero e un bidello complottista che unisce ogni cosa che accade in un tenace disegno interpretativo. Sono questi gli ingredienti di base che s’intrecciano con strane giravolte di ragione, cuore e anima fino a comporre la coinvolgente storia raccontata in “Galeone Liceo”, scritto a quattro mani per “Araba Fenice” da Isabella Garavagno e Duccio Chiapello. Il libro sarà presentato giovedì prossimo 24 settembre, alle 21, negli spazi della Soms, ex Società Operaia di Mutuo Soccorso e oggi sede dell’Associazione Teatrale “Progetto Cantoregi”, in via Carlo Costa 23, a Racconigi. A parlarne, insieme a Luisa Perlo, saranno gli stessi autori: la prima, docente di Scienze Umane al suo quarto titolo per “Araba Fenice”, il secondo docente di Storia e Filosofia, all’attivo due monografie su argomenti di soria del Novecento e un volume su Oscar Wilde. La scuola – in cui, nel libro, si muovono le trame e le molteplici storie di umanità diverse ma tutte afferenti fra loro e bisognose di un gioco di squadra senza il quale risulterebbe impervio superare le onde alte di un mare spesso in tempesta – è come una sorta di “vascello”, un poderoso “galeone” che porta con sé “un equipaggio di adolescenti dai profili vaghi e chiari della giovinezza e che, con ansiosa curiosità, gettano lontano lo sguardo per esplorare e capire la bellezza che li attira sempre più avanti, le insidie seducenti degli scogli nascosti sotto le onde, la paura degli abissi tenebrosi”. Timonieri e capitani “sono i loro professori, che vivono nel mondo concreto come fosse una terra straniera e non si propongono di condurli verso un porto, una meta, ma indicano direzioni, additano orizzonti remoti, esplorano e cercano insieme a loro”. Un gioco di squadra, appunto. Mentre il tempo corre, “e oggi è già domani”.
La serata è realizzata da “Progetto Cantoregi”, in collaborazione con la Città di Racconigi e il Centro culturale “Le Clarisse” di Racconigi.
Info: 335.8482321 – www.progettocantoregi.it – info@progettocantoregi.it Fb Progetto Cantoregi – Tw @cantoregi .
g. m.

Poetrification_urbanismo _inverso Ne parliamo con Davide Galipò

Nel luogo in cui il capitalismo ha mostrato il crudo volto della sua impotenza, nascevano diamanti nelle bocche degli artisti. Idea, potente poesia, sovversiva e coinvolgente, se questa terra fosse fatta di solo cibo, nemmeno l’ape consumerebbe la pulsione del fiore.

Bellezza, giovane virtù, antico tratto di ciglia, nella potenza che lacera il seme, qualcuno ha reso tangibile la realtà irrazionale dei poeti. L’ultimo week end che questo settembre ha strappato all’estate è stato il preludio di un evento nuovo, che ha avuto la volontà di riconnettersi a un tessuto uscito disgregato dopo il lockdown: Poetrification_urbanismo_inverso, il festival di poesia contemporanea e street art, organizzato e gestito da Neutopia – la rivista del possibile -, festival che dal 2019 esprime la sua arte nel quartiere di Barriera di Milano.

Di seguito l’intervista a Davide Galipò, fondatore di Neutopia magazine, con cui ha vinto il bando Casa Bottega per la gestione di un nuovo circolo culturale, La scimmia in tasca. È uno spazio aperto ai soci di Neutopia e a tutte le realtà no profit che vorranno attraversarlo; un coworking che proporrà laboratori, attività e iniziative rivolte al quartiere, dal teatro all’artigianato alla pedagogia; un centro dedicato alla ricerca della poesia contemporanea, che ospiterà mostre, esposizioni, spettacoli, luogo di incubazione per il festival Poetrification_urbanismo inverso.

Cos’è Neutopia e come nasce?
Neutopia è una piattaforma nata a Milano nel settembre 2016, con la volontà di funzionare da ‘tramite’, nel tentativo concreto di sviluppare nuove idee in campo editoriale. Il magazine, che ha cadenza trimestrale, è stato presentato nei disparati festival e librerie che hanno popolato e che hanno sede a Torino, Milano, Genova, Firenze e Bologna. Il nocciolo da cui i primi rami stanno solcando il terreno si è costituito come associazione culturale nel novembre 2017, con base a Torino, volto alla promozione e organizzazione di eventi culturali, esposizioni artistiche e presentazioni con artisti internazionali.

Poetrification è un festival d’arte, un evento che promuove la poesia nei quartieri di Torino. Com’è nato e perché la scelta di un posto che non fosse centrale alla città?

Il nome fu inventato da Ivan Fassio (Asti, 24 dicembre 1979 – Torino, 28 luglio 2020), un pomeriggio. L’idea nasceva da una volontà precisa, giocata sul concetto di gentrificazione: poetizzazione anziché gentrificazione della città, basata sul flusso della psicogeografia, un orientarsi imparando a farlo nel disorientarsi. La psicogeografia è una metodologia che indaga lo spazio urbano decostruendolo, al fine di esplorarlo attraverso la ridefinizione creativa degli spazi stessi. La tecnica applicata è quella della deriva, ossia un cambiamento improvviso di passaggio, orientandosi non più in base a quanto conosciuto, ma su ciò che si palesa intorno: una reintepretazione dello spazio inteso fuori dai suoi luoghi comuni. Si tratta di una bellezza che si manifesta in itinere, una potenza inespressa finché non arriva l’artista ad esprimerla. È un metodo, quello della deriva, che insegna a perdersi e ci vuole poesia per farlo, per cogliere l’attimo e avere partecipazione attiva del momento. Questa teoria induce a recuperare il lato umano dei luoghi che viviamo. È un urbanismo inverso, con e attraverso la poesia.
La scelta del luogo, oltre al fatto che alcuni di noi abitano quelle vie, quel quartiere, è stata indotta dalla volontà di portare un significato nuovo in Barriera di Milano, qualcosa che fosse motivo di aggregazione e di cultura, in un ambiente di emarginazione. Poetrification è una critica al processo di gentrificazione: non serve ripulire le strade per nascondere i problemi sociali, noi che viviamo la periferia vogliamo avere questo impegno per il quartiere.

L’arte è un corpo con molteplici facce. Poesia elitaria e poesia beat, il luogo è sempre qualcosa di strettamente legato a una necessità di espressione, propria e circostante, dell’artista. In che modo l’arte che Neutopia offre può avere risonanza nel quartiere? È un’arte di strada, per strada o con la strada?

La scimmia in tasca, nome del progetto che lo scorso week end ha portato in piazza Foroni l’evento ‘Poeti in fieri’, ha come scopo quello di creare un ponte tra la natura irrazionale, se vogliamo anarchica, dell’arte e il lavoro di un’associazione che opera secondo schemi organizzati. La nostra sede è in Barriera di Milano e non solo la abita, ma offre la disponibilità del suo spazio al quartiere che in tal modo non si riduce a mero spettatore e fruitore passivo, ma lo rende promotore di proposte e progetti culturalmente validi, ospitando associazioni a cui serve un luogo in cui gestire, ad esempio, scuole di italiano per gli immigrati, o a onlus e no profit in cerca di luoghi in cui creare cultura; vogliamo portare luce laddove c’era solo una serranda abbassata. Il nostro vuole essere uno spazio dedicato alla promozione della cultura, in passato abbiamo organizzato (e tuttora abbiamo eventi in programma) incontri culturali, premi di poesia in musica, performance in piazza, presentazione di libri. La nostra programmazione prevede che tutte le settimane ci sia un evento, una mostra, un laboratorio… Sostenere e promuovere arte in un luogo di emarginazione vuol dire apportare un’alternativa a livello culturale, corsi a pagamento di professionisti, laboratori teatrali aperti a tutti e progetti in coworking: l’arte non può e non deve salvare nessuno, ma solo dare espressione di questo cambiamento in atto, e basta, se no diventa una didascalia.
Reprimere non è mai corretto, quello che ci impegniamo a fare è dialogare e per fare questo occorre conoscenza, trovare un linguaggio comune, per non essere colonizzatori di un luogo che non ci appartiene.
Tutti i martedì alle ore 18.00 abbiamo un’assemblea in cui parlare di nuovi progetti ed è aperta a tutti, senza tesseramento.

Cos’è stato Poeti in fieri?
Poeti in fieri è un evento interno al festival Poetrification, un happening collettivo di performance singole che si sono svolte in Piazza Foroni. Una sorta di mercato, non inteso come mercato dell’arte quanto piuttosto come arte di mercato. Ad ogni artista è stato assegnato uno ‘square’, un quadrato all’interno del quale immaginare un modo nuovo di interagire con il pubblico.
Poeti in fieri, e più in generale il festival Poetrification_urbanismo inverso, è stato pensato nei termini di una possibile interazione tra le varie forme della poesia contemporanea e il tessuto urbano; giunto alla sua seconda edizione, il Festival è realizzato con il sostegno di Fondazione San Paolo, Casa Bottega e Comune di Torino.

Quali eventi presenti e prossimi ospita il vostro spazio?
Al momento lo spazio ospita, in forma permanente, l’alfabeto realizzato da Luc Fierens per l’ ‘Abbecedario di poesia contemporanea (2017’). Tra le novità di quest’anno, l’esposizione collettiva di poesia visuale, collage e Digital Art II codice poetico [CTRL C + CTRL V] vuole indagare le possibilità offerte dalla transmedialità e dal codice HTML nella poesia visiva contemporanea.
Questo 25 settembre, invece, è programmato un evento dedicato a Ivan Fassio – poeta, insegnante, curatore di arte contemporanea, teatro, letteratura -, presentando I corpi del culto (Raineri Vivaldelli Editore), di Andrea Cavallo – pianista, tastierista e compositore – e Ivan Fassio, una performance poetico-musicale a ingresso gratuito con tessera associativa e prenotazione consigliata.

Alessia Savoini

Per approfondimenti e informazioni sull’evento, il programma è consultabile al seguente link
https://www.facebook.com/events/2077818735687204/

A Saluzzo i manifesti della Propaganda maoista

“START / SToria e ARTe a Saluzzo” Esposti fino al primo novembre nel complesso museale de “La Castiglia”
Fino al 27 settembre, anche le eccellenze artigiane del territorio. Saluzzo (Cuneo)

Un eden quanto meno improbabile. Decisamente utopico. Un’umanità che ha sempre il sorriso aperto e trascinante, la gioia e la serenità stampate in volto. Donne e uomini d’ogni età, i bambini, il lavoro e lo studio; l’agricoltura, l’internazionalismo, la scienza e la tecnologia, gli eroi, la purezza ideologica e la felicità famigliare, la vigilanza, i valori e Mao.

Sono queste le tematiche dominanti e rappresentanti le speranze più alte dell’utopia maoista che troviamo espresse nella mostra “Cina. Rivoluzione – Evoluzione” inaugurata sabato 19 settembre ed ospitata fino al prossimo primo novembre a Saluzzo, in piazza Castello, negli spazi museali de “La Castiglia”. La rassegna, inserita nell’ambito della quarta edizione di “START” a tema “Rivoluzione!” (organizzata dal Comune di Saluzzo insieme alla “Fondazione Amleto Bertoni” e che per oltre due mesi proporrà mostre di Arte, Artigianato e Antiquariato di rilievo internazionale) porta nella città marchionale ai piedi del Monviso, un’interessante serie di Manifesti e Dipinti originali cinesi utilizzati come modello per fogli stampati fra il 1949 ed il 1983, corrispondente al periodo di presidenza di Mao Tse Tung e alla sua rivoluzione culturale: manifesti di propaganda di vasta adesione popolare utilizzati per decorare città, case e ambienti di lavoro e che a metà degli anni Novanta avevano perso i loro fondamentali elementi di attrazione in concomitanza con la costruzione di una Cina più moderna e aperta al mondo, e che tuttavia buona parte della popolazione continuava a custodire nell’intimità delle proprie case, sotto il letto, nei cassetti o in altri angoli nascosti. Recuperati dall’“Hafnia Foundation” di Xiamen (impegnata a raccogliere e a conservare arte da tutto il mondo, con l’obiettivo di esplorare le diversità culturali dell’espressione artistica internazionale), quei manifesti, fra le più grandi collezioni della propaganda cinese maoista – focalizzata e rivolta soprattutto a un mondo rurale fatto di donne moderne che guidano i trattori, di bambini ben nutriti e sereni, di eroi che palesano le virtù del sacrificio – sono oggi arrivati, attraverso l’“Istituto Garuzzo per le Arti” di Torino, a “La Castiglia” di Saluzzo. E qui, nonostante “il loro alto valore storico, politico e scientifico – precisano gli organizzatori – si è inteso di presentarli principalmente per la loro indubbia valenza artistica”. Estremamente variegati, sotto questo aspetto, appaiono i linguaggi operativi e stilistici, che vanno dal “realismo sociale” al tradizionale acquerello cinese. In alcuni si leggono anche “bellissimi esempi di arte naif, con un leggero e bizzarro senso della prospettiva”. Una cosa è certa. La grande perfezione tecnica. Un talento naturale degli artisti perfettamente maturato alla scuola e alla disciplina di segno e colore, che rendono unici i manifesti in esposizione.
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Ma “START” a Saluzzo vuole dire anche “Artigianato”. Vuol dire anche mettere in mostra il “saper fare” degli artigiani locali. Le tradizioni, il proprio passato, il presente e l’evolversi continuo delle proprio radici. Per questo la città, fino a domenica 27 settembre, ospiterà anche le creazioni di 40 artigiani selezionati e legati soprattutto alla lavorazione del legno. E qui la novità è una via (la strada che lega Castiglia, Salita al Castello, San Giovanni e Casa Cavassa) che un tempo fu di botteghe e che oggi ritorna a vivere con la riapertura di alcuni locali che ospiteranno laboratori con gli artigiani al lavoro, esposizioni e momenti di incontro. Fra artigianato e arte, da segnalare l’installazione “Alberi parlanti”, un bosco inserito nella restaurata Chiesa di “Santa Maria della Stella”, realizzato dall’architetto casalese (docente allo IED e al Politecnico di Torino) Paolo Scoglio e che “vuole mostrare all’uomo la ‘voce’ della natura attraverso la decodifica in suoni e diagrammi sonori di elettrodi collegati agli alberi”.

Gianni Milani

Nelle foto, alcuni dei manifesti esposti e l’installazione di Paolo Soglio “Alberi Parlanti”

 

Il paesaggio del Monferrato in mostra a Pomaro

La mostra esposta nella sede del Mutuo Soccorso di Pomaro ha confermato Mario Mazza virtuoso cantore del Monferrato in ogni suo aspetto dal momento in cui, lasciata la natia Calabria, negli anni sessanta, si trasferì a Casale eleggendo il nuovo paesaggio a occasione d’arte.

L’inevitabile nostalgia della sua terra la cui memoria di tanto in tanto riaffiora attraverso ulivi antropomorfi e mitiche marine di Crotone (nel cui museo è conservato il suo splendido dipinto “Vento tra gli ulivi”) è compensata dalla visione di dolci declivi della collina, cangianti vigneti, gialle distese di girasole, campi di grano punteggiati di rossi papaveri, silenti nevicate e tramonti sul grande fiume.

Umanamente dotato dei rari valori di semplicità e umiltà, artisticamente si rivela superbo paesaggista legato al genere figurativo che coraggiosamente non abbandona a favore dell’imperante gusto aniconico, che, non sempre ma spesso, si riduce a imitazione e banalizzazione delle grandi geniali avanguardie che dovrebbero servire da suggerimento alla creatività e non come omologazione di idee.

Lo stile di Mario Mazza è talmente sincero ed evocativo della bellezza e della storia del Monferrato al punto da renderlo interprete assoluto del carducciano “Esultante di castella e vigne suol d’Aleramo”.

Hanno destato interesse anche i dipinti di Isabella Bocchio su lastre di metallo colorato trattati con tecnica consolidata e accorgimenti personali al fine di ottenere effetti luminosi.

Scorci di paesi monferrini, in particolare Cellamonte, riuniscono sulla stessa tavola, in visione pacwood, sfaccettature delle costruzioni più significative dei luoghi rappresentati ed anche delle chiese di Casale.

Essenziali e suggestive le facciate di santa Caterina frizzante nella resa del brioso barocchetto e di san Domenico di cui viene sintetizzata l’unione di tardo gotico e rinascimentale senza dimenticare una bella allusione alla Madonna del Rosario, tela del caravaggesco Niccolò Musso conservata all’interno della chiesa.

Giuliana Romano Bussola

Dalla scuola del passato un insegnamento per il domani

Anche quest’anno sarà avviato a Torino il progetto scolastico ispirato al libro “Iole Girardis. Una maestra rivoluzionaria negli anni ’20 del secolo scorso”, scritto da Laura Graziano

 

In un’epoca certamente complicata per il sistema scolastico, come quella post Covid che stiamo vivendo, è assolutamente arricchente ed utile richiamare l’attenzione nei confronti di figure che, nel secolo scorso, si sono dedicate all’educazione dei giovani. Le maestre dei primi anni del Novecento rappresentano, infatti, personalità ormai entrate quasi nella storia.

Il romanzo intitolato “Iole Girardis” della scrittrice Laura Graziano, edito da Albatros Editore, narra la storia di una giovane maestra, Iole Girardis. Si tratta di una vicenda storicamente accaduta, tratta dal suo diario personale. Iole ha combattuto perché l’istruzione primaria nei primi anni Venti del Novecento non venisse posta in secondo piano rispetto all’impiego dei bambini, da parte dei genitori, nei lavori agresti. Iole Girardis, sotto consiglio dell’Ispettore  Scolastico, arrivò persino a scioperare per ottenere un’aula in cui poter degnamente insegnare, al posto delle stalle che le vennero assegnate.

Questo libro ha ispirato un progetto scolastico che si propone di far conoscere agli allievi della scuola primaria le differenze intercorse tra la scuola di oggi e quella di cento anni fa, stimolando gli alunni a riflettere sui temi dei mutamenti accaduti in un secolo di storia (1920-1930), nella percezione non solo della figura dell’insegnante, ma anche dell’importanza che è andata via via assumendo l’istruzione nella società italiana.

Il progetto si configura in tutta la sua multidisciplinarieta’ e coinvolge lezioni di italiano, storia e matematica, in considerazione degli esercizi contenuti nel diario scritto dalla giovane maestra. Passaggi fondamentali del progetto didattico saranno l’inquadramento storico culturale della figura dell’insegnante Jole, donna realmente esistita, la valorizzazione delle differenze culturali e scolastiche intervenute nel corso del secolo nell’approccio all’insegnamento e la sua percezione da parte degli allievi e delle loro famiglie. Verranno inoltre presi in considerazione e analizzati l’insegnamento agli allievi con differenti abilità, il ruolo del contesto familiare e dell’impiego dei bambini nei lavori di natura agreste, e l’importanza dei cambiamenti intercorsi nella figura dell’insegnante.

Il progetto è gratuito.

Il costo del testo “Iole Girardis” ( Albatros Edizioni) da parte degli allievi o della scuola che aderiranno al progetto didattico sarà di 13.50 euro caduno. L’autrice destinera’ la quota di propria competenza all’Istituto scolastico che adotterà il progetto didattico ‘Iole Girardis’ al fine di fornire un concreto contributo all’istruzione.

Mara Martellotta

 

Referente del progetto didattico

 

Laura Graziano

Per avere maggiori informazioni :

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La strage di Torino del 1864

PAGINE DI STORIA TORINESE / Le cose andarono più o meno così. Correva l’anno 1864, i Savoia si erano annessi da poco tempo l’Italia e Torino, capitale del Regno, contava duecentomila abitanti

Nel mese di gennaio il Consiglio comunale approvava il progetto di Piazza Arbarello e la sistemazione di Piazza Statuto. Ai primi di febbraio una nevicata di sessanta centimetri bloccava i treni provenienti da Genova e Pinerolo. Il 13 aprile aveva luogo l’ultima esecuzione capitale, giustiziato il ventitreenne Savio Carlo di Filippo nato a Incisa Balbo. Il 3 giugno gli operai del Regio Arsenale di Borgo Dora proclamavano uno sciopero che cessò dopo che una delegazione venne ricevuta dal Ministro della Guerra. Il 18 settembre i giornali pubblicarono una notizia bomba. Con la firma della Convenzione di Settembre, avvenuta tre giorni prima a Fontainebleau, le truppe francesi si sarebbero ritirate da Roma e l’Italia s’impegnava a non invadere lo Stato Pontificio. Fin qui nulla di che. Fidandosi poco degli italiani, però, Napoleone III aveva ottenuto come garanzia il trasferimento della capitale da Torino a Firenze entro sei mesi. Il protocollo aggiuntivo doveva restare segreto ancora per un po’, ma l’informazione divenne presto di pubblico dominio. Il 20 settembre la filogovernativa Gazzetta di Torino pubblicò un articolo, suggerito personalmente da Vittorio Emanuele II, a favore al trasferimento e che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto placare il previsto dissenso. Lo spostamento della capitale non rappresentava soltanto una grave perdita di prestigio per la città: la borghesia imprenditoriale stava investendo ingenti capitali nell’edilizia, i ministeriali non sarebbero stati propensi a un cambiamento di sede, la nobiltà subalpina avrebbe dovuto rinunciare ai privilegi legati alla presenza della corte sabauda. Ma dopo l’Unità i tempi avevano rapidamente mutato corso, erano entrate in gioco consorterie affaristiche e politiche che miravano a creare una nuova classe dirigente lontano da Torino.

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La pubblicazione dell’articolo rappresentò la scintilla che scatenò i fatti drammatici dei giorni successivi. Il 21 e il 22 settembre i numerosi cittadini torinesi scesi in piazza (con sabauda compostezza) contro lo spostamento della capitale furono attaccati a diverse riprese dalla forza pubblica, che non esitò a far fuoco. Rimasero sul terreno 52 morti e 187 feriti. L’inaudita carneficina destò scalpore in Italia e all’estero. La successiva inchiesta parlamentare appurò che l’ordine era partito da Silvio Spaventa, segretario generale del Ministero dell’Interno, nonché braccio destro del presidente del Consiglio Minghetti, il quale diede le dimissioni. La repressione era stata resa ancora più crudele dagli esecutori materiali: soldati, agenti di polizia e allievi carabinieri, sobillati da provocatori prezzolati, avevano tirato alla sans-façon sulla folla disarmata. Le autorità di Pubblica Sicurezza, il questore Chiapussi per primo, furono destituite. Al termine dell’inchiesta, tuttavia, il Parlamento decise di non attribuire ad alcuno la responsabilità di quelle tragiche giornate: i mandanti rimasero perciò impuniti. Un mese più tardi, il 30 ottobre, Massimo D’Azeglio scrisse su L’Opinione un articolo che si concludeva così: “Io credo vi sia molto da dire sul trattato ma che, date le circostanze presenti, visto che è stato acclamato dalla Nazione, visto che noi torinesi ne veniamo particolarmente a soffrire, visto che in Italia la questione capitale non è quella della capitale ma quella della concordia, opino che noi per primi dobbiamo rassegnarci ad accettare il trattato. Soltanto che non vorrei sentire parlare di compensi. Al sacrificio mi sento disposto, a presentare il conto no”. L’orgoglio tutto piemontese espresso da tali parole non celava – anzi, paradossalmente sottolineava – che la Ragion di Stato doveva prevalere su ogni altra questione. Il 16 novembre il Senato approvò la Convenzione di Settembre con 134 voti, tra cui quello dello stesso D’Azeglio, contro 47 (e due astenuti). Tre giorni dopo, stessa schiacciante maggioranza alla Camera dei Deputati: 305 voti a favore, 68 contrari e altri due astenuti. Il 15 dicembre la Gazzetta Ufficiale pubblicò la legge che trasferiva la capitale da Torino a Firenze. Il primo gennaio 1865, in occasione del Capodanno, Vittorio Emanuele II si recò come consuetudine allo spettacolo offerto dal Teatro Regio e qui ricevette un’accoglienza a dir poco gelida. La faccenda si ripeté il 30 successivo, quando né il sindaco né il Consiglio comunale parteciparono a un ballo di corte. La situazione, già tesa di per sé, fu aggravata dal comportamento nuovamente violento che le guardie inviate dalla questura tennero contro una folla di manifestanti scesa in Piazza Castello per commemorare le luttuose giornate del settembre precedente.

 

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Mostrando regale sdegno per (a suo dire) tanta ingratitudine, Vittorio Emanuele lasciò Torino per la tenuta di San Rossore e, infine, raggiunse Firenze. Gli avvenimenti che seguirono rasentano il ridicolo, ma raccontano bene l’ambiguità in cui la politica italiana si barcamena da sempre. Informato del risentimento del re, il sindaco di Torino Emanuele Luserna di Rorà non trovò di meglio che partire di gran carriera alla volta di Firenze, latore di un documento in cui il consiglio comunale si profondeva in mille scuse per la dimostrazione ostile del 30 gennaio. A svolgere opera di mediazione tra le parti fu incaricato il ministro Lanza, peraltro organizzatore del gran ballo che aveva scatenato gli incidenti tra forze dell’ordine e manifestanti. In tempi strettissimi fu emanata un’amnistia generale riguardante anche i fatti del settembre precedente, a condonare pilatescamente tanto i militari responsabili delle violenze quanto i civili rimasti coinvolti. Sistemata alla spiccia la faccenda e archiviato il malumore, Vittorio Emanuele II fu nuovamente a Torino il 28 febbraio per partecipare al corso carnevalesco. È in quest’occasione che s’inserisce il noto episodio di Gianduja il quale, in maniche di camicia, si avvicinò alla carrozza reale che transitava in Piazza San Carlo esclamando: << Maestà, l’hai già daje la camisa, per chiel j daria anche la vita! >>. Suppongo che l’episodio sia stato maneggiato per benino dai giornali governativi, e infatti venne unanimemente considerato come suggello dell’avvenuta riconciliazione tra popolo e casa regnante. Il 26 aprile 1865 il trasferimento della capitale diventò ufficiale ed a questo punto nessuno ebbe più da ridire: l’accordo diplomatico con i Francesi era salvo e la cittadinanza aveva ingoiato il rospo tutto intero. Il 7 maggio, all’Hotel Trombetta, si tenne un gran banchetto in onore di cinquantanove deputati che davano l’addio alla vita parlamentare subalpina. Come sempre capita in Italia, tutto si conclude a tarallucci e vino. E il torinese, quando viene sottoposto a un sopruso, non capisce (o finge) ma infine si rassegna e si adegua educatamente allo stato delle cose. Il 12 settembre l’opinione pubblica fu scossa dal furto sacrilego di una lampada votiva in argento avvenuto nella cappella della Sindone. Per giorni e giorni in città non si parlò d’altro. Poi, come sempre capita, nuovi accadimenti si susseguirono: la morte di Massimo D’Azeglio, la consacrazione della chiesa di San Pietro e Paolo alla presenza della futura regina Margherita, un incendio nei magazzini di Porta Nuova… E anche il furto finì per essere dimenticato.

Paolo Maria Iraldi