CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 485

Due commedie in anteprima al Tff

Due commedie in anteprima internazionale per l’apertura e la chiusura del 38° Torino Film Festival BALLO BALLO (Explota Explota) di Nacho Álvarez UN ANNO CON GODOT (Un Triomphe) di Emmanuel Courcol


Il Torino Film Festival, in un anno così difficile e complicato, cerca di riportare il sorriso al cinema e lo fa con due commedie europee di grande impatto.
Ad aprire il festival, il 20 novembre, sarà BALLO BALLO (Explota Explota), una commedia musicale costruita sulle note dei più grandi successi di Raffaella Carrà, che segna l’esordio nel lungometraggio del regista uruguaiano Nacho Álvarez.
UN ANNO CON GODOT (Un Triomphe), opera seconda del regista francese Emmanuel Courcol, è invece il film che, il 28 novembre, chiuderà la manifestazione.
“Sono molto fiero di avere due film europei in anteprima internazionale che si rivolgono al grande pubblico – sottolinea Stefano Francia di Celle, direttore del Torino Film Festival. Sono certo che saranno in grado di dare un importante slancio al rapporto tra spettatori e sale, grazie alle molteplici chiavi di lettura. I film sono legati a due icone molto accoglienti, Raffaella Carrà e Kad Merad: entrambi portano messaggi di inclusione sociale, positività e amore per l’arte, sottolineando l’incrocio di culture, da sempre un tema caro al TFF”.
BALLO BALLO (Explota Explota) è ambientato negli sfavillanti anni ’70 in Spagna, periodo segnato però anche da una rigida censura dei costumi. La protagonista, Maria, è una ragazza piena di vita e voglia di libertà, con la grande passione del ballo e il sogno di diventare una star della televisione. Dopo avere abbandonato il suo promesso sposo davanti all’altare di una chiesa di Roma, torna a Madrid e, con un colpo di fortuna, riesce a entrare nel corpo di ballo del programma di maggior successo del momento, “Las noches de Rosa”. Lì si innamora di Pablo, figlio del temibile censore televisivo Celedonio, che sta seguendo le orme del padre nell’emittente televisiva.
Accompagnati dalle hit di Raffaella Carrà, in un turbinio di musiche e di coreografie in technicolor, scopriremo se vale davvero la pena andare contro ogni regola e avere il coraggio di cambiare radicalmente la propria vita.
Nel cast Ingrid García-Jonsson, Verónica Echegui, Fernando Guallar, Giuseppe Maggio, Fran Morcillo, Fernando Tejero, Pedro Casablanc, Carlos Hipolito E Natalia Millán.
“Sono entusiasta di presentare la mia opera prima in Italia, in particolare al prestigioso Torino Film Festival – dichiara il regista Nacho Álvarez. Con “Ballo Ballo” vorrei rendere omaggio, con uno sguardo latinoamericano, a quella straordinaria donna che gli italiani sono così fortunati ad avere. Questo film è un inno alla libertà e alla gioia di vivere, due cose che purtroppo quest’anno abbiamo perso ma che è tempo di ritrovare! Olé Raffaella, Olé Ballo Ballo!”
BALLO BALLO è una produzione INDIGO FILM con RAI CINEMA, TORNASOL, EL SUSTITUTO PRODUCCIONES AIE in coproduzione con RTVE, con la collaborazione di AMAZON PRIME VIDEO.

UN ANNO CON GODOT (Un Triomphe), presentato nella selezione ufficiale dell’ultimo Festival di Cannes, è una commedia ispirata a un’incredibile storia vera. Prodotto da Dany Boon (Giù al Nord) e Robert Guédiguian, diretto da Emmanuel Courcol (sceneggiatore di Welcome e Nel nome della terra), ha per protagonista un attore di teatro (Kad Merad) che per sbarcare il lunario accetta di tenere un seminario in carcere.
Sorpreso dalle doti di alcuni detenuti, decide di mettere in scena con loro Aspettando Godot di Samuel Beckett, e di farlo in un vero teatro. Tra mille difficoltà inizia così una straordinaria avventura umana, la cui conclusione imprevista lascerà tutti a bocca aperta.
“Ho sentito da subito – afferma il regista Emmanuel Courcol – il potenziale emotivo, comico e drammatico al tempo stesso di questa storia. I detenuti protagonisti, pur essendo ‘lontani anni luce da Beckett’, come dice uno di loro, si rivelano in realtà più vicini all’universo di Aspettando Godot di quanto si possa immaginare, illuminando con la loro esperienza quotidiana i temi universali dell’assenza e dell’attesa”.
UN ANNO CON GODOT sarà distribuito in Italia da TEODORA FILM.

Vitamine Jazz in modalità virtuale

E’ iniziata in modo “virtuale” la quarta stagione di “Vitamine Jazz”, Il più articolato, ampio e longevo programma al mondo di esecuzioni di jazz dal vivo realizzate in un ospedale (198 incontri dal 2017).
La terza stagione, da marzo 2020 causa virus, ha visto la sua continuazione con le “Vitamine Jazz Virtuali” a cui hanno aderito stelle del jazz italiano e straniero (citiamo per tutti Ivan Lins, Emanuele Cisi, Roberto e Eduardo Taufic, Daniele di Bonaventura, Emanuele Francesconi. Roberto Beggio, Elis Prodon, Giulia Damico, Fulvio Chiara, Enzo Zirilli, Emanuele Sartoris, Carola Cora, Gilson Silveira, Max Gallo,Ugo Viola, Fabio Giachino, Diego Borotti e tanti altri).
Curato da Raimondo Cesa e varato al Sant’Anna (il più grande Ospedale d’Europa dedicato alle donne) dalla “Fondazione Medicina a Misura di Donna”, ha visto la partecipazione di oltre 240 jazzisti di fama nazionale e internazionale.
Le note del jazz hanno dato il benvenuto alla vita nei reparti maternità, hanno accompagnato i pazienti al day hospital oncologico durante le cure chemioterapiche e hanno ingannato il tempo dell’attesa nelle sale d’aspetto e al pronto soccorso.
Appena il maledetto virus lo concederà le note torneranno a riempire dal vivo i corridoi dell’ospedale.
“L’arte, come dimostrano le Vitamine Jazz e innumerevoli evidenze cliniche, è un alleato al percorso di cura. Il nostro è un lavoro collettivo che unisce scienza e arte e i risultati sono leggibili in ospedale”. Sono le parole della Prof.ssa Chiara Benedetto presidente della Fondazione Medicina a Misura di Donna e Direttore della Struttura Complessa Universitaria Ginecologia e Ostetricia 1.
Ha detto Diego Borotti durante uno dei suoi interventi musicali in ospedale:
“La musica dà il significato a ciò che pare non averne, dà espressione all’inesprimibile”.

Al Museo del Risorgimento cinque incontri per raccontare la fotografia

“TRANSMISSIONS people – to – people”  Al Museo del Risorgimento di Torino, cinque incontri per  raccontare la mostra fotografica di Tiziana e Gianni Baldizzone

Da martedì 13 ottobre a martedì 1 dicembre, ore 18

 

Saluzzese, classe ’56. Negli anni ’70 fu lo sciatore più giovane della mitica “Valanga azzurra”, nonché il più forte slalomista italiano di quella compagine dopo Gustav Thoni, Piero Gros e Fausto Radici. Dodici podi, oltre cinquanta piazzamenti nei primi dieci, rimase competitivo fino ai trent’anni. Oggi fa il giornalista sportivo e dal ’93, dopo una parentesi a Telemontecarlo, lo sci  lo racconta – con lo stesso entusiasmo che sfoderava e trasmetteva sulle piste – commentando per la Rai le gare di sci alpino, affiancando prima Furio Focolari, poi Carlo Gobbo e quindi Davide Labate. Sarà proprio lui, Paolo De Chiesa a dare il via, martedì prossimo 13 ottobre, alle 18, al ciclo di “Incontri”organizzati dal Museo Nazionale del Risorgimento Italiano in piazza Carlo Alberto 8 a Torino, nell’ambito della mostra fotografica, a firma di Tiziana e Gianni Baldizzone, dal titolo “TRANSMISSIONS people – to – people” e ospitata nel Corridoio Monumentale della Camera italiana fino al 6 gennaio 2021. Cinque incontri, spalmati nell’arco di tre mesi, su argomenti strettamente connessi al tema della mostra che attraverso 60 scatti, in grande formato a colori e in bianco e nero, racconta la trasmissione – di generazione in generazione – di millenari “saperi”, magnificamente documentati attraverso l’obiettivo fotografico in viaggi entusiasmanti (durati dal 2010 al 2018) dall’Asia all’Africa all’Europa, Italia compresa e lo stesso Piemonte. Negli incontri si parlerà di sport, con De Chiesa per l’appunto (“Dalla Valanga azzurra al microfono: raccontare e trasmettere una passione”), e del suo essere scuola importante, attraverso cui trasmettere ai giovani i segreti  di un “mestiere” o di un gioco che mestiere può diventare,indubbiamente appassionante ma anche capace di regalare dal maestro all’allievo regole importanti di vita. Valide sempre. Anche a giochi finiti. E poi, ancora, siparlerà di ambiente e paesaggio, di psicologia e di managerialità e delle tante storie di donne e uomini raccontate dalle immagini esposte dei due artisti.

“TRANSMISSIONS people – to – people, 8 anni di ricerca sul campo. Le storie  dietro le fotografie”, è infatti il titolo e il tema del secondo appuntamento, programmato per martedì 27 ottobre (ore 18), con i fotografi Tiziana e Gianni Baldizzone, autori della mostra, che parleranno delle storie che sono andati a cercare e di quelle di cui sono stati testimoni; di comesono nate e sono state composte alcune delle fotografie del progetto. I due (compagni di vita e di lavoro) mostreranno anche reportages e fotografie inedite con l’intervento di Tiziana Bonomo, curatore della mostra.

Martedì 10 novembre (ore 18), sarà la volta di Consolata Beraudo di Pralormo (“Di generazione in generazione. Conservazione e innovazione nella tutela dell’ambiente e del paesaggio”) che racconterà di come conservare l’esistente senza stravolgerlo, attraverso progetti innovativi, rispettosi dei valori tradizionali ma proiettati verso il futuro.

Remigia Spagnolo, psicologa del lavoro e fondatrice di “Professional Dreamers Project” incontrera’, poi,martedì 24 novembre (ore 18), i due Baldizzone in un incontro sul tema del “Trasmettere il ‘sogno professionale’. L’occhio del fotografo incontra lo sguardo dello psicologo”. Fotografia e psicologia a confronto. Bella sfida!

E infine, martedì 1 dicembre (ore 18), si chiuderà con “Saper fare, saper vivere, saper essere. La trasmissione della managerialità: illusione o realtà?”. Altro argomento bello tosto. Di scena, Luigi Francone, top manager da oltre cinquant’anni, prima in Fiat e poi in altre aziende, italiane ed estere.

La partecipazione agli “Incontri” è gratuita. E’ necessario prenotarsi al numero 011/5621147. Tutti gli appuntamenti saranno trasmessi in diretta sulla pagina facebook.com/MuseoRisorgimentoTorino.

Gianni Milani

Nelle foto
– Paolo De Chiesa
– Tiziana e Gianni Baldizzone
– Tiziana e Gianni Baldizzone: “Atelier Grandi Complicazioni Vacheron Constantin”, Svizzera, 2014

 

November age

La Poesia di Alessia Savoini

November age

Sono solo autunni queste righe che mi attraversano il volto,
sono state diamanti le spine che mi restano.

Torino che scrive: quando la poesia vince la pandemia

Pochi giorni fa ho avuto il piacere di partecipare alla premiazione del Concorso Nazionale per Poesia e Narrativa breve, unica edizione, intitolata “Epidemia di Parole”, iniziativa indetta dal Centro Studi Cultura e Società di Torino. 

Il riferimento alla pandemia è evidente e voluto: il difficile periodo di reclusione è ancora limpido nella nostra memoria, le restrizioni giustamente imposte ancora ci intimoriscono ed è inutile negare che tutti abbiamo paura di dover rivivere un altro “lockdown”.
Credo che ognuno abbia affrontato a modo suo questo particolare infelice momento, io, come molti altri “appassionati”, mi sono affidata all’arte e alla creatività per rielaborare quanto vissuto e provato. Nel “male” della reclusione, ho trovato di nuovo il tempo di leggere un po’ di più, di visitare qualche museo on line, di lavorare su alcune fotografie e, soprattutto, ho ritrovato la possibilità di dedicarmi alla “libera scrittura”.
Il Concorso “Epidemia di Parole” ha dato la possibilità a molti di “rielaborare se stessi” adattandosi alla nuova circostanza, e di fare il punto della situazione attraverso la parola scritta; l’iniziativa ha così fornito l’occasione ai partecipanti di mettere nero su bianco pensieri, sensazioni, stati d’animo assai complessi.
Nel corso della cerimonia, i premiati (me compresa), chiamati via via al microfono, hanno interpretato i propri scritti, ognuno differente, specchio delle molte sfaccettature della stesa realtà; i testi declamati erano più o meno brevi confessioni liberatrici, e, dopo la lettura, ci siamo tutti sentiti un po’ più sollevati, perché, come diceva Calvino, “Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che poi venga scoperto”. È stato come togliersi un peso dallo stomaco.
Ho molto gradito la ( più che benevola) motivazione della giuria riguardo al mio testo: “Non siamo parte del mondo”, stesa da Claudia Murabito: “La poesia rappresenta in modo sintetico ma preciso, lo stato dell’essere durante questa pandemia. I versi asciutti e intrisi di significato profondo, portano il lettore alla conoscenza interiore di ciò che si prova nella mancanza di libertà e di chiusura. È una speranza a godere dei momenti che ci vengono dati, anelando ad una vita fuori da sé, ma consapevoli”.
Le opere in concorso sono state riunite in un volumetto stampato a Torino, presso la Tipografia AGAT, nel settembre 2020; la raccolta riporta il titolo del bando e i loghi della Regione Piemonte, Torino Città Metropolitana e della Circoscrizione 3, Enti che hanno supportato l’iniziativa.
Lungi da me proclamarmi “scrittrice” o tantomeno “poeta”, termini che si addicono a personalità di ben altra levatura e che davvero rientrano nei canoni che Orazio aveva definito nella sua “Ars Poetica”; a mia discolpa dico che mi piace scrivere e che dopo averlo fatto sto meglio.


Ma questo ovviamente non lo affermo solo io. Sono molti gli studi che utilizzano la scrittura come terapia, si pensi ad esempio alla “scrittura terapeutica”, alla “medicina narrativa” o alla tecnica dello “storytelling”. Un piccolo inciso: il termine “terapia” non ci deve far pensare alle situazioni più estreme come inguaribili malattie mentali, ma vorrei che qui fosse inteso nel senso di “prendersi cura”, meglio ancora “prendersi cura di sé”. È  appurato da varie indagini che scrivere è terapeutico, poiché tale azione scioglie i blocchi e le paure dell’animo e ci aiuta a essere consapevoli di noi stessi. E ditemi, c’è qualcuno che non ne ha davvero bisogno? Inoltre fateci caso, gli stessi grandi autori trattano la materia come qualcosa di fortemente organico, Hemingway e Nietzsche assimilano l’atto del narrare a quello del sanguinamento, Anna Frank redige i suoi pensieri per scrollarsi di dosso i dolori e le fatiche, per Isaac Asimov scrivere è vivere, perché se non lo facesse morirebbe. Ne conviene che “scrivere” è più che utile, ma per nulla facile. Non solo, chi decide di dedicarsi alla scrittura, decreta anche di lasciare un pezzetto di se stesso sulla carta stampata, azione assai coraggiosa, non credete?
D’altro canto, ricordando Croce, il punto d’inizio della storia umana è stato segnato nell’invenzione della scrittura, dell’atto, cioè,  di “tracciare con lo stilo”, ossia in latino “scribere”, appunto “scrivere”.
Gli studiosi concordano sul fatto che la scrittura comparve in maniera indipendente in due luoghi, in Mesopotamia, intorno al 3000 a.C., grazie soprattutto ai Sumeri, i quali dal basico sistema dei “ciotoli” passarono prima all’utilizzo della scrittura pittografica e poi a quella cuneiforme, e in Mesoamerica, territorio in cui furono ritrovati diversi manoscritti risalenti al 600 a.C., tra cui quelli della popolazione messicana degli Olmechi. Non è qui  il caso di affrontare l’interessantissimo tema della nascita dell’alfabeto nella civiltà greco-romana che più ci riguarda.
La scrittura ha una sua propria e complessa storia; la sua evoluzione segue lo sviluppo dei sistemi di rappresentazione del linguaggio attraverso i mezzi grafici delle diverse civiltà umane. Detta così sembrerebbe una mera questione meccanica e asettica, eppure l’uomo non ha imparato a scrivere solo per documentare e tenere i conti, bensì per esprimersi e per comunicare.
L’uomo scrive  per mettersi in contatto con gli altri, con il mondo esterno e con se stesso.
Quanto a me, scrivo perché mi piace dire il mio punto di vista e mettermi alla prova, e soprattutto perché amo rielaborare con cura e porre l’attenzione su ciò che è oggetto dei miei studi e delle mie ricerche. Ma amo anche “dilettarmi” di poesia, tanto che – se posso dire in tutta umiltà – alcuni miei componimenti sono stati pubblicati in tre antologie.
Difficile spiegare che cosa si prova durante la stesura di un racconto o di una poesia, di un saggio o di un articolo, e ancora più difficile è spiegare che cosa significhi avere l’ispirazione e la voglia di mettersi lì e incidere il foglio (o, meglio, mettersi al computer) con quello che si sta pensando in un determinato momento, così come è assai arduo descrivere il fastidio di quando si viene interrotti perché è tardi o si deve mangiare o bisogna uscire.
L’unico modo è provare: scrivete per credere.

Alessia Cagnotto

 

Garessio, la Torre dei Saraceni narra antiche leggende

Dall’alto osserva la devastazione di Garessio e di Ormea, il fango che ai primi di ottobre ha invaso i centri storici lasciando garessini e ormeaschi senza luce, acqua e gas, i ponti travolti dalla furia del fiume, i cimiteri spazzati via dall’esondazione del Tanaro, le bare aperte tra alberi sradicati e detriti, dolori e lamenti in valle.
Qualcuno guarda lassù, in cima al monte, e la vede forte e intatta come quando resistette alle violente scorrerie dei Mori giunti sulle nostre montagne a portare sofferenze e disgrazie. È la Torre dei Saraceni che illumina il paesaggio autunnale, oggi devastato dall’alluvione, nella piccola frazione Barchi tra Garessio e Ormea. Su uno sperone pietroso, a 900 metri di altezza, come uno sparviero pronto a lanciarsi sulla preda, resiste da mille anni a invasioni e intemperie e continua a raccontare leggende di un tempo assai lontano. Oggi è uno dei simboli del territorio della Valle Tanaro e testimonia una storia molto antica. Quando i Saraceni invasero l’entroterra ligure e piemontese giungendo da Frassineto, l’attuale Saint Tropez, per saccheggiare il territorio, per fare bottino, uccidere gli infedeli e rapire ragazzi e giovani fanciulle gli abitanti del luogo innalzarono una torre cilindrica, appunto la torre di Barchi o torre dei Saraceni, nel territorio di Garessio a breve distanza da Barchi, frazione di Ormea in Alta Val Tanaro. In realtà la torre sarebbe stata eretta lungo il Tanaro già dai Bizantini nel secolo VIII come torre di avvistamento per controllare le mosse dei Longobardi in valle mentre per altri studiosi fu costruita dai garessini intorno al Mille per scorgere in tempo le bande saracene. Queste ultime, tra il IX e il X secolo, la utilizzarono cone torre di vedetta e ne fecero una base per le incursioni nella zona. Anche il grano saraceno, prodotto tipico della Val Tanaro, sembra che sia stato portato in zona proprio dai saraceni.
Filippo Re

Elif Shafak è la vincitrice del Premio Lattes Grinzane 2020

Con “I miei ultimi 10 minuti e 38 secondi in questo strano mondo”

Sabato 10 ottobre 2020. Elif Shafak, scrittrice turca residente a Londra, è la vincitrice del Premio Lattes Grinzane 2020 – X edizione con I miei ultimi 10 minuti e 38 secondi in questo strano mondo (traduzione di Daniele A. Gewurz e Isabella Zani), edito da Rizzoli.

Gli altri finalisti in gara erano: Giorgio Fontana con Prima di noi (Sellerio), Daniel Kehlmann (Germania) con Il re, il cuoco e il buffone(traduzione di Monica Pesetti; Feltrinelli), Eshkol Nevo (Israele) con L’ultima intervista (traduzione di Raffaella Scardi; Neri Pozza), Valeria Parrella con Almarina (Einaudi).

Il Premio Speciale Lattes Grinzane, da sempre dedicato a un’autrice o un autore internazionale, è andato alla Protezione Civile, come apprezzamento per il grande impegno profuso nell’affrontare l’emergenza sanitaria e combattere la diffusione del contagio da Covid-19. Il Premio è stato ritirato dal capo Dipartimento Protezione Civile Angelo Borrelli. «Si tratta di una compartecipazione più stretta, di una condivisione doverosa e per certi versi inevitabile con il nostro Paese, con le sofferenze e i bisogni degli uomini, di cui la letteratura e la cultura non possono non farsi carico. Intorno alla Protezione Civile si sono raccolti, in questi mesi, tutti gli sforzi dell’Italia per rispondere all’emergenza: intorno alla Protezione Civile intendiamo raccoglierci anche noi con il nostro Premio, per testimoniare che anche la letteratura può e deve contribuire a costruire un nuovo futuro», spiega la motivazione della Giuria tecnica.

La motivazione con cui la Giuria Tecnica del Premio aveva scelto a maggio il romanzo di Elif Shafak tra i finalisti sottolinea la forza delle donne nella ricerca di libertà e felicità in paesi in cui viene negata e soffocata da sfruttamento, emarginazione, violazione dei diritti.

«Il romanzo di Elif Shaftak è un atto d’amore, da lontano, alla città di Istanbul e soprattutto alla sua anima femminile: Istanbul, illusione, sogno, in cui lottano tante Istanbul, città liquida in cui le vite si intrecciano e si dissolvono, e qui soprattutto città in cui, nella seconda metà del Novecento, da tutto il Medio Oriente convergono donne che vi hanno cercato libertà e felicità, sottraendosi  all’arcaica durezza e ottusità della vita familiare, ma finendo in vite di sfruttamento e di emarginazione, entro cui sanno comunque ritagliarsi spazi di umanità, di solidarietà, di amicizia. Il romanzo ripercorre la vicenda di Leila Tequila, fuggita a sedici anni dalla città di Van, nell’oriente turco, e costretta molto presto a prostituirsi. Ma, con originale struttura, il racconto prende avvio dall’assassinio della protagonista e dall’ipotesi che, dopo la morte, per 10 minuti e 38 secondi, nel suo cervello ancora non completamente spento passino i ricordi più vari, dal mondo familiare di Van alle situazioni e agli incontri della grande città, fino al 1990, anche con vari richiami ai contemporanei eventi storici. E si percorre in lungo e in largo Istanbul, nei suoi luoghi più vari, nei suoi intrecci affascinanti e perversi, tra etnie, lingue, religioni, tra speranze politiche e repressioni implacabili, nel progressivo avanzare del fondamentalismo religioso; nel contempo si seguono le storie dei cinque amici e amiche di Leila, che poi, dopo il ritrovamento del suo corpo, arriveranno a celebrare un singolare funerale, allucinata, affettuosa, grottesca e spiritosa, imprevista Totentanz.»

Elif Shafak, scrittrice turca, nata nel 1971 a Strasburgo (Francia), vive a Londra. È laureata in Scienze politiche e ha insegnato in diverse università in Turchia, Stati Uniti e Regno Unito. Pubblica romanzi in turco e in inglese, tradotti in più di cinquanta lingue, in cui la tradizione occidentale e quella orientale si armonizzano e in cui affiora la difesa dei diritti civili, di libertà di parola e delle minoranze. È membro del Weforum Global Agenda Council on Creative Economy dello European Council on Foreign Relations. Tra i suoi romanzi, editi da Rizzoli, ricordiamo: La bastarda di Istanbul (2007), Il palazzo delle pulci (2008), Le quaranta porte (2009), Latte nero (2010), La casa dei quattro venti (2012), La città ai confini del cielo (2014), Tre figlie di Eva (2016) La bambina che non amava il suo nome (2018). Il suo sito è www.elifshafak.com.

 

Le giurie del Premio: la giuria tecnica e le giurie scolastiche

 

I cinque romanzi finalisti sono stati scelti dalla Giuria Tecnica: il presidente Gian Luigi Beccaria (linguista, critico letterario e saggista), Valter Boggione (docente), Vittorio Coletti (linguista e consigliere dell’Accademia della Crusca), Giulio Ferroni (critico letterario e studioso della letteratura italiana), Loredana Lipperini (scrittrice, giornalista, conduttrice radiofonica), Bruno Luverà (giornalista), Alessandro Mari (scrittore ed editor), Romano Montroni (presidente Comitato scientifico del Centro per il libro e la lettura), Laura Pariani(scrittrice), Lara Ricci (giornalista culturale) e Bruno Ventavoli (giornalista, critico letterario).

I cinque libri finalisti sono stati letti, discussi e votati da studenti delle Giurie Scolastiche presenti in diversi istituti italiani e in una scuola di Parigi. Variano a ogni edizione per permettere una più ampia partecipazione al progetto e alla lettura. A ottobre i loro voti decideranno il vincitore.

«Il nostro Premio – commenta la Giuria Tecnica – si è sempre caratterizzato per una volontà di stretto dialogo con la società civile e la promozione attraverso la cultura dei valori fondanti dell’essere uomini. Proprio per questo si rivolge in maniera privilegiata ai giovani, nell’ottica di una crescita che trova nella lettura e nel dibattito delle idee e nella ricerca della bellezza gli strumenti per comprendere e interagire con il mondo.»

 

Le venticinque scuole che fanno parte delle Giurie Scolastiche 2020 sono: Istituto di Istruzione Superiore “G. Govone” di Alba (Cuneo), segnalato da Banca d‘Alba; Liceo Ginnasio di Stato “Francesco Scaduto” di Bagheria(Palermo); Istituto di Istruzione Superiore “M. Pagano” diCampobasso; Liceo “Luigi Garofano” di Capua (Caserta); Istituto di Istruzione Superiore “La Rosa Bianca” di Cavalese (Trento); Istituto di Istruzione Superiore “Cataldo Agostinelli” di Ceglie Messapica (Brindisi); Liceo Classico Statale “G. Cevolani” di Cento (Ferrara); Liceo Scientifico “Giandomenico Cassini” di Genova; Istituto Omnicomprensivo “Luigi Pirandello” di Lampedusa(Agrigento); Liceo Classico Statale “A. Manzoni” di Lecco; Liceo Classico – Linguistico “G. Leopardi” di Macerata; Istituto di Istruzione Superiore Statale “Carlo Alberto Dalla Chiesa” di Montefiascone (Viterbo); Liceo Classico Statale “A. Gramsci” di Olbia; Liceo “G. F. Porporato” di Pinerolo (Torino); Liceo Scientifico “Michelangelo Grigoletti” di Pordenone; Liceo Classico “Quinto Orazio Flacco” di Potenza; Istituto di Istruzione Superiore “Arimondi – Eula” di Savigliano (Cuneo); Istituto di Istruzione Superiore “Sansi – Leonardi – Volta” di Spoleto (Perugia); Liceo Classico “Francesco Corradini” di Thiene(Vicenza); Liceo Classico Statale “Massimo D’Azeglio” di Torino; Liceo “Carducci – Dante” di Trieste; Istituto di Istruzione Superiore “Lagrangia” di Vercelli; Liceo Classico “G. Carducci” di Viareggio (Lucca); Istituto di Istruzione Superiore “Morelli – Colao” di Vibo Valentia; Istituto Statale Italiano “Leonardo da Vinci” di Parigi.

I vincitori delle passate edizioni del Premio Lattes Grinzane sono stati: Alessandro Perissinotto nel 2019 (Mondadori); Yu Hua nel 2018 (Feltrinelli); Laurent Mauvignier nel 2017 (Feltrinelli); Joachim Meyerhoff nel 2016 (Marsilio); MortenBrask nel 2015 (Iperborea); Andrew Sean Greer nel 2014 (Bompiani); Melania Mazzucco nel 2013 (Einaudi); Romana Petri nel 2012 (Longanesi); Colum McCann nel 2011 (Rizzoli).

Canzoni e poesie a Borgaretto

Domenica  11 Ottobre alle ore 16,30 presso il Salone S.Anna di Borgaretto (Torino), nel rispetto di tutte le normative anticovidci  sarà un pomeriggio diverso, contornato da bellissime canzoni e bellissime letture o poesie, eseguite da bravissimi Artisti, tutto questo a favore dei Bambini Farfalla e delle loro grandi Mamme.
Ospii d’onore Sergio Moses, Fabrizio Voghera e Vincenzo Torelli
Presenteranno lo spettacolo Lidia Lombardi e Alessandro Scalici.
Il Cast
Anita Contini , Concetta DiRicco,, Katia Nettis, Isabella Fruci, Gabry Zaccheo, Salvatore Pasqualetto, Claudio Troiano, Angelo Cauda, Moreno Stefanini.
Ingresso 15 Euro.
Con la collaborazione di JukeBox Eventi.

Recital del pianista Gianmarco Moneti al Tempio valdese

Sabato 10 ottobre per le giornate della cultura protestante  

Il Centro Culturale Protestante di Torino, attento alla promozione di eventi culturali legati alla realtà protestante della città metropolitana di Torino ed in particolare alla musica, vuole arricchire il già nutrito palinsesto di eventi annuali con una rassegna di concerti per pianoforte solista e con l’accompagnamento di altri strumenti, offrendo a diplomandi o neo diplomati segnalati dei conservatori piemontesi, l’opportunità di esibirsi presso il Tempio Valdese di Torino.

In questo progetto si inserisce il recital del pianista Giampiero Moneti

sabato 10 ottobre alle ore 17 presso

il Tempio Valdese in Corso Vittorio Emanuele II, 23

Info: www.torinoprotestante.org – tel. 011 669 2838  mail: torinoprotestante@gmail.com

 

Un’epoca e una società dentro le immagini di Carlo Bossoli

Sino al 31 gennaio prossimo, nelle sale della Fondazione Accorsi – Ometto

Un lungo secolo, che scavalca i tempi abituali. L’Ottocento. Dagli ultimi fuochi della Rivoluzione francese sino ad arrivare alla fine del primo Grande Conflitto, l’abbandono cruento dell’Ancien Régime per spingersi incontro ad un secolo nuovo e pericoloso.

Al centro le guerre d’Indipendenza, il colonialismo e le sue piaghe, l’importanza sempre maggiore della borghesia che va sostituendosi alla nobiltà, i decenni delle grandi quanto affascinanti esplorazioni, le guerre che ridisegnano gli atlanti, le scoperte messe in campo per dare un volto nuovo alla società. Non ultima la costruzione delle ferrovie, che cambiano il paesaggio e indicano un nuovo modo di viaggiare: le più antiche – la Napoli/Portici o la Milano/Monza – messe al servizio delle corti, la Torino/Genova del 1845 costruita per lo sviluppo del trasporto delle merci. Un secolo importante. Che necessita di un testimone importante, capace di farlo rivivere anche agli occhi di noi moderni, che mostri – quasi cantore di “una vita in diretta”, preciso e raffinato cronista del suo tempo – le azioni e i mutamenti che gli sono corsi attraverso.

Cronache dall’Ottocento ovvero La vita moderna nelle opere di Carlo Bossoli e nelle fotografie del suo tempo s’intitola la mostra che la Fondazione Accorsi-Ometto presenta sino al 31 gennaio 2021, fortemente voluta dal direttore Luca Mana, curata da Sergio Rebora con la collaborazione di Daniela Giordi per la sezione fotografica. Con prestiti privati e pubblici (Museo del Risorgimento e Galleria d’Arte moderna di Torino, Archivio di Stato di Torino, il Museo Vincenzo Vela di Ligornetto, il Museo del Risorgimento di Milano e i Musei Civici di Varese), sono presenti cinquanta dipinti di Bossoli (paesaggi, scorci cittadini, opere celebrative, immagini della Storia catturate quasi in istantanea) e 40 fotografie di maestri italiani e stranieri, appropriandosi la fotografia della giusta attenzione, “non più arte ma storia”, inconfutabile specchio di una società, di una vita che cambia verso la modernità, che abbraccia la città e la campagna, che testimonia il progresso e le distruzioni di una guerra, che corre in simultanea con l’azione descritta.

Proveniva da una famiglia di origine svizzera Carlo Bossoli, era nato a Lugano nel 1815 e solo cinque anni dopo aveva seguito il padre trasferitosi a Odessa, nella Russia dei Romanov, curioso e pronto di lì a pochi anni ad accrescere una formazione artistica, da autodidatta, che l’avrebbe presto visto vedutista, scenografo e autore di “cosmorami” panoramici. Poi il ritorno nel Canton Ticino, il decennale soggiorno milanese all’interno del quale visse gli eventi delle Cinque Giornate e fu onorato altresì delle numerose commissioni delle famiglie aristocratiche: e infine, nel 1853, l’arrivo a Torino. Dove trovò quella corte sabauda che gli avrebbe conferito la patente di “pittore reale di storia”, con l’incarico di raffigurare tra l’altro i luoghi delle ferrovie inaugurate in Piemonte in quegli anni, dipinti da cui fu tratta la celebre serie di litografie intitolata Views on the railway between Turin and Genoa, pubblicata a Londra, ancora nel ’53. E dove progettò la propria casa, un’abitazione con un giardino privato e uno studio dentro cui lavorare, un esempio di stile moresco andato perduto nelle proprie fisionomie (lo si può ammirare in un’opera dello stesso Bossoli del 1868 presente in mostra): ma il palazzo s’affaccia ancora oggi sul Lungo Po Diaz, sopra i Murazzi, all’altezza di via Giolitti. Morì nel 1884: e nel lungo periodo in cui operò, percorse le strade di Russia, Inghilterra, Scozia, Irlanda, Spagna e Marocco, testimoniando gli avvenimenti storici e privati che oggi queste “cronache” ci rendono.

Suddivise in cinque sezioni, un raffinato percorso che guarda alla storia e all’arte, concepito dall’allestimento di Diego Giachello, attento all’interno delle sale all’impiego dei colori e alla loro morbidezza, in pieno accordo con le opere esposte. I centri urbani disseminati lungo lo stivale, il capolavoro del Duomo palermitano e della sua piazza (del 1871) e il Canal Grande a Venezia e il torinese palazzo Coardi di Carpeneto con il suo atrio elegante e animato di personaggi, come le vaste piazze della Capitale sabauda divise tra divertimento e attività lavorative: accanto le prove fotografiche, a confronto, un allinearsi di tinte ambrate a restituirci la Torino lontana più di un secolo e mezzo fa. Le tempere su carta di Bossoli abbracciano poi i differenti momenti storici, la prima e la seconda Guerra d’Indipendenza come la difesa della Repubblica Romana del ’49, Vittorio Emanuele II a Palestro o mentre scende con i suoi ministri lo scalone di palazzo Madama in occasione dell’apertura della Quinta Legislatura, le scuderie juvariane di Venaria, felicemente riscoperte di recente, in un susseguirsi di ombre tra cavalli e stalli, colori, particolari, frammenti vivissimi, o ancora la guerra di Crimea, alla metà degli anni Cinquanta, fotografata in un primo tempo a opera di Roger Fenton, al seguito dell’esercito britannico, e poi da James Robertson (sua la Postazione d’artiglieria) e Felice Beato, due veri e propri reporter di guerra.

Il capitolo delle ferrovie testimonia l’ammodernamento del paese e soprattutto il primato dello stato sabaudo; come un’attenzione a sé merita l’esotismo, con il Bazar del 1847, l’interno del caffè di Galata e l’ampio panorama di Istanbul (l’antica Costantinopoli) del 1878 con i suoi minareti, i gruppi di personaggi nei loro abiti, le case ed i palazzi, tutti schierati come su di un palcoscenico, ben visibili in primo piano mentre le montagne e l’azzurro del cielo si perdono impalpabili in lontananza; e ancora il Marocco e l’Egitto, cui molti guardavano con curiosità, quasi un paese da sogno, tra l’antico (le immagini con le rovine di Karnak) e il moderno, all’indomani dei lavori dello stretto e del successo dell’Aida verdiana. L’ultima sezione considera, ancora in uno stretto rapporto tra tempere e materiali fotografici, le molteplici vedute di ville e giardini storici, il piacere di vivere in campagna, i luoghi della tranquillità e del piacere fuori delle città, quasi al loro riparo (il secolo precedente aveva conosciuto al riguardo le opere di Magnasco e di Bellotto), morbidi capolavori che ci raccontano tra gli altri della Villa Giulia a Bellagio, una vera e propria testimonianza per i proprietari, il ricordo di gite in barca, di passeggiate nel parco, di feste notturne o di ricevimenti pomeridiani, la descrizione esatta e ancora una volta immediata dei riti mondani di una società di cui Bossoli era testimone. Chi visiterà la mostra si soffermi davanti ai minuscoli schermi su cui scorrono “leggerissime” clip, della durata di un minuto circa, chiaramente in un canonico bianco e nero, montaggi curiosi, mobili testimonianze di un’epoca che ha ancora molto da dirci: a movimentare una mostra che qualcuno ha temuto per un attimo che fosse “noiosa”. Se ne volete scoprire l’alto tasso di vitalità, non mancate.

Elio Rabbione

 

 

Le immagini

Carlo Bossoli, “Veduta del Duomo di Palermo”, 1871, tempera su carta applicata su tela, 59 x 89 cm, coll privata, courtesy Galleria Aversa, Torino

Carlo Bossoli, “Veduta della scuderia grande di Venaria Reale”, 1853, tempera su carta applicata su tela, 55 x 77 cm, coll privata

James Robertson, “Crimea. Postazione di artiglieria al termine della battaglia”, 1856, carta salata, 259 x 200 mm, coll Marco Antonetto

Antonio Beato, Egitto, Luxor-Karnack, veduta degli obelischi nel tempio di Amon-Ra”, circa 1870, stampa all’albumina, 275 x 212 mm, coll Marco Antonetto

Carlo Bossoli, “Veduta di Istanbul”, 1878, olio su cartone, 46,5 x 76,5 cm, coll privata