CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 464

“Bellezza tra le righe” nei parchi di Casa Lajolo e del Castello di Miradolo

Conversazioni con alcuni “protagonisti” del presente per uno sguardo di speranza sul futuro. Fino al 27 settembre. Piossasco / San Secondo di Pinerolo (Torino)

Gli appuntamenti sono quasi tutti alle 18. Sul far della sera. Immersi in luoghi unici, in giardini che sono “lo scrigno segreto di antiche dimore”. Abbracciati dalla magia del verde.

E dalle parole rimbalzanti – su e dentro di noi – di noti personaggi e protagonisti del nostro presente. Da questo abbinamento nasce il progetto “Bellezza tra le righe”, firmato da “Fondazione Casa Lajolo” e “Fondazione Cosso” ( con il contributo della Regione Piemonte ) che porta, dal 26 luglio al 27 settembre, nel parco di “Villa Lajolo”, in via San Vito 23 a Piossasco, e del “Castello di Miradolo”, in via Cardonata 2 a San Secondo di Pinerolo, ad una stimolante serie di incontri e conversazioni “in grado di veicolare messaggi catalizzanti e forti, nell’ottica di nuove speranze per il futuro”, con alcune delle voci più significative e importanti dello sport, ma anche dell’impresa, della cultura e del verde.
Sfileranno così l’ex allenatore della nazionale di pallavolo Mauro Berruto ( che proverà a spiegare come lo sport aiuti e insegni a realizzare obiettivi inseguendo i propri desideri), seguito da Beniamino de’ Liguori Carino, segretario generale della “Fondazione Adriano Olivetti” e direttore editoriale di “Edizioni di Comunità” (fondata dal nonno Adriano Olivetti nel 1946), Silvio Angori, amministratore delegato e direttore generale Pininfarina, l’architetto paesaggista Paolo Pejrone e il giornalista Salvo Anzaldi. E poi ancora il noto metereologo e divulgatore scientifico Luca Mercalli, l’imprenditore Andrea Illy, presidente dell’azienda di famiglia specializzata nella produzione di caffè, che dialogherà con il giornalista Francesco Antonioli e, infine, l’imprenditrice italiana Marina  Salamon. Al termine di ogni incontro, aperitivo e visita guidata alla dimora storica.
Questo il calendario e i titoli dei restanti  appuntamenti:
Domenica 30 agosto ore 18. Incontro con Salvo Anzaldi: “Nato per non correre: per sfidare con ironia i limiti della malattia”.
Castello di Miradolo. Domenica 6 settembre alle 18. Incontro con Luca Mercalli: “Non c’è più tempo: reagire alle emergenze climatiche”. In contemporanea, alle 18, “Ti presento Bruno Munari. Disegnare il sole”, Laboratorio creativo 0-99 anni.
Casa Lajolo. Sabato 26 settembre alle 18. Incontro con Andrea Illy e Francesco Antonioli: “Italia felix: l’impresa sociale e l’economia circolare come filosofia di vita e di lavoro”.
Casa Lajolo. Domenica 27 settembre ore 11. Incontro con Marina Salamon: “Dai vita ai tuoi sogni”.
Info:
Agli incontri a “Casa Lajolo”, si accede con il biglietto di ingresso che dà diritto anche alla visita guidata (6 euro). Aperitivo facoltativo, a seguire. Si consiglia la prenotazione: info@casalajolo.it o telefonare al 348.7095508.

Per gli incontri al “Castello di Miradolo”, la conversazione è compresa nel biglietto di ingresso al Parco (5 euro). I laboratori creativi per bambini costano invece 15  euro. Per chi vuole, alle 19,30, merenda gourmet sul prato. Prenotazione obbligatoria agli incontri e alla merenda: 0121 502761 – prenotazioni@fondazionecosso.it – www.fondazionecosso.it.

g. m.

 

Nelle foto

– Casa Lajolo
– Castello di Miradolo
– Luca Mercalli
– Andrea Illy
– Marina Salamon

La rassegna dei libri più letti nel mese di luglio

In questa estate anomala, le discussioni letterarie sul gruppo FB Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri si sono concentrate su Il Colibrì, romanzo di Sandro Veronesi (La Nave di Teseo) vincitore dell’ultimo premio Strega e sui suoi più diretti candidati.

L’altro titolo che ha tenuto banco è Riccardino, romanzo postumo di Andrea Camilleri (Sellerio) che ha messo fine alle indagini del Commissario Montalbano: nonostante l’attesa, i commenti dei lettori hanno rivelato un po’ di delusione.

Terza menzione per Finché il caffè è caldo, di Toshikazu Kawaguchi (Garzanti) romanzo che cavalca l’onda del recente successo dei romanzi sui defunti e i cimiteri, aggiungendo, in questo caso, un pizzico di fantasy; sembra che i lettori lo apprezzino.

Domenico Sparno della Libreria Culture Club Cafè Mola di Bari ha scelto tre libri per i nostri lettori:

La mattina dopo – Mario Calabresi. Dopo una perdita o un cambiamento arriva sempre il momento in cui capiamo che la vita va avanti, ma niente è più come prima, e noi non siamo più quelli di ieri.
L’Ombra del vento – Carlos Ruiz Zafòn . Consigliato a tutti i lettori che vogliono aprirsi al mondo dei libri e della lettura
Il piccolo principe – di Antoine de Saint-Exupéry. Libro intramontabile adatto ad ogni età da leggere almeno una volta nella vita.

Per la serie: Time’s List of the 100 Best Novels, ovvero i cento romanzi più importanti del secolo XX, scritti in inglese e selezionati dai critici letterari per la rivista Times, questo mese noi abbiamo discusso di: Revolutionary Road, di Richard Yates, dal quale è stato tratto anche un apprezzato film con Leonardi Di Caprio,  Il giorno della locusta, di Nathaniel West che descrive il mondo del cinema e il cinismo che lo domina, e  L’uomo che andava al cinema, di Walker Percy, romanzo nel quale il protagonista “vive” attraverso i film che vede in sala.

 

Se cercate altri consigli di lettura, non perdetevi le nostre video recensioni sul canale YouTube ufficiale de Il passaparola dei libri.

Vi ricordiamo l’appuntamento settimanale con La metà pericolosa, giallo inedito di Silvia Volpi pubblicato in esclusiva in 10 emozionanti puntate per i lettori del nostro sito. Lo trovate a questo indirizzo: La metà pericolosa di Silvia Volpi

Per questo mese è tutto, ci rileggeremo il mese prossimo!

 

redazione@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it 

Metamorfosi

Nel Museo Civico Di Moncalvo sarà aperta al pubblico la mostra di Carlo Mazzetti, organizzata da Aleramo Onlus

Dal 8 agosto al 4 ottobre. L’inaugurazione con presentazione di Giuliana Romano Bussola e Maria Rita Mottola avverrà venerdì 7 agosto ore 17,30  sotto i portici del castello.

Attraverso il seducente gioco delle Metamorfosi Mazzetti giunge ad un particolare spaesamento surrealista  addentrandosi nel mondo onirico, del bizzarro della memoria dell’infanzia col gusto intellettualistico di meccanismi concettuali.

GRB

Agosto inizia con Grand Rodeo Open Air

Grand Rodeo Open Air 2020  1 & 2 agosto, dalle 16 alle 02

Spazio 211, Via Cigna 211 Torino

ingresso 5 euro all day long

 

Vent’anni di feste. Da Tutti Matti a Mattie al Caffè Tritolo di Avigliana, dal Ranch di Moncalieri fino ad arrivare allo Spazio 211 di Torino. #supportyourlocalundergroundruralscene 

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? Line Up

Lollino

Moreno Pezzolato

Pisti

Emiliano Comollo & Cipi

Titta & Yashin

Seven Sins

Suivre le Rythme

Marco Acapulco 2000

Sick Advisor

Plato Live

Federico Nicolé

Kessa & Breezo

Passenger

Stay G

Robbenspierre

Skip

Alessandro Gambo

Come da tradizione, leggermente rimodellato per attenersi al contesto vigente, torna il Grand Rodeo, un evento che unisce vecchia e nuova guardia della musica da ballo torinese, una celebrazione che da vent’anni intrattiene gli astanti. Se da tradizione il Rodeo si colloca nelle giornate di pasqua e pasquetta, quest’anno è stato riprogrammato in città per dare il benvenuto a un agosto memorabile.  Inserito nella programmazione di Torino a Cielo Aperto, il Grand Rodeo rientra nel più ampio cartellone di Spazio 211.

#seguiisegnalidifumo

Van Gogh: a 130 anni dalla morte il mistero più grande resta la pittura

Auvers sur Oise, 29 luglio 1890, Vincent van Gogh terminava a soli 37 anni un’esistenza vissuta e bruciata con un’intensità sconvolgente. Il 30 luglio veniva sepolto nel minuscolo cimitero del paese, sperduto tra i campi che aveva amato e tante volte dipinto. Sulla bara che il prete non aveva consentito entrasse in chiesa, trattamento riservato a chi faceva violenza contro se stesso, era deposto, significativamente, un mazzo di girasoli.

Al di là delle teorie degli ultimi anni sulla morte del pittore che ipotizzano non il suicidio, ma l’omicidio accidentale da parte di un ragazzo della borghesia parigina, a 130 anni dalla sua scomparsa il vero grande mistero dell’artista olandese restano i suoi dipinti.  Nessun pittore come Vincent van Gogh riuscì a stravolgere, in pochissimi anni, il mondo e la storia dell’arte.


La vita pittorica di Van Gogh inizia, infatti, nel 1881. Vincent aveva 28 anni e si era lasciato alle spalle già parecchie esperienze fallimentari: aveva cercato di seguire prima le orme dello zio Vincent, detto Cent, mercante d’arte, che aveva fatto assumere il nipote, a L’Aia, presso la filiale della casa d’arte Goupil, poi del padre pastore, dedicandosi, senza troppo successo, agli studi teologici e, infine, dominato da un fervore religioso estremo, si era recato a predicare nella regione del Borinage, sottoponendosi a rinunce e privazioni come gli asceti. Difficile a 28 anni per uno spirito anarchico come Vincent seguire le vie convenzionali dell’arte, le lezioni dell’Accademia, i consigli degli artisti affermati, le lunghe sedute di disegno che prevedevano di copiare in modo ripetitivo gli stessi soggetti, difficile per chi come lui, inconsciamente, era destinato a realizzare una grande rivoluzione, adeguarsi alla normalità.
Tutti diffidano di questo uomo che sembra destinato a fallire sempre, tutti tranne una persona, il fratello minore Theo che lo spinge a proseguire nella sua missione artistica, convincendolo ad adattarsi a tornare nella canonica di Nuenen presso i genitori dove potrà dipingere senza pensieri.

Atmosfera pesante quella di Nuenen che Vincent così descrive in una lettera al fratello: “Mi rendo conto che Pa e Ma pensano a me per istinto… hanno la stessa paura di accogliermi in casa che avrebbero se si trattasse di un grosso cagnaccio. Quello magari si metterebbe a correre per le stanze con le zampe bagnate, sarebbe rozzo, travolgerebbe tutto strada facendo. E abbaia forte. In poche parole è uno sporco animale… Ma la bestia ha una storia umana e, anche se è soltanto un cane, ha un’anima umana, e molto sensibile anche”.
Nonostante l’ostilità dei genitori che non riescono a comprendere questo strano ragazzo, il periodo di Nuenen è quello in cui nascono quasi duecento opere.  La tavolozza di questi anni si contraddistingue per i colori cupi di chiara ispirazione fiamminga e per le atmosfere pesanti, quasi opprimenti, interni claustrofobici, cieli scuri e soffocanti.  Qui Van Gogh crea uno dei suoi capolavori “I mangiatori di patate”, la raffigurazione di contadini intorno alla tavola in una sera come tante. “Ho cercato di sottolineare come questa gente che mangia patate al lume della lampada, ha zappato la terra con le stesse mani che ora protende nel piatto, e quindi parlo del lavoro manuale e di come essi si siano onestamente guadagnato il cibo. Ho voluto rendere l’idea di un modo di vivere che è del tutto diverso dal nostro di gente civile. Quindi non sono per nulla convinto che debba piacere a tutti o che tutti lo ammirino subito” scrive il pittore al fratello in una lettera dell’aprile 1885.

E’ la vita nella sua drammatica povertà, nella sua bruttezza e nella sua deformità a posare nei dipinti di Van Gogh, l’uomo si trasforma in oggetto e diventa simile a quelle patate che ha coltivato e raccolto.Nel 1886 e, dopo una breve parentesi a Anversa, Van Gogh si trasferisce nell’appartamento del fratello Theo in rue Lepic, 54 a Parigi. La passione per le stampe giapponesi, i contatti e gli scambi culturali con Monet, Renoir, Degas, Pissarro, Seurat, Signac, Toulouse Lautrec da soli non sono sufficienti a giustificare il repentino cambiamento della sua pittura. L’evoluzione è immediata, lo stile si modifica, i colori si schiariscono e tramontano i toni scuri. E’ come se Van Gogh, in pochi mesi, avesse assorbito, letteralmente, la lezione di tutti i movimenti pittorici che dominano la scena parigina e li avesse rielaborati a modo suo, stravolti e, al tempo stesso, migliorati, andando oltre.

Il “Ritratto di père Tanguy” dell’autunno 1887 concilia in questa atarassica rappresentazione di vecchio con cappello le influenze delle stampe giapponesi, la lezione del pointillisme, le velature degli impressionisti, la forza cromatica di Gauguin. Niente di più distante dalla mano che solo due anni prima aveva dato vita ai “Mangiatori di patate”. Febbraio 1888: Van Gogh, sulle orme dell’amato Monticelli, è ad Arles. Nel Sud della Francia l’artista cerca ossessivamente la luce e i colori violenti che incendieranno le sue tavolozze e incontra il mistral che deformerà i suoi soggetti e la sua mente. “Ho fatto, sempre come decorazione, un quadro della mia camera da letto, con i mobili di legno bianco, come sapete. Ebbene, mi ha molto divertito fare questo interno senza niente, di una semplicità alla Seurat a tinte piatte, ma date grossolanamente senza sciogliere il colore; i muri lilla pallido; il pavimento di un rosso qua e là rotto e sfumato; le sedie e il letto giallo cromo; i guanciali e le lenzuola verde limone molto pallido; la coperta rosso sangue, il tavolo della toilette arancione; la catinella blu; la finestra verde. Avrei voluto esprimere il riposo assoluto attraverso tutti questi toni così diversi e tra i quali non vi è che una piccola nota di bianco nello specchio incorniciato di nero, per mettere anche là dentro la quarta coppia di complementari” scrive a Gauguin, l’amico che attendeva ad Arles per creare una comunità di artisti, un altro dei suoi fallimenti. L’opera è stata dipinta nell’autunno 1888, un anno esatto dopo il Ritratto di père Tanguy. I colori si sono fatti violenti, gli accostamenti forti, persino azzardati, la pittura piatta. Se i contadini dei “Mangiatori di patate” erano diventati oggetti, i mobili e i quadri della camera hanno preso vita, sembrano muoversi, piegarsi, spostarsi, uscire dalla tela. Il genio onirico di Van Gogh ha anticipato le teorie che i Fauves esprimeranno all’inizio del 1900 e la violenza comunicativa dell’Espressionismo. Dell’uomo di Nuenen non è rimasto nulla.

Giugno 1889 “Notte stellata”. “Perché i punti luminosi del firmamento ci dovrebbero essere meno accessibili delle città e dei villaggi, dei punti neri sulla carta di Francia? Se prendiamo il treno per andare a Tarascon oppure a Rouen possiamo prendere la morte per andare in una stella”, scrive Vincent dal suo esilio volontario nella casa di cura di Saint Rémy en Provence, dopo l’episodio del taglio dell’orecchio e le crisi nervose che gli avevano guadagnato l’ostilità degli abitanti di Arles. Vortici e controvortici, stelle cadenti, stelle che sembrano girasoli, una tela giocata sul blu cobalto e sul giallo, ferita da pennellate nervose, un quadro nel quale la pittura acquista matericità e tridimensionalità, la rappresentazione di un sogno più che di una realtà, il sogno di un pittore che sembra già guardare oltre, che sembra fissare gli occhi su un’altra dimensione. Luglio 1890 “Campo di grano con volo di corvi”. Van Gogh cerca la pace a Auvers sur Oise, seguito dal dottor Paul Gachet. Cerca nella pittura, come aveva già fatto durante gli ultimi dieci anni della sua vita, l’antidoto al desiderio di morte.  Un anno prima aveva scritto al fratello Theo: “Se non avessi la tua amicizia sarei rispedito senza rimorsi al suicidio e per quanto io sia codardo, finirei per andarci”. A Auvers sur Oise, tuttavia, non c’è serenità, i cieli si scuriscono di nuovo, il blu squillante della Provenza diventa un blu cupo, nero che schiaccia tutto e che tutto domina. Scrive ancora Vincent: “Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello mi casca quasi di mano e, sapendo perfettamente ciò che volevo, ho dipinto tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà per cercare di esprimere la tristezza, l’estrema solitudine”.

L’arte diventa lo specchio nel quale riflettere l’infinita tristezza e una depressione senza fine, alla quale il solo rimedio sembra essere la strada della morte. In “Campo di grano con volo di corvi” le pennellate si intersecano, si interrompono, si spezzano nervose. Il colore sembra spremuto direttamente sulla tela. Le forme si intuiscono appena, i corvi sono linee nere, sono v e w rovesciate che volano lontano, come l’anima di Vincent Willem van Gogh. 23 luglio 1890 in una lettera mai spedita, perché il pittore non volle farlo, Vincent scriveva “Ebbene nel mio lavoro rischio ogni giorno la vita e vi ho perduto metà della mia ragione – va bene – ma tu non sei tra i mercanti di uomini per quanto io sappia e possa giudicare trovo che stai agendo realmente con umanità ma cosa vuoi”. In dieci anni Vincent aveva stravolto il mondo dell’arte, tutto esperito, tutto archiviato, tutto anticipato, aveva creato una pittura di una modernità tale che resta tuttora insuperata, aveva cambiato stile, colore, aveva trasformato l’uomo in oggetto e aveva dato vita a un iris: il suo grande mistero sta proprio qui, non nel dibattito, peraltro inutile, sulle modalità della sua morte, ma nell’essere stato non uno, ma centomila pittori.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            Barbara Castellaro

 

Si ringrazia per le foto M. Dominique-Charles Janssens, Président Institut Van Gogh

“Che fare quando il mondo è in fiamme?” Al Castello del Valentino il lungometraggio di Roberto Minervini

Giovedì 30 luglio, ore 21,30 / Secondo appuntamento della rassegna “Respiro” ( “respiro” materiale e metaforico), promossa dal Gruppo Culturale “La Comune” – che prevede una serie di proiezioni cinematografiche “capaci di evocare con potenza immaginifica l’attuale mancanza di prospettive nell’ambito delle discriminazioni di genere, razziali e sociali” – verrà proposto il prossimo giovedì 30 luglio (ore 21,30) nell’Arena del Castello del Valentino l’ultimo film documentario del cinquantenne regista marchigiano (oggi attivo fra Italia e Stati Uniti) Roberto Minervini.

Titolo “Che fare quando il mondo è in fiamme?” (“What You Gonna Do When the World’s on Fire?”), il lungometraggio, datato 2018, è stato presentato alla 75° Mostra del Cinema di Venezia ed affronta, con carattere e momenti di intensa levatura etica e artistica, il fenomeno del razzismo negli States, prendendo spunto dagli eventi che, nell’estate del 2016, videro coinvolta un’intera comunità afroamericana di Baton Rouge, nella Louisiana. Argomento ancora oggi e sempre più di stretta attualità. Dopo i fatti, soprattutto, di Minneapolis del 25 maggio scorso che videro la morte per soffocamento del 46enne di colore George Perry Floyd, nel corso del suo arresto da parte di quattro agenti, e dopo le conseguenti manifestazioni di protesta contro l’abuso di potere da parte della polizia americana, accusata di comportementi razzisti. E anche questo sarà, sicuramente, argomento di dibattitto del talk che accompagnerà la visione del film e che sarà condotto da Cathy La Torre, attivista politica (candidata alla carica di sindaco di Bologna in vista delle amministrative del 2021) e avvocata specializzata in “diritto antidiscriminatorio” con particolare riferimento alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, nonché sui diritti della comunità LGBTQI.

La serata sarà aperta da un video di presentazione di Roberto Minervini, che con questo lavoro ha ricevuto il “Premio Miglior Documentario” al “BFI London Film Festival”,  e vedrà la presentazione del progetto “Respiro”, nato dalla collaborazione del team di lavoro – a leadership diffusa – composto dalle curatrici Francesca Comisso e Luisa Perlo ( di “a. titolo” ), da Irene Dionisio ( regista e artista visiva), dal direttore del Festival di Annecy e Carbonia nonché critico cinematografico Francesco Giai Via, dall’operatrice culturale Ambra Troiano e dal filosofo e curatore della Triennale di Milano Leonardo Caffo,  con Andrea Polacchi e Luca Bosonetto del Comitato Arci Torino.
Dopo il lungometraggio di Minervini, questi i prossimi appuntamenti:

Lunedì 3 agosto ore 21,30, proiezione de “ I Miserabili” del regista francese- di origine malese – Ladj Ly (al secolo Ladj Lytuona), vincitore del Premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes, Premio Miglior Rivelazione agli European Film Awards, candidato al Premio Oscar come Miglior Film Straniero e trionfatore con moltepliplici riconoscimenti al César; talk del talent civile con Gianni Oliva

Domenica 30 Agosto ore 21,30, serata di chiusura dell’“Ambrosio” presentata da Bruno Gambarotta, con la proiezione de “La scomparsa di mia madre” dedicato dal giovane regista milanese Beniamino Barrese alla madre oggi 76enne Benedetta Barzini, famosa top model degli anni Sessanta, musa di fotografi e artisti, da Irving Penn a Richard Avedon, da Andy Warhol a Salvador Dalì.

g. m.

“Radici e tronchi d’albero”, il mistero svelato dell’ultimo Van Gogh

Di Barbara Castellaro / 27 luglio 1890, Auvers sur Oise, verso il crepuscolo. Vincent Van Gogh rivolge un’arma contro se stesso, decidendo di porre fine alla propria esistenza.

La mattina di quel giorno, secondo gli studi condotti sulla sua opera da Louis van Tilborgh e Bert Maes e rivelati in una pubblicazione del 2012 dal Van Gogh Museum di Amsterdam, aveva abbozzato la sua ultima opera, il suo ultimo grido al mondo, il suo testamento: “Radici e tronchi d’albero”.

Questa teoria era supportata dalla testimonianza inconfutabile di Andries Bonger, fratello di Joanna Bonger Van Gogh, moglie di Theo e cognata di Vincent, che aveva indicato in questa tela l’ultima opera dell’artista, dipinta proprio la mattina del 27 luglio. In un altro scritto Van Tilburgh, in collaborazione con il suo collega Teio Meedendorp, nel 2013, concludeva che il soggetto dipinto nell’ultimo quadro, “Radici e tronchi d’albero”, rifletteva lo stato mentale disturbato e tendente al suicidio e che, quindi, fosse plausibile che, avendo trascorso la mattina a lavorare a questo dipinto, confrontandosi con la propria profonda malinconia, Van Gogh fosse tornato all’Auberge Ravoux e ne fosse uscito con la pistola con la quale avrebbe posto fine alla propria vita.
Fine Marzo – Inizio Aprile 2020, la pandemia del Covid-19 ha costretto l’Europa al lock down. Le uscite sono limitate. In poche settimane la normalità è diventata un ricordo e la vita si svolge tra le mura di casa.

Wouter van der Veen, studioso dell’opera di Vincent Van Gogh e direttore dell’Institut Van Gogh, si dedica a esaminare i file che riproducono alcune cartoline che raffigurano Auvers sur Oise tra il 1900 e il 1910. La scena fotografata in una di queste include una strada coperta di radici e tronchi d’albero. Van der Veen racconta di aver pensato di utilizzarla per cercare di spiegare “Radici e tronchi d’albero”, l’ultimo quadro di Van Gogh, “un lavoro sconcertante e difficile da capire dipinto da lui il giorno del suicidio”.
Casualmente, come è spesso accaduto per tutte le grandi scoperte, lo sguardo dello studioso, mentre è impegnato in una conversazione telefonica, cade su un punto della riproduzione digitale della cartolina aperta sullo schermo e, incredulo, riconosce proprio quelle radici e quei tronchi raffigurati da Vincent.In quella cartolina è immortalato il soggetto dipinto da Van Gogh, ma vent’anni dopo.


Nel libro “Attacked at the very root. An investigation into Van Gogh’s last days” Van der Veen rivela tutti i particolari della scoperta che l’hanno portato alla convinzione di avere individuato l’esatto punto dipinto nell’ultima opera dal pittore olandese, a 150 metri dall’Auberge Ravoux. “Mi recai in quel luogo appena possibile – scrive Van der Veen – Mi attendeva un piccolo miracolo: un enorme ceppo mummificato coperto di edera, occupava il posto d’onore nel luogo che avevo identificato. Si trattava della parte centrale del dipinto…”.

Si trattava del punto esatto dove Van Gogh aveva dipinto per l’ultima volta in quel villaggio che l’aveva ospitato negli ultimi mesi di vita. Vincent Van Gogh arriva, infatti, a Auvers sur Oise il 20 maggio 1890. Il suo unico desiderio, dopo le crisi che lo avevano colpito nel periodo trascorso ad Arles, in particolare il movimentato rapporto con Gauguin, poi culminate nell’episodio del taglio dell’orecchio del dicembre 1888 e nella decisione di ricoverarsi volontariamente nella Maison de Santé di Saint Remy de Provence, dove rimase un intero anno, era stato quello di ritornare al Nord, nei luoghi che era sicuro l’avrebbero guarito, così come anni prima aveva pensato del Sud della Francia e del sole e dei colori della Provenza.

Due episodi, in particolare, negli ultimi mesi trascorsi a Saint Remy, avevano influito sulla salute e sul precario equilibrio dell’artista: il saggio di Aurier e la nascita del nipote.
Nel gennaio 1890 Gabriel Albert Aurier, un giovane, ma visionario critico d’arte pubblica sul “Mercure de France” un lungo articolo “Les Isolèes: Vincent van Gogh” nel quale riconosce le doti straordinarie del pittore olandese. Vincent è confuso e confessa alla madre e alla sorella di sentirsi preoccupato dal pensiero del successo. Il secondo episodio si verifica nel 31 gennaio 1890. Theo e Joanna diventano genitori di un bambino al quale vengono imposti i nomi di Vincent Willem, gli stessi dello zio, gli stessi dell’altro zio, il primogenito dei coniugi Van Gogh, quel fratellino nato e morto il 30 marzo 1852, un anno esatto prima della nascita del pittore che ne aveva ereditato i nomi. I nervi sovraeccitati di Vincent vengono messi a dura prova da queste emozioni e a febbraio viene colpito da una crisi molto violenta, la più lunga del suo soggiorno nella casa di cura di Saint Remy: dalla prima settimana di febbraio all’ultima settimana di aprile è incapace di dipingere, scrivere e persino di leggere.

Il successo e l’arrivo di un bambino con la creazione di un nucleo familiare proprio da parte del fratello se da un lato rappresentano per lui episodi felici, dall’altro portano, tuttavia, con sé un profondo carico di turbamento e paure ataviche: quella del peso insostenibile della fama il primo e quello della perdita di un’intimità con Theo il secondo. Era arrivato un altro Vincent a prendere il suo posto, come lui aveva fatto con il suo fratellino nato morto 37 anni prima e l’artista inizia a percepire dentro di sé, con dolore, il passaggio da fratello amato a peso gravoso.
Al termine della crisi Van Gogh riesce a partire per Parigi, dove, tuttavia si ferma soltanto tre giorni per conoscere la cognata e il nipote, prima di raggiungere, su raccomandazione e consiglio di Camille Pissarro, Auvers sur Oise, all’epoca villaggio particolarmente amato e dipinto da molti artisti, affidandosi alle cure del dottor Paul Gachet, un medico appassionato ammiratore dell’arte dell’epoca e grande collezionista, che spinge il pittore a lavorare il più possibile per contrastare il ritorno della malattia.

A Auvers sur Oise Vincent soggiorna all’Auberge Ravoux (Cafè de la Maire) e trascorre molto tempo all’aperto, dipingendo incessantemente. In questi mesi nascono capolavori di una bellezza straziante come “La Chiesa di Auvers” che Wouter van der Veen così descrive: “è una dimostrazione artistica di forza. Le misure, l’ambizione, le difficoltà tecniche e l’immediato successo di esecuzione rendono indiscutibilmente questo dipinto uno dei suoi più grandi, allo stesso livello dei “Girasoli” o di “Notte Stellata sul Rodano. La scena è retroilluminata e si svolge sotto un cielo blu carico che sembra inciso sulla tela come un bassorilievo multicolore, in un perfetto contrasto di tinte e tonalità audaci e raffinate. La figura ordinaria di un passante e alcune case che rappresentano il villaggio intensificano la scena…” e come “Ritratto del dottor Gachet” dipinto nella posa della “Melancholia” di Albrecht Dürer, un’opera giocata su un sapiente utilizzo delle diverse gradazioni di blu.

Una tela di questo periodo che ha assunto un grande significato non soltanto per la tragicità che trasmette e per la potenza espressiva della quale è portatrice, ma anche perché, per molto tempo, è stata, a torto, considerata l’ultimo dipinto di Van Gogh è “Campo di grano con corvi”. La scelta di dipingere tre strade sotto un cielo cupo, pesante, materico, contraddistinto da un cromatismo scuro e opprimente e attraversato da corvi in volo che sembrano forieri di oscuri presagi, ha fatto ritenere il quadro un testamento conclusivo, tuttavia, Van Gogh allude alla sua creazione in una lettera del 10 luglio, quindi 17 giorni prima del suicidio e, nonostante, ancora oggi, non sia stato possibile datarla con certezza, è importante notare che raffigura un campo di spighe e che, quindi, è stata dipinta prima che il grano venisse tagliato. L’esistenza di altre tele che immortalano i campi di Auvers con il grano già tagliato e raccolto conferma la certezza che, nonostante il quadro evochi lo spettro della morte, non solo non è stato l’ultimo dipinto da Vincent, ma ad esso ne sono seguiti altri.

L’esercizio continuo e quasi disperato dell’arte pittorica, tuttavia, non basta ad allontanare le crisi e i periodi sereni si fanno sempre più rari fino a scomparire del tutto il 6 luglio 1890 quando Vincent ritorna a Auvers profondamente turbato e convinto di essere solo un fardello per i suoi cari. Durante la sua visita a Parigi, Theo gli è apparso, infatti, nervoso e distante, prostrato dai primi segni della sifilide, dalla preoccupazione per la salute del figlio che soffre di frequenti e inspiegabili attacchi di pianto e per gli affari.
Questa convinzione viene rafforzata dall’improvvisa partenza di Theo e Joanna per Olanda e dalla frammentarietà della corrispondenza che hanno sicuramente influito nel rafforzare nell’artista questo pensiero.La solitudine e il senso di abbandono, in quel luglio dai colori e dalla luce abbacinanti, dovevano essersi fatti sempre più gravosi per il pittore olandese che sicuramente ritrova dentro di sé e rafforza la necessità di farsi da parte, necessità che esplode e si concretizza il 27 luglio, il giorno della raffigurazione di “Radici e Tronchi d’albero”, opera che ha mantenuto, per molto tempo, intatto il proprio mistero. Oggi è ormai chiaro che questa è senza alcun dubbio l’ultima tela di Van Gogh, un’opera incompiuta, l’ultima visione di un’artista che, per tutta la vita, aveva sempre saputo andare oltre, tutto anticipando, tutto superando.

Per molto tempo, tuttavia, è parso quasi impossibile identificare il luogo raffigurato da Van Gogh fino alla recentissima scoperta di Wouter van der Veen.
La cartolina da lui analizzata che raffigura il luogo dipinto nell’ultimo quadro di Van Gogh è “Auvers sur Oise – Rue Daubigny” e mostra una strada che curva verso il basso con un ciclista di spalle fermo a causa di una gomma a terra. Alla sua destra c’è una serie impressionante di radici esposte all’aria aperta. Naturalmente, molte cose sono cambiate dall’epoca, ma gli studi condotti sul terreno e sugli alberi, i confronti e le analisi con l’opera sembrano sufficienti per poter identificare, con esattezza, l’ultimo luogo che Van Gogh ha dipinto, mentre nella sua mente si rafforzava sempre di più il desiderio di mettere fine ai suoi giorni. Questa tratto di rue Daubigny si trova a 150 metri dall’Auberge Ravoux. Probabilmente, come era solito fare tutti i giorni secondo la testimonianza di madame Ravoux, anche quel 27 luglio Vincent si alzò, uscì a dipingere e rientrò a pranzare presso l’albergo. Quel giorno era stata una giornata molto calda ed è presumibile che Vincent avesse preferito uscire all’aperto anche nel pomeriggio piuttosto che lavorare nello studio a lui fornito dai Ravoux.

Sia la testimonianza di Adeline Ravoux che quella di Paul Gachet concordano sul fatto che Van Gogh era rientrato dopo che entrambi avevano già cenato, quindi verso sera, proveniente da “dietro il castello” dove si era sparato. La stessa notizia è data al critico Aurier da Emile Bernard in una sua lettera: “Domenica sera uscì in campagna vicino a Auvers, appoggiò il cavalletto contro un pagliaio, andò dietro il castello e sparò un colpo di pistola contro se stesso”. Vincent, quindi, era uscito a dipingere anche nel pomeriggio, e “Radici e tronchi d’albero” al momento del suicidio doveva trovarsi sul cavalletto. Il dipinto era stato iniziato al mattino come affermato da Andries Bonger, ma le ultime pennellate sono state applicate nel tardo pomeriggio.
Scrive ancora Van der Ween: “Van Gogh non stava inventando l’astrazione nella pittura con questo lavoro sconcertante. Stava semplicemente facendo ciò che aveva sempre fatto: catturare la realtà di ciò che vedeva nel modo in cui desiderava vederlo”.

Antonin Artaud nel suo “Van Gogh. Il suicidato dalla società” scrive: “Van Gogh non abbellisce la vita. Ne fa un’altra”.  Non abbellisce la realtà, ne fa un’altra, dipinge la realtà che i suoi occhi colgono, vedono, osservano. Sempre Artaud: “[…] dirò che Van Gogh è pittore perché ha ricomposto la natura, che egli ha come ritraspirato e sudato, fatto schizzare a fasci sulle sue tele, a sprazzi scrocchianti di colore, la secolare frantumazione di elementi, la spaventosa pressione elementare di apostrofi, di strie, di virgole e di sbarre di cui sono composti gli aspetti naturali…”.
Anche le semplici radici di un albero erano state “ricomposte e ritraspirate” in un testamento scritto con il colore e con il sangue. L’artista era consapevole che ormai c’erano nuove radici, giovani e forti e sentiva di doversi fare da parte. Il pensiero del suicidio si era rafforzato dentro di lui, era diventata una necessità prendere la morte per andare in una stella.

“Van Gogh voleva soprattutto raggiungere finalmente quell’infinito per il quale, egli dice ci si imbarca come su un treno verso una stella, e ci si imbarca il giorno in cui si è deciso fermamente di farla finita con la vita” scrive ancora Antonin Artaud. Van der Veen, grazie a una cartolina e a quel bisogno di indagare, osservare, scoprire, di scavare nell’opera di Van Gogh e nella sua vita, ci ha svelato un mistero.  Da oggi il pellegrinaggio doloroso a Auvers sur Oise comprenderà oltre alla Chiesa, alla cameretta dove Vincent si è spento vegliato dall’amato fratello, al cimitero dove i due fratelli riposano sotto un manto di edera, anche il luogo dove Vincent ha regalato all’umanità il suo ultimo quadro. “Non tutti capiranno che il trionfo di una vita, a volte, risiede nella scelta della morte. Van Gogh era, in quel senso, forse di prematura modernità” scrive Van der Veen.E, talvolta, la morte è l’unica strada perché l’arte, diventata immensa e ingombrante, possa continuare a vivere per sempre. Solo l’arte, infatti, può sopravvivere a tutti noi.

 

Si ringraziano per la disponibilità e per le fotografie:

Dr. Wouter van der Veen e Dr Dominique-Charles Janssens – Institut Van Gogh

Dr.ssa Clara Moreno – Moreno Conseil

Al via l’anno del Rotary club Torino Duomo

Il castello di Casalborgone, recentemente riportato agli antichi splendori, è stato la cornice dell’apertura dell’anno rotariano 2020-’21 (segnato dal governatorato dell’ing. Michelangelo De Biasio)del Rotary Club TORINO DUOMO

Il Castello di Casalborgone vanta una storia millenaria che risale al 999, ricca di avvenimenti e contraddistinta dall’avvicendarsi di famiglie nobiliari, eventi bellici e influenze diverse, per approdare in quest’ultimo anno ad un completo rinnovamento ad opera del suo nuovo proprietario.

Mercoledì 22 luglio scorso il castello non poteva costituire una cornice più adatta ad accogliere la serata che ha sancito l’inizio dell’anno rotariano 2020-2021 del Rotary Club TORINO DUOMO, la cui presidenza è stata affidata al M° Antonmario Semolini, personalità nativa di Siena, ma ormai di adozione torinese, molto conosciuta nel panorama culturale e musicale subalpino e non solo italiano, spesso anche sul podio dell’Orchestra dei Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni nel Duomo di Torino.

“La serata ha raggiunto momenti di grande intensità – spiega il neopresidente del Rotary Torino Duomo,  M° Antonmario Semolini –  quando sono stati accolti due nuovi soci ai quali ha fatto seguito il padre di due giovanissimi dirigenti del Club, un granduomo la cui generosità e affetto nei confronti dell’umana sofferenza erano da tempo noti e che gli anno valso l’iscrizione a Socio Onorario; ma soprattutto quando, accogliendo nelle file del Torino Duomo la giovane concertista Enrica Pellegrini, sono stato colto da autentica e palese commozione rievocando la figura di un nostro giovane amico di Conservatorio che, parecchi anni or sono, aveva volontariamente intrapreso il cammino del non ritorno…”.

“La serata è poi proseguita – aggiunge il Presidente Antonmario Semolini – con l’interessante visita a questo maniero, coronata da una piacevole sorpresa: la neo socia s’è seduta al pianoforte posto al centro dell’immenso salone d’onore e ha regalato ai presenti una toccante interpretazione dell’Intermezzo op. 118 n. 2 di Brahms. Questo entracte musicale invera ulteriormente la missione di questo bel Club vocato alla cultura (non a caso tra i Soci onorari ne troviamo grandissimi esponenti!…). Come allora non ricordare l’attivazione di una biblioteca d’arte nel Museo Diocesano o il restauro del celebre “Paliotto” del Paroletto, che si trova nello stesso Museo, al quale ha fatto seguito, l’anno scorso, la nascita della rivista mensile del club “Il Paliotto”, e l’aver posto all’attenzione del Distretto 2031 la necessità d’un restauro conservativo per “L’Ultima Cena” del Gagna, presente in Cattedrale? ”

“Con una quota annua – conclude il M° Semolini –  che non eccede il costo di due caffè giornalieri, questo “sodalizio della volontà”, come ebbe a definire il Rotary Gabriele D’Annunzio, si pone indubbiamente all’attenzione soprattutto dei giovani i quali, anche con un minimo reddito derivatogli da un’attività lavorativa, potranno far parte della più importante associazione di servizio e intraprendere il fascinoso cammino verso la filantropia, con un giusto richiamo all’arte e alla sua spiritualità”.

Mara Martellotta

Per informazioni: rc.torinoduomo@gmail.com

Nelle due fotografie il presidente Semolini con la giovanissima (25 anni) prefetto del Club, Paola Angela Battigaglia e con l’assistente – per il gruppo 8 – del governatore De Biasio, Liliana Remolif.

 

Riapre il forte Bramafam

Il Museo Forte Bramafam riapre a Bardonecchia, per la stagione 2020. Un anno che segna anche i 25 anni della rinascita della fortezza: da rudere abbandonato a quello che oggi è un Museo di Storia Militare fra i più apprezzati e conosciuti d’Europa, interamento curato dall’A.S.S.A.M. (Associazione per gli Studi di Storia e Architettura Militare)

La stagione di visite 2020 – inizia il 1° agosto – con nuovi allestimenti e mostre – e continuerà sino a ottobre.

La nuova vita del Forte Bramafam in Alta Val Susa iniziava infatti il 18 maggio 1995, quando Pier Giorgio Corino – oggi  direttore del Museo e ideatore e progettista  dell’impianto museale – a nome dell’A.S.S.A.M. direttore del Museo e curatore degli allestimenti museali, prendeva formale consegna dal Demanio, sulla piazza d’armi, di ciò che restava del Forte, vilipeso da decenni di abbandono e saccheggio.

Una ricorrenza che si sarebbe voluta celebrare in modo adeguato, ma che la pandemia ha impedito, ritardando invece la tradizionale apertura estiva prevista a giugno.

L’isola del libro

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Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Giorgio  Fontana   “Prima di noi”    -Sellerio-  euro  22,00

E’ la lettera di un’antenata che “..dall’altro capo del tempo” svela a una pronipote l’origine della sua stirpe; ed è immensa e magnifica questa saga che racconta un secolo di storia di una famiglia friulana che non ha compiuto epiche imprese, ma ha attraversato con tenacia e modestia gli anni.

Sono i Sartori e tutto ha inizio nel 1917, sul Tagliamento, quando il fante Maurizio diserta e si rifugia nel casolare dei contadini Tassan. Mette incinta la loro figlia 16enne Nadia, scappa alla notizia della gravidanza, salvo poi essere recuperato dal padre della ragazza e costretto a un matrimonio riparatore. La loro genia è nata da una vigliaccata oppure questa unione era davvero basata sull’amore?  Tranquilli …lo scoprirete leggendo fino alla fine questo romanzo fiume che vi trascina attraverso le vicende dei discendenti.

I figli di Nadia, Gabriele, Renzo e Domenico, tre fratelli molto diversi tra loro e con traiettorie di vita altrettanto divergenti; così come la loro progenie di cui seguirete i destini, affezionandovi all’uno o all’altro.

Gabriele è l’intellettuale amante della poesia, e dal suo matrimonio con la colta Margherita nascono Davide (colpito dalla polio da piccolo, diventa fotografo errabondo che flirta con la fama) ed Eloisa.

Renzo è saldatore in una fabbrica, in prima linea nei cortei comunisti, sposato con Teresa che però tradisce con una giornalista in carriera.

Domenico è l’anima semplice amata da tutti, ma dal destino ingiusto.

Poi ci sono le variegate vicende terrene di figli, nipoti e pronipoti. Un affresco corale lungo 4 generazioni dei Sartori, sullo sfondo dell’Italia e delle sue vicende storiche che amalgamano o disperdono i membri di questa famiglia, raccontata fino ai giorni nostri. Tra sogni, fatiche, sfide, successi e delusioni, nascite, malattie, vecchiaie e morti che si ricompongono e ricollegano in un finale struggente. Un grande romanzo italiano in cui si cimenta con successo Giorgio Fontana, vincitore del Premio Campiello nel 2014 con “Morte  di un uomo felice”.

 

Ocean Vuong  “Brevemente risplendiamo  sulla terra”   -La Nave di  Teseo –  euro 18,00

Questo libro è l’esordio nella narrativa del poeta 31enne Ocean Vuong, ed è la lunga lettera che scrive alla madre che non potrà mai leggerla. Entrambi sono vietnamiti emigrati in America quando lui aveva solo due anni; la mamma Rose -figlia di un soldato americano che nel 1967 in Vietnam aveva incontrato una contadina- è fuggita dalla miseria del suo paese devastato ed è planata in una cittadina del Connecticut insieme al piccolo Little Dog.

Ma integrarsi non è facile. Lei soffre di stress post-traumatico che sfoga sul figlio in una pericolante altalena che oscilla tra scoppi di ira, violenza e botte ed altri momenti, invece, intrisi di profonda tenerezza. Non impara la nuova lingua e sbarca il lunario ammazzandosi di lavoro in un salone di bellezza dove fa manicure e pedicure. Tanta fatica per fare studiare suo figlio e aprirgli strade più ampie e gratificanti.

Con loro abita anche nonna Lan, che significa “Orchidea”, ed è il nome che si è data da sola perché in famiglia era semplicemente chiamata “Sette”, ovvero il numero nell’ordine in cui era venuta al mondo dopo fratelli e sorelle. Neppure la sua esistenza è stata facile: tra guerra del Vietnam, fuga da un matrimonio odioso e combinato con un uomo molto più vecchio, costretta a mantenersi vendendo il suo giovane corpo esotico ai soldati americani.

Little Dog cresce in questa famiglia di donne, fa parte della seconda generazione di immigrati e vuole in qualche modo essere conosciuto, non occultato e sommerso in una moltitudine opaca.

Ma non finisce qui la sua crescita. Passa attraverso la scoperta dell’omosessualità, dapprima vissuta malamente, poi accettata; la narrazione del sesso senza mezzi termini e l’incontro con l’amore di un compagno.

E soprattutto impara a dominare la lingua del nuovo mondo che usa in letteratura per salvarsi e chiamare le cose col loro nome. Per aiutare la nonna e la madre che invece si ostinano a pensare e dialogare in vietnamita, per farle rispettare e per capire meglio anche il mondo dei bulli che lo insultano con termini che fanno male, come “checca” e “obbrobrio”.

 

John  Hart    “Il rito del fuoco”   -Nutrimenti-   euro   20,00

E’ il quinto romanzo dello scrittore americano che al suo attivo ne ha 6, pubblicati in 70 paesi; due volte vincitore del prestigioso Edgar Award, e di numerosi altri premi. Diciamo subito che è un thriller ad alto impatto sul lettore, sullo sfondo della provincia rurale americana, scritto con un ritmo che sarebbe perfetto per un film.

Protagonista è Johnny Merrimon, appena 13 anni e già tanto dolore nelle viscere e nella sua esistenza. La sua sorellina gemella, Alyssa, è scomparsa da un anno, rapita mentre tornava da scuola e di lei non si è più trovato neanche il corpo.

Una tragedia che ha spezzato la famiglia: il padre non ha retto e se n’è andato lontano, mentre la bellissima madre 33enne, Katherine, si è lasciata andare al dolore, ai farmaci, all’alcol e all’intontimento.

Ora lei e Johnny vivono come ostaggi in una sorta di catapecchia insieme a Ken, uomo brutale e violento, ex dipendente del padre dei gemelli che era appaltatore, per il quale aveva costruito interi quartieri. Adesso è lui che comanda, ricco sfondato e influente, uso ad alzare le mani sulla donna e il ragazzino che tratta come povere bestie

Tutti in paese sanno cosa accade tra quelle mura, ma l’unico che cerca con tutte le sue forze di aiutarli è il detective Clyde Hunt, sensibile al fascino e alla tragedia di Catherine, piegato dal senso di colpa per non aver riportato a casa la piccola.

Il più ostinato di tutti però è Johnny che continua a credere che Alyssa sia ancora viva e per scoprire la sua sorte si immerge a capofitto in insidiose avventure: guida l’auto della madre, percorre in lungo e in largo la contea, incontra personaggi pericolosi, raccoglie indizi e bazzica in luoghi poco raccomandabili.

La trama si infittisce quando un’altra bambina, Tiffany, viene rapita e la vicenda si complica. Per un caso del destino John è testimone di un assassinio e coglie le ultime parole soffocate della vittima che prima di morire dirà qualcosa che apre nuovi spiragli…..