CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 438

Ezra Pound e la musica nel libro di Mattia Rossi a LibrInValle

Un terreno ancora inesplorato: il rapporto di Ezra Pound con la musica nel libro di Mattia Rossi a LibrInValle il 5 novembre a Moncalvo

Il settimo appuntamento di ‘LibrInValle’, rassegna letteraria itinerante dell’Unione dei Comuni della Valcerrina-Area Cultura nasce grazie alla collaborazione con l’Associazione Aleramo Onlus ed il Comune di Moncalvo. Venerdì 5 novembre, alle ore 17.30, nel Polo culturale museale della Città Aleramica, con ingresso da piazza Buronzo, verrà presentato il libro di Mattia Rossi, ‘Ezra Pound e la musica – Da Omero a Beethoven’, libro edito per i tipi di Eclettica Edizioni nella collana Secolo Breve. La presentazione nasce dal protocollo d’intesa tra l’Unione Valcerrina ed il Comune di Moncalvo per la collaborazione in campo culturale e turistico della Città di Moncalvo e del territorio valcerrinese e grazie alla sensibilità di Aleramo Onlus. I lavori verranno introdotti dal presidente di Aleramo Onlus, Maria Rita Mottola, poi il consigliere delegato alla cultura dell’Unione Valcerrina Massimo Iaretti, dialogherà con Mattia Rossi. L’autore riscopre il legame con la musica che per il poeta americano non fu affatto secondario. Nell’excursus di questo rapporto tra le due arti, musica e letteratura,che durerà per tutta la vita dello scrittore, vengono approfondite le varie fasi di approccio alla Musa, dallo studio della musica sacra, alle recensioni di Pound come critico musicale prima, come saggista musicale poi, alle sue composizioni, all’organizzazione dei concerti a Rapallo, con gli ‘Amici del Tigullio’, all’importante e decisivo ruolo avuto nella riscoperta di Vivaldi  Mattia Rossi, in questo scritto, unisce la capacità comunicativa diretta propria del giornalista con la conoscenza della materia del critico musicale. Ha, infatti pubblicato studi ed articoli specialistici sul canto gregoriano, sulla musica trobadorica, sulla musica nella Commedia di Dante in diverse testate nazionali ed internazionali.

 

100 anni di Barba Toni

E’ passato un secolo dalla nascita di Tòni Bodrìe, uno dei più grandi poeti in lingua d’oc e in lingua piemontese del 900.

‘Barba Tòni’ nacque a Frassino, in Val Varaita, nel cuore del Piemont più ‘genìt’. Era un uomo rustico di montagna, ma anche un grande letterato. Si laureò in lettere all’università degli studi di Torino. Fu docente di storia dell’arte nei licei e direttore della Biblioteca Civica di Saluzzo.
Dedicò tutta la sua vita alla riscoperta e alla difesa delle culture naturali, d’amont e dell’òm servaj, minacciato dalla massificazione e dall’omologazione globale.
I suoi versi erano raffinati, il suo lessico ricco e ricercato, amava usare giochi di parole, ossimori, rime rare e complesse. Barba Tòni era una sorta di giocoliere delle parole, che innestava sulla koiné millenaria piemontese le varianti tipiche cuneesi.
Le tematiche che trattava maggiormente erano la natura, le montagne e la preservazione di un certo mondo incontaminato e armonioso come quello delle vallate alpine, facendo emergere in certi casi sfumature antiprogressiste e antiurbaniste.
Sul piano più politico Barba Tòni, dopo essere stato influenzato in gioventù dalle idee ‘occitaniste’, sposò in seguito il piemontesismo, cogliendo quella che era l’anima storica più profonda e intima del Piemont: quella del Piemont come ‘pais’, come nazione, come patria sovrana, punto di incontro delle culture transalpine, padane e italiche.
Un Piemont che trovava collocazione, secondo la visione del poeta, in un’Europa federale di ‘villaggi e città e non degli stati’.
Idee e visioni che oggi, in un mondo nichilista e omologato, minacciato da crisi sanitarie, economiche e ambientali, dominato da superpotenze globali, con un’Europa debole, in declino, lacerata da spinte neonazionaliste, neocentraliste, ‘sovraniste’, andrebbero certamente riscoperte. Ne trarremmo tutti beneficio.
Milian Giaco Racca, Liberi Elettori Piemonte
Milian Racca

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Giancarlo Marinelli “11” -La nave di Teseo- euro 18,00

Potremmo definirlo un romanzo corale in cui Marinelli ricostruisce 30 ore che precedono l’attacco alle Torri Gemelle e lo fa attraverso spezzoni di vita in cui si intrecciano più voci. Una sorta di polifonia, narrata con ritmo cinematografico e che mette insieme un caleidoscopio di personaggi.
20 anni dopo tutti ricordiamo il peggior attacco terroristico che ha cambiato il mondo. Alle 8,45 dell’11 settembre 2001 un aereo di linea si schianta contro la Torre Nord scatenando l’inferno; alle 9,03 un secondo aereo si infila in quella Sud; alle 9,37 un terzo colpisce il Pentagono. E’ il peggior attacco non solo agli Stati Uniti ma a tutto l’occidente. A scatenarlo è al Qaeda.
Alle 9,59 la torre Sud crolla in un gigantesco tornado di polvere, distruzione e morte; e poco dopo tocca alla torre Nord; e alle 10,03 il volo United 93 si schianta al suolo, a Shanksville in Pennsylvania. Dei passeggeri che avevano cercato di sventare l’attentato resta ben poco… l’esplosione li ha disintegrati.
Il bilancio delle vittime è agghiacciante. Muoiono 2977 persone; i feriti sono più di 6000.
Ma Giancarlo Marinelli fa un passo indietro nel tempo che precede la tragedia: dalle 2,12 di notte del 20 settembre alle 9,06 del mattino dopo. E’ questo l’arco temporale in cui ricompone le vite di vari personaggi, da quelli più famosi a quelli sconosciuti; e sono tutti reali.
Tra loro, il presidente americano George W. Bush alcolista pentito ma sempre sulla soglia della tentazione; la moglie Laura alle prese con tragedie del suo passato; la consigliera per la sicurezza nazionale Condoleezza Rice.
Lo scrittore Harold Pinter che pronuncia un discorso spinoso contro gli Stati Uniti mentre sta per ricevere la laurea honoris causa all’ateneo di Firenze.

Poi ci sono padre Mychal Judge, prima vittima certificata che seguì i pompieri all’interno delle Twin Towers; Konstantin Petrov, giovane esule estone che fa l’elettricista al piano 106 della torre Nord e con la sua macchina fotografica immortala oggetti minimi del cuore finanziario della Grande Mela.

E ancora, tra gli altri, Alia Ghanem, madre di Osama Bin Laden che nel nulla del deserto afghano attende di incontrare il diabolico figlio.

Un’angolazione inedita da cui guardare la peggior tragedia del nostro tempo, e un libro dai tratti epici e commoventi.

 

Ana Maria Matute “Ricordo di un’ isola” -Fazi Editore- euro 17,00

L’autrice, nata a Barcellona nel 1925 e morta nel 2014, è una delle scrittrici più importanti del 900 spagnolo; ha iniziato a scrivere all’età di 16 anni e da allora non si è più fermata. Ha vinto numerosi premi prestigiosi ed è stata anche candidata al Nobel.
“Ricordo di un’isola” è del 1959, ed è il primo volume di una trilogia che ora Fazi ha il grande merito di portare in Italia.
E’ un romanzo di formazione ambientato durante un’estate nell’isola di Maiorca. E’ lì, lontano dagli echi della guerra civile spagnola che viene spedita la giovane Matia. E’ un’adolescente in piena ribellione. E’ stata espulsa dal convento in cui studiava per aver sferrato un calcio alla priora; è orfana di madre ed abbandonata dal padre.
L’estate che l’aspetta la vede ospite della ricca nonna sull’isola di Maiorca, dove divide spazio e tempo con la zia Emilia e soprattutto con il cugino Borja.
Lui ha 15 anni, la tempra del furfantello imbroglione, è incline alla tristezza e bravissimo nel dissimulare con la nonna i suoi veri sentimenti.
Matia ha 14 anni, anela ad essere amata e in qualche modo finisce soggiogata dal cugino; entrambi si sentono fuori posto e soprattutto si annoiano a morte.
Così tra lezioni private, sigarette fumate di nascosto e fughe in barca verso antri nascosti ammazzano il tedio, inanellando una scorribanda dopo l’altra, insieme ad altri ragazzini costretti come loro sull’isola.
Tra i vari giovani del luogo Matia è attratta soprattutto da Manuel, che è di una famiglia tenuta un po’ ai margini della vita isolana. Cosa provi esattamente per lui è cosa che scoprirete leggendo, così come vi addentrerete in un racconto che sviscera la ribellione adolescenziale, il senso di abbandono, la difficoltà di crescere e la perdita dell’innocenza che prelude a un’età più matura, in cui non tutto è bene.

Roberto Cotroneo “Loro” -Neri Pozza- euro 17,00

Ha pennellate gotiche questo enigmatico romanzo in cui Cotroneo mette a fuoco un concetto a lui caro, quello del bene e del male. E lo fa imbastendo una storia in cui compaiono fantasmi e misteri.
Dal diario che Margherita scrive dall’Australia, -dove ha ripreso e sta completando gli studi universitari-emerge la cronaca di una sua inquietante esperienza precedente, nell’estate del 2018.

Racconta di quando è stata assunta come istitutrice di due gemelle di 10 anni, Lucrezia e Lavinia Ordelaffi. Appartengono ad una famiglia aristocratica e vivono in una villa di vetro: unica e prestigiosa, priva di muri esterni, progettata da un architetto famoso, immersa in un parco alle porte di Roma.
E lì che Margherita deve badare alle bimbe, bionde, bellissime, molto dotate e intelligenti. Talmente identiche che persino i genitori a volte stentano a riconoscerle; ma soprattutto misteriose e a tratti decisamente inquietanti.

E’ la loro madre, Alessandra –altro personaggio che riserverà sorprese- che spiega a Margherita quello che dovrà fare. Insegnare alle gemelle due lingue straniere, impartire lezioni di pianoforte a Lucrezia; perfezionare l’attività agonistica di Lavinia, particolarmente portata per l’equitazione.
A prima vista sembra facile, però le bambine monozigoti hanno un mondo privato ed esclusivo: hanno codici e segreti che solo loro possono decodificare. E c’è’ di più…….

Margherita si troverà di fronte a fenomeni inspiegabili, presenze misteriose, apparizioni e scomparse, sulla soglia di un altro mondo e con lo spettro di morti antiche che forse sono tornate per vendicarsi.
A confondere le idee si metteranno anche altri personaggi (dipendenti della famiglia) e soprattutto il padrone di casa Umberto che adora e vizia le figlie e porta ulteriore scompiglio nel cuore e nella mente di Margherita.

Ps. La bellezza della copertina merita un approfondimento. La foto è dell’artista olandese Gemmy Woud- Binnendijk che riproduce -in foto magnifiche- pose, costumi, gioielli, luci e atmosfere dei dipinti antichi, soprattutto del XVII secolo. Andate a vedere il suo sito e scoprirete un mondo di bellezza, lontano ma allo stesso tempo genialmente contemporaneo.

 

 

Alberto Angela “L’inferno su Roma” -Harper’s Collins- euro 19,50

Non ha bisogno di presentazione Alberto Angela, giornalista, paleontologo, naturalista e, tra le altre cose, conduttore di programmi di successo di divulgazione storica e scientifica.
Questo libro è il secondo della trilogia su Nerone; segue “L’ultimo giorno di Roma” del 2020, e narra il grande incendio che distrusse l’urbe, dall’innesco sabato 18 luglio del 64 D.C. fino al nono giorno, il 27 luglio.
Ci ricorda che la maggior parte degli storici concordano nell’affermare che l’incendio non è imputabile a Nerone, e ricostruisce anche la genesi dell’idea dell’imperatore incendiario.

Angela ripercorre come in un romanzo, scorrevole e appassionante, una tragedia che è stata studiata a fondo, ma che presenta ancora parti lacunose. E lo fa con un approccio interdisciplinare che include dati archeologici, storici; inoltre ha coinvolto vari esperti e studiosi, dai meteorologi ai vigili del fuoco.
La narrazione vi catapulta nelle strade romane dell’epoca, lungo la via dei “vestiarii” che costeggia il Circo Massimo: la concentrazione di legname più grande della città, una bomba incendiaria pronta ad esplodere.

Tutto parte da un banale incidente. Una giovane schiava tenta di sfuggire alla presa del suo padrone ubriaco che inavvertitamente urta una lucerna e la fa cadere: da un’esile fiammella il fuoco inizia a crescere. Lingue di fuoco avvolgono il Circo Massimo. L’incendio divampa, alimentato dal vento e divora tutto quello che incontra. E’ l’inizio della fine di Roma ed entra di diritto nelle pagine di Storia.
Alberto Angela è magistrale nel raccontarvi i fatti e farvi sentire come se foste presenti, spettatori della tragedia, che lui sa ricostruire come in un set che appassiona dall’inizio alla fine.

 

Juan Gómez – Jurado “Regina Rossa” -Darkside Fazi Editore- euro 18,00”

Questo volume è il primo di una trilogia e in Spagna è al vertice delle classifiche e delle vendite. Non è il primo libro scritto dal giornalista radiotelevisivo Juan Gómez –Jurado (l’esordio fu un thriller vaticano “La spia di Dio”, pubblicato da Longanesi nel 2006), ma è il primo suo grande successo. Per scrivere “Regina Rossa” ha impiegato tre anni, fatto ricerche, consultato esperti e il risultato di tanto lavoro si vede.
Gran parte del merito consiste in una scrittura veloce, quasi visiva, continui colpi di scena e una trama accattivante.
Ma il vero colpo da maestro è la protagonista Antonia Scott. Non una poliziotta, né una criminologa; non porta armi né distintivi ma ha un quoziente intellettivo eccezionale ed ha risolto decine di casi. Capisce subito più cose immediatamente, forse troppe e a volte rischia di andare in tilt.
Non sente gli odori, in passato ha avuto qualche inciampo e la sua dose di sofferenza.
Intelligentissima, ora attraversa una crisi senza fondo. Si porta dietro il peso di un marito in coma e un figlio affidato a suo padre che è un ambasciatore inglese piuttosto cinico. E dettaglio non trascurabile….ogni giorno pensa al suicidio per almeno 3 minuti che però l’ancorano alla terra.

A stanarla dal suo volontario isolamento è l’ispettore della Polizia nazionale di Bilbao, Jon Gutiérrez: omosessuale sovrappeso, dotato di una sensibilità che non sopporta le ingiustizie e finito nei guai per aver seguito il suo buon cuore ed aiutato una prostituta.

I due diventano alleati, reclutati da un’unità segreta della polizia spagnola che lavora sottotraccia, e devono risolvere 2 casi legati al mondo miliardario del lusso e dell’alta finanza.
Lo spietato omicidio di un ragazzo –non vi dico come è stato ucciso, ma la scena è magistrale- figlio della presidentessa della banca più grande d’Europa.
Lavorano anche al sequestro della figlia di uno degli imprenditori più ricchi al mondo –e anche in questo caso resterete inchiodati alle pagine.

Un omaggio alle donne afghane, alla disperazione, al desiderio di libertà

“Solo con gli occhi”, alla Galleria “Arte per Voi” di Avigliana, sino al 12 dicembre

“Solo con gli occhi. Dedicato alle donne afghane” si intitola la mostra che la Galleria “Arte per Voi” di Avigliana presenta nei suoi locali sino a domenica 12 dicembre (orario di apertura sabato e domenica dalle 15 alle 19), a cura di Luigi Castagna e Giuliana Cusino. La presenza di venti artisti per osservare e comprendere, attraverso lo sguardo delle donne afghane, ormai atterrito, rattristato, infelice, consapevole, da cui sembra cancellata ogni traccia di speranza, la realtà disperatamente tragica del momento. Un paese lontano sulla carta geografica, ma una quotidianità che, nella negazione dei diritti, dalla famiglia all’istruzione alla vita pubblica, nella consapevolezza di un mondo e di una società che stanno per essere annientati inesorabilmente e definitivamente, ce lo rende vicino. “Cinquant’anni fa le donne afghane potevano perseguire una carriera nel campo della medicina – ricorda Donatella Avanzo, archeologa e storica dell’arte -, uomini e donne si mescolavano nei teatri e nei campus universitari a Kabul; nelle fabbriche fuori dalla città si producevano tessuti e altri prodotti di serie… oggi che fine hanno fatto le studentesse della facoltà di medicina che si laurearono con la mantella nera e il tocco sulla testa, le hostess dell’Ariana Afghan Airlines, le giocatrici della squadra di calcio, la ministra della salute, la responsabile dell’istruzione nelle campagne…”.

Anche una mostra d’arte può essere “partecipazione”. Impieghiamo tecniche personali, le più diverse, cerchiamo di guardare dentro quegli occhi, in tutta la loro profondità, ricordiamo la saggezza e la felicità di un tempo, diamo vita ai volti oscurati, alle sensazioni e alle emozioni, ai dolori che crescono di giorno in giorno e alle fughe sperate, alle urla e alle marce di quelle donne che ancora tentano la loro flebile rivoluzione, ma fino a quando?, alla nutrizione che viene sempre meno e ai volti dei bambini che cercano cibo, allo strazio di quelle madri e di quei padri costretti a vendere un figlio per poter sfamare gli altri rimasti a casa. Affidiamo allora a venti artisti, con la scultura, con l’acquerello, con la pittura, con la ceramica raku, l’idea e il compito di guardare a quell’universo femminile. Sono Franca Baralis, Ines Daniela Bertolino, Nadia Brunori, Raffaella Brusaglino, Luca Ciavarella, Luisella Cottino (di rilievo il suo acquerello “Non solo macchie blu”, la fuga di tre donne in un oscuro paesaggio di solitudine e rovine), Giuliana Cusino (i suoi colori – “Dalla finestra” – anche nella forzata reclusione), Piero Della Betta, Elisa Donetti, Maria José Etzi, Giuseppe Garau, Sonia Girotto, Susanna Locatelli (“Fatima”, una terracotta), Enrico Massimino, Mahtab Moosavi (significativa l’idea arabeggiante e soprattutto prosciugata di “Guardami” e “Abbandonatemi”), Patrizia Moretti, Oscar Pennacino, Elena Piacentini (ancora una fuga, in un panorama che sa di guerra e distruzione, di una madre con i suoi figli), Mara Tonso e Nino Ventura.

Elio Rabbione

nelle immagini:

Luisella Cottino, “Non solo macchie blu”, acquerello, cm 40 x 26, 2021

Giuliana Cusino, “Dalla finestra”, ceramica raku su legno, cm 142 x 72, 2021

Mahtab Moosavi, “Guardami”, ceramica raku, cm 33 x 24, 2021

Il Caso Diabolich, assassino misterioso nella Torino Anni ‘50

Era il 14 febbraio 1958, l’ultimo giorno in cui Mario Giliberti, ventisettenne, dipendente Fiat che abitava in quel di Vanchiglia, storico quartiere di Torino, venne visto al bar del piccolo borgo ordinare due caffè. Undici giorni dopo si scoprì il suo cadavere, nella sistemazione trovata per lui da uno zio, nel retrobottega di un vecchio calzolaio, in via Fontanesi 20  Perché venne scelto proprio lui come vittima? Chi era Mario Giliberti? La risposta è sempre stata più o meno unanime: Mario Giliberti era un meridionale, arrivato a Torino l’anno prima. Aveva svolto qualche impiego saltuario per poi finalmente aver realizzato il sogno di molti dell’epoca: essere assunto in fabbrica.

***

Schivo, silenzioso, un uomo che non amava l’attenzione su di sé. Con il proseguire delle

indagini,però, la sua figura si colorerà di mistero. Ma andiamo avanti con i fatti. Il corpo fu ritrovato il 25 febbraio, quando un dirigente della Fiat, preoccupato delle ripetute assenze sul posto di lavoro,si recò a casa del giovane per accertarsi che non fosse successo nulla di grave. Qualcosa di grave, invece, era successo: Mario giaceva sul letto in una pozza di sangue, con il segno di diciotto coltellate al petto. Con la scoperta del cadavere, cominciarono a delinearsi i pezzi di quel puzzle, la cui soluzione,per mesi e anni, assillò la polizia, i giornalisti, le strade, gli angoli dei bar, i ballatoi di periferia, le piazze e di cui, ancora oggi, si vocifera. Eh già, perché accanto al corpo, ormai maleodorante, fu ritrovato un biglietto con su scritto: “Troverete l’ASSINO”. Non è un errore di battitura, l’omicida aveva davvero scritto ASSINO. Altro pezzo di questo puzzle misterioso fu la telefonata arrivata, il giorno prima il ritrovamento del corpo, al quotidiano “Stampa Sera”. Una voce, con chiaro accento del Sud Italia, diceva:“Ho ucciso un uomo sulla via di Po”. I giornalisti non diedero peso a quella voce, troppo confusa, troppo vaga. Ma, fortunatamente, l’assassino era un tipo impaziente e quindi lo stesso 25 febbraio fece recapitare una lettera sia al giornale che al Commissariato di   Borgo Po.

Nel biglietto, fu proprio lui a fornire, nascosto tra le parole, l’indirizzo per il ritrovamento del corpo, firmandosi con il nome Diabolich. Di questa vicenda se n’è parlato a lungo. Il killer spietato di Via Fontanesi ha ispirato il famoso fumetto Diabolik, probabilmente ha ispirato anche il “collega” d’oltreoceano Zodiac, ma, soprattutto l’omicida ha fatto tanto parlare di sé per la bravura con cui si è preso gioco delle Forze dell’Ordine. Ma è stata davvero tutta bravura? Se Diabolich avesse compiuto oggi il suo “delitto perfetto” probabilmente non sarebbe stato così bravo.

 Gli investigatori dell’epoca non avevano gli strumenti tecnici per poter analizzare accuratamente le prove, avevano sì l’intuito, ma se questo si plasma all’interno di una cultura chiusa e perbenista, diventa difficile seguirlo. On line ci sono molti articoli che parlano di questo delitto; Maurizio Ternavasio ha scritto anche un libro interessantissimo su questa vicenda. In questa sede proviamo a farci una semplice domanda: perché l’assassino non è mai stato catturato? Aldo Cugini fu arrestato e per ben quattro mesi e mezzo rimase in prigione come presunto colpevole di questa brutale uccisione. La sua colpa fu quella di aver fatto il militare con la vittima, e di avergli scritto una dedica su di una foto che li ritraeva entrambi sorridenti e che fu ritrovata nel portafogli di Mario Giliberti. Si è supposta una relazione omosessuale tra i due avvalorata anche dalla scoperta di un vasetto di vasellina sulla scena del crimine e dal soprannome con cui i due, più una terza persona mai identificata, venivano chiamati dai compagni d’armi: le tre monachelle. Ma mentre Cugini era in carcere, Diabolich continuò a spedire lettere, in cui non solo cercava di scagionare l’uomo che avevano arrestato, ma attraverso le quali voleva farsi scoprire. Ma, facciamo un piccolo passo indietro. La vittima. Chi era? Mario Giliberti aveva “firmato”un bel po’ di volte. I ragazzi dell’epoca, senza occupazione, giravano di caserma in caserma e nel frattempo, oltre a dare il proprio Servizio alla Nazione, avevano pure vitto e alloggio gratuito. Fu scoperto, però, che il ragazzo di origini foggiane, aveva un bel gruzzoletto da parte e sulla scena del crimine vennero ritrovati dei buoni postali tagliuzzati e gettati sul pavimento, il cui ammontare era di circa 200 mila lire. Il ragazzo schivo e riservato aveva sempre una catenina al collo, mai più ritrovata e una fidanzata, residente a Lodi, di cui nessuno ha mai parlato se non con un accenno. L’assassino, nella sua prima lettera, parla di un torto subito. Con molta probabilità i due si conoscevano molto bene e di sicuro non è da escludere che avessero anche una relazione amorosa. Ma se il torto fosse stato non legato alla gelosia? La pista seguita dagli inquirenti dell’epoca e il movente attribuito ad Aldo Cugini fu, appunto, quello di un diverbio finito “molto”male perché il presunto assassino non voleva che la vittima raccontasse della loro tresca. Inoltre Aldo Cugini era una persona benestante, quindi con molta probabilità era anche ricattato economicamente dalla vittima. Le conoscenze odierne in ambito psico-criminologico ci suggeriscono che i delitti d’impeto, dettati dalla rabbia, dal tentativo di rivalsa sull’altro non hanno un modus operandi così lucido. Per quanto Aldo Cugini fosse stato in grado di premeditare il tutto, il grado di coinvolgimento nella storia e la preoccupazione dettata dagli scheletri che continuavano a popolare il suo armadio nonostante l’ingombrante presenza di un morto, non gli avrebbero permesso di essere così sprezzante e temerario tanto da instaurare un gioco con la polizia ed i giornali. Il killer è estremamente lucido, narcisista. Sente il bisogno inconscio di dire “Ci sono, e mi sto prendendo gioco di voi”. L’unica impronta non appartenente alla vittima ritrovata sulla scena del crimine, con molta probabilità seppur inserita nei database odierni della Polizia, non troverebbe nessun riscontro, perché una personalità come quella di Diabolich è poco ipotizzabile abbia ucciso nuovamente. In una sua lettera è proprio lui a dirlo: “Il mio delitto non è un gioco da ripetersi”. Come molti colleghi ed esperti hanno precisato, di sicuro l’intero piano delittuoso si è ispirato al libro di Italo Fasan, Uccidevano di Notte, pubblicato nel 1957. Ma dalla semplice riproduzione di una trama ispiratrice, l’intera vicenda si è trasformata in qualcosa di più grande. Diabolich non è più l’uomo vendicativo che cerca di dissetare la propria sete di sangue. I crimini, il cui movente è la vendetta, solitamente rappresentano il culmine, il punto finale in cui si vuole arrivare. Ma il delitto di via Fontanesi ha rappresentato per Diabolich il punto di partenza. Ci troviamo di fronte ad un uomo fortemente comunicativo che, attraverso le sue missive, racconta al mondo della sua bravura, della sua audacia. Questo ricalcare continuamente la “perfezione” dell’intero piano omicida attuato, potrebbe far pensare ad un uomo le cui potenzialità non sono mai state espresse o riconosciute nella quotidianità della vita. Un uomo che necessita di ribadire più volte quanto sia intelligente. Un uomo che di sicuro è intelligente e furbo, ma che ha bisogno di dirlo, probabilmente perché nessuno glielo ha mai detto. E probabilmente il primo a non averlo fatto è stato proprio Mario Giliberti. Analizzando il primo biglietto da lui inviato (riportato nell’immagine) si evince dal suo modo di scrivere che l’estetismo, il modo in cui “si appare” è un aspetto da lui molto curato. La tendenza a distaccare le lettere (con molta probabilità dettata anche dal fatto di voler essere chiaro agli occhi di chi leggeva) potrebbe nascondere un alto grado di diffidenza verso il prossimo, nonché precisione maniacale. L’ulteriore sottolineatura al proprio ego si evince dall’aver voluto scrivere le parole “Mio Delitto” entrambe con lettera maiuscola. Sono numerose le indicazioni che l’occhio attento e critico può riscontrare leggendo semplicemente i suoi scritti , acquisendo così ulteriori elementi al fine di delineare un profilo dell’omicida che, all’epoca, avrebbe permesso di prevedere le sue mosse. Uno dei motivi per cui, con molta probabilità, Diabolich non è mai stato catturato è perché in lui ha vinto la voglia di perfezione al gioco, ha vinto l’ombra alla luce e si è fermato. Inizialmente, dall’iter messo in atto, è visibile il desiderio di essere catturato per dimostrare al mondo chi era e cosa era in grado di fare, ma resta comunque l’uomo che sulla scena del crimine ha gettato sul pavimento molte foto della vittima con accanto una persona senza volto. Gli inquirenti dedussero che quell’uomo senza volto era Diabolich. Probabilmente sì, quasi certamente il motivo principale di quei tagli era il non farsi scoprire, ma la scelta di evidenziare la sua figura in quel modo nasconde il bisogno di farsi riconoscere come un’identità esistente. I poliziotti dell’epoca non hanno mai identificato il terzo uomo, l’altra figura delle “tre monachelle”. Strano, Aldo Cugini ed il resto del commilitone avrebbero dovuto averlo un nome. La domanda, alla luce di quanto detto fin ora, sorge in automatico: e quella persona nell’ombra? Chi era? Non si vuole trovare qui un colpevole, ma si vuole porre un dubbio. All’epoca non si avevano le conoscenze criminologiche adatte per effettuare indagini adeguate. Avere un profilo del criminale permette agli investigatori di non cadere nell’errore di seguire strade chiuse. Di strada chiuse questo caso ne è stato pieno.

 

Teresa De Magistris

Assegnato il Premio Res Publica

La splendida Sala Ghislieri (ex chiesa di Santa Croce) di Mondovì Piazza, in provincia di Cuneo, ha fatto da cornice sabato 30 ottobre alla cerimonia di consegna della quarta edizione del Premio Internazionale Res Publica, attribuito a singoli e associazioni che si prodigano a favore del bene comune e del senso civico. Di altissimo livello il panel dei premiati 2021, su tutti il diplomatico Filippo Grandi, Alto Commissario ONU per i Rifugiati (premio sezione “Rifugiati di guerra”) intervenuto di persona alla cerimonia e il Gen. Francesco Paolo Figliuolo, Commissario straordinario per l’emergenza Covid che ha fatto pervenire il suo messaggio di ringraziamento per il Premio. Premiata anche l’Associazione Nazionale Alpini (premio sezione “Protezione civile”), rappresentata dal presidente Sebastiano Favero. Gli altri riconoscimenti sono andati all’ “Angelo di Kabul” Alberto Cairo (premio sezione “Speranza di vivere”), premio ritirato dal fratello Domenico, e al Soccorso Violenza Sessuale e Domestica (SVSeD) di Milano, rappresentato dalla Direttrice Generale, dr.ssa Alessandra Kustermann (premio sezione “Violenza contro le donne”). Il Premio Res Publica, promosso dall’associazione “Buon Governo e Senso Civico” presieduta da Antonio Maria Costa, è simboleggiato in una scultura bronzea di Riccardo Cordero, consegnata a ciascuno dei premiati.

Mostra retrospettiva digitale dedicata allo scultore Osvaldo Moi

Dal 6 novembre prossimo prende avvio un progetto curatoriale di retrospettiva dedicato allo scultore Osvaldo Moi e fruibile sul canale digitale YouTube https://YouTube.be/4G RPEoF8hk

 

Da sabato 6 novembre prossimo dalle 18 si aprirà una nuova mostra retrospettiva digitale dedicata allo scultore Osvaldo Moi, dal titolo “From the world’s rooftop/ dal tetto del mondo”, opere scelte dal 2003 al 2021, a cura di Monica Nucera Mantelli.

L’appuntamento in etere è inserito nella Notte delle Arti Contemporanee 2021, nell’ambito della piattaforma ContemporaryArt Torino Piemonte.

Per visitare la mostra digitale basterà cliccare sul canale YouTube OSVALDO MOI ARTWORDS, dove, all’ora stabilita, sarà possibile vedere, gratuitamente su qualsiasi dispositivo, quali smartphone, tablet e PC, connessi alla rete, le oltre ottanta opere in rassegna, prodotte in poco più di un ventennio dallo scultore originario di Silius, in provincia di Cagliari. La mostra è suddivisa in tre sezioni, di cui la prima è dedicata alle opere ispirate alle “Religioni, difese e Superstizioni”; la seconda illustra i lavori che rappresentano denunce, fughe e abbandoni; la terza è dedicata al tema delle bellezze e delle elevazioni.

Osvaldo Moi, che ha svolto la professione di elicotterista come Sottoufficiale, sin dall’infanzia ha mostrato una propensione per l’arte della scultura e per la performing art. La sua vena creativa ha preso avvio a scuola, quando, lontano dagli occhi della maestra, utilizzava i temperini per intagliare le matite, creando così piccole sculture.

È autore della scultura dedicata ai Caduti di Nassirya, che è sita in piazza D’Armi a Torino, e della recente installazione dedicata alla sua interpretazione del ruolo della famiglia nella vicina Pianezza.
Le sue opere sono realizzate privilegiando il bronzo e i legni pregiati, oltre a far uso di materiali innovativi quali il vetro resina, il plexiglass, le resine epossidiche. Egli ama esprimersi in particolar modo nel figurativo, aprendosi, però, al surrealismo con la scultura.

In questo ambito ha realizzato numerosi progetti benefici, tra cui il Trofeo per la gara di Golf del Monte Carlo Golf Club organizzato da Helga Piaget per la Fondazione Passion Sea. L’organizzazione no profit sostiene temi molto cari all’artista, quali la sfida umanitaria volta a ripristinare la qualità dell’acqua sul pianeta, a favore di un approccio più consapevole dell’importanza di proteggere i mari, gli oceani, i laghi e i fiumi. Molti anche i ritratti da lui realizzati, tra cui quello di Giorgio Napolitano, Emanuele Filiberto di Savoia, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, il principe Alberto II di Monaco, Renato Zero, Silvio Berlusconi, Walter Veltroni e Vittorio Sgarbi.

Mara Martellotta

Martin Parr. We Love Sports

E’ dedicata al grande fotografo inglese e al suo interesse per lo sport la mostra autunnale di “CAMERA”

Fino al 13 febbraio 2022

Non si sa quanto lo pratichi. Ma non c’è dubbio che Martin Parr ami davvero a fondo lo sport, nelle sue molteplici e anche più bizzarre espressioni. Dal calcio all’ippica, fino alle corse dei cavalli sulle spiagge irlandesi o al “Tai Chi” per le strade di Shanghai. Sport del cuore è però, e soprattutto, il tennis, quella pallina rimbalzante da racchetta a racchetta su terra rossa, cui artisticamente ha dedicato e dedica maggiore attenzione, cristallizzata in singolarissime immagini fotografiche realizzate (su commissione del “Gruppo Lavazza” a partire dal 2014) frequentando i quattro tornei del “Grande Slam”, di cui sono godibilissima prova i 40 scatti (dei 150 complessivi) portati in mostra a “CAMERA-Centro Italiano per la fotografia” di Torino: un ampio e divertito e divertente percorso fra le opere di un mito assoluto della fotografia contemporanea, visitabile fino al 13 febbraio, in un anno che vede, fra l’altro, il capoluogo subalpino diventare capitale internazionale del tennis con le “Nitto ATP Finals” . Amore dichiarato per gli eventi sportivi, dunque, ma soprattutto attrazione ed irrefrenabile curiosità per tutto il variopinto estroso ridanciano e, a volte un po’ ridicolo, mondo che li circonda e che meglio non poteva sintetizzarsi nel titolo della mostra – “We Love Sports”– curata da Walter Guadagnini con Monica Poggi e realizzata in collaborazione con “Gruppo Lavazza” e con “Magnum Photos”, di cui l’artista inglese di Epsom (classe ’52) è stato presidente dal 2013 al 2017. Scrive Walter Guadagnini, direttore di “CAMERA”: “Lo sport è un tema catalizzatore delle più diverse emozioni, viene raccontato dal fotografo soprattutto attraverso le divise, le coreografie e le tradizioni dei tifosi e degli spettatori, autentici protagonisti di questo rito collettivo”. E, a ragione, aggiunge Francesca Lavazza, Board Member Lavazza Group: “Come ogni grande artista, Martin usa la macchina fotografica per ritrarre la quotidianità delle persone che percorrono le strade parallele ai grandi eventi e ai grandi personaggi. Sono storie intime e particolari, bellissime nella loro unicità, leggerezza e sincerità”. L’evento sportivo, quindi, come occasione per narrazioni di varia umanità, quella che si accalca sulle tribune o a bordo campo, la tifoseria con le sue rituali coreografie, i gadget vistosi e goliardici, le parrucche colorate in tinta con le divise dei propri beniamini, i travestimenti grotteschi, gli abiti eleganti e un po’ snob di chi assiste alle corse dei cavalli o le parures kitsch che più kitsch non si può sfoggiate con la naturalezza dell’incoscienza fino a  quella piacevole geometria di cappelli bianchi al “Roland-Garros” del 2016. Questo interessa a Parr. Spettatore di spettatori. Più in basso s’intravvedono gioco e giocatori. Protagonisti di secondo piano. Lì quasi per caso, accettati nell’inquadratura come causa scatenante di un gioco delle parti che è teatro di vita reale. Irreale a tratti, a tratti metafisico. “Con un percorso – sottolineano ancora gli organizzatori – che prende avvio da una selezione di opere in bianco e nero, già sintomatiche della capacità di Martin Parr di raccogliere le contraddizioni dell’Inghilterra dell’epoca thatcheriana, é però attraverso l’elezione del colore a elemento distintivo della sua poetica, utilizzato a partire dalla metà degli anni Ottanta, che Parr sposa l’estetica amatoriale in un arguto gioco di critica, consapevole di far lui stesso parte della società che ritrae con spietato cinismo”. Poco bianco e nero, tanto vivido colore, a concludere la mostra è una sezione gustosissima  interamente dedicata alla “vita di spiaggia”, dove i vari hobbies si mescolano con l’ormai meritato riposo.

Le immagini in mostra, e non solo, sono inserite nel volume “Match Point”, edito da “Phaidon”, che include oltre 80 fotografie tratte dal suo lavoro più recente sul tennis, con una selezione di scatti totalmente inediti.

Gianni Milani

“Martin Parr. We Love Sports”

CAMERA-Centro Italiano per la fotografia”, via delle Rosine 18, Torino; tel. 011/0881150 o www.camera.to

Fino al 13 febbraio

Orari: lun. merc. ven. sab. e dom. 11/19 – giov. 11/21. Mart. chiuso

 

Nelle immagini

–         “Roland Garros”, Paris, France 2016, Martin Parr/Magnum Photos

–         “Japan versus South Korea”, Dynasty Cup, Yokohama Stadium, Yokohama, Japan, 1988, Martin Parr/Magnum Photos

Sguardi, esperienze, idee: il ritorno di Paratissima

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Torna Paratissima con la sua 17 edizione. Anche quest’anno, a ospitare l’appuntamento autunnale di Paratissima con l’arte contemporanea sarà l’ARTiglieria Con/temporary Art Center,con due manifestazioni dedicate all’arte emergente: Paratissima Exhibit and Fair e NICE & Fair / Contemporary Visions.

Paratissima Exhibit and Fair

Paratissima, per sua natura, è un luogo di incontro e scambio che condensa e mescola artisti e pubblici, moltissime persone diverse, che si portano dietro pluralità di sguardi, esperienze, idee.

Una manifestazione accogliente, che vede l’arte come una festa e un luogo aperto a tutti, inclusivo. Ciò ne costituisce la ricchezza, e la sfida, ma soprattutto la libertà. Questa nuova edizione è la diciassettesima, che arriva dopo due anni di pandemia, di revisione del mondo e della vita, di transito in un futuro che sarà molto diverso dal passato, anche se ancora imperscrutabile e in scrittura completa. Un’epoca epocale, che segna il prima e il dopo di una comunità globale, che tale si è resa finalmente conto di essere. Il tema naturale è il dibattito e il confronto su quanto stia accadendo, su un’esistenza da ridisegnare e costruire insieme, a livello individuale e collettivo. Un tema che tutti trattiamo, sui giornali, nei film, quando prendiamo il caffè al bar, nelle cene con gli amici…

È il tema perché è la vita, tutta, a essere coinvolta e sconvolta. E riguarda ognuno. Così, Paratissima non si dà un tema per questa edizione, ma si trasforma in un laboratorio che prende la forma di una grande stanza di ascolto. Si mette in ascolto degli artisti che la animano: loro danno il tema, i temi. Loro, che sono avamposti, vibrisse, antenne. Occhi aperti in uno spazio dove non si usa la vista ma la percezione, quella di cui gli artisti hanno il dono. Questo è il ruolo sociale degli artisti, che sono degli sciamani, e tali devono rimanere. Azioni poetiche e politiche sono le opere e le pratiche artistiche, che forniscono scintille ed epifanie su dimensioni parallele, sensibili anche se invisibili, di un cosmo comune non sempre fatto di materia tangibile e razionale. C’è un’opera che incarna perfettamente tutto ciò e che Paratissima ha scelto come immagine2021, Le Ballet Mélancolique, un grande arazzo dell’artista americana Scarlett Rouge, dove una donna cammina in equilibrio nello spazio profondo, tra flussi energetici ed elettricità vibrante che tracciano una teoria di connessioni.

Un arabesco di fluidi e flussi che tutto abbraccia e innerva. Questa creatura ha il mondo per testa, in testa. Attorno, una galassia di occhi si aprono e scrutano  una notte che è luce e profondità, non buio, una notte come quella di cui parla Alda Merini nella sua poesia dedicata agli artisti, I poeti lavorano di notte. Occhi come gemme, fiori colorati, diversi, stupiti e curiosi. Terzi occhi. Sono vite, spiriti, intuizioni. Questo vorrebbe essere Paratissima con Exhibit and Fair, presentando un gruppo selezionato di artisti, lavorando con loro su ogni aspetto dei singoli progetti, dalla scelta delle opere all’allestimento, alla narrazione e formalizzazione in mostra. Una fiera di mostre, esposizioni personali e collettive che entrano in dialogo negli spazi, con connessioni e familiarità sottili che le legano e si fanno reciprocamente produttive. Insieme, una serie di Premi (tra cui quello che vede la collaborazione con Torino Creativa) e gli Special Projects, che presentano progetti dove l’arte diventa luogo politico e sociale, strumento di formazione e informazione, di un’inclusività che passa attraverso la partecipazione ma anche la bellezza e l’emozione. Si tratta di progetti che dichiarano come, sempre e comunque, qualsiasi gesto della nostra vita sia un atto politico, e l’arte, le opere lo siano a prescindere e naturalmente. “Come scriveva George Orwell, la posizione secondo cui l’arte non dovrebbe avere niente a che fare con la politica è già una posizione politica. Nel senso che non esiste arte, per quanto privata e disimpegnata, che non abbia un valore e un rilievo per la comunità, per la polis” dice Tomaso Montanari.

E gli Special Projects parlano dell’Afghanistan come un mondo lontano ma così vicino, attraverso la presenza del collettivo ArtLords e una loro installazione che fa rivivere nel Galoppatoio alcune dei murales cancellati dai talebani. E poi della sacralità della cultura underground (con un neon del collettivo DMAV nel Cortile dell’Artiglieria che diventa simbolo pulsante), della necessità di un rallentamento e di un ritorno a un tipo di informazione responsabile che ritrovi il concetto di verità e a volte risulti ancora e di nuovo scomoda (con il film Slow News – L’arte del giornalismo prodotto da IK Produzioni di Torino, e la giovanissima redazione della rivista Scomodo), di performance come spazi di partecipazione e presidi di cittadinanza (con Progetto Rescue!), della musica come linguaggio eterico universale (con l’installazione di Davide Dileo), della cultura e dei suoi operatori come ambito a cui vada riconosciuto uno status centrale nella società italiana, e una protezione come bene comune (con il cortometraggio Trucchi del mestiere di Francesca Arri).

Un progetto corale e multidisciplinare che diventa una città dell’arte aperta a tutti, che si rispecchia nel grande staff che lo realizza e cura, che mette in atto una serie di pratiche virtuose di collaborazioni e reti tra realtà e soggetti culturali, enti pubblici e privati. Dall’insieme delle opere, gli artisti ci forniscono visioni e letture, spunti, sensibilità e suggestioni che diventano l’identità della manifestazione, i temi, coinvolgendo il pubblico in maniera empatica e non didascalica, senza proclami. I temi venuti fuori sembrano soprattutto focalizzare la dualità tra una condizione individuale, interiore e una, invece, collettiva, reale. Molte opere si pongono, in maniere personali e diverse, su questo crinale a cavallo tra soggetto e moltitudine. Un altro tema, parla di una sensorialità che va oltre la semplice vista, ma cerca di percepire e restituire l’esperienza del mondo, quello intimo e quello esterno, attraverso altre visioni concrete e fisiche, indicazione che testimonia come la deprivazione sensoriale vissuta durante la pandemia, che permetteva una vita virtuale tutta giocata sulla vista e sull’immagine, abbia lasciato un segno traumatico sulle persone.

È un riconoscimento del valore fondativo dell’arte, della sua funzione nella società, la sua voce, che non va addomesticata né sofisticata, perché essa non prende forme conformi e omologate ma si propone come un’interferenza e un’avanguardia universale. D’altronde, gli avanguardisti erano reparti che precedevano, a scopo di sicurezza, truppe in marcia durante le guerre.

Olga Gambari, Direttrice Artistica di Paratissima

I poeti lavorano di notte

I poeti lavorano di notte

quando il tempo non urge su di loro,

quando tace il rumore della folla

e termina il linciaggio delle ore.

I poeti lavorano nel buio

come falchi notturni od usignoli

dal dolcissimo canto

e temono di offendere Iddio.

Ma i poeti, nel loro silenzio

fanno ben più rumore

di una dorata cupola di stelle.

Alda Merini

Paratissima Exhibit and Fair – Special Projects

ArtLords

Dalla sua fondazione nel 2014, il collettivo ArtLords ha dipinto più di 2.000 murales in 19 delle 34 province dell’Afghanistan. Il movimento è cresciuto creando una rete di oltre cinquanta artisti e figure legate al progetto. Con l’avvento recente dei talebani, tutti i loro murales sono stati subito completamente cancellati e gli artisti sono dovuti fuggire fuori dall’Afghanistan. Paratissima restituisce voce e immagine al lavoro di questo progetto di arte pubblica, che viveva nelle strade del paese, utilizzando la pratica della street art e il concetto dei muri come bacheche sociali, per parlare di temi comuni, per creare un dibattito, un’informazione, un confronto. Nel grande spazio del Galoppatoio, una suggestiva installazione di wallpaper fa rivivere alcune loro opere in dimensioni naturali, portando scorci di luoghi, persone e azioni a Torino, trasformandole nella quinta naturale di quella che vorrebbe essere una piazza comune nel cuore dell’Artiglieria. Al di là delle parole, che animeranno lo spazio del Galoppatoio in un programma di talk a cui parteciperanno anche tre artisti del collettivo venuti a Torino (Lima Ahmad, Omaid Shrifi, Kabir Mokamel), la potenza dei murales continuerà ad agire e a comunicare, negando la violenza e la censura di un regime che disprezza e teme, al tempo stesso, l’azione e il potere dell’arte. Parallelamente, durante il loro soggiorno, Lima Ahmad, Omaid Shrifi e Kabir Mokamel, daranno vita a un lavoro collettivo e aperto che coinvolgerà artisti torinesi e il pubblico, creando opere che entreranno a far parte della galleria del progetto Spazio Portici, come bandiere di libertà.

Progetto RESCUE!

Progetto RESCUE! è attivo nelle arti performative, tratta temi di rilevanza sociale con particolare attenzione al riscatto, all’immigrazione e al viaggio, con un approccio transdisciplinare e collaborativo. Nel 2019 fonda l’Associazione Culturale Progetto RESCUE! che nasce come rete di sostegno tra artisti extracomunitari a Torino. Il gruppo crea performance e spettacoli, luoghi nei quali ognuno possa trovare valore per sé stesso e per la comunità. Nel 2020 nasce l’Iniziativa solidale CANTA OLTRE concerti senza fissa dimora. Nel 2021 il progetto crea la Pratica Partecipativa: studio sull’incontro autentico e sull’apertura di spazi di libertà in contesti di chiusura ed emarginazione. Il Gruppo è composto da giovani under 30, provenienti da Guinea- Conakry, Costa d’Avorio, Ghana, Libia e Italia, in continuo mutamento. Performance e interventi che si nutrono dei racconti, delle canzoni e dei pensieri di chi ha fatto un viaggio e di chi ogni giorno lavora come collezionista al mercato.

Slow News – L’arte del Giornalismo

Viviamo nell’epoca dell’infodemia. Ogni 60 secondi, condividiamo milioni di post su Facebook, guardiamo milioni di video su YouTube, scriviamo miliardi di tweet. Falsi giornali con bufale perfette e veri giornali pieni di false notizie. Le persone credono a tutto e a niente, allo stesso tempo. A Milano, quattro giornalisti freelance, ispirati dal professore americano Peter Laufer, hanno creato Slow News, un progetto editoriale che si fonda sulla comunità dei lettori ed esplora nuovi linguaggi. Lo slow journalism diventerà un movimento culturale globale? Slow News è un film, un progetto editoriale e una speranza per il futuro. Insieme, un altro giornalismo è possibile.

E può cambiare il mondo. Il film è diretto da Alberto Puliafito; prodotto da Fulvio Nebbia; scritto da Andrea Coccia, Fulvio Nebbia, Alberto Puliafito; fotografia e montaggio di Fulvio Nebbia; musica composta, arrangiata ed eseguita da Alessandro Zangrossi e Antonio Sernia; suono di Marco Montano; con Peter Laufer, Helen Boaden, Mark Thompson, Lea Korsgaard, Frédéric Martel, Julia Cagè, Craig Silverman, Irene Smit, Giovanni De Mauro, Arianna Ciccone, Rob Wijnberg, Jennifer Rauch, Rob Orchard, Camilla Mortensen, Ermes Maiolica, Alison T. Smith, Daniele Nalbone.

Dmav – Social Art Ensamble

Il nuovo progetto di luci d’artista del collettivo DMAV – che si inserisce nella serie di opere create per gli spazi pubblici (Doublin’ a Trieste, Innumera ad Aquileia, Living Bodies a Udine) – è un atto d’amore verso il mondo variegato delle culture underground. Il contatto con le radici, la sensazione del peso dei nostri passi sulla nuda terra ma anche la libertà assoluta e rischiosa nel seguire le nostre inclinazioni, alla ricerca di un sacro che è radicato in questo mondo. Ed è la natura dell’underground, in questi tempi di accelerazioni e confini che saltano, quella di accompagnare la moltiplicazione dei suoni e dei segni come se fosse una possibilità sempre da attualizzare. Ritrovando il rapporto con le tradizioni sotterranee delle culture alternative, DMAV ha creato una pulsazione di luce rossa e sanguigna: le parole under | sacred | ground si alternano creando un messaggio di luce e vetro che si inserisce nel paesaggio.

Scarlett Rouge

Scarlett Rouge è un’artista in ascolto del mondo, quello esterno a lei e quello interiore. La realtà e l’anima sono dimensioni che condividono tracce comuni, in una lettura cosmica di appartenenza, che va oltre l’apparenza. Californiana, ma di formazione anche europea, figlia d’arte con una visione in cui ambiti diversi appartengono a un discorso creativo unico, dalla musica alla moda, la sua iconografia evoca miti primitivi di una natura femminile ancestrale dove gli opposti rientrano in un quadro armonico. Il suo segno può essere lineare e minimalista, sembra voler scavare l’idea pura come concetto e forma, per restituirla nella sua essenzialità ascetica, più che astratta. Insieme, il suo immaginario si scioglie anche in composizioni figurative rutilanti che corrono libere in universi paralleli di sagome, colori, energie. Movimento narrativo vitale, arazzi, dipinti e sculture improntate a un surrealismo contemporaneo, con echi classici, che esprimono una femminilità antica e archetipa, avvolti da una sacralità oscura che si incarnain storie simboliche, senza tempo. Opere magiche. Le ballet Mélancolique diventa icona di Paratissima – Exhibit and Fair 2021, con un cielo/spazio che accoglie una cosmogonia aperta e in divenire, animando un arabesco di occhi e flussi energetici. Una rappresentazione metaforica ed empatica, rilucente di elementi e significati sparsi come enigmi. Immagine perfetta dell’arte, degli artisti, del loro potere sciamanico che si esprime oltre ai criteri della razionalità, e per questo universale.

Davide Dileo – Ultima Ri/composizione per pianoforte a 24 mani

Il pianoforte vive la vita degli altri. Ogni casa che lo accoglie ne incide un solco e ne modifica il suono tra legno e corde: suoni, odori, vite, amori, delusioni, invenzioni, sogni ( realizzati e inceneriti), generazioni di umanità assorbite e custodite. I sei pianoforti di questa installazione hanno servito, per più di un secolo, “l’Essere Umano” e stavano passando i loro giorni di decadenza in un magazzino. A Ottobre sono tornati protagonisti, tra le mura del Castello Sforzesco di Milano, Sono stati suonati, ancora una volta, da sei Maestri, manipolati nella loro forma ed essenza da sei allievi d’arte, e si sono trasformati. Hanno partecipato al progetto: Jack Freckleton Sturla, Emma Dotti, Alessandra Barni, Mattia Ozzy Bellato, Yingfei Cai ex Erika Godino. La selezione dei progetti è stata curata dal Prof. Antonio Cioffi. Scomodo – Presente Futura

Per districare la complessità del contemporaneo, occorre avere una metodologia che ci aiuti a leggere le connessioni. La decodificazione del nostro tempo necessita approfondimenti verticali e il dibattito come esercizio di democrazia. L’algoritmo ci lascia intrappolati nelle nostre convinzioni e la polarizzazione del pensiero si compie. Buoni o cattivi, giusto o sbagliato: vanno abbandonate sterili congetture divisive, per far emergere concezioni libere. Difficile in un paese in cui i media sono fortemente politicizzati e corruttibili e in cui l’autocensura, dettata dalla totale adesione alla classe sociale d’appartenenza, diventa più pericolosa della censura stessa. La redazione di Scomodo (la rivista under 25 più grande d’Italia, con 1000 ragazze e ragazzi coinvolti) propone modalità di approfondimento inedite e trasversali, con azioni che invitano alla cittadinanza attiva. Vengono presentati due talk: il primo relativo al volume “Presente”, una pubblicazione annuale che cerca di superare la narrazione secondo la quale “il futuro è dei giovani”, ma che paradossalmente li taglia fuori dal presente e dalle decisioni che lo andranno a tracciare. Quest’anno, per la quinta edizione, la redazione si è confrontata con il concetto di periferia e la sua evoluzione negli ultimi decenni. Una riflessione nata dall’esperienza diretta di una redazione con sedi a Milano, Napoli, Roma e Torino. A ciò si collega il secondo intervento: un focus su casi studio e reportage riguardanti la nostra città. Il progetto di Scomodo a Paratissima è curato da Francesca Disconzi, co-fondatrice di Osservatorio Futura.

Trucchi del Mestiere – Francesca Arri

I lavoratori dello spettacolo, dagli artisti alle maestranze, hanno ricevuto un duro colpo dalla pandemia perdendo il lavoro e privati della dignità professionale. Una situazione precaria pregressa che è esplosa, mal gestita dal governo, più attento alle esigenze di settori come quelli del calcio. C’è interesse che questo paese rimanga nell’ignoranza o è solo un’incapacità dovuta all’ignoranza stessa e a un sistema clientelare, dal sapore mafioso e feudale tutto italiano? Per rispondere a queste domande Francesca Arri partecipa al progetto Game Over di Villam e della rivista Arshake realizzando il suo primo cortometraggio, completamente a costo zero grazie a una rete di collaborazioni, negli spazi dell’Artiglieria di Paratissima. Il cortometraggio è un atto politico, un’ operazione educativa che parte dalle scuole per arrivare ai professionisti proponendo un modello lavorativo etico e virtuoso, che sostiene la collaborazione e si oppone all’atavica piaga italiana del lavoro culturale non pagato.

La narrazione è una pièce metaforica e insieme dissacrante (sviluppata da un personaggio misterioso la cui identità si costruirà nel corso dell’opera), una denuncia collettiva e intima, di un settore fondamentale per il suo ruolo sociale.

Premio Torino Creativa per Paratissima

La Città di Torino e Paratissima hanno sottoscritto un Protocollo d’intesa che avvia una collaborazione stabile tra i due enti. La mission di entrambe le parti è quella di dare sostegno ai/ alle giovani artistə nell’ottica di affermazione della loro professionalità. La collaborazione che si instaura con il presente atto fa riferimento a tutte le attività e ai programmi nell’ambito della promozione della creatività giovanile con l’obiettivo di creare occasioni e opportunità di visibilità per i/le giovani creativə. Una visione che si concretizza nell’ambito dell’edizione di quest’anno di Paratissima che ospita il corner Torino Creativa. L’Hub della Creatività con la sua sede al Cortile del Maglio ha ospitato le residenze d’artista di questa prima edizione, la curatela delle esposizioni è stata curata da due giovani curatrici vincitrici del progetto NICE di Paratissima: Margaret Sgarra e Paola Curci. Vincitori del Premio: Greta Guiotto, HPV Film, Chiara Borgaro. Premiati di Art Station 2020 Nella sezione premiati di Paratissima Exhibit and Fair, vengono ospitati i talenti di Paratissima Art Station, riconosciuti dalla Direzione Artistica. Tra loro: Chiara Chittano, Machina Imaginess e David Delruelle.

Nice & Fair / Contemporary Visions

Paratissima, sulla scorta del grande successo riscontrato negli anni scorsi, presenta la VIII edizione di N.I.C.E.: New Independent Curatorial Experience, un corso per curatori che si è dimostrato sia occasione formativa che luogo di esperienza pratica. Il corso ha trattato tutti gli aspetti della complessa professione del curatore coinvolgendo come formatori sia docenti esterni che i giovani professionisti dello staff di Paratissima.

Questi hanno condiviso con passione il know how acquisito in anni di esperienza. Partendo dall’ideazione e costruzione del progetto curatoriale, sono stati affrontati argomenti di fondamentale importanza come fundraising, comunicazione e allestimento. È dall’esperienza didattica che nasce la manifestazione Nice & Fair / Contemporary Visions. Nice & Fair / Contemporary Visions è il format di evento dedicato alle nuove proposte dell’arte contemporanea di oggi, sia da un punto di vista artistico che curatoriale. La stretta collaborazione tra i talenti emergenti in entrambi gli ambiti dà vita a sei progetti espositivi volti a indagare tematiche e argomenti di stringente attualità, legati al presente. Ogni mostra collettiva è l’esito di un confronto tra curatori agli esordi e giovani artisti, per dare spazio e voce a chi si trova a intraprendere oggi il proprio percorso artistico in modo professionale. Il board curatoriale coinvolge i 17 curatori che nel 2021 hanno affrontato il percorso formativo di NICE – New Independent Curatorial Experience. Sei sono i progetti espositivi che saranno ospitati dall’ARTiglieria Con/temporary Art Center dal 28 ottobre al 12 dicembre Nice & Fair / Contemporary Visions è un’occasione di confronto, una piattaforma espositiva reale e digitale, al contempo una mostra e una fiera che consentirà agli artisti di proporre le proprie opere in un contesto professionale adeguato, volto sia alla presentazione del proprio lavoro che alla vendita. Il progetto di formazione di N.I.C.E, giunto alla sua ottava edizione, nasce nel 2014 da un’idea di Francesca Canfora, che ne cura a tutt’oggi la direzione sia del corso che dell’evento omonimo. La mostra è curata da Francesca Canfora e Laura Tota.

Per l’VIII edizione di N.I.C.E.: New Independent Curatorial Experience, Paratissima presenta 6 mostre curate dai giovani curatori.

Liquid Reality – Nuovi immaginari nell’era dell’Antropocene

a cura di Eleni Kosmidou, Benedetta Nassini e Jennifer Regalia

Il premio nobel Paul J. Crutzen indica con il termine Antropocene l’era geologica contemporanea, un’epoca in cui i cambiamenti causati dall’azione incurante dell’Uomo hanno portato a gravi conseguenze ambientali e climatiche, conducendo a un mondo inesorabilmente sempre più stanco e privo di risorse. La situazione, non più sostenibile, è occasione per ricercare una nuova armonia tra l’Uomo e la Natura, riconoscendo tutte le forme di vita come interconnesse ed egualmente importanti. Ingegno tecnologico e mutate sensibilità si uniscono, quindi, per immaginare una realtà liquida, meno definita e più ibrida, in cui coesistano soggettività organiche e artificiali, umane e virtuali, in grado di creare nuove intersezioni e prospettive per uno sviluppo reciproco e consapevole capace di salvaguardare la vita sulla Terra.

Sanatorium” a cura di Maria Carmela D’Angelo e Sara Maietta

Il genere umano, con le sue ossessioni, la rabbia, il fallimento o il timore di fallire, esorcizza il dolore mediante il processo creativo e la condivisione. Il rimedio e la cura passano attraverso la costruzione di immagini e oggetti dalla funzione catartica, capaci di esibire una realtà interiore non facile da raccontare o metabolizzare. Il disagio del singolo diventa, così, universale e l’esperienza dell’altro si rispecchia in quella della collettività, posta di fronte a un nemico invisibile, ma familiare. La condivisione diventa così più efficace della cura stessa: non guarigione, ma accettazione e rielaborazione del disagio. Decostruire il malessere permette di indagare nuove prospettive, verso un processo di riconciliazione con sé stessi che si attua proprio tramite lo scambio con il prossimo.

Para//el” a cura di Caterina Bocchi, Nadine Bajek e Vanessa Caraglio

Due linee parallele nella geometria euclidea non si incontrano mai, come in una tragica storia d’amore: prossime per sempre, faccia a faccia, costantemente vicine ma mai in grado di sfiorarsi. È questa la cruda realtà o è solo apparenza? Le moderne teorie della geometria non euclidea, contraddicendo il V postulato, ipotizzano infatti l’intersezione delle rette parallele all’infinito, fondendosi come gli amanti in un’entità sola.

Le linee parallele rappresentano in modo metaforicamente perfetto le persone di oggi, distanti ma unite in un presente dominato dalla tecnologia. Parte della vita sembra ora svolgersi in un universo collaterale, equivalente e simultaneo, in cui la socialità si fa danza limitata alle connessioni on-line. Dove può trovarsi dunque ora l’infinito, unico luogo possibile di incontro per l’umanità? Nella realtà tangibile, oppure on-line, in un cosmo fantastico e del tutto digitale?

Family Portrait” a cura di Elisa Angelini, Beatrice Timillero e Margherita Verzocchi

La famiglia lascia inevitabilmente un’impronta in ogni essere vivente, contribuendo alla costruzione dell’Io. Crescendo, il vissuto personale si traspone in relazione con il Mondo esterno, irrimediabilmente influenzato e viziato dal legame familiare . Atmosfere lontane, luoghi familiari e volti, nostalgia di tempi che furono: una pulsione primitiva induce a immagazzinare quanti più dati possibili per non perdere il contatto con le proprie radici. I tempi odierni, caratterizzati da una forzata distanza, hanno evidenziato l’importanza dei legami familiari, e della loro tutela attraverso i ricordi, che da privati possono divenire traccia di una Storia collettiva. Proprio nell’incalzante smaterializzazione fisica in favore di labili archivi digitali è fondamentale chiedersi come garantire la trasmissione di una necessaria memoria futura alle prossime generazioni.

My body is (not) a cage” a cura di Angela Calderan, Flavia Rovetta e Susanna Tavella

Da esibire o rinnegare, da idolatrare o biasimare: il corpo femminile è spesso ridotto a oggetto con una destinazione d’uso. È quindi facile che cada vittima di stereotipi e miti di plastica, limitandosi a essere uno sterile involucro per l’identità. Se difettoso o non corrispondente ai canoni imperanti, può perfino diventare una prigione in cui si resta irrimediabilmente costrette e relegate. Tuttavia, a questa prospettiva soffocante se ne contrappone un’altra: imperfezioni e incongruenze, accettate come contingenze della vita, non sono più limiti ma opportunità di esplorazione e trasformazione. Camuffato o semplicemente esposto nella sua essenziale nudità, il corpo diviene mezzo di espressione e ribellione. La pelle si espande oltre i propri confini e si rivela lo strumento per spogliarsi della gabbia, disegnando nuovi territori d’azione.

Music for airports – Armonie per un tempo sospeso

a cura di Chiara Badde, Erica

Massaccesi, Lara Spagnolli

Assenza, isolamento e introspezione. Quanti stati d’animo sono racchiusi in ogni attesa?

L’incertezza dilata i minuti e il silenzio diventa assordante, interrotto solo da un tic nervoso che muove la gamba a ritmo impaziente. L’apparente calma cela in realtà sovente il tumulto soffocato dell’ansia. L’eco della stessa inquietudine ha fatto risuonare le piazze vuote e afone delle città, quando solo gli sguardi filtravano dalle finestre, desiderosi di un nuovo abbraccio, unico antidoto alla malinconia. Tuttavia, in questo tempo sospeso e incerto, si è arrivati ad apprezzare l’armonia della solitudine, incline a mutare una condizione statica in dinamico impulso creativo. La frenesia cede il passo a un ritmo dolce e silenzioso, terreno fertile e linfa vitale per riuscire ad ascoltare le proprie melodie interiori e comporre così nuovi spartiti di vita inediti.

Oltre alle 6 mostre, si inserisce in NICE & Fair / Contemporary Visions, il progetto speciale

ABISSI a cura di Simonetta Pavanello.

Gianni Depaoli e Marco Fiaschi riflettono sul concetto di trascendenza e sacralità, materia e spirito, servendosi di componenti organici riciclati e superfici nere specchianti, caratteri alfanumerici e schiuse di ovature, simboli che rimandano a un mondo virtuale a uno anche troppo realistico, obbligando lo spettatore a porsi il dubbio di come preservare in futuro la natura, l’uomo e il suo spirito.

Info, orari e biglietti al link https://paratissima.it/paratissima/

Boosta dei Subsonica protagonista a Paratissima

A Paratissima Exhibit and Fair protagonista, presso ARTglieria Con/temporale Art Center Davide Dileo dei Subsonica e la sua “Ultima Ri/composizione per pianoforte a 24 mani”

 

A Paratissima Exhibit and Fair, presso ARTglieria Con/temporaryArt Center, in via Verdi 5, rivive il progetto di Davide Dileo dal titolo Ultima Ri/composizione per pianoforte a 24 mani”, nell’ambito degli Special Projects, per la curatela di Olga Gambari.

Davide Dileo, Boosta dei Subsonica, compositore e Co-fondatore della celebre band torinese elettronica, è già diventato un artista visivo, aprendo a Torino una galleria-atelier, rappresentata dalla galleria Raffaella De Chirico, dove ‘egli dà corpo ai suoni”.

La sua performance che è proposta a Paratissima  è rappresentata da un’installazione costituita da sei pianoforti che hanno servito, per più di un secolo, l’essere umano, e si sono poi trovati a trascorrere i loro giorni in decadenza in un magazzino. A ottobre sono tornati protagonisti tra le mura del Castello Sforzesco di Milano e sono stati suonati da sei maestri, manipolati nella loro essenza e forma da sei allievi d’arte, trasformandosi e riprendendo così vita.

Hanno partecipato al progetto Jack Freckleton Sturla, Emma Dotti, Alessandra Barni, Mattia Ozzy Bellato, Yingfei Cai e Erika Godino; la selezione dei progetti è stata curata dal professor Antonio Cioffi.

Mara Martellotta