Era unico nella sua tenerezza
Una notizia che ha sicuramente profondamente rattristato e colto di sorpresa il mondo del teatro torinese e non solo è stata quella della scomparsa dell’attore e regista Eugenio Allegri a seguito di un malore improvviso, alla sola età di 66 anni.
Nato a Collegno e diplomatosi nel 1979 alla Scuola Galante Garrone di Bologna, Eugenio Allegri è stato attore e regista di riconosciuto talento e ha lavorato, tra gli altri, con artisti del calibro di Leo De Bernardinis, Dario Fo, Gabriele Vacis, Vittorio Franceschi e Leo Muscato. Il suo volto e la sua voce rimangono indissolubilmente legati all’interpretazione di “Novecento” di Alessandro Baricco, che ha portato in scena per oltre vent’anni sui palcoscenici italiani e europei.
Ma Eugenio Allegri non è soltanto legato al personaggio di Novecento, ma è anche stato noto come Zio Vanja nell’omonimo dramma di Anton Cechov, su direzione di Gabriele Vacis. E fu proprio Gabriele Vacis a sceglierlo anche per l’interpretazione dei Rustughi di Carlo Goldoni. Ha anche segnato profondamente l’esperienza del Teatro Settimo, interpretando il padre Capuleti di Romeo e Giulietta fino a quello di Fulgenzio di Goldoni e, oltre al personaggio di Novecento, anche quello di Cyrano, segnandone profondamente l’esperienza del teatro Settimo.
Il 2016 fu l’anno in cui Eugenio Allegri accettò la sfida di Dario Fo, per dirigere il giovane Matthias Martelli in una nuova apprezzata versione de “Il mistero buffo”, prodotta dal teatro Stabile di Torino. Nel 2017 fu tra gli interpreti principali anche dell’adattamento teatrale de “Il nome della rosa” di Umberto Eco, su direzione di Leo Muscato.
Nel corso della sua brillante carriera è stato riconosciuto unanimamente come l’erede della commedia dell’arte, che ha saputo sapientemente tramandare alle nuove generazioni, attraverso seminari, laboratori e entrando a far parte del corpo docente della Scuola per attori del Teatro Stabile di Torino.
Ma Eugenio Allegri non è stato soltanto legato alla città di Torino. È stato direttore artistico del Teatro Fonderia Leopolda a Follonica, la cui amministrazione comunale ricorda come un uomo gentile e pacato, capace, da sempre, di mettere a disposizione con generosità il suo grande talento e la sua professionalità. A Follonica ha contribuito all’affermazione del teatro Fonderia , facendolo rinascere.
“Un talento straordinario, professionista appassionato e acclamato – lo ricordano il Presidente del Teatro Stabile Lamberto Vallarino Gancia e il direttore Filippo Fonsatti”.
La sua è stata una carriera lunga e fortunata, attraverso la quale è stato capace di esportare all’estero il nome del teatro Stabile, conquistando un pubblico internazionale, da Londra a Pechino e Shangai.
Eugenio Allegri è stato, sicuramente, l’erede di un modo di recitare che aveva in sé caratteristiche derivanti da tanti film di Chaplin, quando questi interpretava Charlot e si ritrovava al centro dell’attenzione per qualche accidente. La sua qualità peculiare era la grazia, che gli ha permesso di amare i clown e la commedia dell’arte, di saperli fare apprezzare al pubblico anche più giovane, è stato un maestro e esperto attore di teatro, che univa al carisma dei grandi personaggi la tenerezza di un personaggio, il suo, capace davvero di renderlo unico.
MARA MARTELLOTTA


Eppure i suoi scatti, a parere di molti, hanno anticipato i moderni reportage fotografici, creando una memoria visiva che ha documentato in maniera straordinaria culture e realtà sociali. Nella sua vita amò molto uomini, idee, arte, diritti umani, rivoluzione. Una donna straordinaria, Assunta Adelaide Luigia Modotti, detta Tina. Nata il 17 agosto 1896 nel popolare Borgo Pracchiuso a Udine, da un’umile famiglia friulana, aderente al socialismo della fine Ottocento, a soli due anni si trovò costretta ad emigrare in Austria con la sua famiglia.I Modotti tornarono a Udine nel 1905 e Tina frequentò lì le prime classi della scuola elementare. A dodici anni trovò lavoro come operaia nella fabbrica tessile Kaiser, alla periferia della città. Il padre era nuovamente emigrato, questa volta in America, in cerca di lavoro e la ragazza dovette contribuire al mantenimento della numerosa famiglia. Diciassettenne, nel giugno del 1913, varcò anch’essa l’oceano per raggiungere il genitore in California, dove (come ha scritto nella sua biografia Pino Cacucci) “stavano crescendo i grandi movimenti sindacali e la vita culturale e artistica era in gran fermento“. Fu così che a Tina Modotti si dischiusero in un primo tempo le vie del teatro e del cinema, e successivamente della fotografia. Fu musa di artisti importanti, recitò nel cinema muto di Rodolfo Valentino, amò perdutamente il rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella, assassinato nel 1929. Nella vita di Tina Modotti non mancarono gli incontri straordinari: i fotografi Jane Reece, Johan Hagemayer, Robert Capa ed Edward Weston, che la ritrasse in un nudo bellissimo ; i grandi pittori messicani Diego Rivera e Clemente Orozco; attivisti politici come il comunista triestino Vittorio Vidali, il Comandante Carlos del Quinto Reggimento durante la guerra civile spagnola, conosciuto durante una manifestazione di protesta dopo la condanna a morte di Sacco e Vanzetti ;scrittori come John Dos Passos, André Malraux, Ernest Hemingway. Da donna appassionata qual’era si dedicò alla causa rivoluzionaria in Messico e combatté con le Brigate internazionali in Spagna. Le sue foto hanno sempre narrato i volti e le sofferenze degli ultimi. Sono immagini di campesinos, pescatori, donne che lavano i panni e che allattano bambini. Dedicò molti scatti al Messico, sua terra d’elezione, dove morì a 46 anni e dove venne sepolta. Pablo Neruda scrisse le parole dell’elogio funebre che ancora oggi si possono leggere sulla sua tomba: “Sorella, tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa. Riposa dolcemente, sorella. Perché non muore il fuoco“. Dopo l’improvvisa scomparsa le venne tributato il giusto riconoscimento per la sua personalità umana, artistica e politica, tant’è che per alcuni anni la sua memoria restò ben viva nell’opinione pubblica latinoamericana. Poi cadde l’oblio, lungo quasi trent’anni. Le sue opere, che si trovano in gran parte negli Stati Uniti, vennero tenute nascoste negli archivi dei dipartimenti di fotografia a causa del maccartismo e della sua assurda caccia alle streghe. Una scelta oscurantista, come ricordarono al Centro Cultural Tina Modotti di Caracas , “che rese impossibile, per molti anni e non solo in America, lo studio e la presentazione di un’artista che aveva creato immagini di qualità e militato nel movimento comunista internazionale“. L’inquietudine l’accompagnò per tutta la vita, spesa quasi sempre in credito con la fortuna. Artista, intellettuale, tra i primi fotografi a capire il valore sociale e la forza di denuncia di un’immagine, perseguitata da viva e persino da morta per le sue idee, fu comunque una delle più belle figure di donna che l’Italia seppe dare al mondo.
Il sogno di Irene. Tutto racchiuso in quel suo grande sorriso, avvolto nei lunghi capelli biondi, capace di abbracciare il mondo e arrivare al cielo. Una laurea appena ottenuta e a pieni voti in “Economia Aziendale e Direzione d’Impresa” e l’infinita passione per la moda e il fashion design, Irene scompare a soli 25 anni, una domenica di marzo del 2021, schiacciata dall’auto impantanata nella neve e ribaltatale addosso, mentre insieme al fidanzato cercava di riportarla in carreggiata a Oulx, in località Vazon. Una tragedia senza confini per papà Ezio e mamma Marisa, per il fidanzato rimasto illeso e per le molte amiche e amici, quelli soprattutto dell’Oratorio della Parrocchia “Patrocinio San Giuseppe”, dove Irene era cresciuta e fortemente impegnata, allora, come animatrice e formatrice. “Tutti dicono che la vita sia difficile, ma io mi sto divertendo un mondo” amava ripetere Irene. Parole che, da allora, suonano come beffa. Come eco crudele di un destino inatteso, contro cui era da subito necessario usare le armi della rivincita. “Portate avanti voi i miei sogni” direbbe ancora oggi la ragazza che amava la grande Luna, la Luna crescente personificata dalla dea Artemide e diventata logo del Progetto a lei dedicato. Il “Progetto IB Artemide” per l’appunto. Avviato dai genitori e dai tanti amici di Irene, con sede proprio in quel “Giardino di Artemide” di via Biglieri 9/B, frutto di un sapiente recupero di un’area dismessa sita presso la parrocchia “Patrocinio San Giuseppe”, cuore pulsante dell’area Nizza-Millefonti che ha visto nascere il polo ospedaliero dell’attuale Città della Salute e gli stabilimenti e la trasformazione dell’area del Lingotto. Il “Progetto IB Artemide” è “un’iniziativa – dicono ancora i promotori – senza scopo di lucro che si propone non solo di mantenere vivo il ricordo di Irene ma di rinnovarsi, trasformarsi in leggerezza, armonia, bellezza, desiderio di sostenere i sogni dei giovani e di far camminare nuove idee con Irene al nostro fianco”. E “LIBRI-AMO”, proseguono, “si inserisce proprio fra le iniziative che il Progetto Artemide, ha realizzato nel corso di un anno o poco più (un lungo e ricco percorso per noi) con l’unico obiettivo di raccogliere fondi per finanziare giovani promettenti in percorsi di studio dedicati alla moda e al marketing”. Come si articola concretamente l’iniziativa? Da venerdì 6 maggio e per tutti i venerdì fino al 27 maggio, sempre a partire dalle 19, si terranno appuntamenti letterari nel segno di “leggere e leggerezza, voglia di restare in equilibrio tra la ricerca di speranza e la voglia di prendere il volo, sia esso metaforico o reale”. Dove? Ovviamente nel giardino più bello che c’è, il “Giardino di Artemide” al civico 9/B di via Biglieri.